17- Storia di una rottura (p.3)
Lan WangJi portò Wei Wuxian in braccio per tutto il tempo, stoico, non dando alcun segno di cedimento o di fatica.
I ragazzi si guardavano tra di loro con un chiaro senso di disagio, e quando finalmente trovarono una locanda con delle stanze libere, per loro fu un sollievo separarsi da quei due.
Nella stanza, HanGuang-Jun adagiò sul letto Wei Wuxian, ubriaco come non l'aveva mai visto.
Quando fece per allontanarsi, l'altro gli afferrò la veste, gli occhi improvvisamente aperti.
Quello sguardo lo turbò profondamente: non c'era luce o malizia, solo una sconfinata confusione ed una strana euforia.
«Lan Zhan?» lo chiamò, smarrito, tirandolo verso di sé.
Allungò una mano e la posò sulla guancia di giada di colui che, almeno fino a qualche giorno prima, era stato il suo compagno.
La testa di Wei Wuxian stava scoppiando, eppure non poteva chiudere gli occhi: sapeva che se l'avesse fatto, Lan WangJi sarebbe scomparso.
«É un sogno, vero?» sussurrò, percorrendo con le dita il contorno di quel viso splendido.
Lan WangJi fece per rispondere, ma vedere l'espressione annebbiata di Wei Wuxian gli fece morire ogni parola in gola.
«Deve essere per forza un sogno, altrimenti non saresti qui.» convenne Wei Ying, ridacchiando subito dopo.
Vederlo in quello stato gli faceva male.
«Sei ferito.» gli sussurrò, notando solo in quel momento il sangue che gli imbrattava i vestiti scuri.
Ma Wei Wuxian scosse la testa, sorridendo stupidamente:«Non è colpa tua, Lan Zhan. Se tu ora fossi davvero qui, ti direi questo. Però sei un sogno, quindi non ha tanta importanza ciò che dico, vero?» rise di nuovo, senza lasciargli la possibilità di allontanarsi.
L'odore di liquore era tremendo, ma ciò che gli stava facendo venire la nausea era il dolore di quello sguardo, che nemmeno i litri di alcool riuscivano a celare.
Non era colpa sua? E di chi altri, allora?
«Wei Ying.» mormorò Lan WangJi, prendendo la mano ancora posata sulla sua guancia e scostandola.
Quella stessa mano era sporca di sangue, che stillava da un taglio irregolare sul palmo.
«Fa male?» chiese, non riferendosi affatto a quel taglio.
Wei Wuxian smise di ridere, gli occhi pieni di lacrime: se fossero dovute all'eccesso di alcool, di riso o di dolore, era impossibile capirlo.
«Sì.» rispose infine, senza liberare la mano e guardando Lan WangJi dal basso, ammirando la curva delle sue sopracciglia aggrottate e la sua espressione distrutta.
Non sapeva nemmeno lui a cosa si stesse riferendo: quel graffietto di certo non gli faceva alcun male, eppure c'era quello strano dolore a stritolargli il cuore e a impedirgli di respirare, quel dolore che lo spingeva a voler dimenticare sé stesso e tutto il resto.
Non sapeva a cosa fosse dovuta quella sofferenza, ma non gli importava: si stava aggrappando con tutte le forze a quel sogno, e non aveva intenzione di lasciarselo sfuggire tra le dita, così come gli era sfuggito il futuro e la felicità.
«Ma se mi baci non farà più male, Lan Zhan.» gli ricordò, perché quello era un sogno e ogni cosa era bella e dolorosa al tempo stesso, ogni desiderio era capace di ricomporgli il cuore e distruggergli l'anima.
Lan WangJi, che non stava affatto sognando, baciò con delicatezza quella mano, tenendola stretta tra le sue, e poi salendo lungo il braccio, fino a trovarsi faccia a faccia con Wei Ying.
Stavolta stava piangendo davvero: quella gioia e quel dolore erano diventati insopportabili da sostenere, si mischiavano e si contaminavano l'uno con l'altro, rendendo felice la sofferenza e brutale la felicità.
Allora Lan WangJi gli asciugò le lacrime, una per una, il labbro fra i denti.
«Dimmi che è un sogno, Lan Zhan. Dimmi che domani mi sveglierò e tu sarai andato via.» sussurrò, le palpebre che sfarfallavano, avvinghiato a quel sogno mentre cercava di resistere al richiamo del sonno.
Lan WangJi non sapeva che rispondergli: andarsene sarebbe stato come strapparsi la pelle, rimanere gli era stato vietato da suo zio, Lan QiRen, che lo aveva promesso alla sorella di Jin Chen.
«Scappa con me.» lo pregò, mentre le dita di Wei Wuxian si aggrappavano ai suoi vestiti.
«Non posso.» rispose immediatamente, ridendo e al tempo stesso singhiozzando.
«Andremo a vivere lontano dalle Scuole, non ci dovrà più importare di loro, né di nessun'altro...»
«Non posso. Lan Zhan, Sono due vite che vivo...in fuga.» ripeté, mezzo assonnato e forse con un minimo di lucidità in più.
«Lo so.»
«E poi tu...tu devi fare ciò che è giusto.»
«Non voglio sposarla. Voglio te.»
«Anch'io voglio te, Lan Zhan.»
Ma quella era una conversazione sterile, che non avrebbe portato a nulla in ogni caso: HanGuang-Jun non sarebbe mai fuggito, avrebbe affrontato quel matrimonio combinato, svincolandosi da chiunque altro.
E Wei Wuxian sarebbe andato via, soffocando i rimpianti e cercando un modo per vivere lontano da lui.
Prima che Wei Wuxian potesse dire altro, però, cedette al sonno.
Lan WangJi non si mosse da sopra di lui, ma scrutò il suo viso con attenzione, sfiorandogli la pelle con dolcezza.
Dopo quelle che gli parvero ore, ma che comunque non era abbastanza tempo, rotolò lontano.
Lo osservò per qualche altro minuto, serrando le mani a pugno.
Forse, in fin dei conti, era davvero meglio credere che fosse stato tutto un sogno.
Dimmi che domani mi sveglierò e tu sarai andato via.
Sarebbe andato via.
Lan WangJi si diresse silenziosamente verso la porta, uscì dalla stanza e se la chiuse alle spalle, scendendo le scale per uscire definitivamente anche dalla locanda e dalla vita di Wei Wuxian.
Tuttavia, ad aspettarlo ad un tavolo, da solo, negli occhi riflessa la luce che la candela emanava, c'era SiZhui.
Appena lo vide si alzò e lo raggiunse, il viso indecifrabile tanto quanto il suo.
«HanGuang-Jun.» lo salutò comunque rispettosamente.
Lan WangJi ricambió il saluto, adocchiando l'uscita: fuori era notte fonda, il manto del cielo era così scuro che le stelle parevano brillare ancora più intensamente.
La luna non c'era.
«HanGuang-Jun, state tornando a Gusu?» chiese SiZhui.
«Mh.»
«Mentre Wei qianbei dorme?»
«Mh.»
«E domattina non tornerete?»
«No.»
«Come potete?!» esclamò infine il giovane, la mano serrata sulla spada e la rabbia che macchiava quelli sguardo sempre limpido.
Lan WangJi lo guardò senza dire nulla: non c'era niente che potesse dire, niente che potesse usare per giustificarsi. Ci aveva già provato con sé stesso.
«Mi avete sempre detto di combattere per ciò che era giusto e per ciò che mi suggeriva la coscienza, HanGuang-Jun. Perché state voltando le spalle ai vostri stessi principi?» domandò SiZhui, gli occhi spalancati.
«Devo occuparmi della Scuola.» Lan WangJi non credeva di aver mai detto così tante parole nel giro di così poco tempo.
SiZhui si tese verso di lui, afferrandogli la manica: non aveva l'espressione di uno che avrebbe lasciato cadere l'argomento.
«Il Clan adora Wei qianbei! È divertente e ci prende in giro, non è esattamente ciò che i Gran Maestri Lan approvano, ma ci guida e ci insegna come migliorare. Si è preso cura di me quando ero solo un bambino, e aveva sulle spalle un intero clan di reietti, emarginati e odiati. Nessuno è meglio di lui per occuparsi della Scuola!» gli ricordò, con un'urgenza pressante nella voce.
Lan WangJi osservò quel giovane che aveva salvato e aveva cresciuto, in memoria dell'uomo che amava.
Si districò dalla sua presa, posandogli una mano sulla spalla e allontanandolo.
«HanGuang-Jun...—
«Hai ragione. Non ho mai avuto intenzione di lasciarlo andare via.» lo interruppe.
Il sollievo trabboccò dallo sguardo di SiZhui, impedendogli per qualche istante di respirare.
Senza dire più nient'altro, si scostò e lasciò uscire HanGuang-Jun nella notte.
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