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La prima moglie

Londra, 7 marzo 1944

A svegliare i due giovani sanfeliciani, alle sei del mattino, non furono i rintocchi del Big Bang, il grande orologio la cui voce risuonava in tutta la città, ma un rumore naturale, più leggero e martellante: Tiberio aprì le imposte e ciò che videro lui e Iris fu una pioggia sottile ma costante, e un grigio che aveva avvolto tutte le superfici.
<< Ecco la gnagnarella inglese! Benvenuti a Londra... >> esordì, chiamando la pioggerellina con il nome dialettale che aveva nel Lazio.
<< Oggi dobbiamo affrontare Rebecca >> gli ricordò lei.
<< Quando rimarremo soli. Adesso ci sono i figli di Rebecca e Gianfranco >> replicò Belmonte.
Alla Cataldo fecero un effetto strano quelle parole: aveva sempre creduto che Menotti fosse uno scapolo impenitente, che facesse il bello e il cattivo tempo a San Felice Circeo senza mai impegnarsi; aveva pensato anche che la corte che le faceva fosse un gioco.
Ma cercò di non lasciar trasparire l'emozione: i bambini avrebbero dovuto conoscerla come Martina Conti la nanny, la bambinaia italiana.
Si vestirono e andarono a fare colazione in cucina, con il resto della servitù; non parlarono con nessuno, diedero giusto il buongiorno al maggiordomo Edward, né gli altri ricambiarono: essere italiani non era facile in quegli anni, perché erano parte degli Alleati solo da sei mesi, mentre per anni avevano combattuto al fianco della Germania di Hitler.
<< The living room's bell, il campanello del soggiorno, signora Conti! >> fece Edward rivolgendosi ad Iris.
Rebecca la stava chiamando per occuparsi dei ragazzi.
La Cataldo lanciò un ultimo sguardo a Tiberio, per poi salire le scale fino al soggiorno, dove Rebecca la attendeva.
<< Buongiorno, signora Conti! >> la salutò. Era elegantissima, come il giorno prima: Iris si chiedeva come Gianfranco, dopo essersi innamorato di una donna così di classe, avesse potuto perdere la testa per una commessa provinciale come lei.
<< Buongiorno, signora Tagliacozzo >> rispose al saluto, facendo un inchino.
<< Ti vedo stanca, va tutto bene? >> le domandò Rebecca.
<< Forse è il tempo. Non fa che piovere, qui >> ammise la Cataldo.
<< In Italia il tempo è quasi sempre bello. È una delle poche cose che mi mancano, insieme al cibo. I ragazzi comunque hanno la colazione alle sette e mezza e devono stare a scuola alle otto. Ti ho scritto l'indirizzo in questo foglietto >> ribatté l'una, andando verso l'altra e consegnandole un pizzino con scritto il nome dell'istituto in cui avrebbe dovuto accompagnare i tre giovani Menotti.
<< Grazie, signora Tagliacozzo >> disse la giovane, riponendo il foglio nel grembiule.
Salì le scale fino al piano di sopra e svegliò Miriam, Gabriele e Anna: in tutti e tre riconobbe i tratti di Gianfranco, sebbene avessero ripreso qualcosa anche dalla madre.
Le fecero un sacco di domande sull'Italia, e lei soddisfece tutte le loro curiosità durante il tragitto da casa a scuola.
Quando tornò a casa, trovò Tiberio che aveva appena finito di aiutare Celine Boones, la cuoca, a portare la spesa per il pranzo e le correva incontro.
<< Eccoti, finalmente! Vieni, andiamo a dire la verità a Rebecca! >> le comunicò, prendendola per mano.
Si diressero fino al soggiorno, dove Rebecca stava leggendo un romanzo.
<< Signora Tagliacozzo, vorremmo parlarvi in privato >> esordì il giovane Belmonte.
La donna li guardò entrambi negli occhi.
<< Andiamo nel salottino >> concesse, accompagnandoli in una stanza adiacente, più piccola ma sempre arredata con gusto, e chiuse la porta.
<< Signora Tagliacozzo, noi non siamo marito e moglie >> ammise il ragazzo, sospirando.
<< Non sono una persona chiusa. Anche io sono separata. In Inghilterra troverete una mentalità più tollerante rispetto all'Italia >> li rassicurò Rebecca, sapendo bene di cosa parlava.
<< In realtà non ci chiamiamo nemmeno Mariano e Martina Conti, sono le identità con cui siamo riusciti a scappare >> proseguì Tiberio.
<< Siete per caso ebrei come me? Comunisti? Istriani? >> volle allora sapere la Tagliacozzo.
<< Mi chiamo Iris Cataldo, e lui è Tiberio Belmonte. Da San Felice Circeo ci veniamo davvero, come scritto sui documenti. Sono stata la compagna di Gianfranco Menotti >> confessò Iris.
La loro interlocutrice rimase in silenzio per qualche secondo.
<< Dunque sei tu la donna di cui mi ha parlato Gianfranco nelle lettere? >> chiese allora alla Cataldo.
<< Ho capito chi siete voi proprio da quelle. Volevo conoscervi, sapere perché Gianfranco l'ha sempre tenuta nascosta >> rispose quest'ultima.
<< Perché sono ebrea, e sono ebrei anche i nostri figli. E questo non lo avrebbero perdonato neanche ad un gerarca fascista >> cominciò la Tagliacozzo.
<< Quando vi siete conosciuti? >> domandò allora Iris.
<< Nel 1931, me lo ricordo ancora. Era la fine di ottobre. Aveva cominciato a muovere i primi passi nella politica, era appena arrivato dalla provincia. Mi innamorai immediatamente di lui, e lui di me. La mia famiglia lo aiutò molto. Nel 1933 ci siamo sposati, l'anno successivo è venuta al mondo Miriam. Due anni dopo è arrivato Gabriele... >> continuò la proprietaria di casa, in tono commosso.
<< E poi? >> volle sapere Tiberio.
<< Anna era nata da pochi mesi, quando entrarono in vigore le leggi razziali. La posizione di Gianfranco si era già consolidata, così ha deciso di trasferire me e i miei figli a Londra, mentre la mia famiglia d'origine si trasferì a New York >> proseguì la Tagliacozzo.
<< Anche il mio fratellastro è nato a New York >> confessò la Cataldo, parlando di Jack Carter.
<< Gianfranco mi ha raccontato anche questo, nelle lettere. Quando tornò a San Felice Circeo, gli chiesi di non lasciar trapelare niente su di me e sui nostri figli. Si interessò immediatamente alla vostra storia, ricordò di aver visto i vostri genitori sulla spiaggia, la sera del Santo Patrono di San Felice Circeo. Sono stata gelosa di voi, lo sapete? >> fece Rebecca, come liberandosi di un peso.
<< Gelosa di me? >> chiese l'una.
<< Sì, perché si è speso molto per voi quasi quanto l'abbia fatto con me. Ma non vi serbo alcun rancore, voglio che voi lo sappiate >> la rincuorò l'altra.
<< Nemmeno io vi serbo rancore. Anzi, sono contenta di stare qui. Anche con un'altra identità >> disse Iris, finalmente tranquilla.
Adesso sapeva che anche Menotti aveva avuto un'umanità, ma era stata la logica fascista a costringerlo a fargliela nascondere; forse essere Martina Conti per un po' le avrebbe fatto bene.

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