Fiori d'arancio
Tunisi, 15 maggio 1943
Rispetto a qualche tempo prima, Elsa e le sue colleghe non erano più spaventate rispetto al caldo che faceva in Nordafrica: dopo un conflitto c'era talmente bisogno di loro che neanche facevano più caso ai fastidi che le assalivano, loro che erano nate e cresciute in un clima temperato come quello europeo.
Due giorni prima, il 13 maggio, le truppe italiane impegnate sul fronte africano erano state sconfitte proprio lì, in Tunisia, dagli Alleati: sapendo del gran numero di feriti che quella disfatta aveva generato, la contessa Orsini aveva reputato giusto partire per la capitale insieme alle sue ragazze per dare conforto a quei poveracci di tutte le nazionalità.
In un certo senso Elsa era grata della mole di lavoro che tutti i giorni quella situazione generava, così da non indurla a pensare a ciò che stava accadendo alla sua famiglia e ai suoi amici: suo padre e suo fratello Maurizio sul fronte orientale, insieme a Rinaldo; quegli altri due, Claudio e Mario, ormai creta molle nelle mani del gerarca Menotti; Iris in fuga dal suo ingombrante passato ma anche dal suo terribile presente; Enrico alla testa di uno sciopero insieme agli operai dell'attività di famiglia; Annalisa e Luciana impegnate in ambiti diversi ma comunque antifascisti; Cesare, il suo futuro sposo, ad affrontare ogni giorno la terra bruciata che il regime faceva intorno alla cronaca nera, quasi che a Roma e dintorni ormai andasse tutto bene.
La Filomusi pensava con rammarico che, se non fosse scoppiata la guerra, sicuramente sarebbe già stata la signora Belmonte; certo, non avrebbe mai provato per Cesare quello che sentiva, invece, per Rinaldo, ma almeno il figlio di Pietro e Livia le avrebbe garantito una vita tranquilla e senza fatiche, il contrario di quella che aveva sempre vissuto.
Sapere che questa prospettiva poteva essere messa in discussione ogni giorno la turbava, come se le venisse strappata l'unica certezza che aveva.
Stava pensando proprio a lui quel pomeriggio, mentre lavava il pavimento del corridoio del primo piano dell'ospedale alla periferia di Tunisi dove si erano stanziate.
<< Elsa! C'è una lettera per te! >> la richiamò Luisa.
<< Una lettera? >> domandò la Filomusi, posando lo scopettone nel secchio pieno d'acqua e correndo verso l'amica.
<< Dalla foga con cui sei venuta, magari è il tuo promesso sposo... >> la punzecchiò quest'ultima.
<< E smettila... >> l'ammonì la sanfeliciana, arrossendo mentre prendeva la lettera.
<< Va bene, ti lascio sola... >> fece la romana sorridendo e ammiccando mentre andava via.
Non appena Luisa fu lontana, Elsa aprì la lettera e scoprì che effettivamente il mittente era Cesare:
Roma, 6 maggio 1943
Elsa mia amatissima,
ti scrivo alla luce degli ultimi eventi e delle riflessioni a cui mi hanno indotto.
Ricordi quando giocavamo sulla spiaggia, insieme ai nostri amici, e le notizie sulla guerra ci arrivavano attutite e lontane?
Si tratta ormai di quattro anni, ma mi sembrano invece passati quattro secoli, ma nonostante questo il mio amore per te non è cambiato di un giorno.
Farsi le ossa in polizia non è facile, specialmente nell'epoca in cui viviamo, ma ti prometto che, quando tutto questo sarà finito, ci sposeremo come sognavamo quattro anni fa, a San Felice Circeo.
Nell'attesa ti saluto e ti bacio con tutto il mio cuore, sempre tuo,
Cesare.
Con il cuore che le batteva forte, piegò la missiva non appena ebbe finito di leggerla: Cesare le avrebbe garantito la serenità come nessun altro avrebbe mai potuto, perciò teneva così tanto a lui.
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