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Trust no one

Erano le due e mezza di notte quando uscimmo da casa Richmond.
Sinceramente non avevo ben capito a cosa ci fosse servita un'esperienza del genere, dato che non mi sembrava avessimo fatto alcun progresso per quanto riguardava l'investigazione su Austin. Non avevamo raccolto nessuna informazione di particolare importanza.

- Da oggi dovremmo fare sul serio. -

Sentenziò di punto in bianco Zoey, mentre eravamo per strada.
Le mani infossate nelle tasche del largo cappotto verde e le sottili sopracciglia rossicce aggrottate in un'espressione corrucciata.

Io, che a malapena riuscivo a reggermi in piedi da quanto avevo sonno, mi riscossi leggermente nel vedere la sua espressione determinata.

Non potei fare a meno di chiedermi se in realtà quella piccoletta non fosse un robot (ormai non mi sarei sorpreso più di nulla). Altrimenti, com'era possibile che fosse sempre così piena di energie?

- Cosa intendi? -

Le chiesi, mentre cercavo invano di ricacciare indietro uno sbadiglio.

- Le indagini. Ce la stiamo prendendo troppo con comodo. Dobbiamo sbrigarci. -

Non faceva una piega. Effettivamente avevo sempre avuto l'impressione, fin da quando era iniziata quella storia, che stessimo facendo le cose con un po' troppa calma.
Tuttavia, perché se n'era uscita così proprio in quel momento?
Glielo chiesi, mentre eravamo fermi davanti a un semaforo.
Superate quelle strisce pedonali, lei avrebbe dovuto svoltare a destra e io a sinistra, quindi la nostra conversazione sarebbe giunta al termine a breve.

- Hai presente la vicina di Austin? Sierra Ramirez? -

- Sì, certo. L'avevamo incontrata anche in quel locale, durante le indagini su Samantha. -

- Sì, certo, me lo ricordo. È la donna uscita sul retro insieme al barista poco dopo che Samantha aveva tramortito quell'uomo. -

Rimasi leggermente sorpreso dalla sua risposta. Non mi aspettavo che l'avesse riconosciuta, considerando che quella volta aveva avuto modo di osservarla solo per pochi istanti, prima che iniziassimo la nostra fuga.

- E allora? - Le chiesi. - Cosa c'entra lei adesso? -

- Quella donna era sempre nei paraggi anche quando mi trovavo nel Nevada, dove si sono verificati la maggior parte degli assassinii del nostro caso. -

- E questo cosa significa? -

Le chiesi, strabuzzando gli occhi dall'incredulità. Improvvisamente mi sentivo perfettamente sveglio.

- Sinceramente? Non lo so. - Ammise, scuotendo lentamente il capo. - Ma le possibilità sono due: potrebbe essere che anche lei per qualche motivo stia indagando su questo caso, magari per vendetta, semplice curiosità o chissà cos'altro... O invece, l'ipotesi che personalmente ritengo più probabile, Sierra Ramirez potrebbe essere una complice del nostro serial killer. Comunque una cosa è certa: non possiamo fidarci di quella donna, da questo momento in poi dovremmo tenerla d'occhio e sbrigarci a risolvere il caso il prima possibile. -

Il semaforo si illuminò di verde e subito Zoey iniziò a percorrere le strisce pedonali, senza neanche aspettarmi.
Mi lasciò con un "sogni d'oro", per poi svoltare a destra e ben presto scomparire dalla mia vista.

Tipico di Zoey: scagliare la bomba e poi sparire.

~

Sempre rimanendo in tema di bombe, il ritorno a scuola iniziò col botto.

Mi accorsi fin dal primo momento in cui misi piede nell'atrio che c'era una certa agitazione nell'aria e non sembrava essere dovuta solo all'omicidio accaduto proprio lì la settimana prima.
No, si trattava di qualcosa di più recente e, a giudicare dai continui bisbigli e dalle corse forsennate per i corridoi, perfino più interessante.

Ma cosa poteva essere?
Mi guardai intorno, pensando a chi poter chiedere spiegazioni. Alla fine però realizzai che l'unica persona fosse Gwendolyn, così quasi inconsciamente mi ritrovai ad affrettare il passo per raggiungere il laboratorio di biologia, dove entrambi avevamo lezione in prima ora.

Non ero neanche a metà strada, però, quando udii una voce alle mie spalle.
Una voce alta, decisa, familiare e, soprattutto, che stava chiamando il mio nome.

Mi irriggidii. Non poteva essere, giusto? Non poteva trattarsi di...
Mi voltai. Era lui.

- Ehi Nick! -

Esclamò nuovamente Hester Foster, venendomi incontro di corsa e salutandomi con una pacca sulla spalla.

Mi guardai intorno. Gli sguardi di tutti i presenti erano puntati su di lui.
Non c'erano dubbi. Ecco qual era la novità del giorno che aveva riscosso tanto scalpore.

- Hai terminato il tuo periodo sabbatico? -

Gli chiesi a bassa voce, facendo del mio meglio per ignorare gli sguardi dei nostri compagni di scuola, ora rivolti anche verso di me.

- Già, proprio pochi minuti fa. - Rispose Hester, sorridendo raggiante. - Uscendo, ho anche fatto prendere un colpo a un paio di ragazzi che stavano agli orinatoi. Ma almeno in quel momento non c'era nessuno nella seconda cabina. - Aggiunse ridendo.

Tutta quell'euforia era davvero commovente, tuttavia, se era appena uscito dal suo nascondiglio, non significava che la sua famiglia ancora non ne sapeva nulla? Non sarebbe stato meglio andare prima a casa piuttosto che mettersi a girare per la scuola? Ma, soprattutto, come avrebbe fatto a spiegare la sua scomparsa?

- Quindi ora intendi entrare in classe e fare lezione come se nulla fosse? -

Gli chiesi, notando lo zainetto che aveva sulle spalle.

- Certo. - Rispose con un'alzata di spalle, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. - Ho avvertito i miei fratelli per telefono poco prima di scendere. A quest'ora avranno già parlato con i miei. -

- Hai dei fratelli? -

Non potei fare a meno di chiedere. Considerata la sua vecchia reputazione da "fantasma", con quell'atteggiamento schivo e silenzioso, quasi sofferente, al punto da far addirittura sorgere in tutta la scuola il dubbio (fortunatamente infondato) che fosse autolesionista, avevo dato quasi per scontato che fosse figlio unico.
Avevo sempre pensato che i fratelli aiutassero in qualche modo a far uscire il proprio lato estroverso, ero convinto che fossero, diciamo, una sorta di "demo" per allenarti nei rapporti umani e consentirti così di affrontare al meglio quelli che in futuro ti avrebbero atteso al di fuori dalle mura domestiche. In sintesi, non pensavo che una persona con addirittura due o più fratelli (dato che Hester ne aveva parlato al plurale) potesse essere così sola e negata nella socializzazione.
In quel momento però capii che forse questo bel quadretto di una famiglia numerosa che mi ero dipinto, in cui tutti sono automaticamente felici e socievoli per il solo fatto di essere circondati da presunto affetto familiare, fosse solo una scusa che mi ero dato per spiegarmi come potesse essere che io, figlio unico in una famiglia che consisteva solo in me e mia madre, fossi così impedito nei rapporti umani.

- Sì. Due fratelli e tre sorelle. -

Rispose Hester, lasciandomi di sasso.
Alla faccia del figlio unico.

- E loro... Come l'hanno presa quando li hai chiamati? -

Provai ad immaginarmi la scena.
Un'intera famiglia dilaniata dal dolore di aver perso senza alcun preavviso uno dei suoi componenti. Quasi un'intera settimana di attesa, strazio, rimpianti e supposizioni catastrofiche. E poi, magari quando stavano perdendo le speranze di riaverlo indietro tutto intero, ecco che squilla il telefono: "ehi, family! Come ve la passate?... Io? Oh, niente di che, ho semplicemente pensato di prendermi qualche giorno per starmene per i fatti miei. Staccare un po' la spina, insomma. Sapete com'è... Lo stress, il mio programma radio, quel cretino che mi ha lasciato quando ha scoperto che sono trans... Come? Oh, non ve ne avevo ancora parlato? Vabbè, adesso sono a scuola, ma ne parliamo appena torno... Ah, mi raccomando, tenetemi qualcosa da parte dal pranzo! La mensa qui lascia proprio a desiderare... Bene, allora a presto!".

Nella mia mente, la scena doveva essersi svolta in questo modo, più o meno.
Sicuramente, dopo aver ricevuto una chiamata del genere, i suoi fratelli e sorelle saranno rimasti di sasso. Magari adesso erano tutti per strada e stavano per arrivare, indecisi tra lo strangolare o l'abbracciare quello sconsiderato del fratello.
Avrebbero corso per i corridoi, l'avrebbero visto in lontananza e, fermandosi per l'emozione, l'avrebbero riconosciuto subito, nonostante il nuovo taglio di capelli.
A quel punto ci sarebbe stata una di quelle scene strappalacrime di corsa al rallentatore e...

- Com'è andata, dici? Beh, quando ho chiamato al telefono di casa, ha risposto mio fratello maggiore e non appena ha capito chi fossi, ha subito messo il vivavoce. Erano tutti lì in sala per fare colazione, mancavano solo mamma e papà, che erano ancora al piano di sopra per prepararsi per andare a lavoro. Ebbene, non ho fatto in tempo a dire "sto bene, non vi preoccupate", che mi hanno mandato contemporaneamente a fanculo, a quel paese e all'inferno. Poi, dopo avermi rivolto altri epiteti che preferisco non ripetere ad alta voce, hanno avuto la gentilezza di comunicarmi che i miei due fratellini minori, durante la mia assenza, hanno trasformato la mia stanza in un campo da guerra. Chiaramente dovrò mettere tutto a posto da solo. Ci hanno tenuto a sottolineare che loro non muoveranno un singolo muscolo per aiutarmi, non che avessi dubbi al riguardo... Ah, poi mi hanno anche detto che si sono finiti tutta la mia scorta segreta di caramelle mou e che "per errore" metà dei miei CD è finita in pasto al chihuahua nevrotico della nostra vicina. Inoltre hanno stabilito che, se voglio che ammorbidiscano mamma e papà per quando li vedrò stasera, dovrò pagare profumatamente ognuno di loro... Ah, che bello essere tornati in famiglia! - Concluse, sforzandosi di mantenere il buon umore. - Per non parlare poi del fatto che, per quanto possano averli ammorbiditi, mi aspetteranno di sicuro almeno tre mesi di punizione e faccende in casa. Però, devo dire che nonostante tutto... No chi voglio prendere in giro? Non c'è nessun "però". Sto nella merda fino al collo... Oh beh, adesso vado. Considerando che ho passato la notte qui a scuola, non la voglio proprio una nota per il ritardo! -

Esclamò, per poi voltarsi e superarmi di corsa.
Lo osservai mentre si allontanava.
Ora mi era un po' più chiaro perché avesse sentito così tanto il bisogno di prendersi quel periodo di isolamento.
Dopo aver sentito cosa gli avevano detto i fratelli al telefono, non potei fare a meno di pensare che, se fossi stato in lui, probabilmente sarei rimasto in quella stanza segreta per almeno un altro mese o due.

Intanto i bisbigli per il corridoio si erano amplificati.
Qualcuno guardava nella direzione in cui Hester era appena corso via, ma la maggior parte aveva rivolto la sua attenzione su di me.
In momenti momenti simili mi era sempre chiaro perché fossero state inventate le serie tv, soap opere in particolar modo. Se non fossero esistite, il bisogno della gente di farsi i fatti altrui sarebbe stato ancora più intenso di quanto già non fosse, almeno così veniva un po' temperato.
Ma ad ogni modo, vista la mia attuale attività come spia, non era proprio il caso che li biasimassi per essersi incuriositi su Hester. Alla fine, era più che comprensibile.

A quel punto, stavo per incamminarmi nuovamente verso il laboratorio di biologia, quando...

- Ma ne sei proprio sicura? -

- Certo! Capelli del genere non si confondono facilmente. -

- E allora perché non hai avvisato subito qualcuno non appena l'hai vista? -

- Cosa ne potevo sapere io che si trattava di Hester? In quel momento era di profilo e anche parecchio lontana. -

All'udire quella conversazione, mi immobilizzai. A parlare erano stati un ragazzo e una ragazza sui quindici anni, intenti a prendere i libri dai rispettivi armadietti.

- Oh beh, alla fine non è che importi davvero qualcosa. -

Concluse lui con una scrollata di spalle.

- Ma sì, era tanto per dire. - Replicò la ragazza. - È solo che quando sabato l'ho vista, ha subito attirato la mia attenzione. Mi sembrava strano non aver mai notato che a scuola ci fosse qualcuno di così appariscente. Comunque credo che anche altri l'abbiano notata, ma che, come me, semplicemente non l'abbiano riconosciuta. -

- Dov'è che l'avevi vista? -

- In cortile, sul retro. -

- Vicino il campo, quindi? -

- Sì, proprio da quelle parti. -

- E tu cosa ci facevi lì? Sentiamo. - La stuzzicò lui, punzecchiandola sul fianco con il gomito. - Scommetto che non c'entrano nulla gli allenamenti di football di mezzogiorno e mezzo, vero? -

- Eddai! - Esclamò lei, scoppiando in un breve risolino. - Lo sai benissimo! - A quel punto però, la sua risata si smorzò e lei sbuffò. - Comunque, alla fine li hanno rimandati quegli allenamenti. -

- Come mai? - Chiese il ragazzo, prima di realizzare. - Oh, giusto! È stato proprio in quel momento che hanno trovato il corpo di Abigail al centro del campo, vero? -

Lei annuì e la conversazione tra i due proseguì, ma io ormai non vi stavo più prestando attenzione.
Ormai un singolo pensiero occupava la mia mente: Hester si trovava lì al momento dell'omicidio.

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