Nevermore
Quando entrai a scuola, mi sembrò di vivere un déjà vu.
Ovunque mi voltassi, vedevo il volto di Leopold Campbell.
Se alla scomparsa di Hester le bacheche della scuola si erano riempite di volantini, adesso sembrava quasi che tutte le pareti ne fossero state interamente tappezzate. Ci mancava solo che li appiccicassero anche sugli armadietti.
Quando poteva essere successo?
Sicuramente durante quel fine settimana, considerando che il venerdì prima ancora non se ne sapeva nulla.
Non appena realizzai davvero cosa fosse successo, però, venni colto da un dubbio. E se...?
- E se non fosse semplicemente scomparso? -
Disse Zoey, arrivandomi alle spalle senza che io me ne rendessi conto, facendomi sussultare dalla sorpresa.
Era esattamente ciò a cui stavo pensando.
E se Simon, o meglio Leopold, fosse stato l'ultima vittima?
O forse, al contrario, questo poteva anche significare che fosse lui stesso l'assassino e che ora, uccisa Abigail, avesse deciso di darsi alla fuga.
A questo proposito, riprendendomi subito dallo stupore dovuto alla scomparsa di Leopold, mi ricordai che quella mattina Zoey avesse qualcosa di molto importante da comunicarmi.
Infatti il giorno prima non ero più riuscito ad andare a casa sua, dato che, solo poco dopo che Austin era andato via (lasciandomi tra l'altro con un: "domani mattina ti devo dire una cosa" che mi aveva lasciato alquanto perplesso. Insomma, perché non dirmelo subito?), si era presentata la signora Perez con un largo anticipo.
- Che vuoi? -
Chiese Zoey, notando che la stavo osservando senza dire nulla.
- Non è ovvio? - Replicai, strabuzzando gli occhi. - Non ti ricordi cosa mi hai detto ieri al telefono? -
- Oh, giusto. - Annuì lei, prendendosi il mento con la mano e alzando il mento, puntando i suoi occhi verdi contro di me. - Non è ovvio? -
Ovvio? Se lo fosse stato, non avremmo certo passato le ultime due settimane a cercare di scoprirlo!
- Dimmelo e basta. -
- Rifletti. - Insistette la rossa. - Il giorno della morte di Abigail, gli unici sospettati privi di alibi erano Hester, Gwendolyn, Axel e Austin. Tre di loro però ci hanno fornito una versione dei fatti piuttosto attendibile, dato che le loro versioni si accordavano perfettamente le une con le altre e anche con quella di Samantha e Casey. Questo ci lascia con un ultimo indiziato. Il quale tra l'altro è anche l'unico tra i nostri sospettati che trarrà sicuramente dei vantaggi dalla scomparsa di Simon e al tempo stesso è anche la persona più vicina a Sierra Ramirez... Adesso hai capito? -
Sentii un brivido corrermi per tutto il corpo. Mi aveva completamente spiazzato.
Avevo capito benissimo dove volesse andare a parare, ma non poteva essere, andiamo! Per quanto Austin potesse provare invidia nei confronti di Leopold, a causa di quella faccenda del "quasi capitano", loro due erano comunque amici! Non c'era modo che io potessi credere a una cosa del genere, almeno finché Zoey non mi avesse presentato delle prove concrete.
- Non mi credi. -
Sentenziò la rossa, dopo avermi scrutato in volto per alcuni istanti.
- Sei molto arguta. -
Commentai seccamente mentre lei gonfiava leggermente le guance, come probabilmente avrà visto fare centinaia di volte dal suo criceto.
- Te lo dimostrerò. - Dichiarò fermamente, con uno sguardo talmente determinato che quasi mi diede i brividi. - O meglio, sarai proprio tu a constatarlo con i tuoi stessi occhi. Ci vediamo questo pomeriggio a casa Richmond. -
E detto ciò, senza neanche darmi il tempo di chiederle cosa intendesse (insomma, non potevamo mica presentarci lì senza alcun motivo), lei si voltò e si incamminò a passo svelto verso la sua aula, dato che proprio in quel momento aveva iniziato a suonare la campanella.
Era successo tutto troppo in fretta.
Capivo le sue motivazioni, ma non poteva stabilire senza essere in possesso di alcuna prova concreta che fosse proprio Austin il serial killer che stavamo cercando.
Ad esempio, cosa mi diceva del Nevada? Mi sembrava che Zoey avesse detto che la maggior parte degli omicidi si erano verificati lì, eppure nel corso degli ultimi quattro anni sapevo con certezza che Austin non si fosse mai trasferito in un altro Stato, neanche solo per pochi mesi.
Certo, avrebbe anche potuto agire durante delle vacanze o forse più probabilmente grazie al suo complice, ma... No, non riuscivo a concepire l'idea che lui e Sierra fossero i colpevoli che stavamo cercando. Semplicemente non potevo.
Non vedevo l'ora che arrivasse quel pomeriggio, così Zoey avrebbe capito di non avere alcuna prova contro di loro e sarebbe stata costretta a desistere.
Mentre mi dirigevo in classe con questi pensieri per la mente, passai accanto a un fitto gruppo di ragazzi, tutti radunati intorno a qualcosa, o meglio, a qualcuno.
- No, è da venerdì pomeriggio, come avevo già detto... - Sentii dire dalla persona che si trovava al centro di quel raggruppamento. - È vero, ma prima ovviamente bisognerà discuterne con l'allenatore e tutta la squadra... Come? Sì, certo, è quello che speriamo tutti, ovviamente. Sinceramente non ho proprio la più pallida idea di cosa gli sia potuto succedere. -
Era Austin.
Provai una strana sensazione nel vederlo (o meglio, intravederlo, considerando la barriera umana che in quel momento lo circondava), in parte per ciò che aveva appena detto Zoey e in parte perché improvvisamente mi ricordai le parole che mi aveva detto il giorno prima quando, poco prima di uscire dal negozio, Austin mi aveva avvertito che il mattino seguente a scuola mi avrebbe cercato per dirmi una cosa. Non avevo ancora capito bene come interpretare quell'affermazione, tuttavia era chiaro che, qualunque cosa mi dovesse dire, non me l'avrebbe detta lì in corridoio davanti a tutta quella gente, al momento intenta a fargli domande riguardo la sparizione del suo amico.
- Ma guardalo come gongola. -
Ridacchiò una voce al mio fianco.
Sussultai, non essendomi accorto del suo arrivo, quindi mi voltai di scatto verso di lei.
- Che c'è? -
Replicò Britney, inarcando un sopracciglio nel vedere il mio sguardo interdetto.
- Cosa intendi? -
- È chiaro, no? - Disse lei con una scrollata di spalle, abbassando poi il tono della voce. - Adesso che Leopold si è levato di mezzo, è Austin il solo e unico capitano della sua squadra. Certo, dovranno subito nominare un nuovo quarterback, ma chiunque verrà scelto di sicuro non potrà mai arrivare sul suo stesso piano e rimpiazzare davvero Leopold. Ora nessuno lo potrà più chiamare "quasi capitano". -
- Ma loro erano amici! -
Replicai e per tutta risposta lei alzò lo sguardo al cielo.
- Sai, mi chiedo se Leopold, dopo la sua trasformazione in Simon, abbia mai avuto davvero un amico. Ne dubito fortemente. Certo, lui e Austin si sopportavano a vicenda e uscivano sempre insieme, ma se è per questo lo stesso vale per me e Katherine e noi due non lo sopportavamo proprio. Credo che neanche Axel riuscisse ad andarci molto d'accordo. -
- Tu pensi che gli sia successo qualcosa di grave? -
- No. - Rispose lei senza un attimo di esitazione. - Anzi, a dire il vero credo proprio che in questo momento lui stia molto meglio di quanto non sarebbe mai potuto essere rimanendo qui. Dubito che lo rivedremo mai più. -
- Cosa intendi dire? -
La mora si strinse nelle spalle con un sorriso, quindi si voltò e si incamminò lungo il corridoio. Forse diretta a lezione o forse, cosa ben più probabile, verso il suo nuovo gossip.
A quel punto, accorgendomi del silenzio inconsueto che si era creato in corridoio, mi voltai nella direzione in cui solo fino a poco prima si trovava un gruppo di almeno venti ragazzi, per scoprire che ormai si era decimato e ne rimanevano solo tre.
Due dei quali, che riconobbi come membri della squadra di football, erano intenti a salutare il terzo, ovvero Austin.
Quando anche loro iniziarono ad allontanarsi per raggiungere le rispettive aule, passando mi rivolsero uno strano sguardo, come un misto di sorpresa e repulsione. Ormai ero abituato a vedermi rivolgere occhiate del genere, ma in quella particolare occasione, considerata l'eccessiva vicinanza che c'era in quel momento tra me e Austin, ebbero un effetto molto più devastante. Reagendo come se mi avessero appena colto in fallo, subito feci come per incamminarmi nella direzione opposta, desideroso di mettere quanti più metri possibile tra me e loro tre.
Anche perchè, se Austin mi doveva davvero dire qualcosa, allora tanto valeva spostarsi subito in un posto meno frequentato, così da risolvere la faccenda alla svelta e potermene finalmente andare in classe.
Ma non ebbi il tempo di fare un solo passo, che mi sentii chiamare proprio dal biondo.
Ebbi un sussulto e inizialmente fui indeciso tra il girarmi o meno. E se poi avessi scoperto che anche uno di quei due tizi si chiamava Nicholas e che Austin si stava rivolgendo a lui? In quel caso avrebbe destato sospetti se anche io mi fossi girato, no?
A quel punto, però, lo sentii pronunciare anche il mio cognome e decisi che, per quanto alle coincidenze non ci fosse mai limite, quando erano troppe, potevo anche permettermi di dubitare che si trattasse ancora di un caso.
Così mi voltai.
La prima cosa che notai fu che i due tizi di poco prima erano ancora lì nelle vicinanze, circa a tre metri da Austin, e si erano perfino fermati a guardare nella nostra direzione. Ma questo non era tutto, infatti lì in quel tratto di corridoio, oltre al via vai continuo di gente, c'erano anche una decina di ragazzi raggruppati a chiacchierare intorno agli armadietti e diversi di loro già si erano voltati nella nostra direzione quando Austin mi aveva chiamato ad alta voce, anche se forse da lì non riuscivano a sentire bene tutto ciò che stavamo dicendo.
- Che vuoi? -
Sospirai voltandomi verso di lui.
- Solo mettere fine a quello che stavamo dicendo ieri. Ti avevo avvertito che oggi qui a scuola ti avrei dovuto dire una cosa, no? -
Aggrottai la fronte, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare.
Perchè ne stava parlando proprio lì, davanti a tutta quella gente? Cos'era successo alla sua tattica del "io quello sfigato non lo conosco"?
Ora che ci pensavo, però, aveva appena detto "mettere fine". Si trattava di questo, allora? Stava per avvenire una sorta di fustigazione verbale pubblica?
- Prima che tu mi interrompessi, stavo per dire che ultimamente ci ho pensato parecchio e... -
A quel punto Austin si fermò per alcuni istanti. Inizialmente pensai che l'avesse fatto per accertarsi che io non mi volessi intromettere nuovamente con qualche frecciatina nei suoi confronti, ma poi mi accorsi che si stava guardando intorno con la coda dell'occhio, come se solo in quel momento avesse realizzato quanta gente fosse presente (senza considerare poi tutti quelli che arrivando, nel notare la situazione, si fermavano a guardare. Non mi avrebbe sorpreso affatto se ci fosse stata anche Britney lì in mezzo).
- Ecco... L'altro ieri è successa una cosa... Poi te ne parlerò, ora non posso, ma non è questo il punto. Il fatto è che... - Deglutì e, dopo aver rivolto per un istante lo sguardo a terra, lo puntò con decisione verso di me. "Con decisione" si fa per dire, insomma, a dire il vero, per quanto stesse facendo di tutto per mantenere un'espressione e un atteggiamento impassibile, tutto il suo nervosismo traspariva chiaramente dal tono della sua voce, che in quel momento gli stava tremando in una maniera assurda. - Dicevo sul serio ieri, quando ti ho chiesto scusa. -
- Lo so. -
Replicai semplicemente.
Lui dischiuse le labbra senza però dire nulla, come se avesse capito di essersi espresso male, ma non sapesse come formulare meglio la frase.
Faceva quasi ridere vederlo così, tuttavia, avendo compreso dal suo sguardo quanto fosse importante per lui ciò che stava cercando di dirmi, feci del mio meglio per contenermi.
- No, quello che intendevo dire è che... Quelle non erano semplici scuse. -
Adesso proprio non riuscivo a capire.
Cosa significava?
- Ti costa tanto dire le cose chiaramente per una buona volta? -
Sospirai, stanco di dovermi mettere tutte le volte a cercare di capire come dover interpretare ogni sua parola o azione.
- Quello che sto cercando di dirti... - Iniziò Austin, chiaramente in difficoltà, ma comunque deciso a mettere fine a qualunque cosa stesse cercando di fare. - È che non si ripeteranno più cose come quello che è successo ieri. Non mi scuserò mai più con te. -
Un po' me l'aspettavo.
Tuttavia, non capivo come fosse possibile che lui non riuscisse proprio a capire che dicendo cose del genere davanti a tutta quella gente (ormai ce ne saranno stati almeno una trentina), sarebbe finito anche lui nei guai e sicuramente anche molto più di me? (Dopotutto io, come si suol dire, avevo già raggiunto il fondo da tempo).
- Aspetta! -
Esclamò quando io iniziai ad allontanarmi, correndomi incontro e agguantandomi per il polso per costringermi a fermarmi. Ero convinto che quel siparietto fosse finalmente giunto al termine, invece a quanto pareva c'era ancora qualcosa.
- Che vuoi ancora? -
- Lo vedi? Non mi dai mai il tempo di finire. - Mi rimproverò, senza dare segno di voler allentare la stretta sul mio polso. - Quello che intendevo è che non mi scuserò mai più con te perchè farò in modo che non ce ne sarà più bisogno. -
Aggrottai la fronte, voltandomi per studiare attentamente il suo volto.
Che avesse bevuto? Non era poi chissà quanto inverosimile, tuttavia, per quanto in quel momento avesse effettivamente uno sguardo un po' allucinato, non sembrava ubriaco.
- Ti rendi conto, vero, che ci stanno guardando tutti? -
Gli chiesi in un bisbiglio, guardandomi intorno con un certo disagio.
- Era quello l'intento. Altrimenti temevo che non mi avresti creduto. -
Rispose lui, distendendo le labbra in un lieve sorriso.
- Ammettilo che semplicemente adori stare sempre al centro dell'attenzione. -
Sbuffai e lui si strinse nelle spalle con una breve risata.
- Allora... Cosa ne pensi? Con questo mi sono fatto perdonare o devo ancora baciare la terra dove cammini? -
- Sei consapevole di quali saranno le conseguenze di questo spettacolino? -
- Te l'ho detto. Ci ho pensato parecchio e ho capito che, nonostante tutto, non ce la faccio più a continuare così. -
- E così sei davvero disposto a gettare al vento ogni cosa proprio adesso che eri diventato il capitano principale della sua squadra? -
- Lo sarò comunque. Non possono cacciarmi per una cosa del genere. -
- Faranno in modo che sia tu a decidere di andartene. -
- Nicholas. - Mi interruppe, lasciandomi il polso solo per andare a posare le mani sulle mie spalle. - Ho detto che non mi importa. -
Bugiardo.
Certo che gli importava. Glielo si leggeva negli occhi che, per quanto stesse facendo di tutto per mostrarsi sicuro di sè, in realtà stava tremando da capo a piedi.
Tuttavia, confesso con un certo stupore, in quel momento mi resi conto che anche io stavo tremando.
- Sei consapevole che, semplicemente per ripicca, in questo momento potrei benissimo spingerti via e dichiarare al nostro bel pubblico di non avere idea di cosa tu stia parlando? -
Vidi il suo sguardo vacillare per un istante, ma non si ritrasse. Probabilmente sapeva bene anche questo. Considerando tutto quello che mi aveva fatto passare nel corso degli ultimi tre anni e passa, non si sarebbe proprio dovuto sorprendere se in quel momento fossi stato io a farmi da parte.
E una piccola parte di me, probabilmente la più sadica e rancorosa, forse lo avrebbe fatto davvero, giusto per vedere come ci sarebbe rimasto.
- Certo che lo so. Se lo farai, non ti posso biasimare. -
Mormorò Austin, mentre il suo sguardo vagava incerto dal mio viso alle sue mani ancora posate sulle mie spalle, facendo del suo meglio per ignorare invece tutti gli altri ragazzi che ci stavano intorno (anche se diventava via via sempre più difficile, dato che i mormorii non facevano che aumentare).
E più tempo passava senza che io dessi una risposta, più la sua incertezza aumentava.
Alla fine, consapevole di non poter protrarre quella situazione ancora per molto, mi rivolse uno sguardo interrogativo.
- Quindi? - Mi chiese. - Cos'hai intenzione di...? -
Senza dargli il tempo di finire, mi allungai verso di lui e in un attimo azzerai la distanza tra le nostre labbra.
Si trattò solo di un bacio a stampo e durò giusto pochi istanti, eppure in qualche modo riuscì a toglierci il fiato.
Non aveva proprio nulla a che vedere con le decine di baci che ci eravamo già scambiati in precedenza. Fin da subito mi sembrò profondamente diverso dal solito, ma non in senso negativo, tutt'altro.
Anche se non avrà alcun senso logico (o meglio, cronologico), nella mia mente fu quello il nostro primo bacio.
Quando ci separammo, Austin rimase per alcuni istanti con la fronte premuta contro la mia e poi, prima di allontanarsi, disse:
- Adesso vado ad occuparmi dei paparazzi. Ci vediamo questo pomeriggio. -
Se la sua prima affermazione mi fece scappare una risata, la seconda la congelò.
Allora già sapeva che quel pomeriggio io e Zoey saremmo andati da lui.
Mentre mi incamminavo finalmente verso la mia classe, neanche badai ai mormorii e gli sguardi della gente, tutti puntati verso di me proprio come tre anni prima, il giorno dopo la festa di Grace.
Nella mia mente c'era posto per un unico pensiero: non potevo accettare la conclusione a cui era giunta Zoey.
In quel momento ovviamente non potevo sapere che le indagini stessero davvero per giungere al termine, ma forse in qualche modo già avevo intuito che quello sarebbe stato il mio ultimo giorno da spia.
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