Katherine Adams
Piacere agli altri non è complicato.
Certo, essere simpatici a tutti è impossibile, ci sarà sempre qualcuno per cui non sarai mai abbastanza e altri che invece ti invidieranno.
Tuttavia, parlando in linea generale, non è difficile entrare nelle grazie delle persone.
Non serve altro che un bel sorriso, un buon gusto estetico e abbastanza fantasia da riuscire ad intavolare una conversazione con chiunque, riguardo qualsiasi argomento.
Se non si è in possesso di nessuno dei tre, allora c'è sempre internet, sia per quanto riguarda la ricerca di trucchi per essere simpatico agli altri, sia per quanto riguarda i consigli su come vestirsi sempre all'ultima moda (o, se non si ha chissà quale disponibilità economica, su come abbinare e valorizzare al meglio quel poco che si possiede).
Anche io avevo fatto molto ricorso a questi trucchetti per arrivare in cima alla piramide gerarchica di quel piccolo mondo che era la mia scuola. Dopotutto quando ero a casa amavo indossare tute, felpe e magliette larghe di cotone con delle stampe oscene. Per non parlare poi di quando giravo mezza nuda, con addosso solo i boxer di mio fratello (ma ammetto di averli indossati qualche volta anche per andare a scuola. Danno una sensazione di libertà che è qualcosa di meraviglioso).
Quindi, considerando la mia disperata situazione di partenza, diciamo che non era stato affatto facile arrivare dov'ero arrivata. Tuttavia, con un po' d'impegno si poteva fare di tutto e io lo avevo dimostrato egregiamente.
Forse qualcuno si chiederà per qualche motivo uno si dovrebbe prendere tutto questo disturbo, giusto?
Perchè è divertente, ovviamente!
È come stare all'interno di una visual novel. Una specie di galge, in cui per conquistare la protagonista di turno non devi fare altro che dire le cose giuste al momento giusto, in base alle quattro opzioni che ti vengono date.
Solo che qui, invece di dover stare dietro ad una singola persona, devi riuscire a conquistare tutti i personaggi, comparse comprese.
Basta trovare la giusta combinazione di carisma, simpatia e fascino e il 99.99% delle persone che incontrerai nel corso della tua vita cadranno inevitabilmente ai tuoi piedi, in un modo o nell'altro.
Ovviamente, però, quasi come se l'universo si stesse burlando di te, quell'unica persona per cui sarai tu a provare interesse, rientrerà sempre in quello 0,01% di gente che non ti può proprio soffrire.
- Come si fa ad essere così belli? -
Sospirai, buttandomi sul letto di Austin mentre tenevo il cellulare davanti al viso.
- Sono davvero lusingato da questa domanda, ma purtroppo non so proprio come risponderti. Il mio è un talento naturale. -
Si intromise lui, seduto alla scrivania e intento a fare matematica.
- Non ce l'avevo con te. -
Sbuffai ruotando gli occhi.
- Lo immaginavo. -
Replicò lui, tamburellando sul libro con il tappo della penna, come se si aspettasse che, bussando in quel modo sul problema, la risposta venisse fuori da sè.
- Ovviamente parlavo di lei. -
Aggiunsi, voltando lo schermo verso di lui.
Austin distolse finalmente la sua attenzione dal libro e, dopo aver osservato per alcuni istanti la foto che gli stavo mostrando, si voltò verso di me con uno sguardo interdetto.
- Immagino che sia bella dentro. -
Non ebbe il tempo di finire quell'affermazione, che gli avevo scagliato contro uno dei suoi cuscini, prendendolo in pieno viso.
- Il tuo giudizio non conta. E non solo perchè sei "tu sai cosa". -
Dissi, pronunciando quelle ultime tre parole con fare cospiratorio, neanche stessimo parlando di Voldemort.
- E allora per quale altro motivo? -
- Beh, perché il tuo gusto estetico fa molto più schifo del mio. - Risposi con un'alzata di spalle. - Voglio dire, con che coraggio dici una simile cattiveria della mia meravigliosa futura moglie inconsapevole, quando non si può neanche pronunciare il nome di quello sfigato, che diventi un pomodoro? Siamo nella stessa barca, bello mio. -
- Permettimi di dissentire. - Replicò, tornando a voltarsi verso il suo libro per nascondere il lieve rossore che si era appena diffuso sulle sue gote, ma che io riuscii a notare ugualmente. - Lui non è bello nè dentro nè fuori. -
- Ottimo. Sai, noi quattro ci completiamo: Nicholas non è bello nè dentro nè fuori, tu lo sei solo fuori, Gwen è meravigliosa dentro e poi ci sono io, bella tanto fuori quanto dentro. -
Questa volta fui io a beccarmi il cuscino dritto in faccia.
- Comunque... - Ripresi dopo alcuni istanti. - Apparte gli scherzi, Gwendy è bellissima e mi auguro per te che la bellezza, sia quella esteriore che interiore, sia abbastanza soggettiva da permetterti di pensare lo stesso di lui. -
- Che sia bello o brutto, non cambia nulla. - Replicò Austin, mentre scribacchiava qualcosa sul quaderno. - A te l'ho detto giusto perchè in ogni caso ci stavi già arrivando da sola, ma comunque il fatto che mi piaccia non significa mica che accadrà qualcosa tra di noi. -
- Se non muovi quel culo e fai qualcosa al più presto, allora credo proprio di no. -
- È facile a parole. Ma, seriamente, se questa tipa alla fine ricambiasse, tu ci usciresti sul serio? Nel senso, ufficialmente? Senza tenerlo nascosto a nessuno, nè in famiglia nè a scuola? -
- Certo. -
Lo sguardo di Austin vacillò per un istante, forse a causa del tono deciso con cui gli avevo risposto.
Senza aggiungere nulla, tornò ai suoi esercizi di matematica.
Sapevo bene che per lui era quasi inconcepibile ciò che avevo appena detto. Benché Austin sapesse fin dai tempi delle elementari di essere attratto dal suo stesso sesso, a causa del timore per il giudizio altrui, non aveva mai neanche considerato l'idea di provare a uscire con qualcuno. Non aveva neanche mai provato la tecnica della "fidanzata fantoccio", tant'era il terrore che la poveraccia di turno riuscisse a scoprire qualcosa. Sicuramente ancora non aveva avuto la sua prima volta. Anzi, ma quale prima volta? Molto probabilmente non aveva ancora dato neanche il suo primo bacio.
Se devo dirla tutta, temevo fortemente che soffrisse di qualche tipo di complesso d'inferiorità e che fosse proprio per compensarlo che sentisse costantemente il bisogno di eccellere in ogni cosa, tanto nello sport, quanto negli studi, nella vita sociale e perfino per quanto riguardava le sue stesse emozioni: non l'avevo mai visto piangere o arrabbiarsi quando erano presenti altre persone e anche con me lo faceva molto di rado, cercava sempre di mostrarsi allegro, affidabile e ben disposto nei confronti di chiunque, anche di chi non sopportava, senza tuttavia avere il coraggio di farsi avanti e lottare per stare con le persone a cui teneva davvero. Doveva sempre essere il migliore: il figlio perfetto, il fratello più amorevole, l'alunno più diligente, il più simpatico e amichevole del gruppo. Solo in una cosa non era riuscito ad arrivare primo, ovvero nello sport, e per quanto io sapessi con assoluta certezza che questa cosa lo facesse impazzire, lui si ostinava a negare, dicendo che non provava alcuna invidia nei confronti di Simon. Questo perché ovviamente una persona perfetta come quella a cui aspira di essere, non può permettersi di provare rancori di alcun tipo.
Benché in passato mi sia capitato di passare le notti insonni a pensare a queste cose, non gliene ho mai parlato direttamente. Perché tanto so già che se lo facessi lui proverebbe a cambiare argomento prima ancora che potessi esporgli tutti i motivi che mi avevano condotta a quella conclusione.
Io però non ero come lui. Il giudizio degli altri per me era importante solo fino a un certo punto. Diciamo che gli davo la stessa considerazione che potevo provare per il punteggio finale che riuscivo ad ottenere alla fine di una partita a un videogame.
Piacere agli altri era indubbiamente bello ed emozionante, ma nel momento in cui l'opinione altrui iniziava a impedirmi di fare quello che volevo, allora entrava in gioco il mio motto per la vita: chissene.
Non avevo intenzioni di passare la vita tra pippe mentali e rimpianti come il mio migliore amico.
Essendo bisessuale, teoricamente parlando non avrei avuto alcun problema a passare la vita al fianco di un uomo, tuttavia la persona di cui mi ero innamorata non lo era e a me non poteva fregarmene di meno.
Se fossi riuscita a conquistare Gwendolyn, allora avrei gridato il nostro amore a tutto il mondo, che gli interessasse o meno.
Per molto tempo quel "se" rischiò di farmi impazzire.
Sentirmi rispondere in malo modo ogni singola volta che tentavo un approccio con lei, era davvero demoralizzante.
Su Gwendolyn carisma, simpatia e fascino non avevano alcun effetto.
Non volevo neanche considerare l'ipotesi che magari il motivo potesse essere che lei fosse etero e non solo perchè il mio gayradar era infallibile, ma anche perchè, se anche fosse stato così, comunque ciò non ci avrebbe dovuto impedire di essere amiche. E invece lei mi respingeva sempre, anche quando il mio approccio era tranquillo. Quindi doveva esserci qualche altra motivazione dietro il suo comportamento, non poteva essere altrimenti.
Tuttavia, se da un lato immaginavo che la sua fosse solo una chiusura a riccio, dovuta alla timidezza e alla paura di essere ferita, dall'altro non potevo fare a meno di chiedermi se dopotutto non mi detestasse sul serio.
Questo almeno fino a quel giorno, quando, dopo due anni e mezzo di corteggiamento spietato, compresi che l'unica cosa rimasta da fare fosse dirglielo chiaro e tondo.
Avessi saputo che era così semplice, mi sarei potuta risparmiare un sacco di grane.
I giorni che seguirono, furono i migliori che avessi mai vissuto nel corso di tutta la mia vita, infinitamente meglio di come me l'ero sempre immaginato.
Poterle dare il buongiorno e la buonanotte al telefono con la certezza che mi avrebbe risposto, fare insieme la strada di andata e ritorno da scuola riuscendo (almeno due volte su tre) a parlare del più e del meno senza che lei si irritasse per un qualsiasi motivo e mi tenesse il broncio per le seguenti due o tre ore e, quella che secondo me è la cosa più bella di tutte, dirle "ti amo" e ricevere come risposta "anche io".
Sento spesso la gente lamentarsi di questo "anche io", sostenendo che sia molto più romantico rispondere con un secondo "ti amo", ma io non la penso allo stesso modo.
Quelle due paroline significano tutto per me, hanno lo stesso valore di un "ti amo", se non maggiore.
Significa che i tuoi sentimenti non sono più unilaterali, ma che quella persona prova la stessa cosa per te.
Si può passare dal parlare di una cotta al parlare di amore, solo quando esiste quell'"anch'io".
Se penso a tutto il tempo che ho passato a sognarlo e al fatto che adesso lo posso sentire ogni volta che lo desidero, quasi non mi sembra vero.
Eppure, c'era qualcosa di strano.
Me ne accorsi per la prima volta quel sabato, durante la festa improvvisata che Austin aveva deciso di dare a casa sua dopo che Grace era stata costretta ad annullare la propria.
- Guarda che non eri costretto a farlo. -
Gli stavo dicendo, mentre ero impegnata a svuotare l'intera confezione di pop-corn all'interno della macchina.
- Lo so. -
Replicò lui, osservando con disappunto le mie azioni finchè io, accorgendomi del suo sguardo, non mi fermai, lasciando la confezione mezza piena.
- Tu odi le feste, Austin. -
- Non è vero. - Replicò subito quell'imbroglione infossando le mani nelle tasche dei pantaloni, probabilmente per nascondere il fatto che si stesse schiacciando l'indice con il pollice, cosa che faceva praticamente tutte le volte che era nervoso o stava mentendo. - Sì, è stancante dare una festa a casa, dato che mi devo assicurare che nessuno combini guai, ma alla fine non è poi così problematica come cosa. Non è neanche la prima volta che lo faccio. E poi a te che importa? -
- Ho paura che un giorno qualcuno potrebbe suggerirti di buttarti da un burrone e tu lo faccia sul serio. -
- Esagerata. - Sbuffò lui alzando lo sguardo al cielo. - Quando te ne esci così, quasi non riesco a crederci che siamo amici dai tempi delle elementari... Ehi! Smettila di guardarmi così... E dai! Basta... Oh, maledizione, non ti sopporto! E va bene, lo ammetto: detesto le feste e questa l'ho data solo perché andando via da Grace qualcuno si stava lamentando del fatto che la serata fosse stata annullata e così ho pensato che questa potesse essere una buona occasione. Contenta adesso? Avevi ragione riguardo alla festa. Tuttavia da qui ad ammazzarmi solo perché me lo dice qualcuno... Non sono così scemo. Non pensavo che avessi una così bassa opinione di me. -
Aveva appena finito di parlare, quando gli andai incontro e lo abbracciai di getto.
Lui esitò per un istante, ma poi ricambiò.
Quell'abbraccio non durò che una decina di secondi, eppure, come da copione, non appena mi separai da lui, notai Gwendolyn ferma sulla soglia della cucina.
Avendole già spiegato il fatto che io non fossi assolutamente interessata ad Austin in quel senso e che lui, essendo gay, lo fosse ancora di meno, non mi preoccupai più di tanto del fatto che potesse fraintendere la situazione.
Più che altro, a preoccuparmi fu il modo in cui lo stava guardando. Se gli avesse rivolto un'occhiataccia o uno sguardo da "per stavolta la passi liscia, ma ritieniti fortunato", avrei anche potuto capirlo. Ma non era questo il modo in cui Gwendy lo stava osservando. La verità è che per qualche motivo ne sembrava quasi spaventata, come se si fosse ritrovata davanti un fantasma.
Quando Austin, capendo solo a grandi linee la situazione, decise che fosse il caso di togliere il disturbo, fu costretto a passarle accanto e in quel momento, quasi come se si fosse scottata, Gwendy si ritrasse di scatto, aggirandolo senza neanche sfiorarlo, per poi entrare di filato in cucina, chiudendosi subito la porta alle spalle.
Non riuscii a capire il perchè di quella reazione. Non era la prima volta che si incontravano e prima di allora non aveva mai avuto problemi a parlargli o stargli accanto. C'entrava qualcosa il fatto che ci stessimo abbracciando? Eppure lo sapeva benissimo come stavano realmente le cose.
- Ehi Gwendy, ma che...? -
Non feci in tempo a finire la domanda, che lei mi era corsa incontro e mi si era avvinghiata, stringendomi a sè con così tanta forza che alla fine non potei fare altro che ricambiare con altrettanto trasporto.
Nonostante fosse di costituzione più robusta rispetto a me, era anche più bassa e in quel momento in particolare, anche se non riuscivo a comprenderne il motivo, aveva un'aria così fragile che non me la sentii proprio di sottoporla ad un interrogatorio e così ben presto tutte quelle domande scomparvero dalla mia mente.
Vi fecero ritorno qualche giorno dopo, mentre ero in casa di Gwendy.
Non riuscii a comprendere appieno il senso dell'arrivo improvviso di Nicholas, come anche perchè avesse deciso di portarsi via la lettera di Abigail, ma dal suo scambio di sguardi con Gwendy, una cosa mi fu subito chiara: c'era qualcosa di strano nell'armadio.
Avrei potuto fare semplicemente finta di nulla, ma non ci riuscii.
Io dovevo sapere. Dovevo scoprire se quell'armadio poteva rivelarmi qualcosa riguardo il motivo dello strano atteggiamento di Gwendy.
Non fu affatto difficile ottenere la combinazione, tuttavia ammetto che vedere il suo sguardo abbattuto rivolto verso il pavimento, per un momento riuscì quasi a farmi desistere.
Ma ormai non potevo tornare indietro.
Dopo aver abbassato la maniglia, prima di aprire mi voltai verso di lei.
- Senti... So che può sembrarti un'esagerazione e probabilmente lo è sul serio, ma io devo sapere. Se si tratta di una cosa da nulla, magari solo di una qualche sciocchezza che ti mette in imbarazzo, allora se vuoi ti do il permesso di frugare tra la mia roba la prossima volta che vieni da me. Ma se si tratta di qualcosa di davvero importante... - E dal suo sguardo sembrava proprio di sì. - Allora stai tranquilla. Non hai motivo di agitarti. Qualunque cosa sia, non potrà essere così terribile, no? Non cambierà nulla, Gwendy. Te lo prometto. -
Lei non sembrava particolarmente rincuorata dalle mie parole, ma a quel punto non potevo più aspettare ulteriormente, così agguantai le due maniglie e le tirai verso di me, spalancando le ante.
In un primo momento non capii di cosa si trattasse. Ma quando finalmente lo realizzai, più che disgusto, ansia o confusione, fu stupore quello che provai. Semplice stupore.
La maggior parte di quelle foto venivano dai miei social, ma ce n'erano anche diverse che invece erano state palesemente scattate di nascosto.
Ad esempio ce n'era una in cui mi trovavo in biblioteca, immersa tra i libri. Non c'erano dubbi, della foto risaliva al periodo in cui Gwendy mi faceva da tutor per aiutarmi a recuperare matematica! Quindi era da allora che quella storia andava avanti?
Prima che richiudessi l'armadio, lo sguardo mi cadde sull'unica foto di Austin presente, al centro della quale era stato infilzato un enorme coltello da cucina, con la lama incrostata di sangue.
- Ti sei limitata a sfogarti su quella foto, giusto? -
Chiesi senza voltarmi.
- Le foto non sanguinano. - Rispose lei alle mie spalle, con un filo di voce. - Ma quello non è il sangue di Austin. -
Mi voltai di scatto verso di lei.
- Cosa succede? -
- Io... Io ho un problema, ok? - Proruppe dopo alcuni istanti di silenzio. La voce rotta dal pianto che stava per scoppiare, ma che per il momento teneva bloccato al centro della gola. - Non ho fatto nulla ad Austin, ma... C'è voluto poco. Mio padre è intervenuto in tempo. È suo quel sangue. Mi ha sfilato il coltello a mani nude. -
- Perchè, Gwendy? -
- Perchè ti amo! - Esclamò di getto, sollevando lo sguardo verso di me, aveva gli occhi gonfi di lacrime e io iniziavo a temere che, se fosse scoppiata a piangere, le sarei andata subito dietro. - Ti amo troppo. E nel modo sbagliato. -
- Non esiste un modo giusto o sbagliato di amare qualcuno. -
- Ho provato ad ucciderlo, Katherine. -
Quest'affermazione mi paralizzò.
Non riuscivo a crederci.
Non volevo che fosse vero.
- Ho desiderato con tutta me stessa che lui morisse, solo perchè ti stava un po' troppo vicino. E ho desiderato lo stesso anche nei confronti di tutti gli altri tuoi amici. È per questo che provavo sempre ad allontanarti da me. Avevo paura di questi sentimenti. Io... Volevo che tu stessi sempre e solo con me. Ho desiderato rinchiuderti in quell'armadio insieme alle tue foto, così da averti vicino a me in ogni momento. E questo è sbagliato, dannazione! È da malati pensare certe cose! Io non voglio farti soffrire, te lo giuro! Eppure... -
Non le diedi il tempo di finire. Subito le fui davanti, chinata di fronte al letto.
Osservai i suoi meravigliosi occhi castani, ora gonfi di lacrime come un fiume in piena, pronto a straripare.
Le sue piccole labbra rosse che tremolavano e le mani avvinghiate con forza al copriletto.
Le sue parole erano riuscire a spaventarmi, eppure tutte le volte che la guardavo, questi sentimenti sparivano in un lampo.
- Non avevo idea che stessi affrontando una cosa del genere. - Le dissi, portando una mano sulla sua e l'altra sul suo volto. - Ma adesso ci sono anche io ad aiutarti. -
- Vuoi dire che...? -
Mormorò lei, sgranando lentamente gli occhi.
E diamine, era così bella che non riuscii a trattenermi e così in un attimo mi tirai su e raggiunsi le sue labbra, lasciandole un lungo bacio a stampo.
- Ti avevo promesso che non sarebbe cambiato nulla... - Le dissi non appena ci fummo separate, prendendole entrambe le mani tra le mie. - Ed è così. Non importa quale sia il problema, lo affronteremo insieme. Ok? -
Lei annuì leggermente con il capo e mi sorrise.
- Ti amo. -
Disse in un filo di voce.
- Anche io. -
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