Gwendolyn Hall
Ogni rosa ha le sue spine.
Questa frase è un classico.
- Ma che eleganza oggi! -
- Chiudi il becco, idiota. -
Anche le persone in un certo senso sono come le rose.
- Guarda che dico sul serio! -
- Certo, come no... -
Solo che le persone non mettono le loro spine fuori, in bella vista.
Le tengono tutte conficcate dentro di sè, a dilaniarli dall'interno, distribuendole un po' nel cervello e un po' nel cuore.
- Ma perchè ti comporti sempre in modo così antipatico? -
- E tu perché ti comporti sempre in modo così sciocco? -
Ogni spina conficcata nel cervello rappresenta un rimorso del passato, il ricordo di un pianto irrefrenabile, di un'esperienza sfortunatamente indimenticabile, di una lezione di vita conquistata con rabbia e dolore, un "non deve accadere di nuovo".
- Dai, facciamo la pace. -
- Guarda che non ce l'ho con te. -
Ogni spina conficcata nel cuore, invece, rappresenta una parola non detta, una lacrima non versata, un'occasione sprecata, un "sarebbe stato meglio se...".
- Beh, non sembra. -
- Scusami se non hanno ancora inventato un dizionario per interpretarmi! -
A volte può capitare di giudicare una persona "incoerente", magari quando dice o fa una cosa, benchè in realtà intendesse dire o fare tutt'altro, ma in realtà anche queste persone sono "coerenti" in un certo senso.
Coerenti con le spine che si portano dentro.
- No, un dizionario non basterebbe. Come minimo servirebbe un corso intensivo. Con tanto di esame finale e certificato. -
- Ma almeno ci pensi due volte a ciò che stai per dire prima di tirare fuori certe scemenze? -
- Certo. Tu invece? -
- Fin troppo. -
Se un gatto ti graffia, da quel momento in poi ci pensi due volte prima di avvicinarne uno.
Se correndo sul terreno bagnato, scivoli, cadi e ti sbucci una gamba, da quel momento in poi inizi a fare più attenzione.
Se le spine di una rosa ti pungono, da quel momento in poi smetti di coglierle con la stessa spensieratezza di prima, no?
Eppure ci sono persone che invece ci riprovano, ci riprovano eccome.
Con la stessa serenità e innocenza della prima volta.
- Buongiorno, Gwendy! -
- Buongiorno, Hope. -
- Ma no, dai! Adesso hai iniziato anche tu a chiamarmi così? -
- La smetterò quando tu la smetterai di molestare il mio nome. -
Continuano a provarci.
Provano a cogliere quella rosa ancora e ancora, una volta dopo l'altra, senza curarsi minimamente delle sue spine.
Continuano finchè non si ritrovano le mani sanguinanti e piene di graffi...
- Ehi angioletto! Era da un po' che volevo chiedertelo: ha fatto tanto male cadere dal paradiso? -
- A volte mi chiedo se ci provi gusto a farti insultare da me. -
...Quindi ci mettono sopra un paio di cerotti e continuano.
Non importa quante volte possano rimanere feriti, ci sono persone che continuano imperterrite a provarci.
- Ti odio. -
- Grazie, anche io ti amo. -
- Sc...Scema... -
Invidio queste persone.
- Ehi, ti va di tornare insieme, oggi? Le nostre case non sono molto distanti. -
Dì di sì. Dì di sì. Dì di sì. Dì di sì. Dì di sì. Dì di sì. Dì di sì. Dì di sì. Dì di sì.
- Certo... -
Non ti illudere.
E se finisse male ancora una volta?
- ...che no! Già ti devo sopportare a scuola, chi me lo fa fare di stare a sentire le tue idiozie anche sulla strada di casa? -
Però, prima o poi tutti si stancano.
È un dato di fatto.
Se non riesci in qualcosa, dopo averci provato e riprovato innumerevoli volte, alla fine ti stanchi e lasci perdere.
- Senti, mi dispiace se ti do così fastidio. Se vuoi la smetto... -
Dì di no. Dì di no. Dì di no. Dì di no. Dì di no. Dì di no. Dì di no. Dì di no.
- Sì, grazie. Mi faresti proprio un immenso piaciere. -
Le persone che sono come le rose sono pericolose.
Sia per gli altri, che per sè stesse...
- Beh, allora immagino che questo sia una specie di addio. -
Perchè hanno così tante spine addosso che non ne potrebbero sopportare altre e al tempo stesso feriscono gli altri senza quasi rendersene conto.
- Già. Addio e a mai più rivederci, come si suol dire. -
E magari c'è una parte di loro che ci riproverebbe pure.
Una parte sciocca e ingenua che correrebbe ancora volentieri il rischio di pungersi.
La parte che dice "sarebbe stato meglio se...".
Ma alla fine è sempre l'altra la parte che prevale. Quella del "non deve accadere di nuovo".
- Idiota. -
- Eh? -
Non si possono togliere le spine a una rosa. Sarebbe come negare parte della sua natura. Come impedirle di continuare ad essere una vera rosa.
- Ma ti pare che mi arrendo così? -
Il problema è proprio questo, però.
Perchè bisognerebbe togliere le spine?
Perchè non si possono semplicemente lasciare lì, dov'è giusto che siano?
I fiori non sono fatti per essere colti, ma curati.
- Non ti libererai tanto facilmente di me. -
- Sei proprio una palla al piede. -
Non mi lasciare.
- Non ti lascerò mai, questo è poco ma sicuro! -
- C...Cretina. -
Grazie.
~
Lo scatto di una foto.
Katherine sussultò e di colpo si voltò nella mia direzione.
Nel vedermi intenta a fotografare il vassoio, non riuscì a trattenersi dallo scoppiare a ridere.
- Hai intenzione di usare quella foto per sporgere denuncia alla scuola? -
- Potrebbe essere l'ultima azione che compio. - Replicai, scattando una seconda foto. - Questa roba sembra tutto tranne che purè. -
Lei concordò con me, quindi tornò a spiluccare la sua insalata.
"Per un pelo."
Pensai, mentre toglievo dal cellulare l'applicazione della fotocamera e abbassavo il volume.
Non potevo crederci di essermi dimenticata di mettere il silenzioso.
Aprii la galleria e, dopo aver cancellato la foto del vassoio (la cui brodaglia informe attraverso l'obbiettivo era diventata perfino più verde dell'originale), diedi un rapido sguardo a quella che mi comparve davanti subito dopo, nella quale invece era ritratta una certa cheerleader, che con fare sconfortato era intenta a punzecchiare un pomodorino rancido con la forchetta.
Benché l'avessi scattata frettolosamente, era uscita abbastanza bene.
- L'hai già mandata alla redazione della scuola? -
Mi chiese Katherine, sollevando lo sguardo verso di me e sorridendo divertita.
- Ovviamente. La polizia arriverà a momenti. -
- Allora mi devo fare bella per la foto segnaletica. -
Fidati, non ne hai bisogno.
- Meglio che rinunci, avresti troppo lavoro da fare, non faresti in tempo. -
Lei si imbronciò, fingendosi incredibilmente stizzita, io invece sorrisi e tornai a concentrarmi sul pranzo.
- Senti... - Iniziai dopo alcuni istanti. - Ma davvero oggi nessuno dei tuoi amici è a scuola? -
- Eh già: Britney ha diffuso l'influenza tra tutte le cheerleader, Austin questa mattina aveva una visita medica di controllo e da Axel invece oggi doveva passare l'elettricista... O l'idraulico, non ho capito bene, comunque la sorella doveva andare assolutamente a lavoro, così è rimasto lui a casa per occuparsene. Simon francamente non lo so e non mi interessa. -
- Interessante... - Commentai, in un tono che voleva lasciar intendere tutt'altro. - E allora com'è che sono tutti seduti a quel tavolo? -
Lei si irrigidì, voltandosi lentamente alle proprie spalle mentre sollevava le labbra in un sorriso incerto.
- Oh, ma tu guarda! - Esclamò, nel vedere proprio i suoi quattro amici seduti a tre tavoli di distanza dal nostro. - Si vede che in qualche modo sono riusciti a risolvere i loro problemi e... - Nel notare il mio sguardo scettico, serrò le labbra, quindi, alzando lo sguardo al cielo, esclamò: - E va bene! Volevo solo pranzare con te, ok? -
- E che bisogno c'era di fare tutte queste storie? -
- Se ti avessi semplicemente proposto di pranzare insieme, come mi avresti risposto? -
Questa voltai fui io a serrare le labbra. Se l'avesse fatto, l'avrei respinta, ovviamente.
- Solo perché ti aiuto con matematica, non significa che dobbiamo essere amiche. -
Nel sentire quest'ultima affermazione, Katherine puntò il gomito accanto al suo vassoio e, posando lentamente il volto contro la propria mano, sorrise e disse:
- Hai perfettamente ragione, Gwendy. Non c'è modo che noi due possiamo essere amiche. -
A quel punto, dato che la pensavamo allo stesso modo, le avrei volentieri chiesto per quale motivo fosse lì con me, anzichè con i suoi amici.
Ma alla fine non dissi nulla e ripresi a mangiare.
Avevo paura che, se lo avessi detto, se ne sarebbe potuta andare sul serio.
~
In punta di piedi, mi sporsi per attaccare la foto il più in alto possibile. Ormai non rimanevano quasi più spazi liberi all'interno di quell'armadio.
A lavoro finito, mi ritrassi per osservare il mio "capolavoro" e le mie labbra si sollevarono in un sorriso tremolante mentre allungavo la mano per sfiorare una delle foto attaccate sulle ante, nella quale era raffigurata Katherine nella sua divisa da cheerleader, mentre si allenava in palestra insieme alle altre.
Rivolta un'ultima lunga occhiata alla mia collezione, stavo per chiudere l'armadio, quando lo sguardo mi cadde su una foto, che avevo sistemato sulla parete in fondo, nell'angolo in basso a destra.
L'avevo scattata il giugno scorso, in occasione del ballo di fine anno.
Ovviamente il soggetto ritratto era sempre lo stesso e in quell'occasione indossava un lungo abito bianco panna, con tanto di tiara in testa. La corona, però, non era affatto casuale. Infatti quell'anno era stata eletta niente di meno che "Reginetta del ballo". Guardando quella foto, inevitabilmente notai anche il braccio che Katherine aveva intorno alle spalle. Il suo proprietario era stato tagliato via dalla foto, ma sapevo perfettamente chi fosse. Ovviamente si trattava del "Re".
Quasi senza rendermene conto, mi ritrovai a stringere la presa sul bordo dell'anta, finchè non mi si sbiancarono le nocche. Sentii il sangue affluirmi alla testa e le piante dei piedi iniziare a formicolare.
Pensai che sarebbe stato meraviglioso se solo mi fossi potuta disfare del proprietario di quel braccio con la stessa facilità con la quale lo avevo eliminato da quella foto.
Basta impugnare un paio di forbici dalla lama arrotondata, prendere per bene le misure e poi... zack! Ecco fatto. Addio problemi.
Quel pensiero mi fece sfuggire un piccolo risolino.
Un paio di forbici arrotondate non sarebbero state sicuramente abbastanza per la versione originale. Certo che no. Come minimo avrei avuto bisogno di quelle da cucina, che si usano per pulire il pesce. Altrimenti, più che le forbici, sarebbe stato perfetto un bel coltello, come quello che usa mia madre per mozzare la testa ai tacchini che nostro zio ci porta sempre dalla sua fattoria in occasione delle feste.
Sapevo perfettamente dove lo teneva e in qualche occasione lo avevo perfino usato in cucina. Aveva una buona impugnatura e, pur essendo un po' pesante, tutto sommato era facile da gestire.
Mi immaginai la scena. Intorno alle nove di sera, lui che esce dalla palestra in cui stava svolgendo i suoi allenamenti, per incamminarsi verso casa. Io che arrivo in punta di piedi alle sue spalle e, prima che lui avesse il tempo di capire cosa fosse accaduto, ecco che ho abbassato il coltello su di lui e...
Un basso brontolio mi riscosse, facendomi sussultare. Chinai lo sguardo di scatto, osservando con lieve stupore come quella palla di pelo di Mr. Puffin mi si stesse strofinando sulle caviglie, facendo le fusa.
Ma a cosa stavo pensando?
Deglutii a vuoto e subito chiusi le ante e sistemai il lucchetto, lasciandomi andare a un sospiro profondo.
Uccidere qualcuno... No, non avrei mai potuto farlo. Fantasticarci sì, ma pensare seriamente di metterlo in pratica... Rabbrividivo al solo pensiero.
Per quanto Katherine mi piacesse, non sarei mai potuta arrivare a tanto... Giusto?
~
Era successo di nuovo.
Benchè la musica fosse a palla, nelle orecchie riuscivo a sentire solo un fischio, lieve e acuto, che mi stava dando alla testa.
Il petto batteva al ritmo di quella canzone di cui non riuscivo a seguire il ritmo, come se il mio cuore stesse prendendo la rincorsa per balzare fuori dalla gabbia toracica.
Mi accorsi solo vagamente del fatto che qualcuno mi stesse picchiettando sulla spalla, probabilmente per chiedermi se fosse tutto a posto, dato che avevo stretto il bicchiere di plastica colmo di punch fino a farlo esplodere e ora ne stavo tenendo i resti sbrindellati tra le mani umide e tutte appiccicose. Quando finalmente mi resi conto di cosa avevo combinato, abbassai lo sguardo e, nel notare quella piccola pozza rosa confetto formatasi ai miei piedi, pensai con un certo distacco che, se le Barbie fossero state esseri viventi, probabilmente il loro sangue sarebbe stato molto simile a quella roba.
La voce squillante di uno degli organizzatori del ballo, resa metallica dal microfono, riattirò la mia attenzione verso il basso palco allestito in fondo alla sala.
- Come ci si sente ad essere stati eletti re e regina del ballo per due anni di fila? -
Stava chiedendo lui, ma io non riuscii a sentire la loro risposta.
Ero corsa via di lì prima che Austin Richmond agguantasse il microfono.
Mentre tornavo a casa, ricevetti un audio da Katherine.
Mi tremava leggermente la mano quando avvicinai l'indice per farlo partire, ma mi imposti di smetterla con queste sciocchezze e darmi una mossa.
- Ehi, Gwendy... - Disse la voce di Katherine, alta per sovrastare la confusione prodotta dalla musica e dalla folla. - Ho visto che sei andata via di corsa. È successo qualcosa? Perchè se non è nulla di serio, allora ti consiglio di tornare subito qui o la prossima volta che ci vediamo potrei non rispondere più delle mie azioni. Mi avevi promesso un ballo, ricordi? E ti giuro che non me ne andrò da qui finchè non... -
- Ehi, ma con chi parli? - Si intromise tutto d'un tratto una seconda voce, all'udire la quale mi ritrovai ad aumentare la stretta sul mio cellulare. - Dai, ora smettila con i tuoi messaggi minatori e sbrigati, che se non apriamo subito le danze, qui si scatenerà una rivolta e... -
A quel punto l'audio si interruppe bruscamente.
Caso volle che proprio in quel momento mi trovassi a passare sul ponticello che era stato costruito sopra un piccolo canale.
Solo dieci minuti dopo, ovvero quando sarei tornata in me, me ne sarei pentita amaramente, ma in quel momento non pensai minimamente alle conseguenze delle mie azioni e così... Addio cellulare.
Sempre meglio te piuttosto che... Beh, piuttosto che lui.
Non importava cosa, io non sarei diventata un'assassina.
Eppure quella sera, mentre stavo cenando, lo sguardo continuava a cadermi sul secondo cassetto, quello in cui venivano conservati tutti i coltelli da cucina.
~
L'odore pungente del sangue mi faceva bruciare il naso.
Annaspavo alla ricerca di aria e mi dimenavo per sfuggire a chiunque mi avesse appena immobilizzata.
Cos'era successo?
Come se mi fossi appena svegliata da un orribile incubo, iniziai a guardarmi intorno, portando freneticamente lo sguardo da una parte all'altra del parcheggio.
Sentii il rombo del motore di un'auto e quando poi me la vidi passare davanti, ebbi un sussulto. Era la macchina di Austin!
- Non ci posso credere, Gwen! Si può sapere cosa ti è saltato in mente!? -
Udire quella voce in un momento del genere mi paralizzò.
- Papà? -
Quando finalmente mi lasciò andare, mi voltai verso di lui e notai ai suoi piedi uno dei nostri coltelli da cucina. Aveva la lama sporca di sangue, dato che mio padre, per togliermela, l'aveva afferrata a mani nude.
Cos'avevo fatto? O meglio, cosa stavo per fare?
~
- Ehi, Gwendy! -
All'udire quell'esclamazione, scartai di lato con uno scatto, riuscendo per un soffio ad evitare la violenta pacca sulla spalla che mi avrebbe atteso se fossi rimasta ferma.
- Wow, ti vedo in forma oggi! -
Commentò Katherine in un tono quasi di ammirazione.
- Cosa vuoi? -
Replicai seccamente, andando a prendere posto in uno dei primi banchi.
- Solo sapere che ti prende ultimamente. - Rispose subito lei, seguendomi a ruota. - È da un mese che mi eviti. Perfino più del solito! -
- Non mi pare. - Ribattei, mentre sistemavo i libri e il mio astuccio sulla superficie lignea. - E quel posto è già occupato. - Aggiunsi non appena realizzai che stesse per sedersi accanto a me.
- Mi pareva che tu e Nicholas non foste così amici da riservarvi i posti a vicenda. -
- Infatti non siamo amici. - Replicai prontamente. - Ma ciò non toglie che quel posto sia suo. -
- Beh, allora non c'è alcun problema se oggi mi siedo qui, perchè questa mattina non si presenterà di certo. -
- Come mai? -
- Aveva da fare. Pare che quella furia dai capelli rossi l'abbia convinto a diventare un ghostbuster. Avrei partecipato anche io, ma sono stata beccata dalla mia coach e così... Eccomi qui. -
Una piccola parte di me le avrebbe volentieri chiesto maggiori informazioni riguardo quell'assurdità, ma fortunatamente alla fine prevalse l'altra, ovvero quella che preferiva lasciar stare e farsi i fatti propri.
Alla fine delle lezioni, per qualche motivo Katherine iniziò a seguirmi.
Inizialmente non ci feci molto caso, dato che ci trovavamo ancora per i corridoi della scuola, ma quando iniziò a seguirmi anche mentre ero sulla via di casa, continuare a ignorarla divenne impossibile.
- Si può sapere cosa vuoi? -
- Spiegazioni. - Si impuntò lei, incrociando le braccia al petto e sollevando leggermente il mento. - Quando ieri tu, Holmes e Watson avete fatto irruzione a casa mia, sembrava che le cose andassero bene. O almeno, meglio del solito. E invece oggi ti comporti in questo modo... Io proprio non ti capisco. -
- E serviva pedinarmi per dirmi queste sciocchezze? -
Chiesi con uno sbuffo e Katherine stava per ribattere, quando il suo cellulare iniziò a squillare.
Dopo un attimo di esitazione, lo tirò fuori dalla tasca per vedere chi fosse. Nel leggere il nome sul display, vidi il suo sguardo farsi combattuto.
- È Austin? -
Chiesi e lei sussultò.
Avevo colto nel segno.
- Come fai a...? -
- Dai, rispondigli. -
Sospirai con un'alzata di spalle, per poi riprendere il mio cammino verso casa.
Dopotutto era meglio così. Insomma, che le cose tra me e lei sarebbero mai potute arrivare da qualche parte o meno, ciò non toglie che questa nostra ipotetica relazione sarebbe stata quanto di meno sano ci potesse essere. Dopo ciò che avevo rischiato di fare il mese prima, avevo preso una decisione: tagliare definitivamente ogni rapporto con lei. Non c'era altra scelta. Non avrei più rischiato di compiere lo stesso errore. La cosa migliore era che lei ed Austin si mettessero insieme per una buona volta. Tutta la scuola non aspettava altro. Il re e la regina finalmente insieme non solo sulla pista da ballo, ma anche nella vita privata. In qualche modo me ne sarei fatta una ragione. Bastava che smettessi di vederla per qualche tempo e così in qualche modo sarei sicuramente riuscita a...
- Ma che atteggiamento è?! -
Esclamò Katherine alle mie spalle, facendomi sussultare e voltare di scatto nella sua direzione.
Il cellulare aveva smesso di squillare. Significava che aveva rifiutato la chiamata?
- Adesso mi spieghi che ti prende. Cosa mi sta a significare "dai, rispondigli" seguito da quella smorfia? -
- Lo sai. - Risposi di getto, stringendo le mani lungo i fianchi mentre sostenevo il suo sguardo confuso e determinato al tempo stesso. - Voi due state insieme, vero? O almeno, vorreste che fosse così. -
- Ma che ti sei fumata? - Replicò, guardandomi a dir poco esterefatta. - Io e Austin siamo solo amici. Lo sanno tutti! -
- Ti sbagli. Quello che "sanno tutti" è proprio il contrario, ovvero che non siete semplicemente amici. -
- Diamine, Gwendy. Certo che hai proprio una fervida immaginazione. - Sospirò alzando lo sguardo al cielo. - Me lo spieghi cosa devo fare per farti capire che ci sto provando con te? Perchè in due anni e mezzo pensavo di averle provate tutte, ma a quanto pare ancora non è abbastanza. -
Strabuzzai gli occhi. Boccheggiai, senza sapere cosa dire. Alla fine tutto ciò che mi uscì fu:
- E... E Austin? -
- Austin è gay! - Esclamò lei, a dir poco esasperata. - Se scoprisse che l'ho detto a qualcuno, mi farebbe fuori, ma arrivata a questo punto, sai quanto me ne frega... Comunque, il punto è che lui non piace in quel senso. Lo adoro, questo è vero. Gli voglio un bene dell'anima, ma solo come migliore amico. Non mi è mai piaciuto in quel senso, neanche prima che scoprissi il suo orientamento sessuale. Quindi... - Continuò, facendo un respiro profondo per riprendere fiato. - Il punto è che sei tu a piacermi, Gwenny. Eri presente anche tu quando ieri ho detto a mio fratello di considerarti la sua cognata. Cosa vuoi di più? Per caso ti devo fare la proposta? Perché ancora non ho avvisato la parata, non ho comprato gli anelli e non ho neanche prenotato lo spettacolo pirotecnico e il ristorante, tuttavia se prima vuoi la versione per poracci, diciamo come "assaggio", allora va bene, se vuoi posso... -
Ma non le diedi il tempo di finire, che le ero corsa incontro e le avevo gettato le braccia intorno al collo.
Non appena lei realizzò cosa stesse accadendo, si affrettò a ricambiare l'abbraccio, stringendomi così forte da togliermi il fiato.
Fu come se mi avessero tolto un macigno dal petto e un'incudine di metallo dalle spalle.
Mi sentivo leggera come non mai e per i dieci minuti che seguirono, mentre continuavamo a far scontrare le nostre labbra le une contro le altre, non smisi di sorridere per un solo istante e, pur tenendo gli occhi socchiusi per la maggior parte del tempo, riuscii a sentire che anche per Katherine fu lo stesso.
Nel corso della settimana seguente, le cose andarono di bene in meglio.
Non riuscivo quasi a credere che fosse tutto vero ed ogni mattina, quando mi svegliavo, venivo colta da un terrore profondo al pensiero che si potesse essere trattato solo di un sogno, per poi sorridere e sospirare dal sollievo nel realizzare che invece fosse tutto vero.
Ovviamente, però, le cose non potevano continuare così per sempre.
Come si suol dire, avevo parecchi scheletri nell'armadio. Quasi in senso letterale.
Quando quel giorno Nicholas irruppe nella mia stanza, mi bombardò di domande e poi scappò portandosi via la lettera di Abigail, speravo che il pericolo fosse scampato.
E invece Katherine, che era presente, non appena lui se ne fu andato, mi rivelò di aver notato lo sguardo che Nicholas per un istante aveva rivolto in direzione del mio armadio e anche il fatto che, subito dopo, io avessi cantato come un uccellino, rivelandogli tutto ciò di cui ero a conoscenza.
- Cosa nascondi in quell'armadio, Gwendolyn? -
Non so cosa mi fece più paura, se il pensiero che stesse per scoprire ogni cosa o il fatto che mi avesse finalmente chiamato per nome.
Era quella la fine, allora?
Due anni di pena, una settimana di gioia e adesso l'inizio di un'eternità di solitudine e rimpianti?
Immaginavo il suo sguardo colmo di disgusto quando avrebbe spalancato le ante e il terrore che avrebbe provato nel notare il coltello incrostato di sangue infilzato nella foto del suo migliore amico.
Tuttavia non potei verificare che le sue reazioni fossero fedeli alla mia immaginazione, dato che, non riuscendo ad assistere alla scena, tenni gli occhi chiusi per tutto il tempo che lei ci mise a sbloccare il lucchetto (arrivate a quel punto, avevo deciso di darle la combinazione. Non c'era più modo di provare ad insabbiare la faccenda) e poi, una volta che quello fu a terra, posare la mano sulla maniglia e abbassarla lentamente.
Lo schiocco che fece la serratura nello sbloccarsi, echeggiò nelle mie orecchie e risuonò all'interno della mia gabbia toracica.
E così era già finita?
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