Casey Lee
- Tra l'idea che gli altri si fanno di noi e il modo in cui noi consideriamo noi stessi... Qual è il nostro vero "io"?
Se la risposta a questa domanda ti sembra ovvia, così scontata che quasi non ritieni necessario prenderti il disturbo di rispondere, allora non posso dire altro che questo: ti invidio.
Perchè a me ci sono voluti anni per capirlo e anche adesso che suppongo di aver trovato la risposta, quando ci penso intensamente mi sembra tutto così strano e al tempo stesso così dannatamente semplice, che qualche volta quasi temo di sbagliare...
Ormai ho perso il conto di quante volte mi siano stati rivolti appellativi come "femminuccia", "gay" e "trans", compresi ovviamente tutti i loro sinonimi più dispregiativi.
Mi venivano rivolti come insulti e io li percepivo proprio come tali. Eppure, cosa c'è di sbagliato in queste parole?
Niente, assolutamente niente.
Semplicemente non mi riguardano.
O forse sì? Se tutti ti considerano in un certo modo, alla fine cosa importa che tu sia davvero così o no?
Se per la gente tu... -
- Casey? Ma stai ancora parlando? Sul serio? Davvero non ti sei reso conto che ho abbandonato il cellulare da una parte ben cinque minuti fa? -
- Cosa? Ma io... -
- Senti. Lo so che certe volte senti il bisogno di sfogarti e so di averti detto che sarei stato ben felice di ascoltarti e darti qualche consiglio ogni volta che avessi voluto, anche fuori dalla trasmissione... Ma questo è troppo! Questa settimana è la terza volta che mi chiami ed è sempre la solita solfa! Ma poi, non l'hai detto tu stesso che ormai l'hai trovata questa benedetta risposta? E allora a cosa serve continuare a lamentarsi? -
- Allora in realtà stavi ascoltando! -
- Poco fa sono solo venuto ad affacciarmi un attimo mentre aspettavo che il ramen fosse pronto, ma me ne sono andato di nuovo appena hai attaccato con la faccenda dell'invidia. -
- Però avevi detto che... -
- Ora devo andare, è urgente, ciao Casey. -
- ...Hester? Dj Phoenix? Ehi, ci sei? C'è qualcuno? Immagino di no. D'accordo, allora a questo punto attacco... -
- Pronto, chi parla? -
- Come? Sono sempre io, Casey, ovviamente. Hester, ma sei tu? -
- Sono davvero desolato, ma il signor Foster al momento è impegnato a soddisfare i suoi bisogni primari. Negli ultimi tempi la sua peristalsi sembra essersi convinta di dover partecipare alla maratona e anche la flora batterica si sta dando da fare, con una produzione di metano degna del più possente dei bos taurus. -
- ...Eh? -
- Ehi! Cretino, dammi qua sto' cellulare! ...Aspetta! Ferma! Non... Ehi, sei ancora in linea, Casey? Bene, se proprio ci tieni a saperlo, quello che stava provando a dirti questo deficiente è che Hester è corso via perchè c'ha il cagotto. Troppo cibo preconfezionato, probabilmente. In questo momento è occupato ad appestarci il bagno. Gli diremo di richiamarti non appena si libera. -
- Oh. Capito... Comunque no, non serve che gli dite di richiamarmi, stavo giusto per attaccare. Grazie lo stesso, Judith. -
- Figurati. Piuttosto, Casey... Anche se nostro fratello ora è impegnato, qui ci siamo sempre io e Jasper. Pensi di poter dare una possibilità alla nostra "agenzia dei cuori infranti"? -
- Guarda che io non ho il cuore infranto! E poi... Senza offesa, ma farmi dare consigli da due dodicenni, insomma... -
- Cosa importa l'età? Vedrai che ti ricrederai! Qualunque sia il tuo problema, consideralo già risolto! Adesso dicci, chi è il ragazzo? -
- È una ragazza. -
- Oh... Peccato. Vabbè, mi accontenterò. Un attimo che metto il viva vocevoce per Jas... Ecco fatto! Dai, adesso inizia a raccontare. Noi, al contrario di certe persone, ascolteremo ogni tua parola. -
- Senti, apprezzo quello che stai cercando di fare, dico sul serio, ma non credo sia una buona idea che... -
- Tieni, Jasper. Pensaci tu, io non credo di potercela fare... -
- Eh? Judith? Che stai dicendo? -
- Buongiorno, signor Lee. Qui è Jasper Foster. Prima che lei ci attacchi in faccia e torni a strafogarsi di gelato mentre guarda "Mulan"... No, quello non è stato affatto un caso unico, lo sappiamo entrambi, è inutile che prova a negare. Ma come stavo dicendo... Prima che lei torni a deprimersi, lasci che le esponga tutti i motivi per cui può, anzi, deve fidarsi della nostra agenzia. Innanzitutto perchè l'"agenzia dei cuori infranti" le fornirà un'assistenza autentica, sincera, priva di filtri e ricca di utili consigli. Potrà parlare quanto vorrà, di ciò che vorrà e senza neanche avere il fastidio di doversi confessare mentre ha davanti il volto di un quasi sconosciuto, dato che la nostra consulenza avviene per via telefonica. Abbiamo già risolto numerosi casi, tutti i nostri clienti sono stati pienamente soddisfatti e la parte migliore è che questo utilissimo servizio di consulenza telefonica può essere suo alla modica cifra di cinque dollari al minuto, tre se acquista la carta fedeltà e se arriveremo a un'ora, potrà addirittura esserci uno sconto di... Ehm... Signor Lee? È ancora in linea? Signor...? -
Tuuu... tuuu... tuuu...
Lentamente posai il cellulare sul comodino, affrettandomi a mettere il silenzioso prima che quelle due pesti provassero a richiamarmi.
Forse, se solo non fosse stato per la faccenda dei cinque dollari al minuto, avrei anche potuto accettare la loro proposta.
Rivolsi uno sguardo alla vaschetta di gelato al tiramisù, abbandonata sulla scrivania, quando vidi la porta della mia camera aprirsi. Era Amelie, mia sorella.
- Hai finito? - Mi chiese la quattordicenne, guardandosi intorno finchè non individuò il mio cellulare. Nel vederlo abbandonato sul comodino, sorrise raggiante ed entrò spalancando la porta. - Bene, allora possiamo iniziare! Ho portato i cucchiai. -
Detto ciò, agguantò la vaschetta di gelato e si sistemò sul mio letto, mettendosi con la schiena contro la tastiera e afferrando il telecomando dal comodino lì accanto.
- Cosa ci guardiamo? -
Mi chiese, mentre accendeva la TV e poi si sporgeva per tirare fuori da sotto il mio letto uno scatolone, contenente tutta la nostra collezione di DVD e Blu-ray della Disney.
- Mu... - Iniziai, per poi interrompermi bruscamente al ricordo delle parole di Jasper. Ero davvero così prevedibile? - Le follie dell'imperatore. -
Amelie sorrise raggiante a quella notizia, quel film era uno dei suoi preferiti. Poco prima di chinarsi per prenderlo, però, si bloccò e mi osservò in silenzio per alcuni istanti con uno strano sguardo, quindi sollevò leggermente un angolo delle labbra e si abbassò per prendere la custodia. Peccato solo che quella che poi porse non avesse affatto il folle imperatore inca in copertina, bensì una ben nota ragazza cinese, con un simpatico drago rosso alle spalle.
- Tu mi conosci troppo bene. -
- Lo so. -
Rispose lei con un'alzata di spalle, mentre si alzava per andare a mettere il disco nel lettore DVD.
Il film era iniziato solo da dieci minuti, però, quando Amelie, portandosi il cucchiaio alle labbra, mi sussurrò:
- Ohi Casey... Cos'era quella faccenda dei cuori infranti? -
- Stavi origliando? -
- Sei tu che hai messo il vivavoce. -
- Solo perché così potevo parlare con Hester e sistemare le nuove foto nello stesso momento. -
Amelie sospirò mentre volgeva lo sguardo verso un punto della parete alla destra del televisore, dove avevo attaccato diverse foto scattate da me, la maggior parte con la mia polaroid. Le ultime due, che avevo sistemato durante la mia conversazione a senso unico con Hester, appartenevano alla mia prima "festa in cosplay" con Samantha, con lei nei panni di Sayaka Maizono e io come Astolfo.
- Ancora problemi con Samantha? -
Sussultai. Cavoli, quando faceva così non sapevo mai quale fosse la cosa giusta da dire.
Se le avessi detto di sì, si sarebbe ingelosita? Dopotutto, quello era il nostro momento film e io lo stavo rovinando. O forse, al contrario, avendo tirato fuori lei stessa questa faccenda, adesso era entrata in modalità "sorella protettiva" (nonostante fosse più piccola di me di tre anni, le riusciva incredibilmente bene) e quindi voleva che le confidassi tutto ciò che solo poco prima ero stato sul punto di confidare ai fratelli di Hester?
- Non li definirei problemi. - Risposi alla fine, immergendo il cucchiaio nella vaschetta. - Al contrario, tra noi le cose vanno come sempre. -
- Quindi non vanno. -
Risi. Aveva colto nel segno.
- Senti, Casey... Ce l'hai mai avuta con me per averti prestato quella gonna cinque anni fa? -
E adesso cos'era questa domanda?
Mi voltai verso di lei, osservandola interdetto. Ormai il film era andato a farsi benedire, si era capito.
E pensare che prima di allora non ero mai riuscito a distogliere lo sguardo dallo schermo nella scena in chi la nonna di Mulan attraversa la strada (pur sapendo perfettamente come andava a finire, quella nonnetta dalla fortuna sfacciata riusciva sempre a farmi preoccupare per lei).
- Sono stato io a chiederti quella gonna. - Replicai. - Semmai, avrei potuto avercela con te se non me l'avessi prestata, no? -
- Eppure, se quel giorno non l'avessi indossata... -
- Adesso smettila. Che scemenze vai dicendo? Se anche quel giorno non me la fossi messa, prima o poi i bulli sarebbero riusciti a trovare un altro pretesto per tormentarmi. Non è colpa tua se ho praticamente scritto in fronte "pestatemi". -
Amelie chinò lo sguardo sul gelato, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. Non sembrava molto convinta, eppure era la verità: quel giorno era carnevale e io volevo solo fare qualcosa di divertente. Cosa potevo saperne a quei tempi che quella sciocchezza in futuro mi avrebbe causato tutti quei problemi? Ma comunque fosse andata, Amelie sicuramente non c'entrava nulla, anzi...
- Sai, più che arrabbiarmi con te, dovrei ringraziarti per quella volta. -
Lei aggrottò la fronte, sollevando il capo e osservandomi interdetta.
- Devi sapere che è solo merito tuo e di quella gonna se ho conosciuto Samantha. -
Amelie inarcò le sopracciglia. Questa decisamente non se l'aspettava.
Sorrisi leggermente e, sulle note di "Riflesso", iniziai...
Seconda media.
Giorno di carnevale.
Ricreazione.
Dire che quello fosse stato il momento più umiliante della mia vita sarebbe un eufemismo. Potendo, quel giorno mi sarei scavato una fossa da solo e mi ci sarei seppellito volentieri.
Certo, in futuro avrei sentito ben di peggio uscire dalla bocca del caro Axel Clark (per non parlare poi della violenza fisica che mi attendeva da parte sua, oltre che quella verbale), tuttavia quella fu la prima volta che lui mi aggredì e fu davvero devastante. "L'inizio della fine", così avrei considerato per diversi anni quel giorno. Adesso fortunatamente pare che le acque si siano calmate, ma allora cosa potevo saperne di ciò che sarebbe accaduto di lì ai seguenti cinque anni?
Proprio nulla.
E così, ecco che il me dodicenne, durante la ricreazione a scuola il giorno di carnevale, si ritrovò fuori sul retro, a mangiare il suo panino sotto la pioggia mentre aveva addosso una gonna rosa confetto.
Non avevo capito la metà degli insulti che Axel mi aveva rivolto, ma questo non rendeva la situazione meno dolorosa.
Quasi volevo chiamare i miei genitori e chiedere loro di venirmi a prendere.
O magari sarei potuto andare a chiedere in una delle classi che quel giorno aveva avuto educazione fisica, se non ci fosse qualcuno che mi avrebbe potuto prestare un paio di pantaloni, almeno fino al trillo dell'ultima campanella.
Altrimenti sarei anche potuto rimanere lì, rannicchiato sotto la tettoia, a guardare la pioggia scendere finchè non si fosse fatta ora di tornare a casa.
Qualunque cosa avessi deciso di fare, comunque in classe non ci sarei tornato, quello era poco ma sicuro.
E poi, ecco che sentii uno scricchiolio, come se qualcuno avesse calpestato delle foglie secche.
Mi voltai di scatto, mentre una parte di me tremava al pensiero che potesse essere Axel.
E invece mi ritrovai davanti una bambina, probabilmente della mia stessa età.
Lunghi capelli lisci color mogano, vistoso apparecchio ai denti, un enorme brufolo rosso sulla punta del naso, ingombranti occhiali dalle lenti a fondo di bottiglia e, quando se li sfilò per asciugarli dalla pioggia, ecco i suoi occhi azzurri, di una sfumatura così intensa che mi fece rabbrividire. In seguito mi sarei ritrovato spesso a paragonarli ai meravigliosi nonchè gelidi mari del nord, ma in quel momento l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era che fossero bellissimi.
- Perché piangi? -
- Non sto piangendo. - Mentii. - È la pioggia. -
- Perché indossi una gonna? -
Distolsi lo sguardo. Avrei potuto dirle che l'avevo fatto semplicemente per divertirmi, essendo carnevale, o magari perchè avevo perso una scommessa con dei miei amici. Invece ciò che dissi fu:
- Perchè mi piace. -
- Eppure ti sta un po' stretta. - Notò lei, senza fare una piega. - Non è tua? -
- No, appartiene alla mia sorella minore. -
- Sai, non credo che le piacerebbe sapere come stai trattando i suoi vestiti. -
Commentò, storcendo il naso nel vedere l'orlo della gonna sporco di fango.
- Tanto ne ha un'infinità. -
Replicai con un'alzata di spalle.
- Anche a te piacerebbe averne un'infinità? -
Alzai lo sguardo, osservandola interdetto. Il suo tono di voce era impassibile e con quegli occhiali che le coprivano mezza faccia, non riuscivo a capire se mi stesse prendendo in giro o meno.
- Se anche fosse? -
- Se fosse così, ti chiederei di nuovo perchè stai piangendo. È stupido piangere perchè stai facendo una cosa che ti piace. Non ha alcun senso. -
Rimasi ad osservarla senza dire nulla per diverso tempo.
Il suo ragionamento non faceva una piega. Improvvisamente mi sentii incredibilmente stupido.
- Hai ragione. - Le dissi, mentre scoppiavo a ridere. Inizialmente si trattava solo di un leggero risolino nervoso, ma poi gradualmente crebbe, diventando una vera e propria risata. - Sai cosa? Hai perfettamente ragione! -
Lei continuò ad osservarmi con sguardo impassibile, finchè io non riuscii a calmarmi e mettere fine a quella risata così travolgente.
- Ormai la ricreazione sarà finita. -
Mi fece notare dopo alcuni minuti di silenzio.
Io mi paralizzai. Non sapevo se ero già pronto per tornare in classe e...
- Forza. -
Sussultai e sollevai sorpreso lo sguardo verso di lei. Mi stava porgendo la mano, per aiutarmi ad alzarmi.
Esitai per alcuni istanti, poi la guardai in volto e, dopo essere riuscito a scorgere per un istante dietro le lenti quella gelida ma bellissima sfumatura di azzurro, sorrisi e la afferrai.
- Vuoi che ti dia una mano con quella? -
Mi chiese mentre ci dirigevamo verso l'ingresso, accennando con il capo alla mia gonna.
- Cosa intendi? -
- Nello zaino ho i pantaloni della mia tuta di ginnastica e una confezione di salviette. Cosa preferisci? -
Chinai lo sguardo, osservando il bordo della gonna tutto sporco di terra. Anche dietro, essendomi seduto in un posto bagnato, non doveva essere proprio un bello spettacolo. Tuttavia...
- Puoi darmi qualche salvietta? -
Samantha annuì e, anche se solo impercettibilmente, in quel momento vidi un angolo delle sue labbra fare un rapido guizzo verso l'alto.
E il mio cuore mancò un battito.
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