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Daddy

*Nota autore*
Giuro che non ho copiato l'idea di _notte_di_luna .
Ma tanto ne sarà inferiore, in quanto più breve e con personaggi molto più bidimensionali :3
Also, è un prequel dei due capitoli precedenti.

"Wooo... che stanchezza. Scommetto che domani non riuscirò a muovere le braccia..." Giovanna quasi urlò, per colpa delle cuffiette nelle sue orecchie, da cui anche un osservatore esterno avrebbe sentito una traccia rap, che chiunque avrebbe giurato di riconoscere, ma senza sapere come mai.

Il suo ultimo allenamento della settimana era finito e si stava dirigendo verso la fermata dell'autobus, il borsone in spalla e le braccia leggermente più robuste del solito, che però muoveva in maniera poco naturale.

"You can't see me, my time is now..." canticchiò, aspettando l'autobus. Era completamente rilassata...
Improvvisamente percepì una presenza alle sue spalle. Prima che potesse girarsi, un panno entrò nel suo campo visivo, mentre un odore dolciastro raggiungeva le sue narici.

"Cloroformio?" Fu l'unica cosa che la giovane riuscì a pensare, prima che il narcotico facesse effetto.
Si svegliò in un'auto parcheggiata, mentre un tizio cercava di trasportarla fino alla porta di una casa.

"Ma quanto pesi?" Mormorò lui, sbuffando e trasportandola lentamente. Era ancora troppo intontita per rispondergli, figurarsi per reagire, così finse di essere ancora addormentata. È certamente più vantaggioso che rischiare di essere narcotizzata di nuovo, si disse.

Una volta dentro, distesa sul letto, a occhi chiusi, Giovanna ridacchiava tra sé, sentendo gli ansimi spompati del suo rapitore. Chiaramente, non aveva resistenza, né abbastanza forza da trasportarla agevolmente; era chiaramente più alto e largo di lei, e forse un po' più pesante, ma non sembrava un combattente.

Lo aveva sentito mormorare qualcosa riguardo riguardo alle sue braccia, perciò decise di provare a rilassare i bicipiti, i tricipiti e i deltoidi, ancora leggermente in tensione dall'allenamento. Il ragazzo, in quel momento, uscì dalla stanza, probabilmente in attesa del suo risveglio.

Con una mossa felina, Giovanna scattò in piedi, e guardò dalla finestra. Riconobbe il parco al di là della strada, e sorrise.
Beh, almeno mi ha portato vicino a casa. Ho risparmiato i soldi del biglietto. E ora, ciao ciao, sfigato! Pensò.
Aprì la finestra senza sforzo. Evidentemente, non l'aveva bloccata. Beh, meglio così...

Poi, la giovane si ricordò del suo cellulare. Si voltò per cercarlo con lo sguardo, ma non era in vista. In quel momento, il suo rapitore entrò nella stanza, con uno smartphone in mano. Con tutta calma guardò la sua vittima e, iniziando a parlare, lanciò sul letto il cellulare, che Giovanna recuperò il più velocemente possibile.

"Oh, bene, ti sei svegliata. Benvenuta nella tua nuova dimora. Come ti chiami?"
Detto ciò, si avvicinò alla finestra e la chiuse, aggiungendo: "Sai, non è gentile cercare di andarsene così..."

Giovanna decise di assecondarlo poiché, nonostante fosse fuori forma, aveva comunque il metaforico coltello dalla parte del manico in quel momento, e rispose: "Mi chiamo Giovanna, ma immagino tu lo sappia già, visto quanto questa casa sia vicina alla mia"

"Hai ragione, conosco già il tuo nome" replicò lui, mellifluo "volevo solo verificare che non fossi così stupida da provare a mentirmi. Dopotutto, perché dovresti mentire al tuo nuovo compagno di vita?"

Il ragazzo continuò poi, con un sorriso: "Ma, ovviamente, in questa casa ci sono delle regole da rispettare, piccola" Così dicendo, si avvicinò a lei, prendendole il mento tra le dita. "Per prima cosa, dovrai fare tutto quello che ti dico, altrimenti ci saranno serie conseguenze..." Giovanna, fingendosi spaventata, prese con delicatezza il suo polso, strattonandolo debolmente. Lui sembrò ignorarla.

"Poi, non dovrai provare a fuggire, e non potrai usare il tuo cellulare." Allungò il braccio per recuperare l'apparecchio dall'altra mano della ragazza, che lo lasciò andare, frapponendo la sua mano tra quella del suo rapitore e il telefono, rispondendo: "Se pensi che seguirò certe regole, non mi hai spiato abbastanza!"

Il ragazzo cercò, allora, di schiaffeggiarla, ma Giovanna lo bloccò quasi subito, stringendo con forza entrambi i suoi polsi. Con relativamente poco sforzo, lo spinse indietro abbastanza da potersi rialzare.

"Tu non sai con chi hai a che fare" sibilò lui, ma la sua voce tradiva la confusione e la paura che provava.
"Ah, si?" Replicò Giovanna, lasciandolo andare. Era chiaro che il suo rapitore si sentiva ferito nell'orgoglio dall'essere stato anticipato e messo alle strette da una ragazza ancora minorenne, e che l'avrebbe attaccata senza ragionare.

Con grazia e rapidità deviò il pugno del ragazzo con una semplice parata da karate, per poi colpirlo con una ginocchiata all'addome. Prendendolo per un braccio, lo tirò a sé, facendo passare la gamba dietro le sue, per poi sbilanciarlo con una ashibarai.

Recuperato il cellulare, gli si sedette sulla pancia, bloccandogli le braccia con le ginocchia, e chiamò il 112.

"Pronto, Polizia? Sono stata rapita da un balordo, ma sono riuscita a metterlo temporaneamente fuori combattimento. Mi trovo in..."
Fornito l'indirizzo, Giovanna diede un calcio sulla tempia del ragazzo, che svenne.
Poi, con calma, recuperò il suo borsone, e si diresse verso casa. Stava entrando quando sentì le sirene in avvicinamento.

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