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9

Il sesso con Stefano era stato bello. Non eccezionale, ma ora che l'avevamo fatto mi sentivo meglio. Alcune tensioni erano andate, altre erano appena tornate. In ogni caso, stavo morendo di fame, e lo convinsi a uscire a comprare un panino. Peppe era ancora aperto. Andammo insieme e ne ordinai uno ripieno di tutto, poi rimasi a controllare che Stefano non ne approfittasse per farsi vendere altra roba suicida. Ma lui rimase sulle sue, e quando tornammo in macchina mi propose di raggiungere i ragazzi in villetta.

Indossavo gli stessi vestiti del giorno prima, ma mi ero data una rinfrescata e mi ero truccata coi prodotti che tenevo sempre in borsa. Guardandomi allo specchietto del posto passeggero, mi trovai carina. I capelli lunghi e arruffati e il viso liscio mi facevano sembrare una bellezza acqua e sapone. Tutto sommato, avevo l'aspetto giusto per partecipare a una festa.

Il vantaggio di avere casa in un quartiere frequentato soltanto in estate, era che nessuno dei vicini si sarebbe lamentato per la musica troppo alta o per gli schiamazzi notturni. Era notte fonda, ma dato che niente e nessuno aveva imposto ai miei amici di andarsene, loro avevano continuato a festeggiare.

La villetta di Asia sapeva di estate, di caldo e di vacanza; era semplice e stuccata di bianco. Una scala di cemento portava al terrazzo, e c'era abbastanza spazio per avere un forno a legna sul retro e una piccola piscina interrata su un lato.

Percorrendo il vialetto, la comitiva mi salutò come se avessero appena notato la mia assenza. Vicino alla piscina, nella penombra, Ciccio stava parlando con un ragazzo che non conoscevo. Avevano entrambi un fisico robusto e asciutto ed erano mediamente alti, ma il nuovo arrivato portava i capelli scuri rasati ai lati e i jeans strappati. Stava sorseggiando una birra mentre Ciccio fumava, la felpa con la zip aperta che ricadeva mollemente sulla spalla.

Potevo sentire l'odore del cloro misto a quello dei pini e della terra bagnata. Parte dell'aiuola incolta che fiancheggiava il muretto si era trasformata nel cimitero di alcuni palloncini sgonfi.

"Tony ti sta salutando." Mi fece notare Stefano. Non ci eravamo quasi mossi dal vialetto. Nel patio, Tony e i ragazzi avevano riempito il tavolo di carte siciliane, bottiglie e piccoli bicchieri, ed erano tutti un po' brilli. Ci raggiunse mentre gli altri preparavano gli shottini, diede un pugnetto al mio ragazzo e mi disse:

"Oh, avete fatto pace, e che ci voleva! Io gliel'ho detto che se perde te è fregato. Meglio stare con una guastafeste paranoica, che con una che la dà a tutti."

Guastafeste paranoica a chi?! Pensai subito.

Il suo fiato sapeva di vodka alla fragola. Aveva sbiascicato le parole senza ritegno, ma per fortuna Asia non lo aveva sentito. Non credevo che l'avrebbe presa bene.

E poi, io e Stefano non avevamo davvero fatto pace. Avevamo solo scopato. Non avevamo neanche toccato gli altri argomenti, ed eravamo entrambi scazzati. Sentivo l'obbligo di parlare, ma allo stesso tempo non volevo farlo. Per lui doveva essere uguale. Continuavo a pensare a quando ero scesa dall'auto ferma allo stop, e a lui che era ripartito, lasciandomi in mezzo alla strada, e non riuscivo ancora a perdonarlo.

"Tu scappi da ogni ragazza che voglia da te qualcosa di vagamente serio. Non dovresti neanche fiatare." Ribattei, guardando Tony con sufficienza dall'alto della mia sobrietà.

"Io le uso perché se lo meritano."

Mi sentii scoraggiata. Lui si faceva tante ragazze, ma sapevo che stava parlando anche di Asia, esagerando sul fatto che fosse stata sfortunata in amore. E non era giusto. Quella festa era grazie a lei! Molto scocciata, misi da parte i miei pensieri; li avrei tirati fuori più avanti.

Tony, intanto, mi ringraziò per la tuta che gli avevamo regalato e ci invitò a partecipare al gioco alcolico. La piramide era enorme ed era ancora all'inizio, dato che avevano mischiato due mazzi di carte.

"A me non va." Dissi, tirando il labbro da un lato. C'erano troppe persone brille, attorno al tavolo, di cui non volevo ascoltare i segreti. Non volevo neanche rischiare di confessare i miei. "Asia dov'è?"

"Boh, credo dentro. Forse c'è ancora un po' di pizza, se la vuoi."

Ebbi l'acquolina in bocca al pensiero di addentare una pizza; il panino non mi aveva saziato dopo una giornata di digiuno, ma non entrai in casa. Le tensioni non dette mi tenevano vicina a Stefano.

"Chi è il ragazzo che sta parlando con Ciccio?" Domandai allora, solo per interrompere gli attimi di vuoto.

"È quel suo amico strano di cui ti parlavo in macchina." Rispose Stefano, scocciato, e si dondolò con le mani in tasca. "Speriamo che non lo porta più, mi sta già sulle palle."

Tony ebbe una risata amara e disse: "Speraci! Quello si è appena trasferito, non conosce nessun altro. Ci tormenterà a vita."

"Che ha che non va?" Domandai. Mi sembrava un ragazzo normale. Uno che vuole fare il figo indossando il chiodo di pelle nera, ma niente di strano.

"Fa caciara. È insopportabile."

Parlando di lui, Stefano si era veramente innervosito, e a me venne da sorridere. Era così serio, e tutto perché aveva visto vacillare il suo ruolo da protagonista della comitiva. Mi venne voglia di presentarmi al nuovo arrivato per capire com'era davvero, e dissi a Stefano di andare con Tony.

Lui mi lanciò uno sguardo contrariato prima di andare. Pensai che fosse geloso, ma che non volesse litigare. E non lo volevo neanche io. Feci finta di niente, ignorai il gruppo tutto al femminile di Erica e mi avvicinai alla piscina.

"Ecco Nadia! Ce l'hai fatta ad arrivare!" Esclamò Ciccio, e mi indicò con orgoglio al suo amico. "Ti presento Gianmarco. Eravamo grandi amici quando giocavamo a calcio. Quanti anni sono passati, cinque?"

"Sei." Precisò Gianmarco. Mi squadrò da capo a piedi prima di darmi la mano. Notai subito che i suoi occhi fossero molto proporzionati, e che questo gli conferiva un'espressione intensa e ipnotica. "Piacere. Wow. Ciccio non mi aveva detto di avere tante amiche bone. Aspettavi la lettera scritta per presentarmele?" Gli domandò.

Cazzo, Stefano aveva ragione. Lo conosco da un secondo e l'ha già buttata in caciara, pensai. Non sapevo decidere se fosse più irritante il suo atteggiamento o il fatto che il mio ragazzo avesse ragione. Stefano non poteva avere ragione tanto spesso, o presto avrei dovuto mettermi in discussione anch'io.

"E tu sei sicuro che volevamo conoscerti?" Dissi di rimando al nuovo arrivato.

Un ragazzo normale si sarebbe vergognato per il modo in cui l'avevo messo a tacere, ma lui no. Sorrise e basta. Onestamente, non avevo mai visto nessuno ostentare tanta sicurezza.

"Bella risposta." Affermò, e si voltò ancora verso Ciccio, che si godeva la scena ridacchiando. "Questa qui avrei voluto conoscerla davvero. A saperlo, ti venivo a trovare più spesso."

"Ma sta con un mio amico, Giamma! Zitto, che quello ti picchia."

"Quindi non vi vedevate da sei anni?" Domandai, cercando di cambiare discorso. "Devono essere stati degli anni stupendi, per Ciccio."

Entrambi scoppiarono a ridere, neanche gli avessi raccontato una barzelletta. Quando Gianmarco si ricompose, mi disse:

"Esatto. Non ci vediamo da quando me ne sono andato a Palermo con mio padre. Volevo lavorare nella sua ditta per comprarmi la moto, e ho risparmiato euro su euro per farlo. Lui non mi ha mai regalato niente. Così, prima di arrivare ai ferri corti ho mollato tutto e sono tornato da mia madre. Io, la mia nuova moto, e una pila di vestiti da lavare."

"Cavolo, riesco a percepire la sua gioia." Commentai sarcastica.

"Ovviamente." L'idiota continuava a stare al gioco. "Mia madre non vedeva l'ora di riavermi in casa, soprattutto ora che convive col suo nuovo fidanzato."

"Che donna fortunata." Dissi. "Si starà chiedendo dove ha sbagliato. Forse quel giorno di vent'anni fa, quando ha deciso di non andare al cinema con tuo padre."

Era incredibilmente facile giocare a botta e risposta con lui. Mi stavo divertendo. Ma neanche stavolta riuscii a minare il suo buonumore. Lui sorrise di scherno, poggiò la sua birra per terra e mi guardò con aria di sufficienza:

"Vedo che in matematica facevi schifo. Vent'anni fa avevo due anni, genio."

"Okay, ventidue anni fa!" Dissi, alzando la voce, perché ormai non lo sopportavo più. Avevo detto un numero a caso, e come potevo sapere che avesse già ventidue anni?

"E comunque, tutti i genitori hanno rimpianto almeno una volta di non avere usato il preservativo." Mi disse ancora, saccente. "Anche i tuoi. Non negarlo!"

"Io vivo per conto mio! Il rimpianto lo avranno avuto in passato, ma ora hanno la loro vita e io non gli dò alcun fastidio!"

"A parte quello di mantenerti." Ribatté lui prontamente, con un ghigno odioso. "Hai le mani troppo pulite per essere una lavoratrice. Frequenti l'università, e forse non sei granché neanche come studentessa. Loro ti pagano l'affitto e ogni altra cosa, ma tu non vali il loro investimento."

Cazzo, era riuscito a farmi innervosire. Stavo tremando. Mi sentivo tale e quale a Stefano. Quel ragazzo aveva le pistole nella lingua, tu non puoi scalfirlo, ma lui sa come scalfire te. Era frustrante. Mi osservò con attenzione e io desiderai di potergli spaccare la birra in testa.

"Oh mio Dio." Esclamai, esasperata. "Ma chi sei, Freud?"

"Io ti ho capita, sai?" Mi disse ancora. Ero così sconvolta che rimasi ad ascoltare. "Sei come me. Sei figlia unica, i tuoi hanno divorziato quando eri piccola, e ora non riesci a combinare nulla nella vita perché ci soffri ancora. Non fa niente, ci siamo passati tutti."

Come lo sapeva? Probabilmente gliene aveva parlato Ciccio, e ora recitava la parte del grande empatico che sapeva leggerti nel pensiero. Gli piaceva fingere di essere molto furbo, e io non dovevo dargliela vinta.

"E tu ci sei ancora dentro, vero? Hai sbagliato. Sono figlia unica, ma loro non sono mai stati sposati."

"Ma dai, è la stessa cosa!"

"Invece non lo è! Odio quando insinuate di conoscermi, o pretendete di avere qualcosa in comune con me. Non è così! Ogni vita è diversa! La mia è completamente diversa dalla vostra, di cui comunque non me ne frega niente!"

Gianmarco si guardò sarcasticamente intorno:

"Ma con chi sta parlando? Ce l'ha con te?" Lo chiese a Ciccio, che ci osservava con estrema ilarità. Scosse le spalle, e lui tornò a parlare con me. "Non so quanti ammiratori hai, paparedda, ma so che ti sei montata la testa. La tua vita è come quella di tanti altri, non ha niente di speciale."

"E tu chi cazzo sei per dirlo? Non mi ricordo nemmeno come ti chiami!"

"Per te sono il Signor Marco, e tu sei proprio una permalosa del cazzo."

Ero scioccata. Dov'ero finita? Era uno scherzo? Sembrava uno di quegli incubi in cui incontri dei personaggi strambi che esistono solo per tormentarti. Forse ero ancora a casa a dormire, e tutta quella serata era solo il frutto della mia immaginazione. Sperai che fosse così.

"Ora capisco perché non ti sopporta nessuno." Gli dissi, quando fui costretta ad ammettere che la sua esistenza era reale. "Sei uno stronzo! Buttati in piscina, annegati e fai le mie condoglianze a tua mamma!"

Lui scoppiò a ridere, e stavolta realizzai che la sua risata aveva su di me lo stesso effetto delle unghie sulla lavagna.

"Ti rendi conto che non ha alcun senso?" Mi domandò sarcastico.

Mi ero già voltata per andarmene, e in tutta risposta alzai il dito medio sopra la testa. Ormai avevo capito che qualunque altra parola sarebbe stata usata contro di me.

"E comunque sei troppo bella per stare con quello lì!" Mi urlò alle spalle.

Di male in peggio. Ero sconvolta. Vidi Erica e le ragazze sorridermi con malizia e portarsi le mani alle labbra, e seppi che al loro posto avrei avuto la stessa reazione. Un ragazzo e una ragazza che litigano ti fanno venire strane idee. Ma quel Giamma era veramente insopportabile e io sentii il bisogno di reagire:

"E con chi dovrei stare? Con te, forse?" Gli dissi, voltandomi. Usai un tono che lasciava intendere che stare con lui sarebbe stato altamente disgustoso.

Le ragazze si chiusero in un silenzio carico di attesa. Neanche io sapevo cosa aspettarmi. Avrebbe continuato a fare lo stupido, anche se tutti potevano ascoltarlo?

"Se vuoi, io non ho nulla in contrario."

Ecco, lo aveva fatto. Persino Ciccio si coprì il volto con la mano e barcollò, sentendosi in imbarazzo per lui. Quando alzai lo sguardo verso il patio, vidi che anche Stefano stava guardando dalla nostra parte. Doveva aver sentito qualcosa, malgrado la confusione e la musica in casa, ed era furioso. Tracannò uno shottino, sbatté il bicchierino sul tavolo, e venne da noi. Tutti ci guardarono. Stava per succedere qualcosa.

"Che ha detto quel coglione? Ci stava provando con te?" Stefano aveva la voce carica di minaccia.

"No, lascialo perdere. Mi sa che ha qualcosa che non va." Gli misi le mani sul petto, come per spingerlo indietro. Con la voce lo supplicavo di calmarsi. Lo avrei convinto a tornare a giocare alla piramide, se solo quel coglione non avesse deciso di provocare anche lui.

"Stai cercando me, Stefano?" Gli urlò. "Bella la tua Aygo, tenuta molto bene. Fanno anche il modello da uomo?"

Stefano scattò come un toro inferocito. Si precipitò da Gianmarco, che non arretrò di un passo, ma prima che potesse colpirlo venne fermato da Ciccio.

"Non voleva offenderti, sta scherzando! Lui è fatto così!" Lo giustificava.

"Levati di torno, Ciccio, o le prendi anche tu!" Gridò il mio ragazzo.

Stavo per assistere a una rissa, e riuscivo a malapena a pensare. Volevo che Gianmarco venisse picchiato, ma avevo anche paura che finisse davvero male. Stefano non faceva a botte dalla prima media, ma era grosso e furibondo. D'altra parte, anche il suo avversario era muscoloso, e visto il tipo imprevedibile temevo che tirasse fuori un coltello...

Quando anche Tony intervenne a fermare il suo amico, io mi ero già messa davanti al nuovo arrivato. Stefano cercò di divincolarsi, urlando e sbraitando contro tutti; riuscì a liberarsi della loro presa, e poi cercò di allontanare anche me. Ma io inciampai contro qualcosa che non avevo visto, caddi indietro e finii in piscina.

L'acqua era gelida. Tornai a galla che stavo tremando e vidi che Ciccio aveva già fatto allontanare Gianmarco; Stefano si era inginocchiato a bordo piscina per darmi la mano. Ero confusa, l'intera comitiva mi stava guardando. Nuotando, cercai a terra il motivo per cui ero inciampata, ma non trovai niente.

"Mi ha fatto lo sgambetto!" Urlai, mentre nuotavo e le gocce d'acqua mi scivolavano dai capelli alla bocca. Volevo che tutti sapessero quanto era stronzo. "Quello lì mi ha fatto lo sgambetto!"

"Se ne sta andando." Ribadì frettolosamente Stefano, e infatti sentimmo il rombo di un motore. "Forza, aggrappati."

Afferrai la sua mano, e lui e Tony mi aiutarono a uscire. Arrivò anche Asia, che era in casa e domandò a tutti cosa fosse successo. Quando mi portò in camera e mi fece avvolgere in un enorme asciugamano da piscina, mi confidò che Gianmarco ci aveva provato anche con lei.

"L'ha fatto davanti a Tony, e credo che lui se la sia presa. Stavamo solo scherzando, ma ora non mi parla più." Mi rivelò, tristemente. Era appena tornata dal bagno con un phon, e lo attaccò alla presa elettrica. "Davvero credi che ti abbia fatto lo sgambetto?"

"Non lo credo, lo ha fatto! Mi ha usata come diversivo per non essere picchiato." Ribattei. "Non ci sta con la testa! Spero di non vederlo più."

Un'ora dopo, io e Stefano eravamo devastati. Io starnutivo di continuo, e i miei vestiti erano ancora umidi. Asia non aveva potuto prestarmi nulla di asciutto, perché tutto ciò che aveva in casa erano i costumi da bagno. Ce ne andammo per primi, senza aiutare a pulire, perché non ne ero in grado: avevo un'emicrania che mi spaccava la testa. Rimanemmo in silenzio anche nel tragitto verso casa. Stavo troppo male per parlare, ma mi era piaciuto assistere alla gelosia del mio ragazzo. Quello era stato un punto a suo favore.

"Credo che tu debba dormire di nuovo a casa di tua madre." Mi disse, improvvisamente. E vidi che imboccava la strada per il suo quartiere. "Ti sta venendo la febbre. Se mi contagi ho finito di studiare."

"Ma lì non ho vestiti." Brontolai. Era la questione meno importante tra quelle che mi erano venute in mente, ma mi accorsi che occorreva troppa energia per affermare ciò che pensavo. Cioè, che soltanto uno stronzo al pari di Gianmarco poteva lasciarmi in un appartamento dove non c'era nessuno che potesse aiutarmi in caso di bisogno.

"Hai la roba di tua madre, mica si offende se la usi."

Mi accompagnò fino al terzo piano, poi se ne andò. Fuori dalla finestra, il cielo a est si era schiarito. Trovai appena le forze per spogliarmi e infilarmi il pigiama peloso di mia madre. I vestiti bagnati erano finiti per terra; io mi infilai sotto le coperte, che però non erano calde abbastanza.

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