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8

Tornai in camera da letto, dove rimasi a fissare Stefano che continuava a dormire placido, russando a intervalli regolari. Mi sentivo triste senza conoscerne la ragione. Guardavo le pareti luccicanti della stanza, ormai schiarita dal sole, e la mia inevitabile fotofobia mi parve un dolore sopportabile in confronto al resto.

Volevo piangere, e non sapevo perché. Era come se tutto attorno a me fosse sbagliato: la mia bocca secca, il mal di testa, ogni altro fastidio, ma anche la nostra presenza in quella casa. Avevo la sensazione che niente fosse come doveva essere.

"Oh, sei sveglia?" Disse Asia, arrivando dal corridoio. Aveva un'espressione timidamente colpevole. "Ma stai piangendo?"

Asciugai l'umidità sotto gli occhi, e mi affrettai a rispondere: "No, è colpa della luce." Mi giustificai. In quel momento, sentii qualcuno richiudere la porta di casa.

"Tony è andato a prendere la colazione, io stavo andando in bagno." Spiegò la mia amica, stirando un sorriso imbarazzato. "Sicura che stai bene? Hai una faccia strana."

Stavo bene? Affatto. Ma non sapevo come spiegarlo.

"Passerà." Dissi, quando non trovai le parole per esprimermi. "Alla fine passa sempre."

Tony tornò dal bar portandoci un ricco vassoio di cornetti e dolci alla ricotta. Svegliammo Stefano e Ciccio dal loro letargo, e io cercando tra gli sportelli della cucina trovai una bottiglia di spumante. Brindammo in onore dei ventun anni di Tony, il primo tra noi ad avere iniziato la sua inesorabile scalata verso i trenta, e consumammo la colazione fino all'ultimo dolce.

"Cazzo, che fame chimica che avevo." Brontolò Stefano, toccandosi il pancione. Si era tolto la maglietta, così che potessimo ammirarlo meglio. "Mi sa che ieri sera sono crollato. Ricordo che mi sentivo uno schifo."

"Infatti mi chiedevo che fine avevate fatto!" Esclamò Ciccio, dopo essersi ripulito il muso con lo scottex. "Volevo venirvi a cercare, ma poi ho visto che anche questi due si erano addormentati, e ho spento tutto."

Tony e Asia scambiarono uno sguardo complice. Evitai di indagare. Almeno loro due si erano divertiti. Tra me e Stefano c'era soltanto astio, quella mattina non c'eravamo quasi parlati, e io ero tesa. Aspettavo ancora il momento giusto per fargli quel discorso sul fumo.

"Tutto sommato è andata bene." Commentò Tony. "Ci siamo divertiti. È stato anche meglio della fantomatica festa a sorpresa che dovevate farmi."

Io e tutti gli altri ci guardammo in faccia.

"Come sapevi della festa a sorpresa?" Domandò Ciccio.

"Vi sento parlare, scemo."

"Stasera inviterò tutti alla casa al mare." Aggiunse Asia, contenta. "Io e Tony saremo lì da prima, ovviamente. Lo scriverò sul gruppo: vietato arrivare prima delle nove!"

Di lì a poco, iniziò il rito delle telefonate. Tutti i genitori, tranne i miei, si erano accorti che i loro figli non erano tornati a casa, e li chiamarono. Per un lungo quarto d'ora, la cucina si riempì delle urla gracchianti di madri furibonde.

Prendemmo il caffè prima di prepararci ad andare. Lavai tutto ciò che avevamo sporcato e misi la nostra spazzatura in una busta a parte da buttare sotto al palazzo, poi io e Stefano aspettammo gli altri in cucina, senza parlare, né guardarci in faccia. Assurdo che quello arrabbiato fosse lui! Io ero stata lasciata nuda nel bel mezzo di un rapporto sessuale, eppure me n'ero fatta una ragione.

"Possiamo parlare?" Gli domandai. "Mi dà fastidio che sia tu a fare l'offeso. Lo sai che ieri mi sembravi morto?"

Lui alzò gli occhi al cielo, e si agitò. "Eccola che ricomincia!" Esclamò, nervoso. "Che cazzo vuoi? Ho fumato di corsa perché volevo farti contenta, è colpa tua!"

"Mia? Io ti avevo detto di non fumare!"

"Ma sei hai fumato anche tu! Quanto sei rompicoglioni! Hai superato pure mia madre!"

"Io non voglio più vederti mezzo morto sul letto, lo vuoi capire? Non devi più portare quella merda in casa, o piuttosto ne faccio mangime per i piccioni!"

Non mi ero resa conto che avevo alzato la voce fino a urlare. I ragazzi tornarono da noi solo per controllare che non ci stessimo picchiando.

"Tu provaci, poi vedi come ti finisce!" Ribatté lui.

Gli amici cercarono di farci calmare, ma non si schierarono dalla parte di nessuno, e neanche Asia fu dalla mia. Sembrava che a nessuno importasse davvero degli effetti di quella dannata sostanza. Percepivo dai loro sguardi che mi ritenevano soltanto esagerata. In fondo, facevamo quella vita da anni, e nessuno di nostra conoscenza si era mai sentito davvero male per quella roba. A conti fatti, sembravo veramente una rompicoglioni.

Io e Stefano accompagnammo tutti a casa, ma il prolungato silenzio tra noi mi portò a chiedermi se davvero non stessi esagerando. Ormai non ci capivo più niente. Mi sembrava che tutto quello che facevo fosse sempre e comunque sbagliato.

"Sono troppo arrabbiata con te." Gli dissi, quando fummo da soli. "Riportami a casa di mia madre, voglio stare sola."

Stefano, fermatosi allo stop, si voltò per fulminarmi con gli occhi.

"Dovrei tornare indietro con la confusione che c'è? Ma finiscila. Non voglio passare altri quaranta minuti nel traffico, sto morendo di fame."

"Questo perché..."

"Non parlare ancora di quel cazzo di fumo, perché ti lascio a piedi!" Urlò Stefano, sbattendo le mani sul volante, così selvaggiamente da premere per sbaglio il clacson. Aveva la faccia stravolta dalla rabbia.

Non l'avevo mai visto in quello stato. Sembrava un pazzo. Mi sentii intimorita, ma più di tutto compresi di non voler stare con un ragazzo del genere. Era ancora fermo allo stop dietro ad alcune macchine, così slacciai la cintura, aprii lo sportello e abbandonai l'auto. Stefano richiuse tutto prontamente e ripartì senza voltarsi indietro.

Quasi un'ora dopo, ero di nuovo a casa di mia madre. Ero stanca, sudata, sconvolta. Nell'aria c'era ancora l'odore dolce della ricotta. Il telefono vibrò. Non era Stefano. Lui non mi aveva ancora cercato, neanche per sapere se fossi arrivata sana e salva, e questa cosa mi fece soffrire.

Mia madre mi aveva invece mandato una foto di Dario che teneva in braccio un neonato rugoso, infilato in un minuscolo pigiamino azzurro. Non c'era didascalia. Pensai che per lei lo sguardo fiero e affettuoso di suo marito dovesse valere più di mille parole. Voleva farmi capire che tipo era e sperava che iniziasse a piacermi. Ma io cancellai la foto.

Mi sentii come Stefano, nel suo essere testardo e ottuso, ma in realtà ero semplicemente troppo apatica per provare un qualunque tipo di emozione. Mi gettai a letto, stavolta dal lato di mia madre, e piansi per tutto il giorno.

Arrivata la sera, ero a digiuno e Stefano non mi aveva ancora cercato. Neanche io l'avevo fatto. Il mio telefono si stava scaricando. Era già arrivato al cinquanta per cento, e misi la modalità risparmio energetico. Purtroppo non avevo trovato dei caricabatterie compatibili in casa, e non sapevo quando avrei potuto usare il mio. Tuttavia, quando mia madre chiamò, non potei evitare di rispondere:

"Mà, non mi telefonare più. Ho la batteria scarica. Mandami solo messaggi."

Dall'altra parte del telefono sentivo ancora una gran confusione. Sembrava che i ragazzini delle medie non riuscissero mai a stare zitti.

"Perché non lo carichi? Dove sei?"

"A casa mia, ma il caricatore si è rotto. Anche quello di Stefano non va. Comunque non fa niente, lunedì andiamo a comprarli nel negozio di un suo amico che ci fa lo sconto."

Mi complimentai con me stessa per avere imbastito un'ottima scusa. Così facendo, non invogliavo mia madre a chiamare Stefano. Non volevo farle sapere cosa fosse successo, che avevamo litigato e che ero finita a piangere a casa di Dario. Mi avrebbe chiesto il motivo, e non potevo certo dirle che avevamo discusso per la droga. Volevo soltanto che mi lasciasse in pace.

"Beh, ma non è mica una grossa spesa! Non potete stare due giorni senza telefono. E se succede qualcosa?"

"Tranquilla, mamma, non succede niente." Lo dissi fiaccamente, sperando di chiudere il discorso. Non avevo voglia di inventare altre scuse.

Lei sospirò. "D'accordo, senti, per il resto stai bene? Hai visto quanto è dolce mio nipote Mattia?"

"Quel nano che sembra un vecchio? Sì, adorabile."

Sospirò ancora una volta. "Sei sempre la solita. Va bene, oggi è il compleanno di Tony, vero? Fagli gli auguri da parte mia, e divertiti stasera."

"Sì, anche tu."

Al termine della chiamata, poggiai di nuovo la guancia al cuscino. Ero rimasta in quella posizione per tutto il giorno, a osservare le pareti e il suo luccichio farsi sempre più scuro. Lo stomaco brontolava. Avevo sempre meno energie e il naso mi colava. Mi stavo raffreddando, perché indossavo ancora gli stessi vestiti sudati, e non avevo voglia di andare da nessuna parte.

Tanto nessuno aveva chiesto di me. Avevo letto i messaggi di Asia nel gruppo WhatsApp e le risposte degli altri, tra cui quelle di Stefano, che prendeva accordi per i passaggi. Ma nessuno aveva chiesto il mio parere, neanche Stefano mi aveva nominata. Voleva andare alla festa senza di me.

Era già tardi quando Asia mi scrisse un messaggio, ma me l'ero aspettato, sapendo quali fossero i suoi programmi per quella giornata. Aveva altro a cui pensare che alla sua amica rompiscatole.

- Come stai? Hai risolto con Stefano?

- No. Scusati con Tony da parte mia, ma non posso venire. Sto male.

- Come non vieni?? Nooo non lasciarmi sola con Erica!

Mi dimostrai categorica nel dire di no, e la mia amica smise di insistere. Ero però tanto di malumore da pensare che Asia avrebbe dovuto fare di più, anche costringermi a partecipare alla festa. Avevo bisogno di affetto, di attenzioni, e non c'era nessuno a cui chiederlo.

Mi addormentai. Soltanto con molta fatica mi accorsi che qualcuno stava suonando il citofono, a lungo e con insistenza, come se ne andasse della sua vita. Era ancora notte e io avevo dormito così profondamente da non accorgermi neanche delle tredici chiamate perse sul cellulare. Sbirciai l'orario: era l'una e venti.

"Che cazzo succede?" Mi domandai, mentre barcollavo fino al citofono. Quel suono insopportabile mi entrava nel cervello, e pur di farlo smettere non avevo perso tempo a controllare chi mi avesse chiamato. "Chi è?" Dissi, alzando il ricevitore.

"Porca puttana, Nadia, finalmente! Ti sto chiamando da un'ora, è tutto il giorno che sei scomparsa, non sapevo più dove cercarti!"

Era Stefano. Ero ancora mezza addormentata e non provai nulla nel risentire la sua voce. Gli dissi di non urlare e aprii il portone. Lui risalì i tre piani di scale correndo. Lo aspettai con la porta aperta, e lo vidi percorrere il pianerottolo con l'inevitabile fiatone. Venne verso di me senza dire una parola e, ancora ansimando, mi afferrò per i capelli e mi baciò.

Non c'era più il sapore del fumo sulla sua lingua, soltanto un leggero retrogusto alcolico. Mi prese in braccio e mi portò in camera da letto, dove stavolta non si addormentò. Si assicurò che facessimo pace.

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