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Ciccio non aveva ancora concluso la sua performance comica, quando Stefano lo interruppe e propose a tutti di guardare un film. Scelse l'ultimo kolossal della Marvel e lo fece partire in tempo record, anche se Tony aveva affermato di averlo già visto tre volte.
"Vado un attimo in bagno." Disse poco dopo, quando c'erano ancora i titoli di testa. Non lo avevo mai visto consumare una canna tanto velocemente. Non poteva che essere una pessima idea, e infatti tossì ripetutamente, mentre si sollevava di peso e usciva in corridoio.
Prima di alzarsi, mi aveva dato un colpetto di intesa. Che stronzo, pensai, ora tocca a me trovare una scusa plausibile. Il caso volle però aiutarmi, perché proprio allora il mio telefono vibrò per una chiamata in arrivo.
"È mia madre." Spiegai, guardando il nome sullo schermo. "Rispondo di là."
Uscendo dal salotto mi accorsi che Asia stava approfittando della nostra assenza per avvicinarsi a Tony, con Ciccio che già si rassegnava a fare da terzo incomodo in un angolo.
Quando risposi al telefono, ebbi l'impressione che la serata di mia madre in gita scolastica fosse molto più divertente della mia. Qualcuno stava parlando con lei, che non si era ancora accorta che potevo sentirli; stordita dal fumo, infatti, avevo premuto il tasto verde, ma avevo dimenticato di dire pronto.
"Comunque devo dirtelo: se ci fossimo conosciuti in discoteca, non ti avrei dato più di trent'anni." Stava dicendo un uomo, urlando per sovrastare il chiasso circostante.
Mia madre rise di cuore. "Non illudere una donna dicendole che sembra giovane, se non lo pensi veramente!"
"Guarda che sono serissimo."
"Mamma?" La chiamai, sentendomi d'un tratto fuori posto. Stefano spense la luce in corridoio e mi abbracciò da dietro. Mi accorsi che era già duro. "Cos'era quel viscidume? Ti stai facendo rimorchiare da un tredicenne pure tu?"
"Nadia? No, ma che dici, è solo il mio collega, sta scherzando! Ascoltami, hai fatto quello che ti ho detto?"
"Sì, ho controllato, non ci sono perdite sul tetto."
"Meno male! Odio avere i muratori in casa... Smettila, Ismaele! Giuro che se conoscessi i muratori che dici tu, avrei sempre una stanza in ristrutturazione... Comunque, Nadia, noi stiamo per tornare in albergo. È stata una serata fin troppo lunga... No, Isma, non voglio sapere cos'altro è lungo, sei un cretino!" Lo sgridò, ridacchiando. "Tutto bene da te? Quando pensi di ritirarti?"
"Anche subito, sono molto stanca. Ci sentiamo domani, buona notte."
Avevo fretta di chiudere, perché la mia sensibilità in basso era diventata tanto fastidiosa da essere invalidante. Non ce la facevo più. Invece di entrare nella mia stanza, portai Stefano davanti alla camera da letto di mia madre. Anche al buio riconoscevo il copriletto bianco, immacolato. Un altro brivido mi attraversò la schiena, quando entrammo e il mio corpo caldo reagì all'aria fredda.
"Voglio farlo qui." Sussurrai. Il fumo e il desiderio avevano stordito entrambi. Lo presi per mano e lo guidai verso il letto. Lasciammo la porta aperta, come se non fosse importante; la voce degli attori attraversava il corridoio a tutto volume. "Voglio farlo nel suo letto."
"Sei una piccola pervertita." Biascicò Stefano. "Lo adoro."
Mi sdraiai sulla schiena. Mi girava la testa, e chiudendo gli occhi era anche peggio. Era come stare sull'epicentro di un terremoto. Mi sembrò di potermi guardare dall'alto, e mi vedevo per quella che ero, eccitata e vogliosa di essere scopata nello stesso letto in cui faceva sesso mia madre.
In cui lui dormiva con lei.
Non avevo mai avuto pensieri così sporchi prima. Ero nervosa, e queste fantasie malate erano le uniche a darmi sollievo. Non ne conoscevo il motivo, non volevo nemmeno conoscerlo.
Sbottonai i jeans. Stefano provò a farli scivolare oltre i glutei, ma in qualche modo inciampò e cadde su di me. Era completamente strafatto. Mi infilò la lingua in bocca, ma sapeva di fumo e mi diede fastidio. Anche il fiato mi mancava, perché mi stava schiacciando con la sua grossa pancia, senza neanche provare a sorreggersi.
"Alzati, cazzo." Mormorai. Mi stavo innervosendo. "Hai la solita delicatezza di un ippopotamo."
Lo spinsi via per respirare. Lui si rialzò, e appoggiò soltanto un ginocchio al letto.
"Non ci capisco più un cazzo." Si lamentò, toccandosi la testa. "Mi sta girando tutto."
"Lo sapevo, questo è perché hai fumato troppo in fretta!" Lo rimproverai, ed ero veramente arrabbiata. Anche se stavo male pure io, sapevo che lui stava peggio, e non volevo pagare per la sua stupidità.
"Vabbè, spogliati."
"No. Sento freddo. Facciamolo coi vestiti addosso."
Avevo ancora i jeans sbottonati e il sedere scoperto per metà. In un barlume di lucidità, mi ricordai che non eravamo soli e che la porta era ancora aperta. Mi girai, misi le ginocchia sul bordo del letto e mi tenni coi palmi delle mani. Le mani calde di Stefano mi spogliarono fino alle ginocchia.
"Sbrigati." Gli dissi.
Sentivo l'aria fredda a contatto col mio calore, e poi lui, che scivolava lentamente. Trattenni un gemito, mentre mi spostavo per dargli un migliore accesso, e chiusi gli occhi. Ora potevo sopportare ogni terremoto. Pur sapendo che la tv era accesa, non riuscivo più a sentirla. La tensione diminuì velocemente, la strada verso l'estasi era in discesa. Tutto si fece stretto e asfissiante, e io vedevo le stelle oltre le palpebre chiuse. Il mio corpo si stava avvicinando all'orgasmo, potevo sentirlo arrivare...
Ma poi Stefano si fermò. Non era più duro, e si tirò fuori dopo alcuni secondi in cui avevo aperto gli occhi per cercare di capire l'accaduto. Ero così nervosa. Cosa c'era di sbagliato in lui, che non sapeva più scoparmi come si deve?
"Mi sento male." Lo sentii borbottare. Mi voltai, proprio mentre lui, già rivestito, si gettava sul letto. "La testa... mi gira... Devo..."
E all'improvviso smise di parlare. I suoi occhi erano chiusi, ma la bocca era rimasta aperta. Mi rivestii in fretta, dimenticando per l'ansia di chiudere i bottoni; lo afferrai per la felpa e lo strattonai:
"Stefano? Che cazzo fai, rispondimi!"
Ero agitata, scossa da emozioni che variavano da paura a rancore. Alla fine era riuscito ad ammazzarsi! Ora dovevo chiamare l'ambulanza per davvero! Cercai velocemente il telefono, che era caduto a terra, ma non appena lo afferrai esplose alle mie spalle il russare più potente che avessi mai sentito. Il grosso stomaco di Stefano si muoveva su e giù a un ritmo regolare. Stava solo dormendo.
"Vaffanculo." Mormorai. "Era quasi meglio che fossi mezzo morto! Ti sembra normale che debba preoccuparmi per te come se fossimo una coppia di novantenni con un piede nella fossa? Questa è l'ultima volta che fumi! Te lo giuro, se ne comprerai ancora te la butterò nel cesso!"
Ero davvero convinta di ciò che dicevo, e non vedevo l'ora di ripetere la minaccia quando lui l'avrebbe ascoltata. Ma ora che la paura era passata, mi sentii anch'io così stanca da non avere le forze per pensare a nient'altro. Mi sdraiai accanto a lui, sentendo il corpo e le braccia pesanti, e poco dopo mi addormentai.
Al mio risveglio, tutto era confuso. Era di nuovo giorno ed era stato il sole a svegliarmi. Non mi ricordavo di essermi addormentata sul letto di mia madre, né di essermi infilata sotto le coperte durante la notte. Avevo ancora i jeans slacciati e, facendo lo sforzo di aprire gli occhi, vidi Stefano sdraiato a letto a pancia in su, nella stessa posizione in cui ricordavo si fosse addormentato.
Mi massaggiai gli occhi. Bruciavano più dell'ultima volta, anche se avevo fumato di meno. Quegli spacciatori di merda ci stanno dando della roba sempre più marcia, pensai. Poi mi ricordai dello strano disagio che mi aveva spinto a fumare anche quella sera, e mi sentii come se non avessi avuto scelta.
Non mi soffermai a pensare alle cause di quel disagio. La mente era già intervenuta in mio soccorso e aveva nascosto la ragione in un angolo remoto del cervello.
Quando poi mi resi conto di avere dormito sullo stesso cuscino in cui dormiva Dario, andai nel panico, e mi alzai da letto alla stessa velocità con cui scattavo quando non sentivo la sveglia ed ero in ritardo. Mi sentivo sporca e frastornata. Mi reggevo a malapena in piedi, ma allora mi ricordai di un altro problema: che fine avevano fatto i miei amici?
Tanto avevo voluto scopare su quel letto, tanto ora volevo allontanarmene. Barcollai scalza lungo il corridoio, gli occhi socchiusi, chiedendomi se la mia mente non avesse cancellato altri pezzi di quella serata. L'ultima volta che avevo visto i miei amici, era stato sul divano, davanti a un film. Poco prima di entrare in salotto, però, udii là dentro dei rumori molto strani. Erano dei sospiri intensi, come dei gemiti sussurrati.
Oh cazzo, pensai, ti prego, dimmi che non lo stanno facendo davvero... Quando spiai in salotto, vidi qualcosa di Tony che avrei preferito non vedere.
Se il povero Ciccio se ne stava goffamente addormentato attorno a uno dei braccioli del divano, macchiandolo in un punto con la sua saliva, dall'altra parte Asia e Tony erano decisamente svegli. Si stavano baciando piano, e lei con ogni evidenza aveva deciso di festeggiare il compleanno del nostro amico con un massaggio mattutino molto speciale.
Stentavo a crederci. Oltraggiare la casa di Dario era il mio gioco, non il loro! E io non ero nemmeno arrivata fino in fondo, dato che Stefano era crollato prima di me. Ero furiosa, ma non nelle condizioni psicofisiche per interromperli.
Tornai indietro, rimuginando, e mi fermai nel corridoio silenzioso, cercando di non prestare attenzione ai gemiti sommessi nell'altra stanza, per i quali provavo invidia. Appoggiata al muro, guardai il collage di foto realizzate da mia madre. Sapevo che era stata lei a farlo, perché Dario non aveva la minima dote artistica. Era l'uomo più noioso del mondo.
Nel collage c'eravamo tutti. Io da bambina, il nonno, la mamma con le sue amiche nel giorno della sua laurea magistrale, che casualmente era stato anche il suo trentesimo compleanno; e poi Dario, quasi sempre abbracciato o mano nella mano con sua moglie. Li guardai, storcendo il naso. Continuavo a pensare che fossero la coppia peggiore mai esistita. Lei sempre solare, lui un topo depresso con gli occhiali.
D'un tratto, la mia mente sovrappose a quell'immagine la vecchia foto dei vent'anni. Era la prova che Dario era stato un duro, o almeno uno che fingeva di esserlo. Per la prima volta mi domandai se ci fosse qualcosa di lui che ancora non conoscevo. Scacciai subito quel pensiero: perché avrebbe dovuto importarmi?
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