56 🐇
Un rumore lontano si perse nel buio. Spalancai gli occhi, il respiro spezzato, il cuore che mi martellava nel petto. Ero stata svegliata da un incubo, qualcosa di confuso e angosciante. Ricordavo solo un senso di oppressione, come se qualcuno mi stesse inseguendo, orrori che già si dissolvevano nella memoria.
Mi sollevai appena dal letto, il silenzio della casa sembrava assorbirmi. A parte il respiro leggero di Giamma, nella stanza accanto, tutto era fermo. Mi calmai: la notte non era più un nemico, nessuna ombra mi stava minacciando. Eravamo solo io e quella casa piccola e tranquilla, ancora immersa nel buio.
E avevo bisogno di aria.
Scostai piano le coperte e mi alzai, attenta a non fare rumore. Indossai dei pantaloncini e un top, presi il cellulare e scrissi un messaggio veloce a Giamma.
Niente panico, se non mi trovate in casa. Sono andata a fare due passi.
Mi mossi in punta di piedi, presi le chiavi e le strinsi in mano perché non facessero rumore.
Prima di andare via, mi fermai un istante sulla soglia della stanza di Giamma. Vidi la sua sagoma che dormiva con una gamba penzoloni fuori dal letto, il lenzuolo aggrovigliato. Sorrideva persino, come se stesse sognando qualcosa di bello. Quasi invidiavo quel suo modo rilassato di vivere la vita e le relazioni. Scossi la testa e mi avviai verso l’uscita.
Andai al molo, dove due pescatori abbronzati erano intenti a dispiegare le loro reti, parlando a bassa voce tra loro, indugiando appena su di me al mio passaggio. Mi sedetti sul muretto, lo sguardo perso verso l’orizzonte, dove il sole non era ancora apparso e il cielo si tingeva di sfumature grigie e rosate, l’alba che lentamente cancellava le stelle.
Chiusi gli occhi e inspirai a fondo, ma il nodo che avevo nello stomaco non se ne andava. Era ancora lì, pesante, come il ricordo di quel fine settimana, come le scelte che avevo fatto.
Giamma.
Mi passai una mano tra i capelli, mordendomi il labbro. Avevo ceduto a lui. Lo avevo voluto, in quei momenti, era stato l’unica cosa a cui potevo appigliarmi. Ma ora sentivo un vuoto che mi scavava dentro.
"Che cazzata ho fatto." Mi dissi sottovoce. Lo avevo pensato anche la sera prima, tornando da casa di Asia.
***
Le strade erano deserte mentre la moto di Giamma sfrecciava veloce. Avevo ancora i vestiti umidi addosso, il costume che mi si incollava alla pelle; avevo fresco, ma nessun modo per coprirmi. Con la testa appoggiata alla sua schiena, mi lasciavo cullare dal rombo del motore, cercando di non pensare.
Avevo scritto ad Asia poco prima di partire. Noi andiamo via, ci sentiamo domani. Ma non avevo aspettato la sua risposta.
Davanti al garage, Giamma aveva spento la moto senza scendere. Era rimasto fermo, con le mani ancora sul manubrio, come se stesse pensando. Mi tolsi il casco, stanca e infreddolita.
"Che c’è? Non scendi?" Gli avevo chiesto, irritata.
Lui si era tolto il casco e si girato verso di me. "Ti va di parlare un po’?"
Sospirai, rassegnata. "Okay."
Avevamo messo la moto al suo posto prima di incamminarci verso il molo. La notte era fresca, il rumore delle onde ci accompagnava spezzando il silenzio. Giamma sfiorava ogni tanto la mia mano, come se volesse prenderla o forse solo attirare la mia attenzione. Ma io non gli davo corda.
Arrivati in fondo al molo, ci eravamo accorti di aver disturbato una coppietta. I due ragazzi si erano alzati di scatto e se n’erano andati, con il viso abbassato. Mi ero seduta sul muretto, il mio solito posto. Giamma si era appoggiato accanto a me, guardando verso il mare.
"Tra me e le ragazze è sempre stato tutto molto semplice." Aveva detto all’improvviso. "Se piacevo a una, ci stavo. Quando non le piacevo più, mi facevo lasciare. E se erano troppo appiccicose, le lasciavo io. Ma senza nessun rancore. Non ci ho mai litigato."
Avevo sorriso, amara. "Me ne sono accorta. Oggi tu e Asia sembravate due estranei."
"Infatti lo siamo. Non è che abbiamo mai parlato molto."
"E la colpa è tua, che sei allergico ai legami seri." Avevo ribattuto. "Se fossi stato più presente, forse..."
Giamma aveva scosso la testa con impazienza. "Non poteva durare, perché l’unica ragazza che non mi annoia sei tu." Si era voltato verso di me, un’espressione seria che al buio sembrava ancora più intensa.
Mi ero sentita stringere lo stomaco e avevo iniziato a dondolare i piedi, nervosa.
"E questo che significa?" Avevo chiesto, titubante. Temevo la sua risposta.
Lui si era rilassato contro il muretto, fissando il mare: "Significa solo che con le ragazze sono più selettivo di quello che pensi. Ma non preoccuparti, non ti chiederò di sposarmi. Tu mi piaci più delle altre, ecco tutto."
Spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Non sapevo se toccarlo o no, ma era così vicino che era impossibile non finire per sfiorare la sua pelle in qualche modo.
"Anche se non stiamo insieme, c'è qualcosa tra di noi. Dobbiamo dargli un nome." Dissi. "Amanti? Scopamici? Sembrano definizioni stupide."
"Forse non esiste una parola per descriverci." Commentò. "Ma so cosa sono io per te: il tuo schiavo."
Lo aveva detto con tanta sicurezza che qualcosa di travolgente mi attraversò la mente fino allo stomaco. Attrazione, tristezza e confusione si erano coalizzati contro di me ancora una volta.
"Voglio solo che tu sappia che non sei costretto a sopportare che il mio cuore sia da un’altra parte, se non ti va." Avevo mormorato, perché capisse che neanche io volevo fargli del male.
"Non ho mai fatto niente controvoglia. E poi, so che un giorno cambierai idea."
Avevamo scambiato un lungo bacio, il più tenero che avessi mai condiviso con lui, dovuto sicuramente all'immensa stanchezza di quel lungo fine settimana che giungeva al termine dopo mille sorprese.
Poi il bacio si era trasformato di nuovo in qualcosa di travolgente. Non l'avrei mai creduto possibile, ma nei suoi baci trovavo la pace. E per raggiungerla, mi perdevo.
Me ne accorsi quando si incuneò di nuovo tra le mie gambe, dove il costume sotto la gonna era ancora bagnato. Aprii gli occhi solo per controllare che fossimo soli, al buio, lontani dalla luce dei lampioni.
"Se quei due di prima l'hanno passata liscia, ci riusciremo anche noi." Aveva sussurrato Giamma, con un ghigno, a proposito della coppietta che avevamo fatto scappare, come se questo potesse rassicurarmi. Si avvicinò languidamente al mio orecchio: "Una delle mie fantasie ricorrenti è quella di farlo qui."
Di nuovo quella sensazione, la necessità di aprire le gambe che si imponeva sopra la ragione. Ma non doveva sapere quanto disperatamente lo volessi; era un potere troppo grande da consegnare nelle sue mani imprevedibili.
"È dove ci siamo incontrati la seconda volta." Commentai.
Ci tenevamo per mano, giocando a una strana danza di corteggiamento.
"È dove ti ho trovato quando avevi bisogno di me." Aveva sussurrato, e io rabbrividii. "Dai, facciamolo ancora. A casa non potrò toccarti; c'è tuo padre."
Aspettò la mia reazione ma, dato che non arrivò, si accontentò di prendere l'iniziativa e di fare tutto da solo, col mio tacito benestare. Cercai l'inclinazione più comoda, attesi il suo ritorno e curvai la schiena quando dovetti accoglierlo.
Non è che non lo volessi. Era solo che volevo lasciarlo accadere. Avevo bisogno di capire se avere Giamma dentro di me fosse davvero così strano com'era sembrato la prima volta.
E lo era. Mi tenevo saldamente alla sua schiena, trattenendo i gemiti, aprendo gli occhi solo ogni tanto per tenere sotto controllo l'ambiente circostante, e per rendermi conto che era proprio lui.
Il rischio di essere visti mi avrebbe forse eccitata di più, se solo fossi stata meno stanca e confusa. Giamma scuoteva i miei sensi con una bravura che soltanto lui poteva avere. Il piacere esplose in fretta, ma si protrasse a lungo. Quando tutto finì, mi accasciai esausta sulle sue spalle.
Ci sistemammo. Tornai giù, toccandomi le tempie stanche per i troppi pensieri. "Mio padre non deve saperlo, e neanche tua madre."
"Ovvio che non devono saperlo!" Rispose lui prontamente. "Penserebbero subito a qualcosa di serio. E allora non sarebbe più divertente."
Tornando a casa, avevo avuto una strana voglia di dirgli di stare zitto. Ma avevo lasciato correre. Non ne valeva la pena.
Ora, il giorno dopo, era tutto sospeso. Di colpo, avevo una specie di ragazzo che non volevo né potevo chiamare tale, e nessuna idea su cosa aspettarmi da lui.
I miei pensieri vagavano, pesanti come pietre. In mano stringevo il cellulare, lo sguardo perso sull’acqua immobile. Le dita indugiarono sullo schermo, il nome di Dario che mi bruciava nella mente. Bastava un tocco, uno solo, e avrei aperto Facebook per cercarlo.
Ma mi fermai. Inspirai a fondo e posai il telefono accanto a me. L’orgoglio mi tratteneva, ma non era solo quello. Era anche la paura di trovarlo felice, di scoprire che si fosse già scordato di me. Come se io fossi solo un altro errore da archiviare.
Mi strinsi le ginocchia al petto, lo sguardo perso sul mare. Non volevo piangere per lui. Non più.
***
Il suo respiro era caldo contro il mio collo, il letto cigolava appena sotto i nostri movimenti, abbastanza forte da attirare l'attenzione di un orecchio attento, se ce ne fosse stato uno. Invece, eravamo da soli.
Sentivo il peso di Giamma su di me, la nostra pelle appiccicata dal sudore crescente, io che mi aggrappavo alla sua schiena.
La sua stanza aveva quell'odore che ormai associavo solo a lui: quella miscela di dopobarba, profumo maschile e scarpe da calcio sudate.
La finestra era aperta, ma attorno a noi c'era solo calore. Aprii gli occhi, e per un istante mi domandai come fossimo arrivati fin lì. A volte, sembrava ancora un sogno. Uno di quelli in cui capita di fare cose che non hanno alcun senso.
Guardai il soffitto, quasi invocando aiuto contro quel piacere continuo e martellante che andava avanti già da un pezzo; un fascio di luce si rifletteva sull'anta della finestra aperta e colpiva i miei occhi; accettai quel fastidio, lo accolsi come una distrazione dal modo in cui Giamma toccava ovunque il mio corpo nudo, dai suoi baci roventi, dalla sua schiena liscia e appiccicosa; ognuno dei suoi muscoli era attivo, si contorceva, come una macchina in cui tutti gli ingranaggi si muovono all'unisono, armoniosi.
Mi lasciai sfuggire un gemito più forte, e subito mi toccai le labbra. Un'abitudine che avevo appena appreso. Sentii Giamma ridacchiare; si fermò un momento, tirandosi via giusto in tempo per riprendere fiato.
"Loro sono usciti. Ti do il permesso di urlare." Mi disse, fissandomi coi suoi occhi scuri e sarcastici.
"Idiota." Mormorai, non volendo dargliela vinta.
Giamma si fermò, accarezzandomi distrattamente i capelli; il suo volto era ancora distorto dal piacere, come probabilmente anche il mio.
"Volevo essere... qui..." Mi diede una spinta che mi fece tremare le viscere. "...fin da quando ti ho vista alla festa. Non sei solo sexy. Sei la mia controparte incasinata."
Sentii anch'io il bisogno di confessare qualcosa. "Asia e Nancy parlano spesso di te. Non ho mai chiesto nulla, ma dopo averti visto con Asia, mi sono chiesta come sarebbe stato se al suo posto ci fossi stata io..."
Lui si fermò un attimo, contento. Poi, con un sorriso, disse: "Beh, ora puoi farmi una recensione!"
"Do un 7 al servizio, ma un 2 al tuo ego."
"Solo un 7?!"
Si diede da fare con foga finché non riuscì a strapparmi l'urlo che voleva. Al che, soddisfatto, finito tutto scivolò accanto a me.
Rimasi al suo fianco, la pelle sudata, i capelli disordinati. Lui si stiracchiò come un gatto, con quell'espressione fiera che mi faceva venire voglia di lanciargli qualcosa in faccia. Non perché lo odiassi, ma perché non sapevo come gestire quell'atteggiamento troppo compiaciuto.
"Vieni sempre così facilmente, che mi sa che la prossima volta non m'impegnerò nemmeno." Mi disse, con un sorrisetto malizioso sulle labbra.
Mi girai su un fianco, dandogli le spalle. "E allora che ci sto a fare con te?"
"Oh, ammettilo." Ribatté lui, sporgendosi verso di me. "Dimmi che quello con me è il miglior sesso della tua vita."
"Hai bisogno di conferme? Mi sembri un po' insicuro."
"Io? Insicuro?" Dalla voce capii che si era davvero infastidito. "Ma se facciamo delle scopate epocali! Solo una stronza non lo ammetterebbe."
Mi alzai dal letto senza rispondere, raccogliendo i vestiti sparsi sul pavimento. Mentre infilavo il top, evitai il suo sguardo, ma sentivo comunque il peso di quegli occhi su di me.
"Tu ricordi tutto del tuo primo bacio?" Gli domandai.
Lui si bloccò, sorpreso dalla domanda. "Beh, certo che sì."
"Io no." Dissi, scrollando le spalle. "Quindi non prendertela se un giorno dimenticherò anche questo."
La battuta lo lasciò senza parole, e io uscii dalla stanza prima che potesse ribattere. I nostri genitori tornarono poco dopo - mio padre venne a cercarci sospettoso, ma noi eravamo già andati a fare altre cose, ognuno per conto proprio - e il resto del nostro pomeriggio trascorse in modo del tutto ordinario.
Chiusa in camera mia - potevamo chiudere la porta durante il giorno - parlai con mia madre, che mi disse di voler organizzare una vacanza.
"Dario aveva la fissa per le vacanze istruttive. Una noia mortale." Aveva detto. E per fortuna non poteva vedere il mio imbarazzo. Era la prima volta che lo nominava da quando si erano lasciati. "Io ho bisogno di rilassarmi, voglio pensare al mare e basta. E tu devi venire con me. Stai troppo male da quando hai lasciato gli studi. Così mi fai preoccupare."
Com'era difficile tenerle segreta la verità. Quanto avrei voluto confessarle tutto. Dirle che ora Dario era mio, o che almeno lo era nel mio cuore, e che solo lui poteva farmi tornare il sorriso. Ma l'idea della vacanza non era male. Non presi alcun impegno, ma promisi che ci avrei pensato.
Alla fine, posai il cellulare sul comodino. Sdraiata a letto, cercai di riposare, anche se il mio cuore era ancora agitato per ciò che stava accadendo con Giamma. Malgrado ciò, non era lui l'uomo che mi apparve nella mente quando chiusi gli occhi.
Mi chinai verso il cassetto del comodino e lo aprii. Da sotto un mucchio di fogli e vecchi quaderni, estrassi una piccola foto. Era piegata agli angoli, consumata dal tempo e dai troppi sguardi che le erano stati rivolti negli anni.
"Ciao, Dario." Mormorai. "Che bello rivederti."
Nell'immagine, il mio amore faceva il duro con me, ammonendomi con la sua rabbia giovanile. Sfiorai il suo viso con un dito, il petto stretto da una morsa che non voleva andare via.
"Sei un idiota. Un grandissimo idiota." Sussurrai, come se lui potesse sentirmi. "Non avresti mai dovuto lasciarmi."
Il ragazzo in foto ne aveva passate tante. Avrei voluto tornare nel passato e abbracciarlo, dirgli che io c'ero ancora, anche se mi stavo perdendo. Che c'ero sempre, anche se lui si era già perso.
Mi mancava come l'aria.
Salve! Mi ero ripromessa di scrivere questo capitolo non appena sarei stata più ispirata, perché tra tante soluzioni che avevo cercato, non me ne piaceva davvero neanche una. Mettendo insieme i vari pezzi che avevo scritto, però, è venuto fuori un capitolo che solo nelle intenzioni iniziali è spicy, ma va bene così.
Vorrei tanto continuare a dedicarmi a wattpad, peccato in questo periodo sono arrivata alla frutta. La mia stagione lavorativa avrà una pausa dopo le feste, e non vedo l'ora, così mi rimetto in forze!
Voi però non mi abbandonate, mi raccomando 🥹
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