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5

Piazza Teatro sembrava spoglia, ora che gli studenti fuori sede erano tornati a casa per il fine settimana. Soltanto pochi ragazzi stavano occupando i tavolini del pub; sentivo il tintinnio dei loro bicchieri e l'odore dei loro panini. Dall'altra parte, una mamma dall'aria stanca aveva appena comprato il cono gelato ai suoi due bambini, un maschio e una femmina. Erano felici, di quel genere di felicità che si dimentica crescendo, quando tutto smette di essere lieto e colorato per diventare confuso e grigio.

Mi ero seduta a gambe incrociate sulla panchina di pietra, e stavo fumando una camel. Un anziano con una bottiglia in mano attraversò la piazza, barcollando, e venne quasi spinto a terra da un bel ragazzo biondo, coi capelli molto corti, che scappava da un connazionale che lo inseguiva inveendo in una lingua simile al russo. Li guardai sparire lungo la strada, e poi tornai a guardare i bambini: non stavano ridendo più.

Stefano e i ragazzi non si erano accorti di nulla. Stavano bevendo delle birre, in piedi davanti a me, parlando con grande coinvolgimento dell'ultima partita della Juve. Una noia mortale per me, che ero anche di malumore. Mi rilassavo gustando lentamente la mia camel. 

"È un ictus, quello?" Domandò Asia.

Anche la mia amica stava fumando, sedendo a cavalcioni accanto a me; dai buchi dei suoi jeans strappati si vedeva la calza a rete nera. Le piaceva apparire come una dura, probabilmente perché dentro non lo era affatto, e l'altezza giocava in suo favore, dato che sfiorava il metro e settanta; il suo viso rotondo circondato da una cascata di capelli neri, però, non faceva paura a nessuno. Persino il suo rossetto rosso scuro stava sbiadendo, rimanendo attaccato alla sigaretta.

"Può darsi." Risposi, scoprendo di avere guardato nel vuoto troppo a lungo. "Non riesco a smettere di pensare a Quasimodo, a quanto sia imbecille e inopportuno. Sono una cattiva persona se gli ho augurato di morire?"

Asia espirò il fumo da un lato, con espressione scettica.

"Dipende. Ti ha messo le mani addosso?"

"Sei seria? Forse non l'hai visto bene." Replicai incredula. "È un nerd, non sa nemmeno come si fa! No, ho perso la testa perché ha messo in mezzo mio padre. Ha detto che mi ha abbandonato, ma lui che cazzo ne sa? Mio padre vive di trasferte, è il suo lavoro!"

Presi un altro tiro, molto lungo. Mi stavo innervosendo, e la sigaretta riusciva a malapena a calmarmi. 

"Devi dirlo a tua madre." Commentò la mia amica. "Lui è un estraneo, non ha diritto di parola sul vostro rapporto!"

Sbuffai, alzando il sopracciglio: "Mia madre non mi ascolta quando si tratta di Dario. Non capirò mai perché le piace. Non ha carattere, non è nemmeno bello."

"Però sembra uno che sa darle sicurezza." Disse ancora Asia, e il suo sguardo si era rabbuiato. "Forse è per questo che ci sta. Meglio coglione che strafottente, no?"

Sbuffai, perché aveva indovinato. Dario era comunque il ragazzo più colto, serio e affidabile che mia madre avesse mai trovato. L'avevo vista uscire con molti ragazzi simpatici, ma alla fine si erano tutti rivelati degli stronzi.

Osservai Stefano, il modo in cui gesticolava con la birra in mano, lo sguardo serio di chi conosce l'argomento e sa che la sua opinione ha un valore. Era un ragazzo perfettamente normale, amava stare in compagnia e divertirsi, ma era anche l'unico tra i suoi amici a non odiare la vita di coppia, e a considerarla invece una risorsa. Probabilmente perché, senza stimoli, si sarebbe ritrovato a dividere l'appartamento con le blatte.

Era un peccato che mia madre non avesse trovato qualcuno come lui. Chiunque sarebbe stato migliore di Dario. La sua sola esistenza suscitava in me delle emozioni complesse che non sapevo spiegarmi.

Io e Asia gettammo via la sigaretta consumata. Nessuna delle due, però, si era calmata. Lei stava ancora fissando Tony, con occhi stretti e i denti serrati, l'espressione rancorosa.

"Vi siete più chiariti?" Le domandai.

"No." Rispose lei, duramente. "Gli uomini sono tutti uguali. Una volta che gliel'hai data, credono di non doverti più niente."

"Quindi domani non verrai alla festa a sorpresa?"

Asia arrossì appena. "Forse non arriverà in tempo alla vostra festa." Sussurrò. "Ne sto preparando una anch'io, nella casa al mare. Ho troppa voglia, Nadia, e questo è l'unico modo che ho per andarci di nuovo a letto senza fargli capire quanto sono disperata."

Mi spiegò il suo piano. Tony sapeva che stavamo organizzando qualcosa per lui; Asia l'avrebbe invitato a casa sua, nel pomeriggio, e gli avrebbe lasciato credere che ci saremmo stati anche noi. Poi lo avrebbe portato ad aprire il suo regalo a letto.

Mi venne da ridere. "Tu sei pazza!" Esclamai. Sembrava divertente, ma in qualche modo era anche strano. Io non avevo mai dovuto ricorrere a stratagemmi del genere per fare sesso.

"Lo so che sono pazza. Ma ho bisogno di scopare, non ce la faccio più."

"Ehi, ma le stai sentendo?" Gridò d'un tratto Ciccio, indicando noi due a Stefano. "Controlla la tua ragazza. Tu pensi al rigore, e lei parla di cazzi con la sua amica."

Stefano mi guardò distrattamente, bevendo un altro sorso della sua birra aperta ormai da troppo tempo. 

"È perché ieri non gliel'ho dato, quella roba ci ha massacrati. Non ti preoccupare, Nana, recuperiamo stasera."

Ciccio rise goffamente, ma Tony scambiò uno sguardo malizioso con Asia.

"Ti prego, dimmi che non mi ha sentito!" Mi sussurrò lei poco dopo, mettendo una mano davanti alla bocca, quando i ragazzi tornarono a parlare degli affari loro. "Se capisce che mi piace è finita, non mi parlerà mai più. I maschi sono dei pezzi di merda. Non hanno sentimenti." Aggiunse, ed era diventata molto triste.

"Non è sempre così." Mi sentii di specificare. "Io e Stefano non ci siamo mai detti ti amo, per esempio, eppure tra noi va tutto bene."

"Questo è perché tu sei sempre fortunata." Mi disse, e capii che mi invidiava. "Io non conosco nessuno che abbia una relazione divertente come la vostra. Sembrate più due amici che fidanzati. Altri stanno insieme, ma sembrano degli estranei."

Ci raggiunse presto il resto della comitiva. Erica, quella che aveva sempre il ciuffo perfetto e l'outfit giusto, salutò Tony saltandogli al collo. Ridacchiò come la smorfiosa che era, quando lui le annusò il collo e la cullò gemendo, come se la volesse disperatamente. Quando Erica venne a salutare anche noi, Asia si era già allontanata fingendo una chiamata.

Più tardi andammo tutti insieme a prenderci un panino. Peppe, il proprietario cinquantenne della panineria, venne ad accoglierci con un entusiasmo esagerato. Scese dal carrozzone e salutò Stefano e Tony con un caloroso abbraccio.

"Avete i soldi?" Lo sentii bisbigliare. "Mi è appena arrivata quella miscela esplosiva..."

"Sì, facci il solito. Il condimento mettilo in una busta, grazie!" Esclamò Stefano, con la voce impostata di chi prova a recitare.

Peppe ritornò alla sua postazione molto contento e iniziò a preparare le nostre ordinazioni. Per me e Asia era il solito wurstel e patatine. Stefano mi fece l'occhiolino, e io lo ricambiai con scarsa convinzione. Voleva di nuovo distruggersi fino a fare a schifo. Potevo capire dai suoi occhi umidi che non vedeva l'ora.

"Ricordati che l'ambulanza non si chiama da sola." Gli sussurrai, con suo grande disappunto.

Il salato delle patatine mi si sciose in bocca. Adoravo andare da Peppe. Non soltanto perché era il nostro spacciatore di fiducia, ma perché sedermi ai suoi tavolini di plastica mi faceva pensare a quando ero adolescente, ai miei primi pomeriggi in comitiva, ai giorni in cui frequentavo Stefano prima di metterci insieme. Era stato un bel periodo. A casa eravamo solo io e mamma, c'era ancora il nonno che ci aiutava con le spese, e mio padre mi spediva sempre delle foto delle sue partite. Tutto era semplice e magico, ero felice senza sapere di esserlo, e credevo che quei pomeriggi sarebbero durati per sempre. Pochi anni dopo, molte cose erano cambiate e tante non mi piacevano più, ma poi tornavo da Peppe ed era come se il tempo si fosse fermato.

La serata era tranquilla e annusai felice l'odore della notte. Dai terreni incolti oltre la strada arrivava l'odore dell'erba bagnata, e mi piaceva come la corrente tiepida mi accarezzasse le guance e raffreddasse lo svizzero nel mio panino. La magia di un'adolescenza felice era ancora in atto.

"Me ne dai una?" Domandò Tony ad Asia, indicando le patatine. Il suo panino non era ancora pronto, e si era appena lamentato di morire di fame. Erica li controllava da lontano.

Tony aveva i capelli corti e il piercing al sopracciglio. Aveva la nostra età, ma essendo alto e barbuto sembrava quasi un uomo adulto. Era bello, ma troppo scapestrato per me. Se non avessi avuto Stefano ci sarei andata a letto volentieri (era chiaramente uno di quelli che sa come farti impazzire), ma non mi sarei mai affezionata come aveva fatto Asia.

La guardai cercare una risposta che non lasciasse intendere che lui poteva avere qualunque tipo di patatina volesse.

"Puoi dare un morso al mio panino, se poi tu mi fai mordere il tuo." Gli disse infine.

Tony sorrise malizioso e accettò lo scambio. Morse il panino di Asia con una lentezza che mi sembrò erotica e poco dopo mantenne la sua promessa e imboccò la mia amica col suo.

"Quei due la combineranno grossa." Mormorai, a nessuno in particolare. Ma un po' mi piaceva la tensione sessuale che si era creata tra loro.

Avrei voluto provarla anch'io. Stefano faceva il figo coi suoi amici, ma probabilmente erano giorni che non facevamo nulla. Non riuscivo neanche a ricordare quando era successo l'ultima volta.

In quel momento, squillò il telefono. Erano le undici di sera, ed era mia madre.

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