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"È successo un casino." Disse Asia al telefono, la sua voce un misto di panico e confusione. "Sono andata a letto con Tony."

Ancora nel primo pomeriggio, però, né io né lei lo avremmo mai sospettato.

Ero tornata a casa di Dario, preferendo le scale all'ascensore, così da evitare chiunque in quel momento lo stesse usando per andare giù; ma beccai lo stesso i vicini del secondo piano: loro uscivano di casa coi bambini che già correvano impazziti per il pianerottolo. Mi lanciarono un rapido cenno distratto, prima di urlare e darsi agli inseguimenti. Potevo star certa che mi avrebbero dimenticata non appena fossi sparita dalla loro vista. Un altro pericolo scampato, pensai.

Naturalmente, io e Dario eravamo finiti a letto insieme, poi avevamo trascorso le ore più calde a riposare, coccolandoci, accarezzati dal fresco artefatto dell'aria condizionata, immersi in una bolla di quiete, scambiandoci solo dei baci lenti, delicati, infiniti.

A un tratto, il mio stomaco aveva brontolato come se fosse a digiuno da giorni. "Voglio qualcosa di dolce." Mi lamentai, rotolandomi a pancia in su e fissando il soffitto, come se lassù potessi trovare la ricetta. "Ti va di preparare qualcosa insieme?"

Dario aveva fatto una faccia strana. "Non so se ho gli ingredienti." Rispose, poco convinto. "Di solito non compro queste cose. Però magari Eliana ha lasciato qualcosa."

Lo fissai incredula. "Non compri burro, zucchero e lievito vanigliato? Che vita triste! Sei per caso un salutista e non me ne sono mai accorta?" Lo presi amorevolemente in giro.

Ma Dario parve in imbarazzo e io mi sentii di nuovo in colpa. Avevo esagerato ancora? L'avevo offeso? "No, è solo che... non ho nessuna vena da pasticcere." Mi guardò con un misto di rassegnazione e ironia. "Ma forse possiamo provare a fare una ciambella. Ricordo che dovrebbe essere facile."

Preparare una ciambella con Dario era qualcosa che non avrei mai immaginato di fare, eppure, eccoci lì, in cucina. Lui aveva quell'aria da professore che affronta ogni cosa come se fosse un esperimento scientifico. Osservava il bancone con la stessa intensità con cui potevo immaginarlo spiegare la relatività generale ai suoi studenti, e io non riuscivo a trattenere una risata.

Era la prima volta che facevamo qualcosa del genere insieme, e potevo affermare che nessuno dei due sapeva esattamente cosa stesse facendo. Sul tavolo c'erano tutti gli ingredienti sparsi: uova, farina, zucchero, latte, lievito, e il burro, che avevo iniziato a far sciogliere vicino al fornello acceso, ora ridotto a una pozzetta molle.

"Sei sicuro che ci voglia tutto questo burro?" Gli chiesi, guardando il panetto ormai mezzo sciolto con aria perplessa.

Dario mi lanciò uno sguardo confuso mentre si avvicinava. "Il burro va sempre bene, no?"

"Bene per chi, esattamente? Per i cardiologi?" Risposi, ridacchiando, mentre prendevo il cucchiaio graduato con cui avrei misurato la farina. "Forse è il caso che controlli di nuovo la ricetta."

Dario prese il cellulare e lo guardò. Lo vidi sfogliare inutilmente la sua cronologia di ricerca: l'aveva persa. "Diceva duecento grammi. O forse erano trecento? Non lo so, non ricordo più qual era. Sembrano tutte uguali."

"E ora come facciamo?" Gli chiesi, spegnendo il fuoco e guardandolo divertita.

Senza farsi scoraggiare, Dario afferrò il sacchetto di farina. "Lo faremo a occhio, è tutta una questione di proporzioni." Dichiarò con convinzione. E proprio nel momento in cui apriva il sacco, una nuvola di farina esplose dal sacchetto, spargendosi ovunque, soprattutto sul suo viso. Per un attimo rimase pietrificato, poi mi guardò con aria smarrita, le lenti quasi del tutto coperte di bianco. "Questo non l'avevo calcolato."

Scoppiai a ridere così forte che dovetti appoggiarmi al tavolo per non cadere. "Se avessi saputo che una ciambella ti avrebbe messo più in difficoltà della fisica quantistica, te l'avrei fatta fare prima!" Presi il pacchetto e versai un po' di farina nella ciotola. Neanche io ero brava in cucina, ma scoprivo con grande soddisfazione che me la cavavo più di lui.

Dario si tolse gli occhiali e ci soffiò sopra, cercando di pulirli, ma rimase solo uno strato di farina appiccicata. La sua espressione si fece contrariata, e io lo trovai adorabilmente buffo. "A saperlo, ti avrei portato a prendere un gelato..." Sbuffò con un mezzo sorriso, cercando di nascondere la frustrazione.

"Ah no, non voglio che la ragione della nostra prima uscita in pubblico sia la nostra totale incapacità di fare una ciambella!" Replicai, fingendo di essere offesa, anche se l'idea di uscire con lui mi faceva battere il cuore. "E poi, ammettilo: è che non vuoi impegnarti davvero!" Lo avevo provocato, e lui trattenne una risata colpevole.

Prima che potesse rispondere, afferrai un pizzico di farina dal sacchetto e ne soffiai un po' verso di lui. Il suo viso, già imbiancato, si coprì di un ulteriore strato polveroso. Anche le lenti degli occhiali divennero più bianche, l'umidità aveva fatto da collante. Stavolta scoppiai a ridere così forte che mi accovacciai a terra.

"Ora è guerra." Di colpo, afferrò l'intero pacco e me lo rovesciò sulla testa.

La cucina si trasformò in un vero campo di battaglia, con la farina sparsa ovunque come un tappeto bianco. Dario, senza preavviso, mi afferrò per le gambe e mi sollevò, facendomi ballonzolare a testa in giù. "Cosa stai facendo?!" Urlai tra le risate, mentre la polvere bianca cadeva giù dai miei capelli come una cascata.

"Hai bisogno di una doccia, no?" Rispose con quel suo sorriso malizioso, scuotendomi leggermente come fossi un tappeto da sbattere. Poi, con un movimento fluido, mi gettò sulla spalla come un sacco di patate e uscì dalla cucina, dirigendosi dritto verso il bagno.

"Dario, sei impazzito?!" Gridai, ancora ridendo, ma lui ignorò completamente le mie proteste. Mi tirò giù solo quando fummo arrivati alla vasca da bagno. Non ebbi nemmeno il tempo di riprendermi, che lui accese l'acqua e, senza pietà, mi spruzzò addosso un getto di acqua fredda.

"Ahhhh! Sei un pazzo!" Urlai tra brividi e risate, cercando di ripararmi come potevo. Ma nella confusione riuscii a prendere il doccione dalle sue mani e a puntarlo contro di lui. Il getto d'acqua lo colpì in pieno petto, e in pochi secondi eravamo entrambi fradici.

"Adesso siamo pari!" Esclamai ridendo, mentre Dario, con l'acqua che gli colava sugli occhiali, se li toglieva e li posava con rassegnazione sul bordo del lavandino. Era talmente zuppo che gocciolava ovunque, ma la sua espressione era tranquilla, ormai rassegnata al caos che avevamo creato.

"Erano anni che non combinavo un casino del genere." Mormorò, sedendosi sul bordo della vasca, osservando le pozze che si erano formate sul pavimento.

Chiusi il getto della doccia e rimisi il doccione al suo posto. Il mio tubino era fradicio, mi si attaccava addosso come una seconda pelle, ma sentivo ancora la farina sui capelli e sul viso, come se anch'io facessi parte dell'impasto.

"È stato divertente, no?" Gli chiesi con un sorriso, cercando di alleggerire l'atmosfera.

"Sì, molto." Rispose lui, ma la sua voce era pensierosa. Poi, all'improvviso, aggiunse: "Perché non sono più il ragazzo che ero prima?" Ma la domanda aveva colto di sorpresa anche lui, che si mosse in imbarazzo e mi guardò come se non avesse mai voluto pronunciare quelle parole.

Mi alzai, il vestito che mi si attaccava alla pelle, e iniziai a sfilarlo senza pensarci troppo. Mi accorsi che mi stava guardando, ammirandomi con un misto di curiosità e dolcezza. Non portavo il reggiseno, ma continuai a strizzare il vestito come se nulla fosse.

"Non so ancora molto su di lui." Dissi, cercando di riportarlo sulla sua riflessione. "Com'eri, prima?"

Dario si voltò, incupito. "Ero molto energico. Ma sprecavo spesso le mie energie per fare cose stupide."

Lo guardai, curiosa. "Eri un cattivo ragazzo? Del tipo che fuma e si droga?" Gli chiesi pensando a Stefano, dispiaciuta all'idea che anche Dario avesse rischiato la sua salute per autodistruggersi.

"A volte fumavo... ma le droghe pesanti non mi interessavano. Ho visto cosa facevano agli altri e sono stato abbastanza sveglio da tenermene lontano." Spiegò, con un accenno di orgoglio. "No, ero più del genere sono migliore di voi, mi sento un dio in terra, faccio ciò che voglio."

Lo fissai, sapendo di non poter nascondere la totale attrazione che provavo per lui. "Credo che avrei perso la testa per te anche allora."

Dario si addolcì e, senza dire nulla, si voltò verso di me. Mi prese tra le braccia e mi baciò dolcemente sulla pancia nuda, facendomi sentire la tenerezza che probabilmente anche allora aveva nascosto dietro la sua facciata da "cattivo ragazzo".

"Perché vuoi essere di nuovo quel ragazzo, se pensi che non andasse bene?" Gli domandai, confusa. Non riuscivo davvero a capire. "Non sei orgoglioso di quello che sei oggi?"

Lui annuì ma il gesto era lento, incerto. Nei suoi occhi scorsi una scintilla, qualcosa di profondo e oscuro che non avevo mai visto prima. "Sarò molto più orgoglioso di me quando tornerò a sentirmi un dio."

Alla fine, dopo esserci sistemati e asciugati alla meglio, tornammo in cucina. "Ti aiuto a pulire." Dissi, sentendomi un po' in colpa per il caos che avevamo creato.

"No, lascia stare. Pensa tu alla ciambella, io pulisco." E mi passò la frustra tra le mani.

"Affare fatto." Risposi, afferrando la frusta con entusiasmo. Ma non appena iniziai a mescolare, l'impasto schizzò ovunque. Era troppo liquido. Dario, che si era abbassato per prendere qualcosa sotto al lavello, si ritrovò con dei pezzi di impasto appiccicoso tra i capelli ancora umidi.

Scosse la testa incredulo, con un'espressione tra il divertito e l'esasperato. "Ma che diavolo... Nadia!" Disse, cercando di ripulirsi, ma sapendo che non ci sarebbe riuscito fino al prossimo shampoo.

"Non è colpa mia! Sei tu che sprecato tutta la farina!" Risposi ridendo.

Dario sospirò, divertito. "È stato bello cucinare con te, ma ti prego, non facciamolo mai più."

"Io lo rifarei altre mille volte con te." Dissi, continuando a mescolare, anche se l'impasto era più un disastro che altro. Ma in quel momento mi sentivo felice.

Dario mi cinse le spalle, stringendomi forte, e mi lasciò un bacio sulla tempia. "Sei tutto ciò che non avrei mai creduto di trovare." Mi sussurrò, prima di staccarsi con un sorriso e mettersi alla ricerca della scopa.

*

Non ci voleva molta immaginazione per prevedere che il nostro impasto sarebbe stato un completo disastro. In forno si era riempito di bolle, e anche se l'odore era invitante, alla fine ci ritrovammo a mangiare una sorta di groviera dolce, seduti in una cucina già tirata a lucido. Dario aveva passato l'aspirapolvere due volte, e io una terza, solo per sentirmi utile e renderlo felice.

Seduti al tavolo, guardavamo il nostro "capolavoro" mentre prendevamo a morsi le fette piene di buchi, trattenendo a stento le risate. Sembravamo due ragazzini isterici.

"È la cosa più schifosa che abbia mai mangiato." Dissi tra le risate, anche se finsi di offendermi quando Dario, ridendo a sua volta, confermò che per lui era lo stesso.

Almeno avevamo passato un pomeriggio diverso, e io stessa mi ero dimenticata di ogni altra cosa al mondo che non fosse lui.

La magia si interruppe bruscamente quando il telefono di Dario cominciò a vibrare. Riceveva messaggi su messaggi da Massimo. Mi ricordai di lui. Alzai lo sguardo e, ormai del tutto incuriosita, gli chiesi: "Allora, chi è questo Massimo?"

"Siamo amici da una vita, anche se per un periodo abbiamo perso i contatti." Fece una pausa prolungata, abbastanza da farmi sospettare che ci fosse dell'altro, qualcosa che non voleva dirmi. "Ci siamo risentiti grazie a Facebook."

Mentre leggeva attentamente l'ultimo messaggio, il suo volto si fece più scuro.

"Che è successo?" Chiesi, sentendomi preoccupata anch'io di riflesso.

"Un nostro amico ha avuto un incidente, è in ospedale." Rispose, la voce tesa. Era seriamente sconvolto. "Un incidente grave. Gli hanno sparato."

"Sparato?" Ripetei, e per un attimo mi domandai se quella che vivevo fosse ancora la realtà, e non piuttosto alla trama di un film americano.

Dario si grattò la testa, il viso tirato dall'ansia e dalla confusione. "Ha avuto a che fare con la persona sbagliata. Vasil è un maledetto temerario, orgoglioso fino all'estremo."

Non sapevo cosa dire. Mi tornava in mente il racconto sulla vita sregolata di suo padre, e l'accenno ai casini ai quali Dario era stato inevitabilmente coinvolto e segnato a vita. Quei pezzi del suo passato sembravano ora riemergere. Tutti gli indizi mi portavano a pensare che questi suoi amici fossero della stessa pasta. D'altronde, li conosceva da una vita. Quella vita...

"Sei spaventata?" Mi chiese all'improvviso. Il suo tono era serio, e mi resi conto che dovevo sembrare sconvolta. Posai nella teglia ciò che restava della mia fetta di groviera dolce. La fame era passata.

"I tuoi amici... rubano e sparano... È questo il mondo da cui vieni?" Gli domandai, non riuscendo a trattenere quella domanda che mi bruciava dentro.

Dario mi guardò, lo sguardo intenso, un po' incerto. "Sono andati avanti anche loro, più o meno. Ma certi vizi sono duri a morire."

Il suo tentativo di minimizzare, però, era un'ammissione. Lo capii subito e mi sentii strana. "È inquietante." Ammisi, stringendo le spalle come a proteggermi. I miei occhi cercavano i suoi, azzurri e penetranti, cercando in loro la mia forza. "Eri così anche tu... Ma ora sei cambiato. Perché li senti ancora?"

Lui sospirò profondamente, come se pesasse ogni parola. "Non si possono voltare le spalle alla famiglia." Disse piano, col tono di chi spiega qualcosa di ovvio, ma doloroso. "Anche se in passato hanno commesso degli errori. L'ho capito a mie spese."

Dario non aveva risposto a Massimo per parlare con me; il suo amico, impaziente, decise allora di chiamarlo. Lui esitò un attimo, come se volesse restare ancora lì, a concludere la nostra conversazione in sospeso. Ma alla fine si alzò e andò a rispondere nell'altra stanza, lasciandomi sola in cucina.

Rimasi in silenzio, cercando di calmarmi e mettere ordine nei miei pensieri. Avevo un bisogno disperato di parlare con qualcuno, mi serviva un parere esterno, ma sapevo che Giamma, l'unico su cui potevo contare, avrebbe colto l'occasione per sminuirlo e farci allontanare. Mi pentii di non aver ancora trovato il coraggio di parlare del mio nuovo ragazzo a Asia o Roberta. Se l'avessi fatto la sera in cui eravamo alle giostre, avrei già avuto qualcuno con cui confrontarmi.

Sentivo Dario parlare in salotto, la sua voce bassa ma decisa. Ogni tanto rispondeva in modo assertivo, probabilmente a quello che era il racconto dell'incidente. Mi sentivo sempre più nervosa. In preda al turbamento, presi anch'io il cellulare e chiamai Asia.

"Nadia? Tutto okay?" La sua voce mi arrivò strana, come se l'avessi colta nel bel mezzo di un qualcosa di importante. La immaginai assorta dalle sue sessioni di studio matto e disperato.

"Non proprio." Dissi, cercando di mascherare l'ansia. "Hai due minuti?"

Lei esitò, il silenzio dall'altro lato della linea mi parve insopportabile. "Possiamo parlare stasera?" Rispose infine.

Mi sentii subito avvilita. "Perché, che stai facendo?"

Ci fu un attimo di pausa, uno di quelli che fanno venire il nodo allo stomaco. "È successo un casino. Sono andata a letto con Tony."

Quella della ciambella, è stata la scena più sciocca e spensierata che abbia mai scritto in vita mia. Non so nemmeno come ho fatto a partorirla (non è il mio stile), so solo che vi avevo promesso che Dario e Nadia avrebbero vissuto altri momenti felici, e mi è subito venuto in mente qualcosa di buffo da fargli fare in cucina. Spero vi sia piaciuto! Dario ha già abbastanza pregi, ci sta che non sappia cucinare le torte, perché avrebbe mai dovuto imparare a farle? XD

Vi lascio con questa piccola suspance, e poi, come avevo già detto a qualcuno, mi piacerebbe cominciare il prossimo capitolo con un nuovo pov: quello di Asia!

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