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L'esame di Letteratura si avvicinava rapidamente. Ormai mancavano solo due settimane, e io avevo deciso di lasciare la mia stanza piccola e calda per andare a studiare nella biblioteca della facoltà. Lì c'era l'aria condizionata sempre accesa, il silenzio tombale mi aiutava a concentrarmi, e vedere gli altri studenti immersi nei propri libri mi motivava a impegnarmi di più.
Quando, però, ogni tanto, alzavo lo sguardo su di loro e li osservavo, mi ricordavo che erano tutti più avanti di me; allora l'insicurezza si insinuava nella mia mente e mi demoralizzava.
Le informazioni faticavano a restare nel mio cervello. Era come se dovessi aggrapparmi a ogni singola nozione, lottando per non lasciarla scivolare via. Guardando gli altri, mi chiedevo cosa ci fosse di sbagliato in me, perché non potessi essere come loro, capaci di apprendere e con la voglia di farlo.
A un certo punto, la frustrazione prese il sopravvento e sentii il bisogno di una pausa. Scrissi ad Asia, chiedendole se fosse libera per un caffè, ma anche lei era bloccata dallo studio, così immersa nella sua sessione d'esami da non essere neppure uscita di casa. Allora contattai Roberta e lei, essendo nei dintorni, accettò subito.
Mezz'ora dopo ci trovammo sedute a un piccolo bar. Nonostante le dimensioni ridotte, l'aria condizionata era al massimo, e ci sistemammo al tavolino più in fondo, finalmente al riparo dal caldo opprimente. Roberta, dopo aver affrontato la salita per arrivare, aveva raccolto i capelli in una crocchia dietro la nuca; alcune gocce di sudore ancora brillavano sulla sua fronte.
Avevamo posato sul tavolino le nostre ordinazioni: due caffé e le granite accompagnate da una brioche rotonda, cosparsa di granelli di zucchero, che erano anche il nostro pranzo.
"Di solito non mangio queste cose." Disse Roberta con un sorriso imbarazzato, come se sentisse il bisogno di giustificarsi per l'assunzione di zuccheri. Addentò un pezzetto di brioche, chiudendo gli occhi per godersi il sapore. "Ho fatto uno sgarro, vista l'occasione. È la prima volta che usciamo da sole."
"Sì, infatti." Risposi, strappando una bustina di zucchero e svuotandola nel caffé. Mescolai col cucchiaino. "Ma penso che dovresti mangiare tutto quello che vuoi."
Lei sorrise, guardando distrattamente il suo addome abbondante. "Magari." Esclamò. "Ma non è una tragedia, ho altre soddisfazioni nella vita. Tipo Ciccio." I suoi occhi si riempirono di dolcezza.
"State davvero benissimo insieme." Le dissi, con sincerità. Sorseggiai il caffé e il suo calore mi bruciò la lingua. "Non l'ho mai visto così felice come da quando ha te."
"Grazie. Idem per me." Mangiammo in silenzio per un po', finché Roberta non ruppe la quiete: "Come sta tua madre?" Avevo quasi scordato che anche lei avesse assistito a quella scenata terribile.
"È stata dura, ma si sta riprendendo." Risposi, abbassando lo sguardo, sentendomi un po' a disagio. "Ti ringrazia per il tuo supporto, l'ha molto apprezzato. Ora vive fuori città. Mi ha invitato a stare da lei, ma è troppo lontano, e io non guido."
"Quella sera è stata orribile per tutti, era giusto aiutare." Affermò lei, con una nota di tristezza. "Hai più sentito il suo ex?"
Sapevo che prima o poi l'avrebbe chiesto. Sentii lo stomaco stringersi mentre rispondevo: "Sì, un po'. Anche lui sta cercando di andare avanti."
Roberta mi osservò per un momento, poi chiese con delicatezza: "E tu, come stai?"
Sospirai, lasciando uscire tutta la frustrazione che mi portavo dentro. "Non lo so davvero. Ho l'esame tra poco e... non va. Non riesco a memorizzare tutto come fanno i miei colleghi. Mi sento una fallita."
Roberta mi guardò con comprensione, sorseggiando il suo caffè. "Guarda che non è facile per nessuno studiare quando a casa va tutto a rotoli. Hai la testa piena di altre preoccupazioni, ecco perché ti sembra così difficile."
"Facevo schifo anche prima." Risposi, scuotendo la testa con amarezza. "Non so, a volte mi sento semplicemente... sbagliata. Come se non fossi fatta per queste cose."
Roberta posò il cucchiaino, il suo sguardo si fece più serio. "Non dire così. Nessuno è perfetto. Tutti abbiamo i nostri momenti di debolezza, e non significa che siamo meno capaci degli altri."
Le sue parole mi scaldarono un po'. Sorrisi, riflettendo, e i miei pensieri uscirono fuori senza filtri: "È buffo, è quello che mi direbbe Dario."
Roberta mi fissò perplessa. "Chi?"
"L'ex di mia madre." Risposi, con esitazione. "È sempre stato molto saggio. Ma ora... non c'entra. Non so perché l'ho nominato."
Cercai di liquidare la cosa, ma Roberta continuava a guardarmi, cercando di capire. Le sue occhiate mi ricordavano molto quelle esasperanti di sua cugina Nancy. Valutai un momento l'ipotesi di confidarmi con lei, rivelarle che i contatti che avevo con Dario erano più che fugaci, ma lei per fortuna cambiò argomento, distogliendomi dall'imbarazzo.
Colsi al volo l'occasione e lasciai correre. Sapevo però che, se avessi parlato, Roberta sarebbe stata in grado di capirmi senza giudicare. Questo pensiero rinfrancò il mio umore, e quando tornai a studiare ero già più serena.
*
POV DARIO
Finalmente solo. Le due ore di lezione con il terzo anno erano state particolarmente impegnative. Gli studenti avevano posto una raffica di domande, alcune delle quali sorprendentemente acute. Amavo discutere di fisica, ma farlo richiedeva una notevole quantità di energie; una concentrazione che io, quel giorno, proprio non avevo. Non ero presente davvero, in classe; la mia mente vagava altrove.
Sulla via del ritorno in ufficio, avevo incrociato i miei due colleghi che si dirigevano verso la mensa. Mi avevano invitato a unirmi a loro, ma avevo declinato. Non avevo fame, desideravo solo un po' di solitudine. Mentre li salutavo, il professor Gallo, il mio ex tutor di dottorato, mi si era avvicinato, appoggiandomi una mano sulla spalla e scuotendo la testa con aria affettuosa.
"Devi reagire, Dario. Il divorzio succede per ricordarci che non dovremmo mai sposarci." Il suo sguardo, stanco e svampito oltre gli occhiali, mi fece sorridere nonostante tutto.
"Ma non ha festeggiato trent'anni di matrimonio l'anno scorso, professore?" Chiesi, cercando di trattenere una risata.
"Appunto." Replicò con un sorriso amaro. "Stammi bene."
Quando finalmente entrai nel mio ufficio, chiusi la porta alle mie spalle e rimasi fermo lì, a gustarmi il silenzio che attendevo da tutta la mattina. Lasciai cadere la borsa sulla scrivania e mi gettai sulla poltrona, affondando con un respiro profondo. Di fronte a me, una pila di documenti aspettava la mia attenzione: test da correggere, articoli da scrivere, email a cui rispondere, la lezione del giorno dopo da preparare. Ma non mi importava. Non in quel momento.
Con una vaga sensazione di colpa, tirai fuori il cellulare. Tra le notifiche, c'era anche il messaggio di Nadia. Morivo dalla curiosità di leggere gli altri, ma finii per andare prima da lei.
- Ho paura di non farcela. Posso venire da te, più tardi? Se ti vedo mi sento meglio.
Il mio petto si sciolse, e mi ritrovai a sorridere da solo, sorpreso dal modo in cui Nadia era riuscita a insinuarsi nella mia vita fino a diventare il centro di tutto. Non era solo l'attrazione o l'adrenalina di ciò che vivevamo di nascosto. Qualcosa di più profondo, e imprevisto, mi spingeva a preferirla a ogni altra donna.
Quando si sentiva persa o fragile, lei cercava me. E questo mi faceva sentire importante, ma soprattutto responsabile per lei. Risvegliava in me qualcosa di protettivo e desideravo essere il suo rifugio, la persona capace di tenerla la sicuro, proprio ciò che non ero stato in passato, con la prima vera ragazza. Forse Nadia era lì perché io potessi espiare tutte le mie colpe.
Le scrissi di vederci alle cinque, pensando già al momento il cui l'avrei stretta tra le mie braccia, ed entrambi saremmo stati in pace. Ma mentre lo facevo, mi resi conto che mi stavo affezionando a lei seriamente, e un vago timore mi impensierì. Mi distrassi aprendo le altre chat.
Massimo: Non è che sparisci di nuovo? Qui vogliono parlarti tutti. Sono anni che ci chiediamo che fine hai fatto.
Ivan: Sei un grandissimo... volevo scrivere cornuto, ma ti voglio troppo bene per infierire. Pezzo di merda, non scomparire mai più.
Vasil: È bello che sei tornato.
Non c'era una sola parola dei loro messaggi che non contenesse degli errori grammaticali, ma non me ne importava nulla. Dopo anni di assenza, mi avevano accettato su Facebook e, dopo avere chattato un po', avevo dato loro il mio numero. Non avevo avuto tempo di leggere le loro risposte. Ora che lo facevo, sentivo una stretta al cuore. Con quei ragazzi non avevo mai fatto nulla di nobile, anzi, ma mi erano mancati più di quanto fossi disposto ad ammettere. Era come ritrovare quella parte di me che avevo perso, la mia famiglia.
Anche se erano passati troppi anni da quando eravamo quei giovani scellerati, e nonostante avessi pagato il prezzo di quella sconsideratezza sulla mia pelle e nella mia mente, una parte di me voleva ancora sentirsi come quel ragazzo che, malgrado tutto, sapeva qual era il suo posto nel mondo. Come se non avessi mai messo la testa a posto, studiando per recuperare il diploma, scoprendo la mia passione per le materie scientifiche e trovando così nella fisica qualcosa che mi riempisse davvero, al punto da arrivare a insegnarla.
Non potevo permettermi di perdere la testa. Dovevo restare lucido, per me e per Nadia. Eppure, oltre lei e al di fuori delle mura della Cittadella universitaria, non c'era mai stato nulla per me. Ora capivo perché. Mi ero isolato dalla mia vera dimensione, dai miei vecchi amici, i compagni di tante sventure; ed ero stato punito, avendo cercato una via di fuga in Eliana, la donna sbagliata.
Sono tornato per restare, risposi a ognuno di loro, Sono stato via per troppo tempo; non voglio che accada più.
Scambiai altri messaggi con loro, sentendomi meglio, più felice. A un tratto, qualcuno bussò alla porta. Lanciai un'occhiata all'orologio: chi poteva essere così imbecille da sperare di essere ricevuto fuori dall'orario di ricevimento? Decisi di ignorarlo, ma la persona dall'altra parte non demordeva. I suoi colpi erano insistenti come quelli di mia madre quando mi chiudevo in camera da adolescente.
"È aperto!" Urlai, esasperato.
La porta si aprì e vidi entrare un ragazzo che conoscevo, ma che non era affatto uno studente. Capelli rasati ai lati, la pelle bruciata dal sole, indossava i pantaloncini e una canottiera, come se fosse appena uscito dalla palestra. Posai il telefono sulla scrivania e mi alzai, sentendo la tensione crescere nei muscoli.
"Giamma." Lo salutai freddamente, stringendo gli occhi in segno di sfida. Quel ragazzo non mi aveva ancora fatto niente, eppure sentivo uno strano bisogno di picchiarlo.
"Dario." Ricambiò lui con lo stesso tono gelido, avvicinandosi a passo sicuro, le mani infilate nelle tasche. "Non è stato difficile trovarti. Non eri a casa, quindi ho pensato che eri qui. Nadia mi ha descritto tutto alla perfezione. Dove abiti, dove lavori... Mi racconta ogni cosa, lo sai?"
"Lo faceva. E solo perché io non c'ero." Risposi secco, stringendo i pugni. "Ti serve qualcosa?"
"So che state insieme." Continuò, abbassando la voce di quel tanto che bastava a non farsi sentire all'esterno, ma senza perdere l'aria di sfida. Il suo sguardo era fermo, provocatorio. "Che intenzioni hai con lei?"
"Come?" Esclamai, preso alla sprovvista.
"Voglio sapere cosa vuoi da Nadia." Ripeté, questa volta stringendo la mascella, gli occhi più duri. "Perché se la stai prendendo in giro, giuro che troverò il modo di fartela pagare."
Mi sentii per un attimo sconvolto, poi reagii. "Io non la sto usando. Lei è importante per me. Ma tu? Chi diavolo sei nella sua vita per permetterti di parlarmi in questo modo?"
"Forse per lei non sono nessuno." Replicò, con una freddezza che tradiva la tensione. "Ma sono l'unico che ha le palle di proteggerla da gente come te. Da quelli che giocano con le ragazze più giovani per vendicarsi di qualcun altro."
Lo guardai con rabbia. "Sei completamente fuori strada!" Esclamai, la voce più alta di quanto volessi. "Non devo spiegarti niente, perché tanto non capiresti. Ma una cosa te la posso dire: non farei mai del male a Nadia. Io non sono come te."
Giamma rimase immobile, teso; i suoi occhi erano due fessure.
"Non la metterei mai in una situazione pericolosa, non la trascinerei in una rissa come faresti tu. Questo è il punto: anche io so tutto di te, Giamma. So che non hai rispetto per le ragazze, che le usi quando ti fa comodo e poi sparisci." Feci una pausa per valutare la sua reazione. "Sei un problema. E sono io che devo proteggerla da gente come te."
Le parole uscirono dure, ma vere. E lui lo sapeva bene, ne avevamo già parlato in passato. Non potevo dirgli apertamente che lo capivo, anche se in parte era così. Giamma era uno di quelli che sfogava le proprie frustrazioni mettendosi nei casini, incapace di evitare situazioni sgradevoli. Allo stesso tempo, però, non riusciva a impedire a se stesso di affezionarsi a una ragazza, nonostante sperasse, con ogni evidenza, di evitarlo. Se Nadia non fosse stata al centro di tutto questo, probabilmente gli sarei stato di supporto, lo avrei compreso. Ma ora stavamo lottando per la stessa donna, e lui doveva imparare a stare al suo posto.
"Neanch'io voglio farle del male, non ho mai voluto." Si giustificò Giamma, la voce più calma, l'atteggiamento meno aggressivo.
"Ci tieni così tanto a lei?" Chiesi sapendo che avrebbe compreso cosa volessi sapere davvero: se era innamorato di Nadia. Ma lui sembrò tergiversare e si grattò la testa, nervoso.
"È solo che, se non posso averla io, vorrei almeno che abbia qualcuno che sia migliore di me. Qualcuno che sappia davvero come comportarsi, che possa darle tutto ciò che vuole. Per questo devo vigilare su di lei."
"Fallo, se vuoi, ma con me sprechi il tuo tempo." Dissi con calma, avvertendo meno la tensione nell'avere quel ragazzo infelice come avversario. "Non posso ancora darle molto, questo lo sa. Ma non vorrei nessun'altra al mio fianco."
"Perché proprio lei?" Mi domandò di nuovo, stavolta con più rabbia. Tremava un po', segno che l'argomento gli stava davvero a cuore.
"Lei mi ama." Risposi, onestamente, guardandolo negli occhi. Sapevo che non avrebbe frainteso; certe cose tra uomini si capiscono senza bisogno di troppe parole. "A volte, questo basta e avanza per amare una ragazza."
"Non per me." Giamma era visibilmente teso. La sua ammissione gli era costata tutto il suo coraggio.
"Sì, lo vedo." Mi sembrò giusto stemperare la tensione e stabilire una tregua. "Senti, non devi andatene per forza. Vuoi pranzare?"
"No, non con te." Era sprezzante. "Cerca solo di non ferirla. Lei vuole te. Non si merita una delusione." Abbassò lo sguardo, la voce meno aspra ma carica di preoccupazione.
Quelle parole rimasero sospese, e non potei fare a meno di rifletterci. Mi resi conto che, nonostante tutto, non avevo ancora detto a Nadia di aver ripreso i contatti coi miei vecchi amici. Non pensavo fosse affar suo, ma forse, in fondo, volevo nasconderle la colpa di avere ceduto a quel momento di debolezza di cui mi vergognavo. Non erano certo il tipo di persone che avrei voluto presentarle. Eppure, nonostante la buona intenzione di tenerla al sicuro, iniziavo a sentirmi a disagio con questo segreto. Vedevo di nuovo in lotta le due versioni di me stesso: quello che voleva nascondere il passato e quello che avrebbe voluto sbatterlo in faccia a tutti con orgoglio.
"Andrà tutto bene." Lo dissi soprattutto a me stesso. Quando Giamma stava per andarsene, il timore che mi rodeva dentro parlò al posto mio. "Ma se così non fosse... se dovesse andare male, se tu dovessi avere ragione... allora sii coerente coi tuoi sentimenti." Feci una pausa, consapevole di quanto stessi rischiando con quelle parole. "Prendila tu, se ci riesci, e cerca di essere per lei la persona che hai appena descritto."
Giamma mi fissò, sorpreso dalla mia sincerità. Non si aspettava di ricevere una sfida simile. Ma per me, non era tanto una provocazione. Era la mia promessa, a lui e a me stesso, che avrei fatto tutto il possibile per non deluderla. E che lui dovesse fare altrettanto.
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