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37 🍋

Non sapevo che avrei scritto questo capitolo tutto oggi, ma ero a casa col raffreddore e non ho avuto molto altro da fare, a parte scrivere. Non sto facendo altro che rileggerlo, e mi piace. Mi sa che è pronto. Eccolo qui, dopo un solo giorno dall'altro 🥲

Dario sta per raccontarci la sua storia: vi avviso che ci saranno un sacco di stereotipi, di cui parleremo al solo scopo di dare un senso alla trama. Che nessuno se la prenda a male, per favore! Si fa per giocare, non certo per prendere di mira qualcuno 🥹

Mi portò a casa sua in gran fretta. Dario era al volante. Mi ero offerta di guidare al posto suo, ma lui, con uno sguardo distratto e un sorriso di circostanza, aveva declinato, dicendo che per quella sera aveva già sofferto abbastanza.

Ancora scosso, guidava con gli occhi fissi sulla strada e la mente visibilmente altrove. "Quando è uscita di casa, l'ho seguita." Iniziò a raccontare, la voce sottile e carica di rabbia trattenuta. "Aveva detto di andare a una cena con la classe, ma non le credevo. Ho parcheggiato e l'ho vista entrare in pizzeria con Amelia e i ragazzini; era tutto tranquillo, ma sentivo che dovevo restare. Quando hanno finito, l'ho vista salutare tutti e girare l'angolo, ma non verso la macchina. Poco dopo, è tornata indietro, e non era più sola: c'era quel ragazzo con lei. Sembravano molto in confidenza. Li ho seguiti fino al pub... e il resto lo sai."

"Mi dispiace, Dario, davvero." Gli dissi. Quando toccai la mano che era sul cambio, i suoi occhi tristi si addolcirono per un istante. Non sapevo cos'altro fare per alleviare il suo dolore, che mi sembrava tanto ingiusto, e glielo dissi.

"Stai già facendo tanto." Rispose, con un accenno di gratitudine nella voce.

Non si calmò quando tornò a casa, anzi, proprio lì la sua rabbia esplose con una forza devastante. Entrò come un uragano, mettendo a soqquadro ogni cosa. Le prime vittime furono le cornici con le loro foto: una appesa in salotto, l'altra in corridoio. Le prese una alla volta, le staccò dal chiodo e le sbatté per terra. Le schegge volarono ovunque e continuammo a calpestarle per ore. Una volta frantumate le cornici, Dario completò il lavoro strappando le foto, una per una, in pezzi minuscoli, davanti alla pattumiera.

Ci furono armadi spalancati, cassetti rovesciati, vestiti strappati dalle grucce e gettati a terra. Sembrava che nulla potesse sfuggire alla sua foga vendicativa. Alcuni oggetti furono ammassati in una valigia che riempiva con gesti frenetici e incontrollati. Ma presto si rese conto di quanto fosse assurdo: non sarebbe bastato nemmeno un camper per portare via in un solo viaggio tutta la roba di mia madre.

Cercavo di stare la calma, ma ero sconvolta e agitata quasi quanto lui. Lo seguivo come un'ombra, cercando di limitare i danni di quella furia devastante. Quando lo vedevo sul punto di rompere qualcosa, spostavo i soprammobili lontano dalla sua portata. Rimettevo a posto i cassetti, recuperavo da terra i trucchi e i gioielli che erano caduti, e li ammucchiavo da qualche parte per evitare di perderli o di inciamparci sopra.

Intanto, sentivamo squillare il telefono, che Dario aveva lasciato nella tasca della giacca appesa all'ingresso, ma che non aveva intenzione di prendere. Quando pensai che non fosse rimasto più nulla da buttare, lui se la prese col letto. Tirò via le lenzuola con pochi gesti decisi, le appallottolò e le gettò in corridoio con disprezzo. Rimase solo un materasso spoglio e freddo, accompagnato da due tristi cuscini spugnosi e desolati.

"Deve sparire ogni traccia di lei." Disse, guardandosi intorno con disprezzo. "Ho sempre odiato questa camera. Io non sono Luigi XIV, non mi servono le pareti d'oro. Sono sempre stato povero, in camera mia non c'era neanche lo stucco, ma ci stavo poco, perché ero sempre fuori, in campagna o in strada. Questa vita non fa per me. Non ho bisogno del finto lusso." Con un gesto rabbioso, conficcò le unghie nella parete abbellita dalla filigrana dorata che piaceva tanto a mia madre e la graffiò, come a volerla strappare via.

"Okay, ora però fermati! Ti fai male!" Esclamai, afferrando il suo polso con entrambe le mani, provando a calmarlo.

Lui mi guardò, e per un momento vidi nei suoi occhi stanchi e tormentati un barlume di tenerezza. "Sei così dolce." Mormorò. "Tu sei più semplice di tua madre. A volte anche troppo. Ricordo ancora in che condizioni pietose tenevi quel monolocale. Ma forse era anche il tuo modo di esprimere la tua infelicità. Ora sei diversa. Sembri quella di cui avevo bisogno."

Cercai di sdrammatizzare. "Non so, forse perché lo sono?" Dissi con un pizzico di timida ironia. "A quanto pare, siamo stati tutti infelici, in questi anni. Ma perché hai sposato mia madre, se non eri convinto di lei?"

"Non ero convinto neanche di me, e mi sono adeguato alle sue aspettative. Ma se volti le spalle al passato, quello ti pugnala." Spiegò, in tono cupo.

Il suo cellulare continuava a squillare. "Forse dovresti rispondere, sarà la mamma, vorrà tornare a casa." Gli dissi, sperando di non agitarlo. Lui si era tolto gli occhiali, li aveva poggiati sulla cassettiera e iniziava a sbottonare la sua camicia dal basso. "Che stai facendo?" Domandai, la voce spezzata dall'emozione.

"Ho chiuso la porta a chiave. Questa è casa mia, e io non voglio nessun altro, a parte te." La sua voce era bassa e vibrava di un fervore oscuro.

Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata, i miei muscoli diventarono molli mentre un calore conosciuto si irradiava dal ventre verso ogni parte di me. Osservavo il suo petto nudo emergere man mano che la camicia si apriva. Quando se la tolse, la mise accanto agli occhiali e, senza esitazione, si avvicinò e mi baciò.

Toccai la sua pelle nuda, morbida e villosa, sentendomi finalmente libera di farlo. Tolsi le mie scarpe e mi lasciai trascinare sul suo letto. La superficie del materasso era strana, diversa dal solito, ma mi ci abituai in un attimo. Mi sdraiai, e lui mi si posizionò sopra, lo sguardo segnato da un desiderio così oscuro da sembrare doloroso. Sfilai il mio vestito aderente dalla testa, restando solo con la biancheria intima, ma un timore profondo mi tratteneva dal toglierla del tutto. Eravamo soli, persino il telefono aveva smesso di suonare. Nessuno mi avrebbe salvata dalla foga di quell'uomo, che era più grande di me, con gli occhi del colore del mare che sembravano annegare nei miei. La porta era chiusa a chiave. Ero completamente nelle sue mani, proprio come quella notte.

"Dario, devo dirti una cosa." Mormorai, la voce tremante.

Lui, senza dire una parola, toccò il mio reggiseno e lo sfilò delicatamente. Rimasi nuda, vulnerabile, ma non provai alcun imbarazzo quando Dario mi guardò e lasciò un bacio in mezzo ai seni. Socchiusi gli occhi, desiderando che non smettesse mai di farlo.

"Dimmelo dopo." Sussurrò lui, con un tono che non ammetteva repliche.

Il mio corpo tremava di desiderio e paura, vedevo già le stelle, persa nell'intensità del momento. Lui portava ancora i jeans, come quella volta, e con cura mi sfilò le mutandine; la sua lentezza era deliberata, come se stesse riflettendo su ciò che stava per fare. Ma non c'era esitazione nei suoi gesti. Slacciò i jeans e lo sentii allinearsi contro di me. Rimasi senza fiato.

"Sei pronta?" Mi domandò, guardandomi negli occhi. Annuii d'impazienza. Mi persi totalmente in lui, non appena lo sentii, estremamente duro, scivolare in me con un'unica lenta spinta, gemendo.

Sembrava impossibile che fosse tutto vero, dopo averlo tanto sognato, ma lo era, Dario era lì. Io ero di nuovo piena e sensibile, tanto che ogni suo più piccolo movimento, persino un semplice respiro, mi faceva rabbrividire di piacere. Mi aggrappai a lui, completamente immersa in quell'estasi senza fine; si muoveva appena, gli occhi socchiusi, travolto da un'intensità che lo aveva lasciato senza fiato. Quando iniziò davvero a muoversi, scorsi nel suo sguardo intenso e assorto anche un'ombra di comprensione.

"Eri tu." Mormorò.

Il mio cuore mancò un battito, la mia voce traboccò di emozione. "Sì!"

Dario sbatté le palpebre, incredulo, i suoi occhi spalancati cercavano di assorbire una verità che sembrava sfuggirgli: "Quella notte, quando sono tornato... eri tu?"

"Sì, Dario." Risposi, la mia voce soffocata dalla commozione. "Ero io. Sono sempre stata io."

Si fermò; tremava, il respiro affannoso, gli occhi che si muovevano ritmicamente, rievocando gli eventi di quella notte lontana. La confusione iniziale si dissolse, sostituita da una gioia pura e inaspettata che illuminò il suo volto. Mi guardò come se mi vedesse per la prima volta e, insieme a me, quella verità nascosta in piena vista. Lacrime di sollievo e gioia incontenibile scivolarono lungo le mie guance, perché finalmente lui sapeva.

"Non me n'ero accorto." Mi confessò, sconvolto.

Accarezzai il suo viso, felice perché mi aveva riconosciuta, e con un gran sorriso gli dissi: "Non importa. Ora siamo di nuovo insieme. È tutto perfetto, vero?"

Dario si mosse più velocemente, colpendo uno dei miei punti sensibili, e una scintilla di piacere attraversò la mia schiena, curvandola e costringendomi a gemere e a stringermi a lui. Rallentò, come se volesse assaporare ogni istante. Era troppo intenso, troppo meraviglioso da consumare subito.

"Sì." Ammise in un sussurro. "È questo che ti ha fatto cambiare?" Mi chiese, con una nota di tristezza nella voce.

"No." Risposi, baciandolo delicatamente. "È grazie a questo che ho capito che ti amo da sempre. Ti ho trattato male perché non riuscivo ad accettare il fatto di essere innamorata di te. Perdonami, Dario. Non volevo farti del male."

Qualcosa si liberò in lui, che ora non aveva più dubbi o riserve. Si mosse più velocemente, stringendo i miei seni tra le dita, come quella notte, baciandomi intensamente. Stavo per raggiungere il mio limite troppo in fretta.

"Ti prego, vai piano." Sussurrai. "Voglio sentirti tutto."

Dario gemette e obbedì, rallentò e quasi si fermò, permettendo ai nostri corpi uniti di bruciare in quella deliziosa tortura. Continuò a baciarmi, strinsi le gambe attorno ai suoi fianchi, sentendo crescere il mio piacere. Aggrappata alla sua schiena, infilai le mani tra i suoi capelli, e tirai, la tensione che cresceva lentamente.

"Sei perfetta." Mormorò, la voce colma di adorazione.

Tutto esplose in un lampo accecante di piacere. Rimasi senza forze, la gola bruciava per il grido viscerale che avevo emesso raggiungendo la mia vetta. I miei muscoli sembravano spenti, e solo un'insolita sensazione di pace attraversò il mio sistema nervoso, un'imperturbabilità che mi fece pensare di aver raggiunto una sorta di morte perfetta.

Un altro brivido mi scosse quando anche lui raggiunse il culmine; lo sentivo scorrere dentro di me. Istintivamente, usai le gambe per stringerlo, cercando di trattenerlo il più a lungo possibile, sia lui che il suo seme.

Esausta, aprii gli occhi con difficoltà per cogliere l'estasi ancora visibile sui tratti del suo volto e lo baciai. Lui ricambiò il bacio, poi scivolò di lato, accasciandosi sul cuscino. Mi tirò a sé, il suo seme fuoriuscito macchiava le mie cosce, ma non mi importava. Mi accoccolai sul suo petto, appagata e serena.

"Ho avuto dei sospetti, in realtà." Mi confessò Dario, la voce carica di una nuova comprensione. "Diverse volte, e quasi sempre quando ero con te. Ma non avevo mai osato immaginare... Perché eri qui?"

Gli raccontai brevemente cosa fosse successo in quei giorni. Alla fine del racconto, scoppiò a ridere. "Quindi devo ringraziare il tuo ex e il tuo nuovo amico per questo!" Esclamò, il suo volto illuminato da un sorriso di incredulità e sollievo.

"Mi sei venuto dentro." Gli dissi, con un misto di preoccupazione e curiosità. Io prendevo la pillola, ma lui non lo sapeva. "Non ti preoccupa?"

Dario scrollò le spalle con schiva sicurezza. "No, non m'importa. Tu da oggi sei mia. E a te importa?"

Stavo ancora tremando di passione per la sua risposta, e risposi con foga: "Affatto!"

Lo baciai con trasporto, lasciando che il nostro affetto e la nostra connessione riempissero il momento. Proprio allora, il telefono squillò di nuovo. Dario, ora più tranquillo, decise di rispondere, e io colsi l'occasione per andare a lavarmi.

Camminando scalza verso il bagno, cercavo di evitare i maglioni e i frammenti di vetro sparsi sul pavimento. Nonostante la cautela, pestai un pezzo di vetro e tornai in camera zoppicando. Quella casa era ridotta a un disastro. Dario tornò poco dopo, fissando il cellulare con uno sguardo confuso.

"Mi sta chiamando Santino." Annunciò, come se fosse un pensiero che aveva appena elaborato.

"Chi è Santino?" Chiesi, mentre infilavo il mio abito con una mano tremante per l'adrenalina del momento, in punta di piedi perché il taglietto sul tallone mi faceva ancora male, anche se quel nome non mi era nuovo.

"Il mio patrigno." Rispose Dario, accettando la chiamata. "Pronto?"

Dall'altra parte del telefono era esplosa la musica gracchiante di Y.M.C.A., che ci fece scambiare uno sguardo perplesso. Forse era partita una chiamata durante i balli di gruppo del paese?

"Dario? Ci sei?" Gracchiò una voce maschile, dal forte accento calabrese. "Non ti sento bene, tua madre ha saputo che tu e Eliana vi siete lasciati e ha acceso lo stereo al massimo. Come stai?"

Dario avevo messo il vivavoce. Il volume della musica diminuì quando sentimmo il rumore di una porta, e Santino, evidentemente, uscì in giardino, allontanandosi dalla casa e dal fracasso.

"Tutto bene." Rispose Dario. "Vi ha chiamato Eliana?"

"Sì, poco fa. Ha detto che non rispondi alle sue chiamate e ci ha chiesto di contattarti subito, che ha paura di un tuo gesto estremo. Ma non capisco, perché vorresti ammazzarti?"

"Forse perché ho scoperto che ha un altro." Disse lui, con disprezzo.

Santino bestemmiò con entusiasmo e aggiunse: "Ha un altro? Questo però non lo diciamo a tua madre. Non è ancora il momento di stappare il vino del 2006."

Non avevo mai saputo che i suoceri odiassero mia madre, forse non lo aveva mai saputo nemmeno lei. Il loro entusiasmo non mi divertiva affatto; Dario si accorse del mio disagio e cercò di chiudere la conversazione.

"Se vi richiama, ditele che può venire a prendere la sua roba domani. Per ora, non le voglio parlare."

"Davvero, Dario, dalla voce sembra che l'hai presa bene." Commentò Santino. Si assicurò che fosse tutto a posto, e infine lo salutò.

Più tardi, io e Dario avevamo rimesso in ordine il letto e sistemato delle lenzuola pulite. Ci sdraiammo vicini, immersi nella penombra, con solo il chiarore della strada che filtrava dalla finestra e si rifletteva sull'armadio di fronte a noi. La stanza era avvolta in una tranquillità che sembrava irreale. Eravamo esausti, circondati dal caos che non avevamo ancora rimesso a posto, ma stavamo bene ed eravamo stranamente felici.

Mi ero coricata con il mio vestito addosso, la testa appoggiata al suo petto nudo, ascoltando il suo battito regolare. Non mi sembrava vero poterlo toccare, abbracciare e baciare così liberamente. Potevo anche chiedergli di fare di nuovo l'amore, sicura che la risposta sarebbe stata un sì. Era un sogno che si era avverato.

Anche mia madre stava bene, l'avevo sentita via messaggi. Non aveva idea che fossi con Dario, mi aveva solo scritto di avere trovato ospitalità da un'amica. Per il momento, non c'era nulla di cui preoccuparsi. Ero finalmente in pace.

Sembrava il momento giusto per conoscerlo meglio e chiedergli di un passato che anche quella sera era tornato a incuriosirmi. Era rilassato, e sperai che avesse anche voglia di aprirsi. "Ti va di parlarmi del tuo passato?" Gli domandai, accarezzandogli il petto.

Dario si mosse, i suoi battiti accelerarono, ma mi parve che quella domanda inaspettata non gli fosse anche sgradita. "Sì, mi va." Rispose, e la sua determinazione mi rincuorò. "Mettiti comoda, credo sia meglio partire dall'inizio."

Cominciò a raccontare.

"Mia madre era poco più che una ragazzina quando incontrò mio padre. Aveva lasciato la scuola dopo la terza media perché la sua famiglia era povera e aveva bisogno di aiuto nei campi. C'era un ragazzo più grande, Santino, il figlio dei vicini, che si era fatto avanti già deciso a fidanzarsi e sposarla. I miei nonni erano d'accordo, vedevano in lui una buona opportunità, ma mia madre rifiutò. Aveva solo sedici anni, e aveva appena conosciuto un altro ragazzo, uno che girava per la campagna raccogliendo roba vecchia da rivendere.

Era un tipo magro, sporco, malvestito, e non ispirava molta fiducia. Parlava con un accento straniero che aumentava la diffidenza della gente del paese, ma nonostante tutto, era bello. Aveva i capelli biondi e gli occhi chiari, una cosa rara da quelle parti. Ben presto si scoprì che era l'unico figlio di una famiglia di albanesi che non era ancora stato rimpatriato o incarcerato. Vivevano ai margini della società, e lui era considerato poco più di un vagabondo. Ma a quel punto, per mia madre non aveva più importanza. Si era già innamorata di lui... e poco dopo scoprì di essere incinta."

Dario si fermò per un attimo, come se stesse cercando di digerire la storia che stava raccontando, una storia che non aveva mai davvero superato. Contemplai anch'io il suo racconto, cercando di collegare i pezzi che si stavano formando nella mia mente. "Era lui tuo padre? È albanese?" Domandai, con un filo di voce.

All'improvviso, pur non essendo un'equazione esatta, il biondo scuro dei capelli di Dario e l'azzurro dei suoi occhi ebbero un senso. Quelle caratteristiche che lo distinguevano dagli altri e che avevo sempre trovato affascinanti, ora assumevano un significato più profondo.

"Sì." Rispose Dario, annuendo, la voce incrinata da un'antica amarezza. "Naturalmente, i miei nonni si arrabbiarono moltissimo quando scoprirono tutto. Mio nonno, furioso e pieno di vergogna, cacciò mia madre di casa. Arben, mio padre, non si fece scrupoli a lasciarla, dicendole che doveva arrangiarsi da sola, perché né lui, né la sua famiglia potevano permettersi di mantenerla. Mia madre, disperata, non ebbe altra scelta che supplicare mio nonno di riaccoglierla, e lui, per amore di sua moglie, accettò. Ma non fu mai più la stessa cosa. Da quel momento in poi, mia madre fu costretta a vivere nella stalla, trattata come un'estranea nella sua stessa casa."

"Nonostante la gravidanza, fu costretta a lavorare duro, e qualche mese dopo la mia nascita, quando finalmente riuscì a mettere qualche soldo da parte, decise che doveva andarsene. Cercò mio padre, sperando che ci fosse ancora una possibilità per noi tre, perché lui si era fatto vivo ogni tanto, sgattaiolando in casa di nascosto per vedermi. Gli disse che aveva dei risparmi, che potevamo usarli per iniziare una nuova vita insieme. Ma quando lui scoprì dei soldi, venne una notte, le raccontò una bella storia, e poi, illudendola, li rubò. Sparì senza lasciare traccia."

Ogni parola di Dario era intrisa di tristezza. "Mia madre, distrutta, non ebbe altra scelta che rimanere lì, a crescermi nella stessa casa in cui ormai era trattata come una serva. Santino, il ragazzo che l'aveva corteggiata un anno prima, continuava a frequentare casa nostra, buono e comprensivo sia con me che con lei. Ma la sua famiglia voleva che sposasse una donna illibata, e i miei nonni erano d'accordo, considerando mia madre una sciagurata. Alla fine, fu lei stessa a lasciarlo andare, capendo che non avrebbe mai potuto offrirgli una vita decente. Lui si sposò poco dopo, proprio quando mio padre iniziò a entrare e uscire di prigione per furto."

La sua voce si abbassò ancora, quasi un sussurro. "Quando mia madre seppe dai giornali che mio padre era in carcere, capì che era l'unico modo perché io potessi conoscerlo. I primi ricordi che ho di lui sono in prigione: catene ai polsi, guardie che ci sorvegliano. Non era cattivo con me, ma non c'era affetto, solo una considerazione distante.

Quelle visite mi spaventavano; da allora, ho sempre associato il pensiero di mio padre a qualcosa di negativo. Quando avevo otto anni, la moglie di Santino morì, e stavolta lui si impuntò per sposare mia madre. Lei, piena di riconoscenza e stanca di lottare, accettò. Ci trasferimmo nella seconda casa di campagna della sua famiglia, lontana da tutto quello che conoscevo, compreso il carcere. Dovetti cambiare scuola, e lì iniziarono a prendermi in giro. Non riuscivo ad accettare Santino come padre, non accettavo mio fratello, e il fatto di non vedere più Arben mi fece chiudere in me stesso. Iniziai a cambiare già allora, diventando sempre più introverso e arrabbiato."

Qualcosa lo aveva turbato profondamente. Si liberò di me e alzò la schiena, il volto teso in un'espressione di disagio. Preoccupata, mi sollevai anch'io e lo presi per mano. Notai che i suoi occhi erano fissi davanti a sé, verso l'unica impronta di luce che filtrava nella stanza, schiacciato dal peso insostenibile dei suoi ricordi.

"Le cose sono precipitate a sedici anni, quando mio padre è uscito di prigione ed è tornato a cercarmi." Continuò a raccontare, la voce roca, stringendomi forte la mano. "Ero giovane, avevo bisogno di lui. Credevo che fosse tornato per me, invece voleva solo usarmi. Una sera, qualcosa è andato storto. Lui è tornato in galera, io sono finito in comunità. Dato che ero ancora minorenne, secondo la legge ero stato vittima delle circostanze."

"E non era così?" Chiesi, timidamente, notando l'incertezza nella sua voce.

"No." Rispose, in un sussurro rassegnato. "Ero cosciente di quello che facevo. Ma non ho più voglia di parlarne. Scusa." Mi strinse la mano con una forza che trasmetteva tutto il dolore e la delusione accumulati negli anni.

"Non devi scusarti." Risposi, sentendo il petto pensante per il dispiacere che provavo per lui. Lo invitai a sdraiarsi a letto, e quando tornò con la testa sul cuscino lo baciai dolcemente. La sua storia, per quanto triste fosse stata, mi aveva fatto tornare la voglia di lui. Solo che ormai era tarda notte. "Hai sonno o ti va di rifarlo?"

Il suo sorriso, carico di sorpresa e gratitudine, rischiarò la penombra. "Non sarò mai così stanco da dirti no." Mi baciò con passione, e mi ritrovai di nuovo tra le sue braccia, pronta per lui, e lui per me.


Che ne pensate della storia di Dario?Preciso, ancora una volta, che non ho nulla contro gli albanesi (che tra l'altro avrebbero prodotto un bel figliolo, come possiamo vedere) e, per sicurezza, vi informo che non ho niente neanche contro i calabresi (per lo stesso motivo, e poi la nduja è buonissima, amo il piccante) 😂❤️

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