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20

Io, Asia e Giamma scendemmo in strada a cercare la macchina. Asia era in testa, e Giamma mi superò per starle vicino. Il marciapiede era stretto, quindi mi ritrovai dietro di loro, senza riuscire a sentire di cosa parlavano.

"Questo parcheggio miracoloso era un po' lontano, a quanto pare." Commentai, acida, dopo avere camminato per due isolati.

"Dici? Sembrava più vicino." Scherzò Asia.

Finalmente raggiungemmo la sua auto. Mi avvicinai al lato passeggero e afferrai la maniglia già sbloccata dal telecomando, ma la mano di Giamma s'intromise e spinse via la mia.

"Vai dietro." Ordinò. "Io devo stare davanti anche quando non guido."

Stavolta non mi spostai, decisa a lottare per quel posto come se ne andasse della mia vita.

"Devi farlo? Cos'è, ti arrestano se non lo fai? Senti, non mi sono mai seduta dietro Asia da che ha preso la patente, e non comincerò oggi."

Giamma mi fissò con sarcasmo. Scoppiò a ridere, aprì lo sportello e semplicemente si sedette. Anche Asia stava ridendo. Non era ancora entrata e, con le mani giunte sopra al tettuccio, mi pregò di portare pazienza. Io ero allibita, ma presi posto dietro di lei senza dire una parola.

Passammo a prendere Ciccio. Mi ero esclusa dalla conversazione volontariamente, per questo il suo saluto pieno di entusiasmo mi sembrò fuori luogo.

Non vedevo Ciccio da almeno due settimane, e già lo trovavo cambiato, più robusto e sicuro di sé. Sembrava avesse fatto un bagno nell'autostima. Lo capivo dai suoi gesti, dal modo in cui sedeva, con la schiena rilassata e le gambe spalancate. Se non fosse stato un mio amico - oltre che amico di Stefano - mi sarebbe pure piaciuto.

"Oh, Nadia, tutto bene?" Mi domandò durante il tragitto. Intravedevo nella penombra i suoi occhi castani e mi parvero sinceramente interessati. "Ho saputo della rottura."

"Sono stata meglio." Ammisi, guardando fuori dal finestrino. "Sto provando a concentrarmi sullo studio. Stefano come sta?"

Nei posti davanti cadde il silenzio. Stavano entrambi ascoltando. Ciccio si toccò i capelli arruffati dal gel, segno di un leggero disagio.

"Beh, è incazzato come una bestia. Si è sfogato parecchio con me e Tony, te ne ha scaricate un po'... Non sa nemmeno perché l'hai lasciato. Dice che secondo lui l'hai preso in giro per tutto il tempo."

"In effetti non ho ancora capito perché lo hai lasciato." Affermò Asia, mettendo una freccia e girando il volante.

Giamma si voltò a guardarmi. Temevo che lui parlasse, così scossi la testa per ricordargli di tacere.

"Non mi piaceva più, ragazzi. Tutto qui." Risposi, ma sentivo che la mia voce era incerta. "Negli ultimi giorni si è comportato male, ero stanca e ho preso una decisione che conservavo da un po'."

Sia Asia che Ciccio iniziarono a fare domande. Giamma sovrastò le loro voci ed esclamò:

"Cambiate argomento! La vedo depressa da quando la conosco, non ne posso più."

Scambiammo un rapidissimo sguardo d'intesa, in cui gli manifestai tutto il mio stupore; me n'ero quasi dimenticata, ma Giamma era ancora lo stesso ragazzo che mi aveva aiutata quella notte. E l'aveva appena rifatto. L'argomento Stefano venne accantonato, ed era stato solo per merito suo.

La cena mi confermò che Giamma non era un trituratore di cibo soltanto a casa, coi piatti di sua madre. Con lui non c'era il rischio di lasciare del sushi: in quello stomaco di ferro entrava di tutto, anche i piedi del tavolo.

"Ecco perché sua madre non ha mai del tempo libero, quando torna a casa da lavoro." Commentai aspramente, tenendo un onigiri tra le dita. Giamma aveva appena infilato tra le fauci un'enorme cucchiaiata di riso alla cantonese. "Deve cucinare per trenta persone, o il suo prezioso bambino non sarà mai sazio."

"Peccato che ventotto di quelle trenta persone si chiamano tutte Davide." Ribatté lui, mentre stava ancora masticando. Alcuni chicchi di riso schizzarono qua e là sul tavolo.

"Cazzate! Mi padre se vuole sa cucinare da solo."

"E quando vuole?" Esclamò Giamma, e la finta ingenuità con cui aveva posto la domanda fece sganasciare Ciccio dalle risate.

"Davide è un grande." Affermò lui con simpatia. "L'ho intravisto tante volte da lontano, quando giocavo a calcio anch'io, ma non mi sarei mai sognato di parlarci. Peccato che non lo abbiamo conosciuto prima, eh, Giamma? Forse avrebbe cambiato la vita anche a me. Allora ero più motivato."

Giamma annuì, ma mi guardò sottecchi e continuò a mangiare. Avevo l'impressione di essermi persa un pezzo.

"Di che state parlando?" Domandai, ma valutando l'espressione di Giamma sapevo già come sarebbe finita.

"Non ti riguarda, affari nostri." Sbottò, continuando a sputacchiare.

"Beh, allora cosa fai nella vita, Giamma?" Domandò Asia. Lei sedeva al mio fianco e di fronte c'erano i ragazzi. "A parte andare in palestra. Frequenti l'università?"

"Dovrebbero lobotomizzarmi perché mi iscriva all'università." Rispose lui, sarcastico, preparandosi a ingurgitare un'altra cucchiaiata. Il piatto era ormai quasi vuoto. "No, non fa per me. Ho altri progetti in mente, ma non ve ne parlerò neanche sotto tortura."

"Non ti facevo così scaramantico." Esclamò Asia, sorridendo.

"Non lo sono, credo solo nella sfortuna." Ribadì Giamma. "E tu invece che fai?"

"Faccio l'Accademia delle Belle Arti. A te piace l'arte?"

Asia andava fiera di poche cose, una di queste erano i suoi quadri. Potevo giurare che stesse già fantasticando di mostrarli a lui, che però storse la bocca in una smorfia ed esclamò:

"Non direi. Una tela squarciata è solo una tela squarciata, e una banana attaccata al muro con lo scotch, è solo una banana attaccata al muro con lo scotch. Non ho senso artistico, io."

"L'arte contemporanea è opinabile, è vero. Ma funziona, e ne è prova il fatto stesso che tu la conosci, pur non amando niente di tutto ciò."

Giamma masticò lentamente, ascoltando con attenzione.

"Tu hai più risorse di quanto vuoi farci credere." Le disse. "Non credo si possa dire lo stesso di quel Tony."

Lui e Ciccio continuarono a scherzare per l'intera durata della cena. Anche se mi ero indispettita, alla fine ero riuscita a divertirmi anch'io. Più tardi si offrirono di pagare, così io e Asia andammo fuori dal ristorante.

"Lo sapevo che con Giamma ci saremmo divertite." Esclamò la mia amica, stringendosi nella sua grande sciarpa pesante per sopportare l'improvviso fresco notturno. "È quasi sbagliato che un ragazzo così attraente sia anche simpatico. E hai notato che Ciccio è cambiato?"

"Sì, a forza di frequentarlo sta diventando come lui. Quei due hanno in mente qualcosa." Commentai, e osservai Asia con attenzione. Non la vedevo così felice da che le cose con Tony andavano bene. "Che intenzioni hai con Giamma? Lo sai che quando Tony e Stefano ci vedranno con lui succederà un casino."

Giamma e Ciccio erano ancora in fila alla cassa, li vedevamo attraverso il vetro. Vestiti in jeans e pelle, il loro aspetto estroso ed aggressivo spiccava sopra ogni altro.

"Ma è proprio quello che voglio. Ho bisogno di Gianmarco per fare ingelosire Tony." Rispose lei. "Avevo capito che a te non piaceva! Se non è così, ti chiedo scusa e mi faccio da parte."

"Ma no, non c'entra, sono solo preoccupata per te." Le spiegai. "Devo metterti in guardia perché sei mia amica, e so che lui è come tutti gli altri, vuole solo divertirsi. Non voglio che ci resti male."

"Io non so più cosa significa restare male, quindi non preoccuparti." Mi disse Asia, sorridendo di tristezza. Abbassò lo sguardo un momento e poi aggiunse: "Grazie. A volte mi sembra che sei l'unica al mondo a preoccuparsi per me."

Asia non aveva una situazione familiare felice e si era sempre sentita un po' sola. Ecco perché si affezionava a ogni idiota che incontrava. Ognuno di loro aveva un modo tossico di farla sentire importante, compreso Giamma. 

Quando ci mettemmo in marcia verso la piazza, iniziai a sentirmi nervosa. Ciccio era tranquillo. Aveva scritto nel gruppo che saremmo arrivati col suo amico e, dato che nessuno lo aveva preso per coglione (gli volevano tutti troppo bene), si era forse convinto che non avremmo avuto altri problemi.

"Hai parlato con Giamma?" Gli sussurrai, mentre lui e Asia ci camminavano davanti.

"Riguardo a...?" Ciccio parve confuso.

"A stasera, no? A non farsi picchiare da nessuno!" Gli spiegai. Era esasperante che non si rendesse conto del pericolo.

Mi guardò allibito, come se avessi detto qualcosa di molto stupido. La sua risposta mi rese, se possibile, ancora più ansiosa.

"Credimi, non è lui che dovremmo mettere in guardia, ma gli altri."

Si erano sistemati in fondo alla piazza, sparsi sugli scalini di un vecchio edificio. Stefano stava in piedi, nervosamente intento a fumare con i ragazzi. Alby ci fece un cenno quando ci notò, ma Stefano ci voltò le spalle.

Dall'altra parte, separati dagli altri, sedevano Tony ed Erica. Lui aveva un braccio attorno alle spalle dell'amica, quasi a segnarla come sua. Con una piccola corsa raggiunsi Asia.

"Lo sta facendo apposta." Sussurrai.

"Lo so." Rispose lei. Anche se cercava di sembrare calma, sapevo che dentro di sé stava soffrendo.

Più ci avvicinavamo al gruppo, più i nostri passi si facevano lenti. Solo Ciccio si mosse in avanti. Felice e amichevole come un orsacchiotto di peluche, salutò tutti prima di noi e, in qualche modo, riuscì a rompere il ghiaccio.

Non mi ero accorta che Giamma e Asia si tenevano per mano. Uno dei due doveva aver deciso di sfidare Tony usando la sua stessa arma. Quel gesto non passò inosservato tra i nostri amici. Alcuni, per curiosità o educazione, iniziarono a parlare anche con lui. Tony e Erica, però, sembravano non curarsi di nessuno. Appena colpiti dalla luce gialla di un antico lampione in piazza, si erano dissociati optando per un modo molto volgare di baciarsi.

Alby schiacciò la sigaretta a terra e mi salutò. Stefano mi dava ancora le spalle, intento ad accenderne un'altra. Mi avvicinai e i ragazzi si spostarono, lasciandoci soli. Mi posizionai di fronte a lui, che continuava a evitare il contatto visivo e a tenere un atteggiamento distante.

"Non vuoi salutarmi?" Gli domandai, non sapendo come altro uscire da quella situazione di stallo.

Casualmente, il fumo esalato da Stefano mi colpì in pieno viso. Il mio stomaco si contorceva: non riuscivo ad accettare che mi trattasse così, come se fossi un'estranea, come se mi odiasse.

"Ciao." Mi disse, forzatamente. "Così ora ti fai sbattere da quello?"

Nessuno lo aveva sentito. Stefano aveva solo accennato a Giamma senza voltarsi, per cui non lo aveva visto tenere per mano Asia.

"Come ti viene in mente?" Ribattei, indignata. Poi, pensando che forse aveva saputo dei nostri genitori, provai a rassicurarlo. "A lui piace Asia."

Stefano, irritato, prese in giro le mie parole e aggiunse con disprezzo:

"A lui piacciono tutte. Comunque, non m'interessa, sono affari tuoi."

Lo vidi inspirare ed espirare la sigaretta come un forsennato, e pensai che mi sarebbe piaciuto possedere l'antidoto che l'avrebbe fatto stare meglio. 

"Stefano, ascoltami." Insistetti, mentre fissava un punto lontano. "Lo so che è dura, ma sarebbe bello se restassimo amici."

"Siamo amici, stiamo parlando. Che altro vuoi?" I suoi occhi però bruciavano d'odio.

"Cerca di essere buono con te stesso, okay? Non fare cazzate... Non continuare a fumare solo perché vuoi farmi un dispetto. Io lo dicevo per te."

Cadde il silenzio. Stefano lasciò cadere il mozzicone a terra e ne accese un'altra ancora. Non aveva colto il messaggio. Dietro di lui, i ragazzi continuavano a chiacchierare, ma notai un certo nervosismo tra Tony ed Erica, che alternavano i loro baci osceni a delle risatine di scherno dirette ad Asia.

"Rimarrai in quella casa?" Gli chiesi di nuovo.

"Sì. Stavo per andarmene, ma la signora Agata ha accettato che pagassi metà dell'affitto. Penso sia un trucco per costringermi a darle una mano ogni volta che me lo chiede." Era chiaramente un argomento di cui voleva parlare, anche se lo faceva con malumore. "Spero solo che non finisca come in quella scena di Yes Man."

"Spero per te di no." Commentai. 

Avevamo visto quel film al cinema quando eravamo più piccoli, e la scena della nonnina che seduce Carl ci aveva fatto morire dal ridere. Ricordavo ancora l'ilarità in sala. Ripensare a quel momento felice mi fece sorridere, ma il pensiero che fosse tutto finito ci gettò improvvisamente nella tristezza.

"Hai un altro?" Mi domandò, guardandomi dritto negli occhi, la sigaretta stretta tra le dita.

"No." 

"Ti piace un altro?"

"Sì."

Non sapevo perché lo avessi detto. Era come se dovessi a Stefano almeno un briciolo di sincerità, in onore del fatto che eravamo cresciuti insieme. Ma lui era diventato nervoso. Guardò alle sue spalle, dove Giamma aveva lasciato la mano di Asia e si era immerso in una discussione animata con alcuni dei nostri amici, probabilmente sul calcio. Pensava che fosse lui a piacermi. Dopotutto, conoscendo le stesse persone, nessun altro avrebbe potuto insospettirlo quanto Giamma, e io non potevo negare.

"Tu e quel coso vi meritate." Mi disse, il viso contratto dalla rabbia. "Sei una pezza di merda anche tu, non so come ho fatto a crederti diversa. Fatti scassare tutta, tanto un vali un cazzo."

I miei occhi si inumidirono all'istante. Le sue parole, il suo odio, i miei sentimenti già confusi, erano troppo intensi da sopportare.

"Sei uno stronzo, Stefano!" Esclamai, e me ne andai via prima che qualcuno, lui compreso, potesse vedermi piangere.

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