17
POV DARIO
Il caldo era tornato all'improvviso. Me ne accorsi perché era da poco l'alba, ma la camera da letto era già invasa da un calore insopportabile, che mi risvegliò dal mio sonno tormentato.
Avevo avuto un incubo. Eliana scappava, correndo giù dalle scale del palazzo, e io la rincorrevo, ma non riuscivo mai a raggiungerla. In certi momenti somigliava a Nadia, ma anche così continuavo a essere sopraffatto dall'angoscia.
Mi alzai barcollando e andai ad aprire la finestra. Gli uccellini che cantavano tra gli alberi del cortile mi diedero il loro cinguettante buongiorno.
Eliana stava ancora dormendo. Aveva rimesso il pigiama durante la notte, e mi sorpresi del fatto che non avesse caldo. Se fosse stata nuda, non sarei riuscito a resisterle. Sicuramente non dopo il rapporto incredibile di poche ore prima.
Ritornai a letto, al suo fianco, e iniziai a baciarle il collo. Ero di nuovo dietro di lei, e sperando di sentirla gemere ancora.
"Amore, non mi va..." Mormorò lei. La sua mano cercò di scacciare la mia che le toccava il fianco.
"Ma non ci vediamo da giorni... Abbiamo appena iniziato." La accarezzavo lentamente, sperando di calmarla, ma riuscendo solo a infastidirla.
Scacciò la mia mano bruscamente, poi si spostò fino a trovarsi faccia a faccia con me. Non vedevo altro che un viso estremamente sfocato, ma anche così mi attraeva da impazzire.
"Allora, che ci fai qui?" Mi domandò Eliana, con la voce rotta dal sonno, eppure stranamente polemica. "Prima sparisci per tutto il giorno e poi torni senza preavviso."
"Era una sorpresa." Risposi, un po' perplesso, perché glielo avevo già detto, ma forse lei lo aveva scordato. "A te com'è andata? Anche tu sei scomparsa."
Mi parve che il suo viso esprimesse tutta la pesantezza di quella giornata.
"È stato un incubo!" Ammise, infatti. "L'autobus ha avuto un guasto, e sono passate delle ore prima che la compagnia mandasse qualcun altro. D'altronde era domenica, nessun autista era disponibile su due piedi. Una pessima organizzazione, davvero." Odorò il proprio pigiama, tirandolo per un lembo, ed esclamò: "Mi sa che stavolta ho esagerato col profumo. O forse non ho lavato il pigiama prima di partire. Ha proprio uno strano odore, sembra usato. Comunque, in generale è stata un'esperienza... interessante. Ho fatto delle cose che non pensavo potessero piacermi."
"Ad esempio?"
"Ad esempio... camminare per ore, sotto al sole, nei siti archeologici." Rispose Eliana, stranamente titubante. "Ma non chiedermi di rifarlo."
La baciai sulle labbra e le dissi: "Non stavo pensando a quello."
Tra noi era successo qualcosa di così meraviglioso che avevo timore persino a parlarne. Il comportamento di Eliana lasciava intendere che quella notte avesse significato qualcosa soltanto per me, e i miei muri difensivi mi spinsero a evitare l'argomento. Lei era una donna affettuosa, ma mai sdolcinata, e io invece sentivo di esserlo diventato e di non poterne fare a meno.
Dovendo tenere quelle sensazioni per me, decisi che Eliana aveva bisogno di fatti, non di parole. Così, presi di nuovo l'iniziativa. Le passai un braccio attorno al collo e la baciai ancora, mentre con l'altra mano mi facevo largo sotto agli slip.
La preparai, la spogliai di nuovo e tornai sugli stessi passi di quella notte, ma mi accorsi che non era più lo stesso. C'era meno passione, non sentivo quel fuoco che mi attirava nel suo corpo e annebbiava la mia mente. Sentivo che a Eliana piaceva, ma era come se stavolta fosse meno coinvolta.
Durò poco, e la lasciai libera. Non mi era piaciuto. La parte peggiore, era quel senso di vuoto che provavo sapendo che niente sarebbe più stato come l'altra sera. Proprio io, coi miei studi, non dovevo sorprendermi della rara ripetibilità di alcuni eventi. Non avevo altra scelta che accettarlo.
Eliana però era nervosa. Scappava continuamente da me, ovunque ci spostassimo. Qualcosa stava assorbendo i suoi pensieri.
"Che hai?" Le domandai, a un tratto, mentre lei mi voltava le spalle ancora una volta per prendere il latte dal frigo.
"Uh? Nulla." Rispose lei, facendo la vaga. E versò il latte nella tazza che aveva comprato a Disneyland. "Penso che non sento mia figlia da quasi un giorno. Sono in pensiero, devo chiamarla. Te l'ho detto che è stata qui?"
Spalancai gli occhi. "No, quando?"
"La sera in cui siamo partiti. L'ho mandata a controllare il soffitto, e ha detto che non c'erano infiltrazioni... oh, guarda! Invece ci sono! Però sembrano freschi, probabilmente non c'erano quando lei era qui."
C'erano infatti delle piccole chiazze di umido sul tetto, e Eliana mi raccontò della perdita al piano di sopra. Nulla di grave, avrebbe chiamato la vicina più tardi per risolvere il problema. Io pensai che forse Nadia non era passata affatto, e che aveva solo detto una bugia per assecondarla. Sarebbe stato nel suo stile.
Proprio allora squillò il cellulare di Eliana. Lei si era appena seduta a tavola, con il sacchetto di cereali integrali accanto alla tazza, pronto per essere versato, ma si alzò di botto e si precipitò in camera come se avesse le ali ai piedi, rifiutando persino che fossi io a prenderlo per lei.
Pensai che fosse proprio strana. Ma poi la sentii rispondere: "Che vuoi, Davide?", e rinunciai ad ascoltare. La rabbia, la gelosia, che mi suscitava il suo ex compagno, superava persino il rancore che provavo per Nadia.
Andai in salotto, dove c'era la scrivania piena di cassetti in cui conservavo le mie agende e vecchie fotografie. Anche se ero tornato in anticipo, sapevo che avrei trovato qualcosa con cui tenermi impegnato. Passando dalla libreria, però, notai subito che la mia bottiglia di Baileys era vuota. Non potevo sbagliarmi, gli occhiali correggevano ogni mio problema di vista, ma la presi ugualmente per guardarla meglio, come fa chi trova un vaso rotto e ne compiange i pezzi.
Qualcuno lo aveva consumato, e quel qualcuno era Nadia. Quindi era vero, era passata. Aveva esaudito una richiesta, per una volta, anche se forse l'aveva fatto in compagnia dei suoi amici. C'erano infatti delle pieghe sul tessuto del divano, e il telecomando non era dove io ero solito lasciarlo.
Quando poco dopo Eliana venne a cercarmi, aveva un'espressione preoccupata. L'avevo sentita battibeccare al telefono con Davide, ma non avevo origliato, pensando solo a portarmi avanti con alcuni impegni, e ricordandomi di passare dal Museo delle Scienze per prenotare una visita con gli studenti.
"Mi sa che ha lasciato Stefano per un altro ragazzo." Commentò lei sconsolata, storcendo il labbro in una smorfia. "Se n'è andata a vivere con lui a casa di Davide, ma non ho capito bene. Se è così, trovo che sia una decisione davvero coraggiosa. Ci credi che Davide ha una casa?"
Non sembrava avere voglia di parlare a lungo, di Nadia o di qualunque altro argomento (continuò a lamentarsi soltanto dello strano odore del pigiama e di Davide), così io semplicemente uscii di casa. Avevo solo l'impressione che le nostre vite non sarebbero più state le stesse, per dei motivi che non riuscivo ancora a spiegare.
*
POV NADIA
Un senso di vuoto aveva catturato il mio cuore in una morsa, e sapevo che non lo avrebbe abbandonato per tutto il giorno.
Stefano non aveva aspettato che finissi di riporre la mia roba in valigia; se n'era andato prima, autoinvitandosi per la prima volta a casa della signora Agata, quasi supplicandola di poter controllare lo stato dei cavi che lui stesso aveva collegato alla TV qualche giorno prima. Li sentivo parlare nel pianerottolo e mi domandai cosa ne avrebbe pensato quella vecchia strega della nostra rottura, quando l'avesse scoperto.
Forse avrebbe gradito che fossi io ad andarmene, e non Stefano, che era quello che, seppur controvoglia, l'aiutava più spesso. E io ero felice di non averla incontrata. Sarei diventata isterica se avessi dovuto ascoltare una sola delle sue domande impiccione.
Mi trascinai fuori dal vecchio portone in stile Liberty e mi fermai là accanto, immobile, col manico del trolley stretto nel mio pugno e lo sguardo perso nel vuoto. Dei passanti mi spintonarono leggermente. Stavo intralciando il loro traffico sul marciapiede.
Mi misi in marcia, anche se avevo l'impressione di galleggiare dentro a un sogno, mentre il cellulare continuava a vibrare nella mia tasca. Avevo controllato, era di nuovo mia madre, ma stavolta non le risposi perché il mio umore era a pezzi. Non avevo avvisato nemmeno mio padre, che aspettava un mio messaggio per passare a prendermi. Volevo soltanto passeggiare, tirando il trolley su e giù per la città, proprio come facevano tutti quegli studenti pendolari che vedevo ogni giorno.
I marciapiedi erano lunghi, caldi e affollati, e io andavo piano, spendendo ogni passo per pensare. Mi tornavano in mente le ultime parole di Stefano ("vorranno scoparti e basta") e pensavo a come avesse accettato facilmente che tra noi fosse finita. Era come se, in fondo, anche lui non avesse aspettato altro. E forse lo meritavo, visto cosa gli avevo fatto.
Avevo ormai percorso alcuni chilometri; ed ero stanca e sudata, ma ero ancora a metà della strada. Ero circondata da molte voci, alcune più sguaiate di altre, ma io continuavo a pensare alle mie cose e a quanto fossi stanca. Tirare quel trolley pesante che faceva un sacco di rumore non era più divertente.
"Ehi! Ehi! Ehi!" Gridò qualcuno. "Ehi, cogliona!"
La voce era troppo vicina a me, e stavolta mi voltai, gli occhi fuori dalle orbite e il dito medio già pronto. Lo mostrai con molta più soddisfazione quando realizzai che era Giamma.
Si era fermato sul ciglio della strada, con la sua moto rossa scintillante ancora accesa. Sorrideva a trentadue denti.
"Stronzo!" Urlai. "Ti comporti sempre come un animale! Che cazzo vuoi ora?"
"Quasi sempre." Precisò. "Vieni qua." E mi indicò la sua moto col mento.
"Scordatelo!" Esclamai, e proseguii per la mia strada. Lui fece rombare il motore e si spostò in avanti.
"Sali!" Insistette.
"Vattene!" Urlai.
Alla fine accelerò ancora e mi sbarrò la strada con la moto prima che potessi attraversare le strisce pedonali.
"Sali in moto." Ordinò ancora una volta.
"Sei cieco? Ho la valigia, come faccio?"
"È piccola, te la tieni in braccio!" Esclamò e sbatté il palmo sulla fronte. "Ma devo spiegarti sempre tutto?"
Guardai la mia valigia, che era così larga e piena di roba che occupava più o meno lo spazio di un grasso maialino. Non c'era modo di tenerla in bilico su due ruote.
"Piccola? Ma sei idiota o cosa? E poi non porti neanche il casco! Ti romperai la testa o ti faranno la multa!" Lo rimproverai, guardandolo torvo.
"Non me lo aveva mai detto nessuno, grazie per l'avviso." Esclamò lui. Poi tornò fastidiosamente serio, e ordinò: "Forza, muoviti."
"Mi hai stufato!" Persi la pazienza. "Preferisco liquefarmi per strada che salire in moto con te. Te ne puoi andare, ora chiamo mio padre!"
Mi ero così innervosita che avevo alzato la voce, e alcuni passanti si erano voltati a osservarci con l'occhio attento di chi presagisce un'aggressione. Nessuno poteva immaginare che stavo urlando a una sorta di parente acquisito con un carattere di merda che conoscevo da un giorno.
Sentii infatti qualcuno borbottare alle mie spalle e, tra gli altri, la voce di un uomo che mormorò: "... incredibile, è proprio qui davanti a me, sta litigando con un ragazzo.... ti richiamo..."
Non sapevo perché, ma il sangue mi gelò nelle vene. Giamma stava guardando a occhi stretti qualcuno che era dietro di me; il suo sguardo si avvicinò a me sempre di più, finché qualcuno non mi toccò la spalla.
*
POV DARIO
Non avevo mai notato nulla di particolarmente interessante in Nadia; per me non era altro che la figlia di mia moglie. Stavolta però mi accorsi che era anche una ragazza molto bella. Mi piaceva il modo in cui il sole baciava i suoi occhi e la costringeva ad abbassare le palpebre. Sembrava una ragazza semplice, alla mano. Forse non molto diversa da ciò che sarebbe davvero, se riuscisse a tenere a freno la sua rabbia.
Non c'era da stupirsi che piacesse ai ragazzi; non per niente assomigliava a Eliana. Quando mi riconobbe, mi guardò con quegli occhi stranamente indifesi che fecero crollare anche le mie difese, stordendomi, perché non ero preparato. Il ragazzo in moto, intanto, continuava a guadarmi ad occhi stretti. Il suo sguardo viaggiava velocemente tra me e lei.
"Chi è questo? Ti sta importunando?" Le domandai.
Nadia guardò il ragazzo, i cui occhi si accesero e le labbra si allungarono lentamente in un sorriso sardonico.
"No, è Giamma." Rispose Nadia, con una voce strana, tremolante. "Lui... se ne sta andando."
Il ragazzo annuì, afferrò i manubri e tolse il cavalletto alla moto.
"Sì, infatti." Ribatté, con un ghigno ancora più grande. "Volevo accompagnarla a casa, ma è una tipa così selettiva... Va solo con chi dice lei. Accompagnala tu, forse con te ci sta."
Quel mezzo teppista non mi piaceva affatto. Sembrava un buono a nulla sempre in lotta con il mondo.
"Giamma, che cosa..." Le sentii dire, ma la voce le si spezzò in gola. Il motociclista se ne andò. "Non lo ascoltare, lui fa sempre così. Con mio padre è peggio."
Nadia divenne ancora più strana, in chiaro imbarazzo. Forse non voleva essere vista con lui.
"Non mi interessa se è peggio." Le dissi. "Mi sembra un pessimo soggetto, e so che tua madre sarebbe d'accordo con me."
Da anni avevo smesso di sprecare i miei consigli con lei, che mai li aveva accettati, ma sentivo che stavolta andava fatto lo stesso. Dovevo aiutarla, anche se ormai ero certo che non lo meritasse. Stranamente, però, non ci furono rispostacce da parte sua. In effetti, non l'avevo mai vista così fragile.
"Non importa." Disse soltanto, abbassando lo sguardo. Era come se le mancasse il fiato. "Non c'è niente tra me e lui."
Rimase in silenzio.
"Tutto bene?" Le domandai. Era di nuovo un campo in cui avevo timore ad avanzare. Già troppe volte Nadia aveva ricambiato la mia gentilezza con la sua malignità. "Lo vedo che qualcosa non va. Sembra che tu abbia passato un brutto momento."
Uno dei suoi occhi si inumidì. Lo vidi brillare al sole, prima che lei lo asciugasse rapidamente con un dito. Abbassò il capo, i capelli castani, sciolti, coprivano parte del suo viso. Aprì le labbra come se volesse dirmi qualcosa, ma non uscì alcun suono. Non l'avevo mai vista così a disagio, e sapevo che non potevo lasciarla andare.
"Ascolta, so che non ti aspettavi di incontrarmi, ma anche se ho anticipato il mio ritorno a casa ho comunque delle commissioni da sbrigare." Le dissi. "Ora ho appuntamento col Museo delle Scienze, devo prendere una prenotazione a nome dell'Università. Resta. Non ci vorrà molto, quando avrò finito andremo dove vuoi."
*
POV NADIA
Dario poteva portarmi dove voleva; difficilmente avrei detto di no. Vestito con giacca e camicia, la barba appena fatta, dimostrava in pieno la sua età, e malgrado ciò mi piaceva.
Ero rimasta senza fiato quando lo avevo visto. Andava in giro vestendo i panni di un professore di tutto rispetto, un marito per bene, e solo io conoscevo quella parte di lui che era stata preclusa a tutti, persino a se stesso.
Ma non a Giamma. Lui aveva capito subito chi fosse. Nessun altro adulto avrebbe potuto sconvolgermi così tanto. Se solo quello stronzo non avesse fatto del sarcasmo... praticamente stava per rivelargli tutto! Che rabbia, lo odiavo!
Eppure potevo giurare che Dario non avesse capito proprio nulla. Lui non sapeva. Parlava con me senza avere la minima idea che una parte di lui mi stesse ancora nuotando dentro.
Era un sollievo. E anche una delusione. Quasi volevo che se ne accorgesse e che scegliesse me. Accettai di seguirlo fino al Museo, che era dall'altra parte della strada, e stavolta, sentendomi più tranquilla, accettai di parlare anche a mia madre.
Fuori dal Museo, spiando Dario che incontrava il Direttore e parlava con lui cordialmente, le raccontai ogni cosa all'infuori dell'inconfessabile.
Delle sue reazioni non ascoltai nulla, a parte una sorta di approvazione per avere lasciato Stefano. Strano. Avevo sempre creduto che le piacesse.
Un altro disappunto l'aveva espresso per la mia decisione di vivere con mio padre, ma sapevo che quella fosse soltanto gelosia. A lei piaceva girare nuda per casa, non mi avrebbe voluta sempre presente a invadere i suoi spazi, tuttavia avrebbe fatto di tutto pur di non darla vinta a Davide, pure rinunciare alle sue abitudini. Ad ogni modo, poteva stare tranquilla.
I miei occhi non smettevano di osservare Dario; fissi sulle sue labbra da baciare e sugli occhi azzurri, non erano più in grado di notare quella forma ricurva della schiena, dovuta al troppo studio, che era stata finora la sua caratteristica più appariscente. Ora lo ricordavano seminudo, con la schiena esposta... Tutto da prendere a morsi.
Avevo chiuso la chiamata proprio quando lui era pronto ad andare, e il mio cuore sobbalzò quando mi accorsi che saremmo rimasti da soli.
Quel pensiero doveva aver colpito anche lui, che quando tornò all'esterno si sfregò le mani con indecisione. Mi fissava intensamente, e io non riuscivo a comprenderne la ragione.
"Allora, cosa vuoi fare?" Mi domandò. "Ti porto da tua madre?"
"No!" Risposi con troppa enfasi, tanto da lasciarlo stupito. Pensai velocemente. Per quanto fossi sconvolta, volevo stare con lui. Anche senza toccarlo, né dire nulla. Mi bastava la sua presenza. Ma come potevo giustificare questo bisogno, se lo avevo sempre allontanato? "Non mi sento molto bene, sto morendo di caldo. Se non devi andare subito, mi piacerebbe una granita."
Credevo che sarebbe stato difficile parlare a Dario dopo averlo amato in segreto così intensamente, invece scoprivo che non era mai stato così facile. Ora lo avevo persino invitato a uscire. Avevo esagerato? Lo avrebbe capito?
"Va bene." Mi rispose, pensieroso. "Andiamo. Così potremo parlare."
Annuii, sentendomi particolarmente fiduciosa. Se lui lo era, anch'io ero pronta a dirgli la verità.
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