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14

"Ma che bella sorpresa!" Esclamò Gianmarco, e lo vidi scendere dalla moto con un saltello vivace. Si avvicinò a passo spedito, le mani in tasca.

Scesi anch'io dal muretto e lo aspettai, già pronta allo scontro. Incredibile, tra tutte le persone al mondo dovevo incontrare proprio lui! Se quell'orrenda serata non voleva finire, allora avrei colto l'occasione per sfogarmi e dirgli tutto ciò che pensavo di lui.

"Pezzo di merda!" Strepitai. "Vigliacco! Sei tu che mi hai buttato in piscina! Credevi che non me ne fossi accorta? Per colpa tua ho quasi avuto la febbre, lo sai?"

"Linguaggio, ragazza." Mi apostrofò lui con una calma esagerata, quando si era ormai avvicinato. "Che colpa ho io se hai l'equilibrio instabile di un neonato?"

Com'era odioso! Se solo sapesse quale danno aveva causato nella mia vita col suo scherzetto! Non poteva neanche immaginarlo.

"Stronzo!" Urlai. "Ti avevo detto di non avvicinarti!"

Ma i ricordi delle ultime ventiquattro ore mi avevano ormai sopraffatto. Rabbia e disperazione si fusero insieme ancora una volta, e io mi ritrovai a piangere senza volerlo. Non riuscivo a fermarmi. Singhiozzavo, incapace di evitarlo, come non mi succedeva dall'infanzia.

Odiavo che stesse accadendo proprio davanti a lui. Ma gliel'avevo detto, volevo stare sola. Avevo bisogno di piangere davanti al mare, l'unica compagnia che potevo sopportare.

"Ehi, serio, che ti è successo?" Lo sentii domandare, con una voce stranamente gentile.

Avevo gli occhi impastati di lacrime, ma trovai il muretto e mi appoggiai lì. Non ero sicura di volergli parlare. Sentivo il bisogno di sfogarmi con qualcuno, ma lui non era forse tipo da ascoltare i problemi degli altri. Stefano, al suo posto, se ne sarebbe già andato. Non sapeva mai cosa dirmi le rare volte che mi vedeva piangere, e di solito preferiva sparire.

"Non sono affari tuoi, e comunque non puoi capire." Borbottai piangendo.

"Vero, sono soltanto un'ameba." Ironizzò lui. "Dai, se hai bisogno di sfogarti puoi farlo. Io farò uno sforzo."

Dopo tanti anni di amicizia con Erica, ero diventata molto brava a distinguere un interesse genuino da una fame di gossip. Dal modo in cui mi parlava, lui sembrava appartenere al primo tipo. O forse ero così debole da non notare più la differenza. A quel punto avevo bisogno di conforto, e andava bene chiunque.

Mi serviva un abbraccio. Gianmarco era proprio davanti a me, con la sua giacca di pelle nera, aperta, che ampliava le sue spalle già muscolose. Aveva un leggero profumo di colonia che mi ricordava i tempi in cui Stefano aveva amato curarsi. Così, anche se lo conoscevo molto poco, pensai che quello sbruffone potesse essere una buona spalla su cui piangere, almeno finché non fosse scappato; i giusti muscoli a cui chiedere protezione da me stessa e da un futuro incerto.

Ancora piangendo, gli saltai al collo; non per strozzarlo, come avrei voluto fare un attimo prima, ma per stringermi a lui e sperare di essere ricambiata.

Gianmarco parve sorpreso, e timidamente mi toccò sulla parte alta della schiena per provare a consolarmi. Non sembrava più così spavaldo.

"Abbracciami." Gli dissi, mentre respiravo la sua colonia e mi aggrappavo a lui come a una roccia sull'orlo di un precipizio.

E allora la sua presa si fece più salda. Le sue braccia forti mi avvolsero e mi strinsero attorno alla schiena così come volevo che facessero. Un calore rassicurante si diffuse lungo la mia spina dorsale.

"Piccola." Mi sussurrò all'orecchio. "Che ti hanno fatto?"

Rabbrividii per le sue parole.

"Stringimi e basta." Gli dissi. "Stringimi finché non avrò scordato cosa significa avere paura."

Lui obbedì, e io sentivo che il suo abbraccio stava curando quella parte di me che si era spezzata. Anche se sfioravo la sua guancia sconosciuta con la mia, non mi importava. Stavo bene. Non avrei più scordato cosa significava sentirsi fragile con un ragazzo in mezzo alla quiete del mare. L'aria salmastra mi dava un senso di familiarità che si rifletteva anche su quell'idiota sconosciuto, facendomi stare meglio.

"Paura di cosa?" Domandò ancora.

Ci pensai un momento. Non era facile andare a fondo coi miei pensieri, dopo aver passato l'ultima ora a cercare di rimuoverli.

"Di me stessa, credo."

Rilassai il mio abbraccio, e anche Gianmarco allentò il suo. Mi ero calmata, avevo smesso di piangere e ora volevo parlare. Mi allontanai di un passo, e mi appoggiai di nuovo al muretto.

"Mi sorprende che sei rimasto." Commentai cautamente, passandomi un dito sotto agli occhi. "Gli altri ragazzi odiano vedere le ragazze piangere."

"Solo perché il tuo ragazzo è un idiota, non significa che lo sia anch'io." Mi rispose deciso, e mi sentii a disagio. Mi ero appena ricordata che non lo conoscevo affatto.

"Il vero e unico idiota sei tu." Ribadii con un tono di rimprovero. "Hai combinato un casino l'altra sera alla festa! Però ora sei qui."

Restammo un attimo in silenzio a pensare. Il suono più forte attorno a noi era quello della risacca.

"Beh, stai meglio?" Mi domandò Gianmarco poco dopo. "Cos'altro posso fare per te, a parte abbracciarti? Perché questo mi piace molto."

La sua disponibilità mi colpì. Forse era un modo per mettersi in mostra; per marcare le differenze tra lui e Stefano. Mi aveva già fatto capire che gli piacevo, per quanto le parole di un ragazzo del genere valessero a poco. Ma avrebbe sopportato anche la verità, se gliel'avessi raccontata?

"Ho un segreto che non posso rivelare a nessuno." Gli confidai, controllando la sua reazione. Era piuttosto stupito. "Posso fidarmi di te?"

"Non puoi neanche immaginare quante cose ho visto e ho saputo, che non racconterò mai." Mi rispose serio. "I segreti per me sono sacri. Ma tu fai come preferisci. Non devi dirmelo per forza."

"È solo che ne ho bisogno." Dissi, giocando coi bottoni slacciati del cardigan. "Non posso portare questo peso da sola, ma se lo dico alle mie amiche rischio che prima o poi esca fuori... Tu almeno non conosci nessuno."

"Ecco il vantaggio di essere quello escluso dalla comitiva." Ironizzò Gianmarco, ma io non lo stavo più ascoltando. Pensavo alle mie parole, a ciò che volessi dire; alle frasi che pesavano di più sul mio cuore.

"Ho fatto sesso col marito di mia madre." Lo avevo detto. Avevo afferrato un lembo del cardigan e lo stavo rigirando tra le dita per scaricare la tensione, ma lo avevo detto.

Non che avessi un ulteriore bisogno di conferme, ma bisognava ammettere che dirlo ad alta voce faceva tutto un altro effetto. Avevo già meno paura. Solo non avevo pensato alla reazione di Gianmarco.

"Cosa?!" Esclamò allibito. "Se è la trama di un racconto erotico, non dirmi il finale."

Scossi la testa, anche se con quel buio non poteva vederlo. Il suo stupido sarcasmo non mi fermò.

"È stato un errore. Lui mi ha confusa per mia madre, io l'ho confuso per Stefano." Iniziai a raccontare, assorbita dal flusso dei miei pensieri. "Che ne sapevo? Dario era andato fuori città, non doveva tornare oggi. Quando ho capito che era lui era già troppo tardi, e a quel punto gli ho detto di amarlo."

Mi soffermai a riflettere su quella frase. Ancora mi risuonava nella mente il suo Ti amo, e quanto facesse male ricordare che quelle parole non erano state per me.

"Ed è vero?" Mi domandò lui con attenzione. Sembrava che mi stesse studiando. Ora ero io la disagiata della situazione. "Sei innamorata del tuo patrigno?"

"Credo di sì." Risposi di getto. "Dario mi è sempre piaciuto, l'ho capito soltanto adesso. L'ho odiato perché non avevo scelta, ma stavo solo morendo di gelosia. Sarei impazzita anni fa se avessi capito di essermi innamorata dell'unico uomo al mondo che non posso avere. Ora che lo so è devastante."

"Cavolo." Commentò Gianmarco, visibilmente colpito. "Cavolo. Beh, tutto quello che posso dirti è: fortuna che non sono gay. Quello che sta con mia madre è un coglione. Non cattivo, eh, solo coglione."

"Grazie del conforto." Gli dissi senza nascondere il mio disappunto, abbassando lo sguardo, perché non notasse neanche per sbaglio che stavo sorridendo. "Ora sì che mi sento meglio."

Ma in parte era vero. Pensai che tutto sommato avevo fatto bene ad aprirmi con lui. E intanto Gianmarco continuava a studiarmi.

"Lui se n'è accorto? Lo sa che eri tu?" Mi domandò con serietà.

Spalancai gli occhi, il respiro accelerò quando venni assalita dai dubbi.

"Oddio, no! Non credo! Si è addormentato subito, e io sono scappata." Risposi e ci pensai ancora, solo per confermare a me stessa che no, Dario non lo sapeva. "Lui è una talpa, non vede nulla! Si sarebbe fatto anche un ladro, se lo avesse trovato in casa senza gli occhiali! È così patetico..." Ma poi realizzai cosa stavo facendo. "Ci sono caduta ancora. Lo sto denigrando perché è di nuovo la cosa più facile da fare..."

"Allora dimentica." Mi disse Gianmarco, inaspettatamente. "Se lui non ricorda niente, vai avanti e fattene una ragione. C'è tanta gente che si crede innamorata e poi divorzia; a te è andata meglio, ti sei fatta una scopata con uno che ti piace e non hai avuto conseguenze. È tutto a posto! Perché la fai tragica? Se è sposato con tua madre vuol dire che è vecchio! Che futuro poteva darti? Volevi passare la vita a imbottirlo di viagra?"

"Dario non è vecchio, abbiamo solo quindici anni di differenza!" Ribadii, come se giustificare la sua età fosse molto importante. "E poi non è così semplice. Mia madre è tornata a casa poco dopo, ha rischiato di scoprirci... Ora è con lui. E se parlassero? Se scoprissero tutto?"

"Allora dovrai affrontarli, non c'è altra scelta." Mi disse. "Ma tu non l'hai fatto di proposito, no? Non gli hai ordito una trappola per cercare di sedurlo. È capitato, quindi è colpa tua quanto sua. E poi, come ragazza hai un vantaggio: fingi di sentirti violata e tutti ti crederanno. Non devi mica raccontare la verità! Lo vedi, è tutto molto semplice e nemmeno te ne accorgi."

Mi scoppiava la testa. I discorsi di Gianmarco non mi convincevano, ma c'era anche della logica nelle sue parole, e il mio cervello non era in grado di afferrarla. Ero divorata da emozioni e paure che sembravano più reali di ogni sua frase. Non ce la facevo più.

"Ora dovrei tornare da Stefano." Dissi, ricordandomi che non potevo trascorrere la notte su quel muretto. "Non ne ho voglia, ma non ho altra scelta."

"Già, Stefano." Esclamò lui, in tono sprezzante. "Mi sa che è l'ora di mollarlo."

"Che ti frega se sto con lui oppure no?"

"Lo dico per te." Rispose, scrollando le spalle. "Vuoi dormire da me, stanotte?"

L'aveva buttata lì completamente a caso, e mi lasciò interdetta. Un conto era parlare con Gianmarco di affari privati su persone che non conosceva, fare di lui una specie di confessore esterno ai fatti; un conto era dormire a casa sua. Magari aveva mentito su se stesso e la sua famiglia. Forse viveva da solo in una baracca, ed era davvero uno stupratore e serial killer.

"No, grazie." Risposi, piccata. "Non sono così stupida."

"Invece lo sei." Ribadì lui, schernendomi. Prese qualcosa dalla tasca, che produceva un tintinnio. "Casa di mia madre è proprio qua dietro, queste sono le chiavi. Abbiamo una camera da letto che è tutta per te. Non dispiacerà a nessuno se dormirai da noi."

Suonava come una follia. Chiaramente non ero convinta, allora tirò fuori il cellulare e mi mostrò la foto di una piccola stanza vuota. Le pareti erano state dipinte di rosa, per terra c'era ancora il secchio col colore fresco, mentre un muratore inginocchiato lavorava alle rifiniture del battiscopa.

Gianmarco ingrandì l'immagine e mi disse di guardare fuori dalla finestra: da quel che potevo vedere, sembrava la via San Giovanni, proprio dove lui diceva di abitare.

"L'ho scattata l'altro giorno per mandarla al compagno di mia madre, che era fuori e voleva sapere a che punto fossero i lavori. La stanza puzza ancora di pittura, ma c'è un letto, lo abbiamo montato stamattina."

"Perché vuoi ospitarmi? Non mi conosci nemmeno." Gli domandai.

"Mi sa che ti conosco già meglio di molti altri. Ma se proprio non vuoi accettare, torna da Stefano, o da tua madre. O forse tuo padre ha una casa?"

Il suo sarcasmo mi dava fastidio, soprattutto perché era andato a toccare mio padre, che non c'entrava nulla. Lui non aveva una casa fissa, e non sapevo nemmeno se fosse già tornato dalla sua ultima trasferta. Da un paio di giorni avevo perso i contatti col mondo.

Sapevo soltanto che la famiglia allargata di Gianmarco sembrava ora un porto migliore in cui attraccare, comparato alla casa di Dario o al mio monolocale sporco. E poi era vicino, giusto la strada accanto. Quella follia aveva un senso, e così mi lasciai convincere.

Ora camminavo al fianco di quello strano ragazzo che spingeva la moto lungo marciapiede vuoto. C'era un garage, nell'angolo, che era praticamente uno sgabuzzino, ma della lunghezza giusta per riporre una moto. Casa sua era poco più avanti. Attraversato il portone, ci bastò percorrere una sola rampa di scale per arrivare al suo appartamento.

"Ssh, dormono tutti." Mi sussurrò, lasciandomi entrare.

Era una casa piccola, che dava direttamente su una cucina che faceva anche da soggiorno. Riuscivo a vedere alcune foto di famiglia appese alle pareti, ma non i loro volti, perché non c'era abbastanza luce. Sulla destra si aprivano alcune porte, e Gianmarco mi condusse alla prima.

"Questa è la tua stanza." Mormorò aprendola, e un tanfo di pittura fresca ci stordì. "Ti conviene tenere la finestra aperta. Io sto qua accanto, e laggiù c'è il bagno. Fa come se fossi a casa tua."

Non sarebbe stato facile, ma mi piaceva l'idea di avere una stanza tutta per me, almeno per una notte, dove sentirmi al sicuro, lontana da tutte quelle persone che non volevo affrontare.

"Grazie." Dissi a Gianmarco, prima che lui sparisse nella sua stanza.

"Dovere." Rispose lui, con un ghigno. "Non si abbandona una ragazza in difficoltà."

Cercai di adattarmi alla mia nuova collocazione, così come ogni tanto mi era capitato di fare in viaggio, nei B&B. Aprii subito la finestra, e mi affacciai per respirare l'aria pulita. La strada era incredibilmente tranquilla, potevo ancora sentire il rumore delle onde. Mi sarebbe piaciuto vivere lì.

Oltre al letto e al comodino spoglio, c'era solo una scrivania e un armadio Ikea. Lasciai la borsa sulla sedia e scavai in cerca del cellulare, che era finito sul fondo. Dovevo caricarlo, non potevo tenerlo spento per tutta la notte, e mi ricordai che anche il telefono di Gianmarco era un Samsung.

Andai a bussare alla sua porta. Mi aprì a petto nudo. Aveva acceso la luce del comodino ed ebbi modo di notare che era molto bello; i suoi pettorali scolpiti avrebbero fatto impazzire qualunque ragazza, e lui me li mostrava con orgoglio. Percepivo che una parte di lui, quella a cui forse non fregava niente di essere gentile, stesse cercando di sedurmi. Ma ugualmente non provai nulla per lui.

"Posso avere il tuo caricabatterie?" Gli domandai.

Gianmarco annuì e lo cercò sulla scrivania, accanto alla porta. La sua stanza era piccola quanto la mia, ma dipinta di bianco sporco e molto più incasinata. Nello spazio vuoto del comodino aveva infilato una scatola di scarpe e delle infradito. Il suo letto scombinato, la scrivania e la sedia erano il regno dei vestiti accatastati.

Quando mi consegnò l'oggetto, lo ringraziai timidamente. Stava facendo molto per me, e io continuavo a non sapere se fosse più saggio temerlo o pensare a come sdebitarmi. Per il momento, gli augurai buona notte e tornai in camera mia. Trovai una presa accanto al letto e finalmente misi il telefono in carica. Dopo una manciata di secondi, lo accesi.

Non c'erano molti messaggi. Qualcuno nel gruppo della comitiva, altri da parte di Asia; ma proprio nulla da parte di Stefano o di mia madre. Mi sentii confusa. Non mi sarei aspettata un loro silenzio.

Con quel senso di smarrimento, mi coricai ancora vestita sul copriletto rosa, cercando di sporcare il meno possibile. Mi rigirai a lungo su quel letto nuovo, sul materasso che con ogni evidenza non era mai stato usato da nessun altro, avvolgendomi nel mio cardigan per sopportare il freddo notturno, ma sentendomi sempre peggio, ancora raffreddata e nervosa. Controllavo compulsivamente il cellulare sul comodino, aspettando un messaggio di Stefano che non arrivava mai. Ogni volta che accendevo lo schermo, cambiava soltanto l'orario. L'una e un quarto, l'una e mezza, le due. Più tempo passava più il mio nervosismo cresceva.

Alla fine decisi di bussare a Gianmarco. La luce della sua stanza si era spenta già da tempo. Bussai con due piccoli colpi, leggeri, che non disturbassero la quiete notturna. Ci riprovai di nuovo. Forse non aveva sentito i primi, o forse a differenza mia stava già dormendo. Stavo per tornare indietro, quando la sua porta si aprì.

"Scusa, non riesco a dormire. Sono anni che non dormo da sola." Gli dissi. Era ancora a petto nudo, e in basso indossava soltanto i boxer. "Posso stare con te?"

Era quasi una domanda sciocca da porre a un ragazzo come lui, lo sapevo, ma forse speravo che rifiutasse. Che mi risparmiasse l'errore di addormentarmi tra le braccia di uno sconosciuto. Lui però non rifiutò.

Mi portò a letto, si infilò per primo e mi fece spazio sotto le coperte. Io mi accucciai sul suo petto, cercando la posizione più comoda. A un tratto stavo toccando i suoi addominali, e lui mi accarezzava i capelli.

"Per chi era davvero quella stanza, Giamma?" Gli domandai, stordita dal sonno. Mi ero posta quella domanda per tutto il tempo.

"Te l'ho detto, è per te."

C'erano calore e sicurezza nel suo abbraccio, e poco dopo mi addormentai. Al mattino, venni svegliata da una voce forte che parlava al telefono. Ero stanca e stordita, come se non avessi dormito affatto, ma ricordavo ogni cosa.

Quando aprii gli occhi, mi scoprii ancora incastrata tra le braccia di Gianmarco, che in pieno sonno era molto meno figo di quanto non volesse sembrare durante le sue notti da ribelle. Aveva la bocca aperta, un pessimo fiato, mi russava all'orecchio e la bava gli colava lungo la guancia.

Ora avevo un motivo in più per non cedere al suo fascino. Lo lasciai riposare e mi alzai, strofinandomi gli occhi. Non sapevo che ore erano, ma a giudicare dal sole era ancora mattina presto. Fuori dalla porta, il patrigno di Gianmarco continuava a parlare.

"E questa è tutta la tua riconoscenza? Sai quante volte avrei potuto cambiare squadra, e non l'ho fatto, per rispetto vostro? Il Messina mi aveva offerto il doppio dello stipendio. Ora mi hanno ricontattato come allenatore. Vuoi che accetti? Guarda che ormai vi conosco bene. Se mi costringerete ad andarmene, l'anno prossimo vi straccio! Così vi potete scordare la Serie A."

Incuriosita da quella conversazione, aprii leggermente la porta. Scricchiolò. Feci in tempo a sentire l'odore della moka, che l'uomo si voltò e io la richiusi all'istante, perfettamente consapevole che mi avesse vista.

"Aspetta un momento, Salvo. Anna? Tuo figlio si è portato una ragazza in camera!"

Una voce femminile rispose stizzita:

"Non dire fesserie, Davide, non è possibile! Lui conosce le regole."

"Ah sì? Controlla."

Non potei fare niente quando una piccola donna dai capelli corvini, che indossava un pigiama celeste scolorito, irruppe in camera con passo deciso. Mi squadrò da capo a piedi coi suoi occhi verdi segnati da rughe sottili, con aria di sufficienza, mentre io ricambiavo il suo sguardo imbambolata.

"Davide? Credo che questa appartenga a te." Esclamò.

Gianmarco continuava a dormire sbavando. Dato che avevo spostato le lenzuola, si vedeva perfettamente che fosse mezzo nudo. Il fatto che io fossi ancora totalmente vestita in jeans e cardigan era irrilevante.

L'uomo si avvicinò, e Anna lasciò che avanzasse col piede di guerra. Quando mi riconobbe, spalancò gli occhi furibondi.

"Ciao, papà." Lo salutai. "Giuro che non è come sembra."

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