9. Prime volte:
Febbraio 2017
Nella sala di registrazione c'era la band al completo. Giovanni levò gli occhi dal mixer, spalancò la bocca e trattenne il fiato.
Mauro lo sbirciò di traverso. Come niente fosse, puntò dritto alla zona insonorizzata. I ragazzi all'interno si guardarono l'un l'altro preoccupati.
«Mauro aspetta... », spiccicò Giovanni e si interruppe per deglutire. «Louis è stato qui. Era nero pesto. Hai visto internet? È zeppo di titoloni su ieri sera, e non parlano del concerto... »
Mauro abbassò il volto e sfiorò l'incavo del pulsante elettrico, non si era mai accorto di quanto fosse facile entrare lì dentro.
«Lascia correre», bofonchiò.
«Mauro...» Giovanni scosse la testa e sbuffò.
«Non puoi entrare. Louis ci ha imposto di farti salire da lui appena arrivavi. Ti sta aspettando.»
Mauro fissò i musicisti attraverso il vetro: pendevano dalle sue labbra. Insieme a loro condivideva palco, sudore, urla, gioia e pianti; aria viziata da pullman, cibo spazzatura da tavola calda e bagni pubblici da Autogrill. Non c'era espressione sul suo volto che non sapessero interpretare.
«Va bene. Grazie. Salgo subito», mormorò rassegnato, ritraendo la mano.
«Tornerai qui, dopo?»
Non rispose e ritornò al corridoio.
Prese l'ascensore. Era stretto e puzzava di chiuso quanto la sala d'aspetto di uno studio medico. Il suo volto, nello specchio, pareva invecchiato di anni. Non erano le occhiaie a segnarlo, a quelle, la mattina, era abituato. Erano le rughe al centro della fronte e quelle ai lati delle labbra che gli davano un'espressione severa.
L'inizio della sua carriera, con il Talent Show, era stato esplosivo: luci puntate addosso come fari nella notte. Il neonato settimino che a tre anni non sapeva ancora parlare, il ragazzino tonto che stentava a leggere, era stato coperto da coriandoli di gloria piovuti dal cielo. Gli avevano regalato un senso di rivalsa mai conosciuto prima. L'avevano visto tutti, tutti quelli che l'avevano votato, sera dopo sera, alla tivù di stato. L'intero paese di Maserada sul Piave aveva festeggiato lungo il viale che portava alla piazza centrale. Non poteva più tornare indietro. Lo doveva a sua madre che l'aveva salutato, prima di imbarcarsi in quell'avventura, con un bacio in fronte e gli occhi lucidi.
Sapeva di dover chiedere scusa a Louis per continuare a fare quel mestiere, eppure, era riluttante. In quei pochi anni, si era plasmato per il sistema. Aveva taciuto le sue idee. Era passato sopra ai testi delle canzoni cambiate, agli arrangiamenti non scelti, all'immagine sterile delle copertine e al look studiato, pur di arrivare. Ma arrivare dove?
Il pavimento dell'ascensore tremolò e si stabilizzò. Le porte cigolarono aprendosi. Uscì con le spalle ricurve, appesantite dall'amarezza.
***
Sul piano, c'erano una sala riunioni e qualche salottino. Dalle alte finestre, tutte su un lato, filtrava una luce grigia come il cielo carico di nubi. Un filo di fumo usciva da una soglia aperta, allungandosi verso i neon del soffitto.
Louis doveva essere lì, incurante del divieto esposto. Mauro si affacciò. Il manager, semi sdraiato su una poltrona in alcantara panna, reggeva, in bilico sulla pancia, un posacenere di cristallo che scandiva il tempo salendo e scendendo.
«Oh, ecco! Entra pure. Ti stavo aspettando.»
Mauro avanzò, con la gola riarsa. Quell'uomo sapeva metterlo in soggezione con la sua sola presenza.
«Dobbiamo chiarire qualche punto, a partire dalla chiusura del contratto che hai stipulato con me. Questo è il numero del mio avvocato», gli disse allungando un biglietto da visita, con l'indice e il medio, come fosse una sigaretta.
«Non ti faccio perder tempo» affermò e roteò il polso per mostrare le lancette del Cartier: «so andare dritto al sodo. Mi sembra ovvio che i nostri contrasti siano insormontabili. Ti auguro di trovare un manager in gamba e che sia abbastanza professionale per entrambi, vista la tua scarsa propensione all'argomento».
Mauro buttò un occhio al pezzetto di carta. Louis faceva sul serio. Si accigliò e, senza proferire parola, ruotò sui tacchi. Il manager si schiarì la voce con un colpo di tosse, deglutì il muco e affondò l'ultimo colpo.
«Rimasto a letto stamani, eh? Ottimo. Goditi il finale!»
Mauro si girò e lo fulminò con lo sguardo.
«Sesso, droga e rock'n roll, baby, ma tu sei pop.» Sorrise e accennò un saluto militare con due sole dita alla fronte: «Adiós amigo!»
***
Appena ebbe chiuso la porta, l'uomo strappò un pezzetto di carta bianca: un paio di parole sarebbero state sufficienti.
"È tuo", vi scrisse sopra in stampatello perché fosse ben chiaro.
Lo ripiegò quattro volte. Prelevò due lembi di scotch e lo sigillò sui lati apribili, poi lo inserì tra le pagine di Blow up e chiamò la segretaria con l'interfono.
«Porta questi giornali di sotto. Saranno più utili là. Specifica che li ho mandati io».
La donna li accorpò l'uno sull'altro e sparì senza domande. In cima al mucchio, secondo indicazione, aveva posto la rivista italiana Rumore. La testata riportava la foto di una piazza gremita di puntini multicolore e il titolo a caratteri cubitali: "Stardust. Il cielo è sempre più blu."
***
Varcata la soglia di casa, Mauro avvertì le forze abbandonarlo. Accese le luci dell'ingresso, il vano scuro della cucina gli pareva lontanissimo. Non se l'era sentita di affrontare le domande della band, aveva preferito salire in macchina e andarsene. Viaggiare nella nebbia gli aveva tenuto la mente impegnata, ora la sentiva pesante e vuota.
Lasciò la giacca su una sedia. Ispezionò il frigorifero. Oltre ai salumi confezionati e a un vecchio vasetto di maionese, trovò un pacchetto di bocconcini di pollo impanati. Lo infilò nel forno a microonde. Attese paziente, mentre il rumore dell'aria ventilata risuonava nella stanza. Aprì una birra, la strinse dal collo della bottiglia e abbandonò il tappo vicino al lavandino. Adocchiò il telecomando della TV, se lo infilò in tasca, sistemò la cena in un piatto e passò in sala.
Si distese sul divano, le scarpe sul pouf di velluto grigio. Sua madre non avrebbe approvato.
Con le dita afferrò un boccone e lo ingoiò. Era gommoso e tiepido. Allo schermo, il solito poliziesco. La luce della TV gli dipingeva sul volto bagliori e ombre, alternandoli. Non aveva accennato a sollevare le imposte: tra i palazzi a più di otto piani, nelle giornate uggiose, non c'era differenza.
"Dovrei richiamare Carrie", si ripeteva tra sé e sé. "L'ultima volta che non ci siamo sentiti... è stato un casino." pensava mentre, inerme, fissava lo schermo. Ma cosa avrebbe dovuto dirle?
"Louis e io non lavoreremo più insieme. Potrei cambiare mestiere. Magari città. Non so come pagherò i conti quando avrò esaurito le riserve. L'affitto a Milano è molto caro e poi c'è il mutuo sulla ex casa della nonna. Ma tutto questo, non c'entra. Giusto? Non cambierà le cose tra di noi.
Ah proposito, cosa c'è tra di noi? Non abbiamo parlato di niente, soprattutto di quel tipo, sì insomma... dell'americano. Com'è finita o meglio, com'era iniziata?
E Del Vescovo, invece? Da quanto vi conoscete? La scorsa notte è salito tanto in fretta da te. "
Un angolo delle labbra si sollevò in un sorriso amaro. Non era pronto. Lei era l'ultimo faro nella notte.
Era l'ultimo approdo a un mondo, che non aveva compreso, e che si stava dissolvendo tra le sue dita.
***
25 Dicembre 2015
«Andiamo!»
«Dove?»
«Ad aprire i regali.»
«Non è neppure mezzanotte... »
«Sì, ma ho un diritto di prelazione per il mio compleanno. Una compensazione al fatto che scarto regali una sola volta l'anno.»
Carrie era scoppiata a ridere. Non ci aveva mai pensato.
«Che infanzia difficile!» aveva decretato, con una espressione semiseria.
Mauro si era accovacciato, sotto l'albero addobbato, con il sorriso soddisfatto di un bambino. La prima a esporsi era stata la madre che, occhi lucidi, gli aveva teso un pacchetto. Dentro, c'era una collana in caucciù con un ciondolo dorato a chiave di sol. Mauro aveva letto la lunga lettera di accompagnamento, con il proprio ritmo stentato. Poi si era alzato e l'aveva abbracciata. Al padre, e a quella sua solita espressione giudicante, aveva riservato una pacca sulla spalla.
Poi era passato a scartare, uno dopo l'altro, tutti i pacchetti dei presenti: fratello, cugini e zii. Alla fine, era rimasto solo quello di Carrie. La ragazza, paonazza in volto, aveva abbandonato il fianco di Andrea, per allungargli un pacchetto incartato in modo frettoloso. Non c'era un biglietto. Sull'esterno, la scritta riportava solo il suo nome.
Mauro l'aveva rigirato tra le mani, cercando di dissimulare la delusione. Strappato via l'involucro stropicciato, si era ritrovato con un cd: il primo inciso degli Stardust. L'aveva aperto. Dentro, con indelebile su dischetto, oltre all'autografo di Carrie, c'era una dedica asciutta: "Ci sono prime volte che restano uniche".
Un sorriso aveva rischiarato il suo viso, più delle luminarie e l'aveva condiviso con lei. La sua rara stella. L'unica in grado di dire tutto e niente e di scriverlo con una frase facile, a prima vista, anche per un dislessico. Parole chiavi. Prime e uniche volte. Come quelle vissute tra i camerini della competizione canora Sanremese, quando proprio Carrie, stravolta dall'euforia della nuova esperienza, l'aveva fermato per chiedergli un autografo sul dischetto dell'LP realizzato con XFactor.
«Ho sempre tifato per te. Colleziono prime uscite», aveva sostenuto davanti alla sua espressione stupita: «se vincessi anche Sanremo, dopo questo fine settimana, potresti trasformarti in una di quelle persone inavvicinabili e io perderei la mia occasione».
«Dovrei essere io a chiederti un autografo», era riuscito solo a spiccicare.
«Magari, la prossima volta!». Richiamata dagli impegni era volata via.
La sua ragazza riusciva sempre a farlo sentire speciale, a elevarlo come uomo e come artista.
Così, era balzato al lato opposto della sala. Aveva raccolto un ingombrante pacco di carta lucida rossa e glielo aveva portato. Carrie, raggiante, aveva esibito un vassoio di legno con appoggi richiudibili.
La madre di Mauro, perplessa, aveva sussurrato a bassa voce: «Che idea stramba, regalare un oggetto utile a una ragazza che può comprarsi tutto quello che vuole».
Solo loro due sapevano che una mattina, Mauro si era risvegliato a casa di Carrie e aveva preparato la colazione.
«Cosa cerchi?» gli aveva chiesto la donna rigirandosi.
«Ho preparato per due. Volevo portarti tutto a letto ma, come fai... di solito?»
«Non lo so. Non era mai successo... prima.»
Mauro aveva riflettuto a lungo su quale regalo farle. Tutto gli era parso niente. Tutto tranne quello. "Ci sono prime volte che non possono restare uniche", vi aveva fatto pirografare prima di impacchettarlo.
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