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Prologo

La luce della luna carezzava gentile il profilo dei palazzi, avvolgendo la città in un bianco d'avorio. L'estate giungeva al termine: le giornate iniziavano ad accorciarsi, i soffi di vento si facevano più freschi.

L'antica e potente nazione di Roccaforte Sud, affacciata a settentrione sulla pozza del Dam infetto, era una terra che vantava un enorme prestigio, protetta dal favore della Gilda e dal suo essere il paese più ricco dell'Anello. Le sue foreste, verdeggianti a ovest, rossastre a est, si allungavano per miglia a perdita d'occhio lungo la strada principale che spezzava in nord e sud la regione.

I piccoli villaggi sembravano voler fare da sfondo alle alte cupole di Academiae e alle vertiginose torri oltre le mura di Solaris, le due capitali. La prima di queste ospitava, sul suo colle più ripido, l'Accademia Centrale, luogo sede di enorme cultura, estremamente popolata di studiosi e di curiosi; prima o poi, se si fosse stato in cerca di conoscenza, si sarebbe finiti alle porte di Academiae col profondo desiderio di poter scavare fra gli infiniti scaffali delle biblioteche sotterranee. Accedervi non era poi tanto semplice, poiché se non si era pagata l'iscrizione a qualcuna delle classi che si tenevano in quel luogo, o se non si lavorava lì, l'ingresso veniva sbarrato dalle numerose guardie che sostavano davanti ai cancelli.

Aldric era diretto proprio verso di questi. Lì era stato convocato dal suo superiore tramite una lettera bollata di ceralacca violacea dal vago aroma di menta fresca, infilata sotto la sua porta giusto il giorno prima.

Era stata una sorpresa ricevere una lettera dall'Accademia, in parte perché nell'intera durata dei nove anni che aveva svolto sotto il loro stemma il suo compito non era mai cambiato, poi le relazioni fra l'ordine dei cavalieri di Yusef non prevedeva legami lavorativi all'infuori del contratto stipulato con il proprio supervisore, e soprattutto gli accordi erano stati chiari: Aldric avrebbe svolto il suo lavoro -senza alcuna retribuzione - fino a che gli sarebbe stato possibile, e l'Accademia non avrebbe coinvolto la Gilda nell'incidente che in passato lo aveva spinto alla fuga.

Il buon senso non gli mancava, era perfettamente in grado di rispondere alle conseguenze delle proprie azioni, e sebbene sapesse benissimo di non aver fatto nulla di male, Aldric non poteva fare a meno di percepire un vago peso allo stomaco. Forse si trattava di una punizione per un reato che non sapeva di aver commesso, magari volevano semplicemente mandarlo in qualche landa desolata infetta dal Dam per sbarazzarsi di lui; non trovava una valida logica all'ansia che lo stava assalendo durante il viaggio verso Academiae, eppure non lo aveva lasciato in pace nemmeno per un attimo.

Così, mentre si faceva strada fra le strade illuminate dai raggi di luna e dalla soffice luce magica che permeava dalle mura degli edifici, Aldric stringeva al petto il ciondolo azzurro che lo aveva guidato durante l'infanzia, teso all'idea di dover incontrare Azrael per la seconda volta dopo tutti quegli anni passati in solitudine.

Si concesse allora il capriccio di perdersi fra le memorie mentre camminava, così da spingere via il pensiero di cosa sarebbe accaduto di lì a poco.

Si perse fra i ricordi, lì dove amava stare, alla parete forata di Monte Sunling innevato, che incorniciava, oltre le nubi, i campanili scuri della remota città di Dartin.

Ora, le rovine delle antiche mura avevano sostituito i mattoni della strada sotto i suoi piedi, mentre alla sua destra, sostituendo una pasticceria dalle luci spente, riposavano un gran numero di assi di legno marcie e umide, a testimonianza di molte capanne ormai distrutte.

Durante le pattuglie che aveva svolto a Monte Sunling, mai aveva osato spostare o anche solo toccare alcun oggetto fra le rovine della popolazione che un tempo aveva dato vita alla montagna. Non ne aveva alcun diritto. Inoltre, gli era stato vietato nel momento in cui gli era stato affidato il compito di proteggere quel luogo si antiche rimembranze.

Nulla gli aveva impedito, vagando ogni giorno fra le rovine, di tentare di dare un significato a ciò che lo circondava, a cercare di comprendere l'originale forma di quelle strutture in legno così povere di fronte ai più ricchi palazzi in pietra all'altro capo dell'abitato.

Aveva percorso ogni stradina, aveva memorizzato la posizione di ogni bottega o catapecchia senza nome. Spesso si era imbattuto in piccoli giocattoli, animaletti con musi sorridenti modellati in bronzo, le cui forme erano state curvate dalla pioggia, oppure in fionde in osso, simili a quelle che Aldric si creava da bambino. Ogni volta che ne vedeva uno, nonostante tutti gli anni che erano passati, i suoi occhi rosso scuro si piegavano in un'espressione amareggiata e il suo volto perdeva quel poco di colore che aveva.

Tutto ciò che risiedeva su quella montagna era di centinaia di anni più vecchio di Aldric, dettaglio che non smorzava la tristezza che lui percepiva nei riguardi dei primi abitati di quella che ora considerava la sua casa.

Se gli si fosse domandato, avrebbe saputo indicare con precisione quella che era stata la bottega di un fabbro, il laboratorio di un falegname, la piazza con due taverne poste l'una di fronte all'altra. Da quel quartiere povero si poteva raggiungere rapidamente il santuario tramite delle rampe di scale scavate nella roccia che si susseguivano fino alla cima della montagna: lì le parole incise sulle colonne dell'edificio avrebbero raggiunto gli dèi in quella lingua arcana ormai dimenticata che aveva da sempre lo aveva affascinato.

Non era mai stato il suo forte, muoversi in ambiti accademici, e si riteneva una persona ben poco orientata all'imparare nuovi concetti. Perciò, nonostante la forte curiosità verso il significato di quelle parole, Aldric non si era mai davvero posto il problema di studiarle.

Il suo incarico era quello di farvi da guardia, ed era certo di comprenderne l'importanza e la sacralità osservandone la cura che era stata riposta nelle iscrizioni dal tratto preciso e delicato.

Se poi dal fondo della scalinata ci si spingeva ancora più a est, ci si imbatteva in una grotta, la cui entrata era ostacolata da blocchi di pietra. Aldric si era addentrato in quel luogo solo una volta durante la prima settimana di solitaria esplorazione. Non vi aveva più messo piede da allora. Aveva portato con sé il ricordo di un solenne silenzio, di pareti ornate di dipinti divorati dal tempo, e di infiniti altari di pietra bianca decorate da bassorilievi consumati. La tristezza lo aveva accompagnato per troppi mesi fino a che la memoria non era sfumata via, lasciando in lui solo un vago sentore di amaro nel profondo buio.

Spesso era accaduto che le notti insonni divenissero come un rifugio per Aldric, come se il calar del sole segnasse l'apparire di una dimensione parallela a quella diurna. Quello che era il suo ruolo di ligio cavaliere di giorno, con la notte assumeva elementi più distesi, come se il suo dovere verso la montagna s'invertisse.

I colori, gli odori, i venti di Monte Sunling lo cullavano in un piacevole abbraccio, e tutto diveniva più leggero. La notte era la sua compagna preferita: cessava in lui la sensazione di trovarsi solo in un luogo così vasto, e le ombre che velavano la sua mente divenivano invisibili, tanto da permettergli di immaginare la sua montagna in tempi da lunghi secoli dimenticati.

Allora, le rovine dovevano splendere di magnifici colori e gli edifici si innalzavano con orgoglio accanto alle affilate pareti ghiacciate. Camminava per la piazza coperta da un sottile strato di brina e vedeva un'imponente statua dalle morbide vesti scolpite in un marmo dipinto d'oro splendente, della quale ora non era rimasta che una testa mozzata dalle fattezze androgine rotolata ai piedi di un muro in pietre tagliate in perfetti rettangoli dagli angoli smussati.

Chiudeva gli occhi e sentiva scalpitii di cavalli, urla di mercanti sopra voci di bambini che giocavano, grida di terrore, colpi di cannone, vampe di fuoco e di nuovo, silenzio. Era stato proprio in quella piazza, il suo primo incontro con Azrael.

Il pelo bianco delle orecchie canine di Aldric si rizzarono, e le sue due candide code si bloccarono, immobili. Degli schiamazzi in lontananza lo avevano fatto scattare sull'attenti, forzandolo a tornare con la mente al presente.

Aveva continuato a camminare lungo il viale principale della città di Academiae che lo avrebbe portato - dietro indicazione del soldato di turno all'ingresso - direttamente all'entrata dell'Accademia. Si chiedeva come avrebbe fatto a riconoscere i cancelli del luogo nel quale era diretto. Involontariamente, mentre che il gruppo di ragazzi responsabili per il vociare che lo aveva risvegliato dalle sue memorie, si lasciò sfuggire un'espressione di sorpresa.

Dietro uno dei ponti che univa i livelli superiori della città, si mostrò la monumentale soglia di quella che doveva senza dubbio trattarsi della sua meta. Due lupi alati di bronzo rivolgevano sguardi curiosi dall'alto delle loro colonne bianche; a queste era montato un cancello di dimensioni gigantesche, tenuto aperto da catene di proporzioni adeguate, che aprivano la strada verso l'Accademia Centrale.

Questa si distingueva dagli altri edifici persino fuori dalla città, ma l'impressione che ne ebbe Aldric guardandola da così vicino, fu quella di aver davanti un palazzo costruito da giganti. Si sviluppava in altezza, con numerose torri d'avorio illuminate di un freddo bagliore magico, e tutt'intorno fiorivano alberi e piante di ogni colore e tipo, donando un pizzico di accoglienza a un luogo che avrebbe altrimenti generato solo timore.

Aldric scacciò quest'ultimo sentimento che si era annidato nel suo petto. Non era così diversa dalla sua montagna: bianca, fredda, altissima, e questo si era ripetuto un paio di volte per raccogliere il coraggio di addentrarsi in quel nuovo posto, e si era rimesso in cammino senza essersi neppure reso conto di essersi fermato.

S'impose di smettere di comportarsi da codardo e di pensare a cosa dire all'incontro che lo avrebbe atteso di lì a poco. Strinse in mano il suo ciondolo azzurro. Sperò, perlomeno, di trovare qualcuno che gli avrebbe fornito indicazioni a quell'ora della notte.

Si si ogni tanto torno con qualcosa di nuovo e ogni volta spero di riuscire a concludere qualcosa ahahah

Magari questa è la volta giusta :v

All'itagliano correggiuto ci penserò un'altra volta dai non può essere così teribbile

Forse interessa a ImNotVanGogh e BlackAngel_7? Cercatemi gli errori e fatemeli notare eheheh grz

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