IV
Trascinava gli stivali metallici sulla neve fresca. Le stelle del cielo notturno erano oscurate da pesanti nubi, l'unica fonte di luce a guidare i suoi passi era il delicato chiarore rosso della pietra. Per un breve istante, mentre gettava ciò che rimaneva delle due guardie in un dirupo, si era domandato se aveva perduto la sua già scarsa empatia a causa del lungo isolamento. Aveva poi scartato da parte il pensiero. Aveva fatto la cosa giusta.
Certo, sapeva benissimo di aver esagerato facendone fuori due, e non aveva alcuna giustificazione per ciò che aveva fatto. Si era lasciato dominare dagli istinti. In passato sarebbe rimasto disgustato dalle sue stesse azioni, ma all'Aldric del presente non interessava più. Quello al quale apparteneva era definito un ordine cavalleresco, ma il codice che vigeva sui membri di quest'ultimo erano contrastanti al tipico ideale di cavaliere. Gli affari dell'Accademia venivano per primi; non esisteva una gerarchia interna, nessuno possedeva un rango più alto degli altri e pertanto non erano tenuti a considerarsi compagni - difatti ad Aldric non era mai davvero importato conoscere qualcun altro che ne facesse parte oltre a lui - l'eleganza e le buone maniere non erano imposte in alcun modo, dando invece priorità alla schiettezza e alla forza bruta per risolvere le situazioni difficili. Così erano stati addestrati. I cavalieri di Yusef non erano simpatici compagni d'avventura, erano letali guerrieri pronti a uccidere e a morire senza alcuna esitazione.
Il sentiero fra gli alberi che aveva percorso si interruppe per far nuovamente spazio alla taverna dalle finestre illuminate. Il gelido vento soffiava senza interruzione, portandosi dietro fiocchi di neve affilati insieme a un fiacco odore di corteccia.
«Dobbiamo allontanarci da qui.» Azrael aveva atteso il cavaliere di fronte alla porta della taverna, e con queste parole aveva accolto il suo ritorno. Seduti al suo fianco, stavano due lupi dai corpi possenti; creature magnifiche, dal lungo pelo grigio e nero, molto più grandi e imponenti di un normale lupo domestico.
Aldric conosceva quel genere di animale. Zanne dei Ghiacci, una razza di lupo da cavalcatura allevata e ammaestrata da millenni per elevarne la forza fisica, l'agilità e la resistenza. Nonostante la taglia potesse indurre timore, i loro occhi castani erano gentili e intelligenti. Le impronte che avevano lasciato dietro di loro sulla neve fresca evidenziavano gli artigli dal taglio mortale, come fosse una dichiarazione: "Questo luogo è nostro".
«Abbiamo dato un po' troppo nell'occhio. La situazione si poteva risolvere senza la violenza. Non avrai una ramanzina da parte mia, solo... la prossima volta lascia che io parli prima di agire, d'accordo?» incrociò le braccia come a voler essere severo, ma l'espressione sul suo volto rimase apparentemente serena. «Cercheremo di metterci alle spalle le montagne stanotte, così da evitare che la Gilda ci possa rintracciare troppo presto. La proprietaria della taverna è stata tanto gentile da venderci due delle sue cavalcature migliori. Ha detto che sono in grado di portarci fino alla capitale di Mendel in appena quattro giorni di viaggio, e che sono in grado di comprendere anche le istruzioni più complesse. Dovremmo passare per il centro se vogliamo evitare di essere intercettati troppo in fretta. E se dovesse accadere: aspetta mie istruzioni prima di agire, va bene?»
Aldric evitò di incontrare il suo sguardo e serrò le mascelle. Era stato in sua compagnia per solo una giornata, ma si era reso conto di non poter avere parola sul loro percorso. Le montagne di notte erano un pericolo enorme, avrebbe volentieri passato una notte al caldo in un luogo sicuro. Aveva per anni sentito gli ululati del vento, la sua pelle era ormai immune al freddo. Una persona come lui non aveva avuto altra scelta che incominciare a detestare le montagne come le odia solo chi le conosce davvero bene.
Ma d'altro canto conosceva la Gilda e ciò di cui erano capaci. E non intendeva certo mettere in dubbio le decisioni di qualcuno che rispettava.
Annuì.
Si avvicinò ai due animali, allungò la mano per lasciargliela annusare, ma fu preceduto da una voce spezzata dalle forti raffiche notturne.
«Azrael!» fu un grido carico di rabbia e disperazione. Aldric e il diretto interessato si voltarono per trovare una donna che avanzava a fatica con la neve al polpaccio e il braccio a riparare gli occhi dai fiocchi che scendevano dal cielo. Appariva sconvolta.
Lunghissime e spettinate trecce nere volteggiavano in aria senza sosta e lei cercava di spostarli dal volto, infiammato dal freddo e dalla fatica, con poco successo. Anche nel semibuio, sul suo volto spiccavano un paio d'occhi grandi di un grigio cristallino, chiaro, quasi bianco, e la sua esile figura era sbandata di qua e di là con veemenza dalla tramontana; lei vi spingeva contro, estremamente motivata a portare avanti la sua marcia.
Azrael rimase a bocca aperta per un breve attimo, poi si affrettò ad andarle incontro. «Luce, non avresti dovuto seguirmi-» la frase fu spezzata a metà da un energico schiaffo da parte della donna.
«Ti sembra questo il modo di sparire? Con una lettera? E basta? Sei scomparso senza dire niente a nessuno, non sapevo che cosa fare! Se farti lì in quel momento un funerale, se contattare le spedizioni e farle tornare per cercarti! Ti rendi conto che hai messo in allarme l'intero dipartimento? Sei stato un incosciente. Non sapevo davvero cosa fare. E tutti a dirmi che no, no, lascia stare, ormai sarà già lontano, non vale la pena mettersi in pericolo per Azrael, che potevi benissimo essere impazzito, o chissà cos'altro.» lei tremava, parlava velocemente incespicando spesso, sfogando la rabbia e la frustrazione verso il professore.
Nel mentre che gettava su di lui tutte quelle parole confuse, Azrael la fissava esterrefatto, immobile, con le dita posate sulla guancia colpita. Aldric aveva impugnato la pietra, ma l'aveva riposta quasi subito nel sentire il discorso; per rispetto non si avvicinò troppo, riuscendo comunque a udire le parole da dove si trovava grazie al tono altissimo della voce di lei.
«Ho dovuto farlo, Luce,» rispose dolcemente, quasi a volerla calmare, senza velare il filo di colpa nella sua voce. «Mi dispiace aver fatto preoccupare qualcuno, ma se vi avessi avvertiti mi avreste fermato, in qualche modo.»
«Certo che ti avremmo fermato, stai andando a gettarti dritto in bocca alla morte, e non risolverai nulla così!»
«Non puoi saperlo. Penso valga la pena, ogni tanto, di mettere da parte l'egoismo e di fare qualcosa di concreto, piuttosto che stare in aula a far discorsi che non porteranno mai da nessuna parte. Non ho bisogno che gente come loro si metta di mezzo ai miei affari perché non capirebbero proprio nulla. Se ne stanno al sicuro fra le loro quattro mura. Mi sono stancato di farlo. Ti sei stancata anche tu, lo so, ma non sono venuto a chiederti nulla; tu hai qualcosa a cui tieni che non puoi permetterti di perdere. Io no.»
«Come puoi dire una cosa simile?! Perché ti senti autorizzato a parlare per conto mio? Mio marito, mio figlio, sì, li amo con tutta me stessa. Non sai cosa darei per poter trascorrere con loro un'esistenza tranquilla, in una piccola casa in campagna magari, senza sentirmi in pericolo. Senza conoscere i pericoli che pendono sopra questo mondo. Ma ci sono dentro! Ci sono dentro quanto te! E se mai dovessi fare una follia come la tua, allora, lo farei proprio perché voglio proteggere chi mi sta più a cuore di tutti. Perderei me stessa per sapere che la mia famiglia è al sicuro.»
Azrael rimase in silenzio. Abbassò lo sguardo. Non trovava le parole adatte per replicare.
«Ora, puoi aggiornarmi su cosa hai scoperto, o puoi anche tenere tutto per te. Non m'interessa. Ti seguirò in entrambi i casi.» concluse Luce poggiando una mano sul fianco, orgogliosa di aver avuto la meglio nella discussione.
«Su una cosa hai ragione. Non avrei dovuto presumere cosa avresti pensato. Scusami. Ma sai che non posso permettermi di portarti con me. Non vorrei mai avere una vita sulla coscienza, e vale per chiunque. Aldric mi accompagnerà fino al confine, poi se ne andrà.»
«Chi è Aldric?»
«Adesso non è importante, te lo presenterò a dovere fra poco. Stai tremando, dovresti entrare a riscaldarti e riposare. Avrai faticato molto, vero?» Azrael le offrì di far pace con un sorriso. Lei lo colse al volo e sorrise a sua volta. «Aldric, cambio di programma. Torniamo dentro e rimaniamo per la notte, la mia amica Luce verrà con noi per il momento.» il professore si voltò, seguito dall'umana. Quest'ultima si affacciò da dietro le ingombranti ali di Azrael per assottigliare lo sguardo diretto al nuovo volto. Aldric non aveva fatto un passo da dove si era fermato, di fronte alle Zanne dei Ghiacci; la sua espressione era assente mentre chinava il capo in avanti per salutare.
Luce non aveva mai visto un essere come Aldric.
Aveva sentito parlare delle comunità zoomorfe che abitavano le cime delle montagne a sud, e mai le aveva viste, ma non era così che se le aspettava. La sua stazza derivava chiaramente dagli antichi goliath, poteva avere qualche somiglianza con le kitsune, ma le sue due code e le orecchie ricordavano quelle dei cani lupo. Continuò a studiarlo quando aprì la porta della taverna, quando gli passò accanto mentre la teneva aperta per farli entrare, quando si voltò per chiuderla.
E in quel frangente lo vide: il tatuaggio sul lato del suo collo, coperto dalla folta chioma di capelli sconvolti dal vento.
Lo aveva già visto da qualche parte. Era leggermente differente rispetto a quello che aveva studiato in precedenza, ma avrebbe riconosciuto quei simboli da lontano un campo di grano. Quegli stessi simboli erano impressi sulla schiena di Azrael, posti in maniera caotica, senza un apparente senso logico, in una qualche lingua che nessuno era ancora stato in grado di riconoscere. Aveva passato anni a tentare di decifrarli, a cercare confronti nelle più disparate biblioteche in compagnia di Azrael, fino a che, nove anni prima, quest'ultimo non aveva deciso su due piedi di averne abbastanza di indagare a vuoto.
Si illuminò in lei l'ipotesi del perché era stata esclusa dalle ultime ricerche del suo collega, e per un attimo si sentì tradita dal suo migliore amico. Poteva dirle qualsiasi cosa e lei avrebbe mantenuto il segreto, come da sempre aveva fatto. Preferì non giudicare ancor prima di aver indagato a fondo la questione. «Mi devi delle spiegazioni quando saremo da soli.» Luce sussurrò all'orecchio di Azrael, il quale rispose con un'occhiata interrogativa.
«Dopo mi chiederai tutto ciò che desideri, certo.» la taverna, in quel lasso di tempo, si era quasi del tutto svuotata. Le macchie di sangue erano già svanite.
«Avete cambiato idea, giovincelli?» chiese la padrona del locale, intenta a portar via alcuni boccali vuoti da un tavolo.
«C'è stato un imprevisto. Rimaniamo qui per stanotte. Se non siamo di troppo, naturalmente.» Azrael poggiò sul bancone quindici monete d'oro. «Per il disturbo e per i lupi. E per il silenzio.»
Le sopracciglia della donna schizzarono in alto. Afferrò le monete, riponendole immediatamente in una delle tasche del suo grembiule.
«Prego, certo, venite con me!»
❅
Furono indirizzati al piano seminterrato alla luce di diverse candele sparse ai lati delle scale. Lì la temperatura era più bassa rispetto al salone della taverna, ma Luce fu ben contenta di avere, per lo meno, un tetto sulla testa. Erano stati predisposti diversi materassi per terra, tutti liberi, in una grande stanza senza alcun divisorio.
«Almeno siamo da soli.» commentò Luce, sfregando le mani per farsi calore. Scelse uno dei primi giacigli e rimosse il piumone, per sedersi sul materasso a gambe incrociate e avvolgere la coperta attorno alle spalle, «Molto meglio.»
Azrael si sedette accanto a lei. «Prima che s'inizi un qualsiasi discorso, credo di dover delle spiegazioni più approfondite a entrambi.» disse lui con voce stanca.
Il cavaliere rimase di guardia accanto alla porta, ma spostò gran parte delle attenzioni su Azrael. Aveva tirato fuori il quaderno sul quale si era messo a scrivere qualche ora prima. «Tempo fa ho abbandonato tutti gli studi che avevo in corso. È emerso qualcosa di più importante, di più grande. Qualcosa che non ho potuto rimandare a un futuro prossimo. Posso affermare, anzi, che non ce ne sarà uno. Ora, una delle mie fonti più attendibili è un diario scritto sommariamente, in fretta. È scritto da una persona che si firma con il nome di Diana. Quello che tengo in mano non è l'originale, ma una traduzione che ne ho fatto.» sfogliò le prime pagine fino a trovare ciò che cercava. «Potrà essere noioso, ma ve ne leggerò l'introduzione, così che possiate capire la profondità di questa situazione.» inspirò profondamente e incominciò a leggere.
«Già all'inizio del mio primo anno di servizio a Fina ero la migliore fra le reclute. Ero la preferita della mia istruttrice Dellz. Non si sprecava con le lodi, e deve aver complimentato le mia abilità in combattimento un po' troppo, poiché dopo appena quattro mesi ero stata promossa di grado due volte. Non ho mai preteso nulla da questa carriera. Non intendevo divenire cavaliere per un bene superiore, non volevo né i soldi né la gloria, neppure cercavo di arrivare fra le grazie della dea. Mettevo in pratica quel che mi riusciva meglio. Agitare la spada su un campo di battaglia e intimidire il nemico. Sin da quando ero piccola non avevo mai avuto molta scelta se non sopravvivere cercando di avere la meglio sugli avversari, e ogni giorno ero così concentrata sul mio lavoro da non concedermi pause o pensieri invadenti.
A malapena avevo fatto caso al ragazzo che ogni giorno si appostava alla balconata che si affacciava sopra il terreno dove gran parte dei cavalieri facevano il loro allenamento giornaliero, me compresa. Non mi sono mai ritenuta una persona percettiva. Il mio intelletto era guidato puramente dalla ragione, mai dai sentimenti o dal cuore.
Erano fesserie per me. L'amore, il desiderio di stare insieme a qualcuno, il dolore della separazione; tutto questo era estraneo per me. Purtroppo ho avuto la sfortuna di cadere nella trappola che sembra affliggere chiunque, almeno una volta nella vita. Mi sono fidata del mio istruttore e ho iniziato ad accettare incarichi da parte della regina in persona, e dopo appena due anni di servizio nella milizia di Fina ero già stata proclamata cavaliere personale del principe Basil. Il quale, ovviamente, era lo stesso ragazzo che se ne stava ore a guardarci mentre ci picchiavamo a vicenda. Non avevo mai avuto nulla contro la famiglia reale, o contro i nobili in generale seppure la mia infanzia era stata dettata unicamente dagli ordini dei padroni di mia madre. So - o almeno, sapevo - riconoscere le intenzioni individuali, non ho mai fatto di tutta l'erba un fascio.
Io stessa sono stata schiava. Fino a che, una notte, non ho mozzato la testa di quei figli di puttana, e dopodiché mia madre mi ha pestato a sangue e mi ha gettato in un fosso. Le avevo rovinato la vita, mi aveva detto. La avevo salvata da una vita di schiavitù e mi aveva ringraziato quasi uccidendomi. A quel punto avevo forse dodici anni o poco meno. Sono stata raccolta da un gruppo di mercenari, ma non sono mai stata davvero legata a loro. Ho preso poi la folle decisione di volermi separare da loro quando siamo passati per la città di Fina. Volevo rimanere lì per sempre. Per qualcuno come me, che ha sempre vissuto fra le scarse fattorie di Laudiria, Fina era un sogno. Un luogo in cui ripartire da zero, dove nessuno conosceva il mio passato e nessuno avrebbe fatto domande. In una grande città serve sempre manodopera sottopagata, la milizia cercava sempre carne fresca da gettare nel rogo delle guerre contro Kadel.
Evidentemente il principe aveva visto qualcosa in me e aveva deciso di volermi al suo fianco per ragioni che, devo essere onesta, sto ancora ponderando. Non so cosa abbia visto in me. Mi sono sempre mostrata indisposta nei suoi confronti poiché non desideravo noie. Io avrei fatto il mio noioso lavoro di guardia del corpo, lui se ne sarebbe stato buono buono a leggere i suoi libri e a fare le sue passeggiatine da rampollo reale, e sarei volentieri andata avanti così per il resto della vita. Un lavoro facile, una paga perfetta, abitavo al palazzo. Il tutto senza il minimo sforzo. Ero felice. Poi, beccai il principe a sgattaiolare fuori di notte. Lo interrogai sul perché, e lui mi pregò con quegli occhioni verde pallido di mantenere il segreto.
Gli affari del regno di Fina non m'interessavano poi un gran ché, ma quello che mi confidò Basil quella notte mi mise in allarme. Conosceva i piani di sua madre, la Regina del regno di Fina, e quando terminò di illustrarmeli, persino io ho percepito dei brividi lungo la schiena. Il regno di Fina e il vicino regno di Laudiria, la mia casa, intendevano riunire un esercito da far marciare a nord, così da aggirare le difese di Roccaforte Sud e raggiungere Kadel tramite Runika, molto meno controllata. Nulla di anormale, ma quello che mi spaventò fu il modo con il quale la regina intendeva assicurarsi la vittoria della guerra.
Fra gli artefatti magici gelosamente custoditi sotto la cattedrale di Fina vi era una corona d'oro impreziosita da gemme provenienti dal profondo della terra, imbuite di magia illusoria dalle capacità illimitate. L'intenzione era quella di affidare la corona al principe Basil e far sì che fosse lui a guidare l'esercito verso la nazione di Kadel. Avrebbe indossato l'artefatto, il quale avrebbe generato nei nemici l'illusione di trovarsi da soli in un luogo avvolto dalle fiamme. La magia della corona era così potente da far sì che si avesse pure la dolorosa sensazione di star bruciando, e una volta subita l'illusione per oltre un minuto, questa si sarebbe trasformata in realtà.
La regina intendeva decimare il continente per conquistare nuove terre. La regina desiderava tutto.
Basil mi disse che era già stata in grado di ottenere l'immortalità tramite strani esperimenti con il sangue della dea, e che, pure se non fosse stato lui a guidare l'avanzata dell'esercito, lo avrebbe fatto qualcun altro. Qualcuno di cieco e avido, qualcuno che non aveva interesse per le gravi ripercussioni che questo gesto avrebbe provocato.
L'assalto si sarebbe svolto fra diverso tempo, perciò avevamo tempo di pensare al come fermare il folle piano della regina. In quel momento è scattato un qualcosa in me. Scoprì che il principe aveva molto da raccontare, che era in grado di farmi sorridere. Ci ho messo diversi giorni a realizzarlo. Mi ero innamorata.
Poi, pochi mesi dopo, è arrivata la pioggia di meteore. Inaspettata, una punizione divina forse, uno sfortunato evento, non so. La pioggia ha distrutto tutto. So che le zone al centro del continente sono state completamente spazzate via e ha portato con sé quello che, mi dicono, viene chiamato il Dam. Una sostanza velenosa, che ti uccide ancor prima che tu possa correr via per gridare aiuto. Non appena ti sfiora, una forte nausea ti obbliga a piegarti in due, gli occhi lacrimano e in un attimo perdi la vista. La pelle si riempie di pustole enormi, che ti riempiono anche la bocca e i polmoni fino a farti soffocare nel tuo stesso sangue. Sembra orribile.
Io e Basil stiamo bene, ma lui teme che tutto questo caos non possa far altro che convincere la regina ad agire immediatamente. Intende rubare la corona e fuggire; ha detto che prenderà suo fratello e se ne scapperà via. Spera di raggiungere Kadel e di riuscire a nascondersi lì per il momento. Supporto la sua decisione e andrò con lui. Aggiornerò questo diario col tempo, così da lasciare una testimonianza per chi sopravvivrà.
Anche se, ora come ora, il futuro che vedo è nero.»
Azrael chiuse il diario e lo ripose sulle gambe. «Cosa ne pensate?»
Aldric e Luce rimasero in silenzio per qualche attimo. I loro sguardi s'incontrarono, e Luce intervenne per prima. «Se quel diario è autentico deve risalire a più di settemila anni fa. È antichissimo. Credo che una fonte simile possa cambiare tutto quello che sappiamo sul Dam. Anche se dubito di una possibile immortalità ottenuta dalla regina.»
«Hai detto bene. Soprattutto, questo ci fornisce una vera causa al Dam. Non si era mai discusso di una pioggia di meteoriti.» Azrael slegò i capelli, che caddero davanti al suo volto, «E se abbiamo una fonte,»
Aldric concluse la frase del professore, «Si può risalire a una soluzione.»
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Ho appena partorito un bambino aiuto sono tante parole queste help
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