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III

Solo il suono del vento fra gli alberi li accompagnò fino all'entrata della taverna. Furono accolti dal calore del fuoco acceso in un camino di pietra, dalle varie sfumature di grigio, che accentuava i graffi sui tavoli usurati e le macchie di birra sulle panche di legno. La maggior parte di queste era già occupata da mezzi orchi chiassosi, tutti con dei boccali ripieni di bevande di ogni sorta, e da qualche elfo dall'atteggiamento vagamente più controllato.

Durante quel poco di camminata che li aveva separati dalla taverna, Aldric non aveva neppure avuto il tempo di realizzare ciò che avevano da poco visto. L'immagine della mezz'elfa distesa sulla neve continuava a tornargli alla mente, più e più volte, senza dargli modo di rifletterci per davvero.

Per l'ennesima volta, Aldric si ritrovava spaventato da ciò che non conosceva. Cosa era accaduto alla giovane, chi poteva aver fatto una cosa del genere, cosa potevano significare quei simboli - avrebbe potuto chiedere ad Azrael, se solo fosse stato sufficientemente lucido da pensarci -, c'era davvero qualcuno capace di far soffrire tanto un'altra persona? Poi ancora, se lei si fosse sentita sola mentre forzava un ultimo respiro, cercava di immaginare cosa avrebbe potuto fare una cosa simile.

Il non conoscere il pericolo lo faceva sentire schiacciato dalle miriadi di possibilità che la sua mente generava.

Di porre questioni ad Azrael non se ne parlava neanche. Non si sentiva in condizioni di porre una domanda dal senso logico. Oltretutto, chiunque la avesse uccisa doveva essere ancora nei paraggi visto lo stato del cadavere. Questo pensiero lo aveva obbligato a stringere in mano la sua pietra catalizzatrice, e lo stava facendo tutt'ora.

Azrael si avventurò fino al bancone in fondo alla stanza e vi lasciò sopra cinque monete d'oro. «Un tè caldo e qualsiasi cosa desideri ordinare il mio amico. Avresti poi delle camere libere per stanotte?» al suono del denaro molti degli occupanti della taverna voltarono la testa verso i nuovi arrivati.

Aldric si frappose come meglio poteva fra Azrael e quegli sguardi che non riusciva a decifrare, ma che non gli dicevano nulla di buono. La barista, un'umana dalle spalle larghe e dai corti capelli bianchi rasati sui lati, posò il boccale di birra che stava bevendo con espressione assonnata e requisì le monete per lasciarle scivolare in una delle tante tasche dei suoi pantaloni consumati e macchiati.

«Ho diverse stanze condivise, ma... per voi posso far arrangiare qualcos'altro.» annuì lei, poi si spostò per accendere un fuoco sotto una larga pentola in rame. «E per te, pupazzetto di neve?» chiese, poggiando i gomiti sul bancone e rivolgendo gli occhi scuri ad Aldric, il quale inarcò le sopracciglia.

«Un tè caldo anche per me.»

«Portagli anche qualcosa da mangiare. Abbiamo camminato molto.» aggiunse Azrael, che colse subito lo sguardo allarmato del cavaliere. «Finché sei con me è tutto a mie spese. Tranquillo. Domani cercheremo di arrivare fino a Villaggio Fiorito, devi essere in forze.» disse in tono di rispetto. Aldric esitò per qualche attimo.

Da tempo non si sentiva un peso per qualcuno, ed essere escluso dal provvedere per sé stesso non gli piaceva nemmeno un po', ma decise di non poter far altro che accettare l'offerta di Azrael. Probabilmente si sarebbe offeso se non fosse stato condiscendente, e magari, più avanti, sarebbe stato in grado di ricambiare la gentilezza.

«Ho solo un minestrone di legumi.» la barista continuò a rivolgersi solo ad Aldric. «Faccio un piatto al giorno così nessuno si può lamentare. Questo c'è, questo vi prendete. Anche se, e questo me lo dicono spesso, sono davvero brava in quello che faccio.» gli sorrise con un pizzico di provocazione nella voce, ma le intenzioni caddero vane. Aldric annuì senza dar troppo peso alle parole e seguì subito Azrael a uno dei tavoli liberi, ignorando il sospiro annoiato dell'umana alle sue spalle.

Prese posto di fronte al professore in silenzio. Aveva subito tirato fuori il taccuino e aveva iniziato a scribacchiarci sopra qualcosa. Aldric iniziò il lungo processo di slacciare i guanti dall'armatura con difficoltà. Prima non se ne era reso conto: le sue mani ancora tremavano, e non di freddo come pensava, bensì tremavano dalla tensione. Era da così tanto che non gli accadeva che aveva dimenticato come ci si sentiva a essere impotente di fronte alla morte. Non era una sensazione che desiderava ricordare. Frustrato, rinunciò a rimuovere i guanti finché non si sarebbe calmato.

Pochi attimi dopo, una bambina dalle lunghe orecchie a punta si presentò al tavolo. Poggiò con cautela due boccali di legno pieni fino all'orlo di tè evitando di guardare negli occhi i due occupanti. Rimase immobile per un attimo assicurandosi di non aver fatto cadere nulla, e soddisfatta corse dietro il bancone a nascondersi.

Aldric ne bevve subito un sorso nel tentativo di placare i nervi. La bevanda aveva un vago aroma di birra ed era sciapa, ma fu semplicemente grato per il calore che finalmente iniziava a sciogliere il freddo che si era annidato nel suo petto.

Azrael aveva alzato la testa dal quaderno per studiare i movimenti del cavaliere. «Non comprenderne la ragione è la parte peggiore, vero?» disse infine, comprensivo. Un'espressione sorpresa si fece strada sul volto già teso di Aldric. «Mi dispiace, non avresti dovuto assistere a una scena del genere. Ormai ci sono abituato, ma comprendo benissimo come ti senti. Posso spiegarti ciò che ho capito di questa situazione fin ora. Ma devi promettere che non ne farai parola con nessuno. Siamo d'accordo?»

Aldric annuì. Fece ben poco caso al piatto di zuppa di legumi portato dalla piccola elfa. Il professore si alzò dal suo posto, slacciò il mantello dalle spalle e lo porse al suo compagno di viaggio per poi sistemarsi accanto a lui.

«Cercherò di non risultare prolisso, la renderò più semplice possibile, ma ho bisogno che tu mi segua dall'inizio.» aveva notevolmente abbassato la voce. «Da ventidue anni va avanti questa serie di stranezze, fra le quali i corpi incisi da rune. Non è mai stato trovato un colpevole da ricondurre alle morti, che fosse un individuo o una qualche setta come si era pensato all'inizio. Si era pensato a rituali, alla magia del sangue, a un ritorno della nazione di Fina, ma tutte queste opzioni sono state scartate. Sappiamo che nessuno strumento e nessun incantesimo fin ora conosciuto è in grado di asportare la pelle con tanta precisione, e questo si rende ancora più chiaro quando i cadaveri appartengono a creature dalla pelle dura come la roccia. Naturalmente nulla di tutto ciò è stato reso pubblico, altrimenti la situazione sarebbe decisamente sfuggita di mano. L'ipotesi sulla quale la maggior parte di noi sta ponderando è che si tratti di una sorta di evoluzione del Dam, forse in grado di espandersi in piccole dosi nell'aria, e onestamente mi pare l'idea meno sensata di tutte. Non ho modo di dimostrare quanto sia sbagliata se non trovando la fonte del problema. Non posso farlo dalle mura di un'accademia, studiando dei libri o rivolgendosi a dèi morti. Il periodo in cui regnavano è finito da secoli, non ha più senso venerarli come si faceva una volta; ad eccezione di Arvaza, almeno, ma essendo l'ultima dèa rimasta in vita non ha tempo di occuparsi dei mortali. È una situazione nuova e particolare, il modo migliore per rendersene conto è vedere in prima persona le conseguenze che ha portato il Dam in una regione vasta come quella di Runika. Porterò indietro con me sufficienti prove che possano distruggere la loro ipotesi di un nuovo Dam, ma non tornerò solo per dimostrare che sbagliano. Ovviamente tornerò solo quando avrò trovato la vera causa delle morti casuali di gente innocente. Gente alla quale morte ormai non si può riparare. Non possiamo certo scusarci con loro o piangerli per quanto lo vorremmo. Ma possiamo fare in modo che le loro vite, in qualsiasi modo le abbiano vissute, non saranno state vane. E questo è ciò che so sulla situazione fino a ora. Non è molto, anzi, non è niente. Per questo devo andare in fondo alla questione.» Azrael terminò il discorso guardando Aldric, trovandolo concentrato con le sopracciglia aggrottate. Per qualche motivo, vederlo così fece sorridere Azrael. «A dire la verità non ti ho scelto per caso, Aldric. Sei il mio cavaliere, questo è vero, e penso sinceramente che tu non abbia fatto nulla di male perciò ho messo parola nel tuo processo e te ne ho tirato fuori. Ma c'è qualcosa in te che mi incuriosisce molto, e anche questo è qualcosa che desidero approfondire. Te la mostrerò più tardi quando saremo da soli. Ora mangia prima che si freddi troppo. Io vado a fare due chiacchiere con la barista. Non si sa mai cosa puoi scoprire chiacchierando con i locali.» infine il professore si alzò, lasciando Aldric solo.

Aveva ascoltato con avidità quelle parole decantate con un filo di voce. Più era andato avanti, più l'inquietudine si era fatta largo nella mente di Aldric. L'idea di una misteriosa forza o entità in grado di scatenare un evento simile era prepotentemente disturbante, e il fatto che nessuna delle più importanti menti dell'Accademia Centrale fosse stata capace di localizzarne la fonte non faceva altro che alimentare le sue preoccupazioni.

Non poteva far altro che sentirsi frustrato e superfluo in confronto agli studiosi e ai maghi, che di certo possedevano la conoscenza e il potere adatto a investigare un dilemma di tale rilievo. Nonostante i dubbi e le insicurezze, Aldric non fu in grado di ignorare la determinazione nelle parole di Azrael. Aveva parlato con sicurezza dell'obbiettivo che aveva in mente, tanto che era risultato contagioso, e il cavaliere si ritrovò a percepire un filo di speranza che proprio Azrael sarebbe stato l'unico in grado di trovare una soluzione al mistero.

Guardò al bancone, sul quale Azrael era poggiato, con le ali rilassate lungo la schiena mentre sembrava parlare del più e del meno con la barista, entrambi immersi nella conversazione. Non riuscì a capire cosa stessero dicendo; il chiasso di risate brille e di boccali di ferro battuti gli uni contro gli altri in insensati brindisi riempivano la taverna.

Ma riusciva a vederla bene: vedeva la ferma risolutezza che Azrael aveva avuto nello sguardo di poco prima. Era ancora lì, incastonata in quegli occhi capaci di far crollare una montagna. Era una risolutezza così splendente che portò l'istinto di Aldric a credere di poter superare qualsiasi ostacolo lungo il percorso. Aldric annuì a se stesso, giurando silenziosamente che avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per aiutare Azrael.

D'improvviso, la porta del locale si spalancò per sbattere con violenza sulla parete di legno, rischiando di colpire una mezz'orca intenta a giocare a dadi al tavolo lì di fianco. Un gruppo di guardie si fece largo con prepotenza, il suono di armature metalliche sul pavimento marcio sporco di neve fresca riecheggiò nella sala. Sul loro petto era raffigurata una spada messa per verticale, simbolo della più potente gilda dell'Anello: la Gilda della Roccaforte.

Aldric assottigliò lo sguardo.

Cadde il silenzio.

Diedero varie occhiate rapide lungo i tavoli, e gli occhi di quello che sembrava il capo si fermarono su un gruppo di elfi nell'angolo più vicino a loro, poi alzò la voce per farsi sentire da tutti. «Razza di capre, che cazzo ci fate qui?» inveii in tono aggressivo.

Un robusto mezz'orco dalla pelle chiazzata di grigio alzò lo sguardo verso la guardia e, con una buona manciata di coraggio, rispose: «Signore, ci stiamo solo facendo un drink.»

Il loro leader arricciò il naso, disgustato. «Dovreste essere alla miniera in questo momento, non in una dannatissima, zozza taverna a perder tempo. C'è bisogno di più pietra. Tornate immediatamente al lavoro.» sfoderò una spada corta dal fianco, puntandola al collo di un giovane elfo.

Aldric spalancò gli occhi.

Tutti -o almeno quasi tutti - gli occupanti di quella taverna avevano i capelli, le guance, le mani, le ginocchia ricoperte di fuliggine scura, di terra e di polvere mischiate a chiazze marroncine. Sangue secco. Non aveva mai riposto la pietra rossa, il suo catalizzatore magico, ancora stretta nella sua mano sinistra.

La rabbia rischiò di prendere il sopravvento. Aldric si alzò e lasciò la pietra, la quale andò a fluttuare alla sua destra. Alle sue spalle si materializzarono cinque lance dello stesso rosso scarlatto della pietra, lo stesso rosso cremisi dei suoi occhi, immobili, puntate silenziosamente nella direzione delle guardie. Quest'ultime si voltarono nella sua direzione, e alcuni di loro rimasero sorpresi.

«Lasciateli stare.» ringhiò Aldric, la sua voce profonda e minacciosa.

Gli uomini in armatura esitarono per qualche attimo, ma subito uno di loro fece un passo avanti di fronte al suo capo, estraendo la spada. «Pensi di essere chissà chi, vero, mago?»

Aldric non rispose. Contò fino a tre sottovoce per riguadagnare il controllo. Fallì. Si lanciò verso la guardia, e le sue lance avanzarono insieme a lui spezzando l'aria con un fischio.

La guardia riuscì a parare la prima con lo scudo argentato che stringeva nel pugno sinistro. La seconda trovò rapidamente la giuntura dell'armatura fra il petto e la spalla sinistra, affondandovi con facilità.

L'uomo boccheggiò e cadde a terra premendo la mano sulla ferita che sputava sangue a fiotti. Per un rapido attimo, gli sguardi dei duellanti si incrociarono. Paura, pentimento; o forse sfida, rabbia, tutto ciò in un singolo sguardo fugace.

Il cavaliere era stato addestrato a ignorare le parole o i sentimenti l'avversario. Gli avevano insegnato che in guerra, l'unico alleato che si ha è se stessi.

La sua postura era rigida, il respiro erratico, come fosse da solo di fronte a un intero esercito.

Il breve contatto si interruppe bruscamente.

Un altro di loro tentò di attaccare con la spada, ma Aldric si era già spostato con una rapidità innaturale per un combattente della sua stazza.

Le cinque lance si mossero con grazia, fluide, spezzando la loro danza solo per conficcarsi in contemporanea nelle carni dell'umano.

Gemette.

Il suo sangue schizzò dalle ferite, macchiando l'armatura e il pavimento di rosso.

L'aria si era riempita di odore ferroso, i clienti della taverna si erano allontanati il più possibile dalla scena, con schiene attaccate ai muri e occhi fissi sul centro dell'azione.

Il volto di Aldric si inasprì.

Prese un respiro profondo.

Camminò sul corpo di uno dei due uomini a terra, spezzando la sua cassa toracica con un suono secco. Le altre guardie esitarono, bloccati sul posto dal terrore di vedere i loro compagni cadere con tanta facilità. «Se chiunque fra voi si avvicina ancora a questa gente vi ammazzo a tutti.» sibilò, il risentimento verso di loro dipinto nella sua postura aggressiva e nel volto piegato da un'espressione impetuosa.

Le guardie non se lo fecero ripetere due volte. Si voltarono e fuggirono dalla taverna con il chiasso delle armature a seguirli nel buio della notte.

E di nuovo calò il silenzio nella taverna.

Tutti gli occhi erano fissati su Aldric in un misto di shock e di ammirazione. Quest'ultimo passò una mano sulla guancia, spargendovi il sangue che gli era schizzato addosso.

Guardò i due cadaveri ai suoi piedi, poi spostò lo sguardo su Azrael, poggiato con la schiena al bancone. Sul suo volto trovò uno strano sorriso. Aldric ne fu sollevato. Scaricò con un sospiro la tensione che aveva accumulato in quei brevi secondi di combattimento.  «Scusate per il disastro. Pulisco io.» Sollevò le guardie dai capelli per trascinarle fuori, lasciando scie di sangue dietro di lui.

Non riuscì a mantenere la testa alta.

Persone come quelle non meritavano un trattamento dignitoso. Gli avrebbe dato ciò che si erano guadagnati.

Odio le scene di combattimento è corta corta infatti eeee nient fatemi sapere che ne pensate fin'ora <3 Aldric ha qualche problema di gestione della rabbia si ma ceh se lo sono meritato

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