I
Una delicata brezza faceva ondeggiare i tendaggi dello studio in cima all'ultima delle dieci torri che s'innalzavano dal corpo dell'Accademia Centrale, scandita dal chiarore del cielo notturno come una maestosa creatura luminosa immota sul fondale degli abissi.
Seduto di fronte al pianoforte, Azrael lasciava libere le sue dita che danzavano assieme ai suoi pensieri. Capelli castani cadevano davanti a un volto rilassato.
La musica era il suo luogo sicuro. Un modo per fuggire, anche se per pochi istanti, dalla realtà che lo tormentava. Ciò non voleva dire che i suoi problemi scomparissero del tutto. Le note si mischiavano ai concetti, il peso che gli impediva di respirare scivolava lungo le braccia e si adagiava sui tasti bianchi dello strumento, scaldando il suo cuore e sciogliendo i nodi nel suo animo.
Aveva impartito nozioni di Storia a generazioni di umani, a innumerevoli creature, aveva passato centenni fra le mura di quell'Accademia e fra le rovine delle antiche popolazioni che lo avevano appassionato fin da bambino.
Il suo non era un nome conosciuto da molti e così preferiva, vista la vita calma e tranquilla alla quale aveva sempre anelato. Lui, i libri e le incisioni sulle quali si chiudeva tanto da dimenticare di dover riposare una volta ogni tanto: non aveva mai desiderato altro, e sperava potesse continuare così per il resto della sua lunga vita.
Teneva le ali brune striate di bianco ripiegate dietro le spalle, con le estremità posate sul pavimento ligneo, immobili. Raramente riusciva a ritagliare del tempo per sé stesso, e in quei casi gli piaceva starsene lì da solo con i suoi pensieri, con il vento e gli uccelli notturni a sussurrargli parole di incoraggiamento, per così concentrarsi sullo sconforto che delle volte minacciava di trascinarlo in profondità.
Sospirò profondamente e incominciò a canticchiare, seguendo il lento tono della melodia, conferendovi un'intensa mestizia. Non era comune che Azrael si lasciasse trasportare in quella maniera dalle emozioni, negative o positive che fossero. Ma quella notte, seppure inconsciamente, ne percepiva il bisogno.
Così, una melodia composta secoli prima in onore di un volto ormai dimenticato dava sollievo al buio del suo animo.
La giornata da poco terminata, oltretutto, non aveva portato altro che ennesime preoccupazioni. Le sue dita smisero di muoversi, prolungandosi sulle ultime note più del dovuto.
Il tiepido vento si era fatto più freddo. Azrael si alzò dallo sgabello, pronto per ricevere il suo ospite. Nel corridoio risuonarono dei passi metallici accompagnati da un leggero stridio metallico, poi, per qualche attimo, scese nuovamente il silenzio. Ci fu rumore di solido metallo sul legno di quercia, annunciando la voce che ne seguì: «Sono Aldric. Sono stato convocato qui.»
Le spalle di Azrael si abbassarono in un gesto rilassato, come a voler scaricare la tensione che in quei pochi attimi si era accumulata. «Certo, prego. Entra. La porta è aperta.» il suo sguardo seguì distrattamente l'abbassarsi della maniglia finemente decorata da motivi vegetali, maneggiato con estrema delicatezza come se l'uomo dall'altro lato temesse in qualche modo di spezzarla.
L'imponente figura del suo cavaliere si fece spazio stringendosi nella stretta entrata dello studio, e poco o nulla, nel suo aspetto fisico e nel suo atteggiamento, era cambiato dall'ultima volta che lo aveva incontrato.
Lunghi capelli bianco neve, sciolti in un ammasso di nodi disordinati, adagiati su un'armatura di uno splendente metallo del colore dell'argento, completata da un mantello di un profondo blu scuro foderato di pelo bianco all'interno, lo stemma dell'accademia nascosto dietro di esso.
Il suo sguardo adesso era forse più deciso ora rispetto agli anni addietro, le occhiaie erano svanite -anche se il suo volto appariva ancora stanco - e senza la luce riflessa dal paesaggio ghiacciato ora Azrael riuscì a notare le numerose cicatrici biancastre che solcavano il volto pallido di Aldric.
Costui richiuse la porta senza voltare le spalle piegate in avanti, gli occhi di un innaturale rosso sanguineo dalla vaga luminescenza sottolineata dalla penombra che pervadeva la stanza.
Azrael accennò un inchino col capo -subito imitato da Aldric, il cui gesto rivelò un complesso tatuaggio oscurato dai capelli alla sinistra del collo -, poi indicò le due sedie ordinatamente poste di fronte a una delle due scrivanie presenti nella stanza. «Vieni, sediamoci. Hai fatto un lungo viaggio per venire fin qui, e temo che dovremo discutere di un argomento delicato per te.»
Aldric annuì appena, senza porre alcuna delle domande che aveva iniziato a porsi, e seguì l'invito del professore prendendo posto sulla sedia di destra con uno scricchiolio del legno sotto il suo peso. La lettera che aveva ricevuto non conteneva informazioni precise, anticipava unicamente che si richiedevano i suoi servigi come guardia del corpo in un viaggio verso le terre di Runika.
Azrael si sedette a sua volta, e lasciò che le sue mani scivolassero per aggrapparsi alle ginocchia prima di cominciare a parlare: «Mi spiace infinitamente per il disturbo che ti ho recato convocandoti qui, e di conseguenza, una volta che ti avrò illustrato la situazione, sarai libero di rifiutare l'incarico. Alla fine, gli accordi erano che saresti rimasto a guardia della montagna fino a che non avresti scontato la tua pena, e speravo sinceramente che non avrei mai avuto bisogno di te. Ma sono obbligato a chiedertelo, vista la situazione attuale. Ti ho già anticipato nella lettera che la meta del mio viaggio è la nazione di Runika, ed è impossibile per una persona come me oltrepassare il confine senza un mercenario al seguito. Il tuo compito sarebbe perciò quello di accompagnarmi fino all'avamposto della città di Banshe, lasciarmi lì, per tornare poi ai tuoi doveri di guardia alle rovine.»
Aldric aveva annuito durante i punti fondamentali del discorso ma non si era fatto avanti per eventuali perplessità, perciò Azrael proseguì: «Naturalmente sarai ricompensato per il tuo lavoro, anche se ti devo avvisare: l'Accademia non è d'accordo nel lasciarmi partire, per cui, nel caso dovessi accettare, andresti contro il loro volere. Ma, non devi preoccuparti, perché ho già pronta una lettera per la rettrice che ti solleva da qualsiasi responsabilità del caso. Un po' come se fossi andato contro i tuoi doveri sotto mio diretto ordine. E nessuno ti darebbe noie.» nel parlare, il professore aveva brevemente dato le spalle ad Aldric per aprire l'anta di un vecchio mobiletto foderato di velluto rosso, dal quale si procurò due coppe in ceramica dipinta di bianco.
«Posso offrirti qualcosa da bere intanto?» Azrael ritirò le ali strette dietro la schiena e si spostò per permettere al cavaliere di guardare all'interno della dispensa. Questa era carica di bottiglie colorate delle più varie forme, ancora sigillate o quasi terminate.
Aldric fu subito attirato da una bottiglia di vetro trasparente che rappresentava una mezzaluna ghignante, piena fino al naso di una bevanda dal colore rossastro, poi c'erano delle semplici brocche ceramiche, dei flaconi decorati da pitture stravaganti, alcuni contenitori a forma di piccoli uomini con cappelli a punta. Azrael non gli era mai apparso come un individuo dai loschi affari, e, se doveva essere onesto con sé stesso, Aldric doveva al professore più di qualche piccolo favore. Lo aveva salvato da una vita in carcere, e sebbene il cavaliere non fosse estremamente propenso all'andare contro le regole, non avrebbe rifiutato alcuno degli incarichi che gli avrebbe affidato.
Per il momento scelse comunque di lasciare che continuasse a parlare, vista la curiosità che gli aveva indotto quel piccolo discorso che aveva iniziato, così si limitò ad accettare l'offerta.
«Qualcosa di leggero. Grazie.» il professore spostò alcune bottiglie per arrivare a quelle riposte più in fondo, scegliendo una bottiglia di forma piramidale ancora sigillata, carica di una bevanda limpida dai riflessi dorati. Aldric lo osservò versare il liquido denso in entrambe le coppe, e prese con delicatezza quella che gli fu presentata.
«Perciò, volevo metterti al corrente della ragione di tutto questo. Sono riuscito a far progressi nella traduzione dei graffiti che si trovano dentro il Santuario Blu, e da quel che ne ho ricavato, visitare le terre di Runika beneficerebbe i miei studi. Sono sicuro che comprendi la situazione in cui si trova Runika, e ti prego di non tentare di dissuadermi dall'andare. Ci ha già provato chiunque altro.»
Aldric aveva cautamente avvicinato le labbra alla coppa, bevendo un sorso di quella particolare bevanda, trovandola affatto spiacevole. Era dolce come un frutto ben maturo e gli provocava un piacevole calore alla gola. «Non lo avrei fatto.» rispose senza esitazione, continuando poi a sorseggiare più tranquillo.
Azrael annuì, e, con un piccolo sorriso sulle labbra, riprese a parlare: «E te ne sono grato. Voglio rassicurarti anche del fatto che non ti chiederei mai oltrepassare il confine di Runika, l'importante è che tu sia lì con me quando devo superare i controlli che si trovano all'ultimo avamposto. Poi sarai libero di tornare indietro. Se dovessi accettare, partiremmo stanotte stessa, e se hai bisogno di tornare a casa per recuperare qualcosa di importante possiamo organizzare una deviazione di una giornata. L'unica cosa che ti impongo è di mettermi al corrente della tua decisione entro le prossime ore, altrimenti dovrò trovare un'altra soluzione. Va bene?»
Il cavaliere posò la coppa vuota sulla scrivania. «Sarebbe un viaggio di pochi giorni. Sì. Posso farlo.»
«Oh. Perfetto.» Azrael si permise allora di bere, assorto in qualche pensiero profondo che gli aveva fatto corrucciare la fronte. Dopo qualche secondo di silenzio si riprese, lasciando da parte la coppa ancora mezza piena, e si alzò. «Permettimi di raccogliere le ultime cose di cui avrò bisogno. Puoi anche aspettarmi qui fuori, se lo preferisci.» Aldric imitò il gesto del professore e decise di seguire il suo consiglio.
Con un cenno del capo si congedò dalla stanza, richiudendo silenziosamente la porta dietro di sé. E così come era apparso, il cavaliere svanì con passi metallici, fino a che il vento non tornò piacevolmente tiepido.
Il sorriso era svanito dal volto di Azrael; si lasciò andare e non percepì le piume delle sue ali che d'istinto si arruffarono, e ignorò il brivido che si scatenò lungo le braccia. Non sapeva se fosse davvero pronto a intraprendere un viaggio come quello che aveva programmato, né tantomeno escludeva la possibilità di essere impazzito.
Recuperò da sotto la scrivania uno zaino di tela marrone, si assicurò che le monete d'oro che aveva preparato fossero ancora lì, insieme a diversi taccuini carichi di appunti e di studi, e vi aggiunse le prime matite che gli capitarono sottomano, alcune fiale di liquido aranciato, una borraccia di cuoio piena d'acqua e allacciò alla vita la sua spada dal manico in avorio nero.
Raccolse i lunghi capelli dietro la nuca con una spilla argentata, e prima di lasciare la stanza si guardò indietro per un'ultima volta.
La chiacchierata con Aldric era andata molto meglio del previsto. Era durata cinque minuti al massimo, e, soprattutto, non gli aveva posto alcuna domanda sulla ragione della spedizione. Da un lato, Azrael ne fu sollevato, e sebbene per lui non fosse complicato leggere i comportamenti del cavaliere, trovò difficile credere che avesse accettato di allontanarsi dalla montagna con così poco preavviso e senza particolare sforzo nel convincerlo.
Scosse la testa e alzò le spalle con decisione. Se non lo stava facendo per sé stesso e per le sue ricerche allora lo faceva per il bene di tutti gli altri, perciò non gli importava delle conseguenze: avrebbe rischiato la vita per dimostrare di aver ragione.
Per dimostrare che il cielo stava cambiando, anche se le stelle, a uno sguardo qualsiasi, apparivano sempre uguali.
Per dimostrare che aveva ragione, che tutte quelle morti non erano state frutto del Dam, ma erano collegate a qualcosa di ben più grande e pericoloso.
Uscì con passo deciso dallo studio, e non degnò di uno sguardo la porta di fronte alla sua. Tutte le volte che aveva avuto un dubbio, che qualcosa non andava per il verso giusto, sapeva di potervi bussare in qualsiasi momento e lei lo avrebbe lasciato entrare con un sorriso per offrirgli una chiacchierata davanti a una tazza di tisana calda.
Sentiva il cuore spezzarsi nell'andare via senza avvisarla, ma la aveva ragguagliata del pericolo che incombeva su di loro e, per la prima volta da quando la aveva conosciuta, lei non gli aveva creduto e aveva tentato di persuaderlo nel gettarsi in un'impresa come quella senza guardare alle conseguenze.
Al suo posto Azrael avrebbe fatto la stessa cosa e le avrebbe consigliato di lasciar perdere.
E proprio per questa ragione le avrebbe dimostrato di non aver torto.
A qualsiasi costo.
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Si ceh insomma qui tocca produrre
-ImMaoko- e comunque potete sempre darvi i bacetti in campagna, mica vi faccio rollare su persuasione nono potete farlo uvu
Fatemi sapere che ne pensate del capitolo plis ♡ vi lovvo
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