II - Closed Epigraph: (Suzuha) Closed Time Curve (5)
SUZUHA
13 Agosto 2036
«Papà, la squadra di pacificatori ha raggiunto Manseibashi.»
«Tra non molto ci troveranno. Le false informazioni che mi hanno rifilato ci hanno rallentato di molto.»
«Sbrighiamoci.»
«Sto per aprirlo.»
Un passaggio segreto nel muro si spalanca per rivelare un vano buio.
«Non credevo ci fosse una porta. Nessuno la troverà mai qui.»
«Entrate dentro.»
«Cos'è questo posto?»
Divergenza: ???
La stanza è quasi del tutto vuota, ricoperta da cima a fondo da materiali insonorizzanti. Non ci sono né finestre né porte che conducano fuori.
L'edificio dove ci troviamo era un tempo il simbolo di Akihabara, prima di essere distrutto quasi completamente da un raid avvenuto negli ultimi giorni della Terza Guerra Mondiale.
Solo poche persone conoscono il passaggio segreto al suo interno, tra cui io, mio padre e, adesso, anche la sorellona Mayuri. Il motivo per cui lo teniamo segreto è di fronte ai miei occhi: sembra un grosso satellite a un angolo della stanza, ma è...
«La macchina del tempo!»
Mayuri alza lo sguardo, affascinata.
«Questa è la macchina del tempo?»
«È pericoloso, Kagari, sta' indietro.» intimo alla ragazzina aggrappata alla mano di Mayuri. I bambini di questa epoca hanno infiammazioni cutanee su tutto il corpo a causa delle piogge radioattive, ma lei è un'eccezione ed è perfettamente sana.
Il suo nome è Kagari Shiina.
Stando ai suoi documenti ha solo dieci anni, ma nessuno lo sa per certo perché è un'orfana. I suoi genitori sono morti nel grande raid aereo di Tokyo quando lei era piccola. Nessuno sa il suo vero nome.
Mayuri, che lavora al centro di accoglienza dove l'abbiamo trovata, l'ha chiamata Kagari in onore di "kagaribi" che vuol dire "fuoco luminoso", nella speranza che possa essere una luce che rischiara questi giorni oscuri.
Sono passati quattro anni dall'adozione e adesso il nome della bambina è diventato ufficialmente Kagari Shiina.
«È carina, mamma.»
«Sì, lo è.»
Faccio loro cenno di spostarsi e avvicino la mano destra al sensore della macchina. Effettuati i controlli biometrici, il portello si apre.
Mi precipito dentro e allaccio le cinture al posto di guida.
«Non abbiamo mai effettuato un salto così grande con equipaggio a bordo, ma con questa tecnologia dovremmo riuscire a farcela. Fa' come durante il test.» mi avverte mio padre.
«Okey-Dokey.»
Capovolgo gli interruttori secondo la procedura di avvio, come ho fatto centinaia di altre volte in preparazione a questo giorno. Il debole rombo della macchina diventa più forte...
«Secondo le informazioni, il posto dove ci troviamo adesso era il tetto del vecchio Palazzo della Radio. C'è un vuoto di circa un metro quindi, quando atterri, preparati all'impatto.»
«Roger.»
La macchina può muoversi attraverso il tempo, ma non controlla lo spazio. Per arrivare al Palazzo della Radio di sessant'anni fa, dobbiamo effettuare il lancio proprio da qui.
«Se qualcosa dovesse andare storto, mantieni la calma. Ricorda il tuo addestramento.»
«Andrà tutto bene, papà. La tua macchina non fallirà.» rispondo con convinzione. Mio padre sorride e sporge le labbra verso di me, ma io lo allontano con una mano. Le mie parole devono averlo reso felice, ma non è il momento per darsi alle smancerie.
«Ti prego, è disgustoso.»
Lui mi guarda con un'espressione incerta.
«Che c'è? Non vuoi bene al tuo papà, Suzuha?»
«Quando fai così, sembra che intendi qualcos'altro...» insinuo, aggrottando le sopracciglia.
«Non penserei mai in quel modo a mia figlia!» si difende lui, portandosi una mano al petto.
«E allora chi è che ha detto "Inizi a somigliare a tua madre" con quell'espressione perversa?»
Mia madre non è qui con noi. È stata una delle tantissime vittime della guerra, uccisa brutalmente da una squadra di pacificatori.
«Non credevo che prendessi sul serio le mie battute...»
«Era solo una battuta?» indago con un tono leggermente deluso.
Scrollo le spalle e inserisco la destinazione: 13 Agosto 1975, la mia prima missione.
«Ho finito. Papà, Mayu...»
Proprio mentre sto salutando la mia famiglia, sento dei rumori assordanti provenire dal tetto. Mayuri stringe Kagari a sé.
«Stanno arrivando!»
«Sono più veloci di quanto pensassi.» Afferro la pistola e mi precipito fuori dalla macchina del tempo, ma mio padre mi ferma di colpo.
«No! Va'!»
«Ma voi...»
Senza neanche accorgermene, la mia voce ha iniziato a tremare.
«Staremo bene. Tu vai, Suzuha!»
«Papà, io non...»
Mio padre allunga una mano verso Mayuri.
«Mayushii, fai salire Kagari.»
Mayuri lo fissa con aria interrogativa. «C'è posto ancora per un altro passeggero!»
I due portano una stordita Kagari all'interno della macchina del tempo.
«Suzu!»
Mayuri si rivolge a me. «Prenditi cura della piccola Kagari!»
Un terribile pensiero mi assale: se la missione dovesse andare a buon fine, la linea di universo in cui ci troviamo sarà cancellata e Kagari cesserebbe di esistere. Non avrebbe senso portarla con me nel passato.
Gli occhi di Mayuri sono colmi di speranza: ogni madre desidererebbe il meglio per il proprio figlio. Anche mia mamma era così...
Decido di assecondarli e annuisco, prendendo la bambina per mano.
«M-Mamma...»
Kagari sembra aver compreso cosa sta succedendo. Stringo la sua mano più forte. «No! Non voglio! Non voglio andare!»
«Andrà tutto bene, Kagari. Suzu sarà qui con te, va bene?» la assicura Mayuri.
«Ma io voglio stare con te!»
«Nel passato vedrai la vecchia me stessa! Sarò molto più giovane di come sono adesso, sono sicura che ne sarai sorpresa.»
Kagari non sembra per nulla convinta, al contrario, il pensiero la confonde e spaventa.
Mayuri le passa un piccolo portachiavi. È evidentemente molto vecchio con poche tracce di colore verde sulla superficie; per il resto è quasi tutto arrugginito.
«Questo è l'Oopa della mamma. Adesso è tuo, prenditene cura.»
Kagari lo afferra e lo scruta con cuiriosità, mentre Mayuri si allontana lentamente con un triste sorriso sulle labbra. Delle lacrime le scorrono sul viso...
«Non voglio andare! Voglio stare con te, mamma!»
Kagari si slancia verso Mayuri e io la prendo per la vita, bloccandola. Il suo vestitino azzurro si muove intorno a lei e i lunghi capelli rossi le fanno da manto. «Mamma, mamma!»
«No!» Improvvisamente, Kagari smette di dimenarsi e anch'io allento la presa sulla sua gonna per la sorpresa. «Kagari, fai la brava.»
Non ho mai sentito Mayuri usare quel tono: è incredibilmente autoritario. Kagari resta in silenzio.
«Mamma...»
La faccio sedere accanto a me e le allaccio la cintura. Lei non smette di piangere.
«Sto chiudendo il portello.» sento la voce di mio padre.
L'interno e l'esterno, due mondi separati da un muro che ormai si è chiuso per sempre.
Non lo rivedrò mai più, non importa se la missione avrà successo.
«Suzu, ti prego, fa' in modo che Kagari stia bene!» grida Mayuri dall'altro lato.
«E di' a Okarin che Steins Gate esiste davvero!» aggiunge mio padre.
«Digli "Non ti arrendere, idiota!".»
«Okey-Dokey.» esclamo in risposta.
La porta si chiude, e le voci di Mayuri e di mio padre scompaiono insieme al resto del caos all'esterno.
«Papà...» sussurro, consapevole che non può più sentirmi. «Ti voglio bene.»
Poi, rivolta alla bambina accanto a me:
«Andiamo, Kagari. Verso il passato.»
Accendo il motore...
***
5 Dicembre 2010
«Hashida, dov'è l'aspirapolvere?»
In un attimo tornai alla realtà.
Yuki si stava avvicinando alla stanza dove ero nascosta.
«È proprio dietro la tenda- No, aspetta!»
Mi morsi le labbra, in agitazione.
«Dietro la tenda?»
«Lo prendo io!» si affrettò a dire Daru, caracollando nella mia direzione. Mentre si piegava per raccogliere l'aspirapolvere da terra, il suo sguardo incontrò il mio. Ero ancora nascosta sotto il tavolo.
«Fa' in modo che non lo scopra.» gli intimai.
«Okey-Dokey.»
La voce di mia madre fece trasalire Daru:
«L'hai trovato?»
«C-Certo!» balbettò lui.
Il laboratorio era piuttosto disordinato e, conoscendo la personalità di Yuki, immaginavo che volesse pulirlo. Mio padre uscì dalla stanza e le consegnò l'aspirapolvere.
«Cos'è questa cosa?»
La voce di mia madre era incerta.
«Gadget Futuristico 005! Se lo apri in due, puoi usarlo come un normale aspirapolvere.»
«Dovrebbe servire a pulire...» obiettò Yuki. «Se lo rompiamo, faremo solo più confusione.»
Mio padre non seppe cosa ribattere di fronte a quella logica innegabile.
«Sei intelligente, Hashida, ma a volte dici cose così strambe.» ridacchiò mia madre.
Io sospirai.
«Lo pensi davvero?»
«Mi piacciono le persone come te.»
Per tutta risposta, Daru iniziò a tossire.
«Cosa... Cosa hai detto?»
«Però dovresti prenderti cura del posto in cui vivi e pulirlo ogni giorno: qui è pieno di polvere.» Il tono di Yuki era quello di una madre che si rivolge al figlio...
«Inoltre, faresti meglio a regolarti con il cibo. Hai mangiato di nuovo ramen istantaneo oggi?»
Riuscivo quasi a immaginare mio padre mentre sbiancava in viso.
«Come lo sai?!»
«C'è una ciotola mezza piena in cucina...» rispose mia madre. «Guarda tutte queste merendine! Te lo dico sempre: tu mangi troppo.»
Per quanto sembrasse invadente, Yuki era davvero preoccupata per la salute di Daru.
«Io ci provo...» si scusò lui.
«Provare non è abbastanza.» ribatté mia madre. «Se continui a mangiare solo noodles e snack, finirai per sentirti male. Inoltre, ti conviene allenarti un po'.»
Mio padre non rispose.
Yuki gli aveva rivolto le stesse identiche parole che io avevo detto poco prima.
Tale madre, tale figlia...
Improvvisamente, sentii un altro rumore di passi proveniente dal corridoio e iniziai ad agitarmi...
«Tutturu!»
La porta del laboratorio si aprì e un tenero saluto che conoscevo estremamente bene risuonò per tutta la stanza.
«Scusa, Yuki, sono in ritardo.»
Mayuri era appena arrivata, ma avvertivo la presenza di qualcun altro insieme a lei...
«Ciao, Mayuri.» salutò Yuki. «Vedo che Okabe è qui con te.»
«Okarin! È passata un'eternità, amico!»
Mio padre aveva già riacquistato la spigliatezza di sempre.
«Hai ragione...»
Quando udii quella voce, strinsi leggermente i denti.
Era Rintarō Okabe.
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