Capitolo 28
L'acqua scorre via, portando con sé ogni odore, ogni impronta sulla mia pelle. Sono nudo e mi sento rinato, come una farfalla che esce fuori dal suo bozzolo. Il bacio di Chris sulla porta è ancora vivido nei miei ricordi e posso immaginarlo andare oltre e scendere giù, oltre le pieghe del collo e del petto.
Vorrei davvero che scendesse giù, che mi togliesse ogni pezzo di armatura, ogni straccio di tessuto e di pelle. Anche se ho paura. Paura che veda il mostro dentro di me e fugga via. Mi ha dimostrato che ci tiene, che mi vuole veramente, ma chiamerebbe ancora il mio nome se conoscesse la verità?
Mi faccio sempre le stesse domande, tartassandomi di dubbi e incertezze, ma non arrivo mai a una risposta. E so che quello che cerco non lo otterrò mai fino a quando resterò in silenzio. E il silenzio è l'ultimo scudo che mi protegge.
Esco dal bagno, prendo i vestiti, indosso le cose migliori che ho: una camicia aderente, un paio di jeans a vita bassa e una giacchetta di flanella. Ho tutto ciò che mi serve e scendo giù per dare un bacio sulla guancia di nonna. Ora che mamma non c'è più, quella casa mi sembra troppo grande, troppo vuota.
E mi sento in colpa, per un momento. Prima di entrare in cucina, il mio cuore galoppa e sprofonda in mezzo al petto: mia madre è in prigione, accusata di omicidio... e io che faccio? Vado a una festa.
Chiudo gli occhi, pensando che forse dovrei togliermi tutto e restare a casa, ma nonna Kathy si avvicina a me con un radiante sorriso. «Tesoro, stai uscendo?».
Fatico a sostenere il suo sguardo, quegli occhi chiari simili ai miei. Mi vedo quasi riflesso e mi sento un verme a fare questo.
«Su dai... non ci pensare, tesoro. Divertiti».
«Ma nonna... io...», mormoro a bassa voce.
«Ho parlato con tua madre. So tutto, non preoccuparti».
Mi sorprende: «Cosa sai?».
Esita, e percepisco un flusso di parole uscire dai suoi occhi azzurri e cercare di connettersi con i miei.
«Chris è un bravo ragazzo. Sono contenta che passi del tempo con lui».
Mi afferra il volto tra le mani e mi fa uno strano occhiolino che non riesco a interpretare. So che non era questa la risposta alla mia domanda, eppure lei me l'ha già data.
Mi stampa un bacio sulla curva delle labbra e mi abbraccia forte con tutta la sua mole. «Su su, basta questo musone! Alla tua età ero una tipa tosta che usciva tutte le sere, sai!».
«Davvero?», mi sorprendo a chiedere.
«Ceeeerto», afferma strizzando l'occhio. «Ovviamente mia madre non sapeva niente... facevo tutto di nascosto!», aggiunge sussurrando.
Ci sfugge una risata, ma lei frena ogni mia curiosità sul suo passato, tirandomi un buffetto sulla guancia. «Dai, ora esci e non fare tardi. I Wilson organizzano sempre delle belle festicciole!».
Annuisco e mi avvicino alla porta per abbassare la maniglia. Ho il cuore in tumulto e un moto di sentimenti che risale fino alla gola. Devo dirglielo, voglio farlo, così mi accingo a lei in un unico fiato: «Ti voglio bene, nonna».
Il viso di nonna Kathy si illumina e per un attimo mi sembra ancora una ragazzina, bella come mia madre, solo con qualche ruga in più.
«Anch'io ti voglio bene, tesoro», mi dice accarezzandomi una ciocca di capelli vicino agli occhi. «E ora su su, sciò, alla festa!».
Mi perseguita come la Fata Turchina di Cenerentola, ma non c'è alcuna carrozza alla fine del vialetto di casa.
Poco male, Chris abita a un centinaio di metri più in là e i miei piedi mi portano in fretta a destinazione, quasi alla fine di Peach Road.
Casa Wilson è illuminata come un albero di Natale; la luce esce da ogni finestra, da ogni lampada intorno al giardino, accomunata dall'eco della musica.
Per un attimo mi fermo, tremo, timoroso di entrare. Percepisco questo peso sulle spalle, che si allunga fino al petto, come le ombre degli alberi trascinate dal chiaro di luna. È un sesto senso, un campanello d'allarme che mi dice che forse sto davvero sbagliando. Che dovrei trovare un modo per aiutare mia madre, che dentro quella casa non accadrà nulla di buono. Ma poi sento dei passi e mi volto spaventato.
Riconosco immediatamente il viso luminoso di Ellie, con la sua espressione un po' maliziosa. È vestita di nero, con una minigonna e lunghe calze infilate dentro a degli scarponcini. «Ciao», mi saluta radiosa. «Ci sei anche tu!».
Annuisco, ingoiando un nodo alla gola che mi avrebbe tenuto fermo sul posto.
Ellie fa un gesto con la mano. «Vogliamo entrare?».
«Sì», mormoro e ci avviamo verso la porta d'ingresso leggermente socchiusa.
Improvvisamente, il volume della musica diventa più forte e si sovrappone al grande vociare nel salone. I divani sono stati messi un po' di lato, per lasciare spazio davanti al camino. La portafinestra che conduce alla piscina è spalancata, ma è proprio nel retro della casa che la festa ha il suo nido.
Ci sono tavole imbandite di cibo e bevande, soprattutto ciotole di punch e bottiglie di vino. C'è addirittura un barman, che si esibisce nella preparazione dei cocktail. Sono proprio lì per fissarmi sui suoi movimenti quando mi accorgo del duo di ragazzi che si avvicina a me.
Jordan e Kevin ci circondano, mi salutano e mi danno qualche lieve pacca sulla spalla. Sembrano tutti felici, allegri, brilli, e lo sono ancora di più con Ellie. La prendono e la strapazzano, commentando quanto fosse bella quella sera. I gemelli le mettono le braccia intorno alla vita, facendosi fare delle foto con delle pose ridicole.
Mi strappano qualche sorriso, finché non vedo Mike e Chris uscire dalla portafinestra del salotto; un braccio intorno al collo dell'altro.
«Ciao, ragazzi! Finalmente siete tutti qui!».
Mike sembra brillo e il bicchiere che stringe in mano mi dà conferma di ciò. Indossa una camicia bianca è un giubbotto di pelle, tutto abbinato con i pantaloni neri a sigaretta.
Lo odio, l'antipatia nei suoi confronti cresce ogni secondo di più. Odio quegli occhietti furbi, quel sorriso strafottente, quella mano che accarezza la spalla di Chris, il quale mi rivolge subito un sorriso imbarazzato.
Perché è imbarazzato? È successo qualcosa? Le parole di Mike di stamattina mi ronzano fastidiosamente nella testa. D'un tratto mi pento completamente di avergli dato il mio aiuto l'altra sera. Avrei dovuto lasciarlo in quello stato pietoso in cui riversava alla mercé di suo padre.
"Ci siamo divertiti...", ha detto. In che senso? Di certo, c'era malizia nelle sue parole, e anche nel suo sguardo. Ma non può essere...
E qui, un mesto sorriso si appoggia sulle mie labbra. L'ironia della situazione mi coglie in fallo: parlo io che ho fatto di peggio.
«Tutto bene, William?», mi richiama Mike. «Perché stai ridendo?».
Torno serio e arrabbiato. «Non sto ridendo!», rispondo torvo.
«Mm... sei così teso», mi punzecchia con i suoi occhietti neri. «Che ne dite di scioglierci un po' con il gioco della bottiglia?».
«Ma che palle, Mike!», sbotta Ellie con le braccia incrociate. «Siamo appena arrivati!».
«E allora? Quale modo migliore per stare tutti più vicini, eh?», ribatte Mike.
«Benvenuti ragazzi!». La madre di Chris entra dalla cucina accogliendo tutti i ragazzi della band.
In quello stesso istante, un uomo si affaccia dal giardino sul retro, insieme al resto della famiglia. Riconosco immediatamente il padre di Mike: hanno gli stessi occhi neri e la stessa capigliatura; è solo più grande e più in carne. Ha un'aria torva, antipatica come quella del figlio. Tutto il contrario della moglie che però mi trasmette un certo distacco emotivo. È bella sì, ma le sue braccia e il suo collo sono pieni di bracciali e collane che sfoggia come se fosse la vetrina di una gioielleria.
L'altro uomo, invece, dev'essere il dottor Wilson, il padre di Chris. È maledettamente affascinante, impeccabile nel suo gessato, eppure severo. Chris lo fissa con attenzione e percepisco in lui un certo moto d'ansia.
«Buonasera, Jocy», saluta Ellie abbracciando la donna. «È sempre bello vederti».
La madre di Chris finge imbarazzo. «Oh, cara. Tu sei stupenda!». Poi il suo volto cade su di me. «E tu sei il nipote di Kathy, William Greys».
Annuisco, a disagio. Allungo una mano perché mi sembra la cosa più sensata da fare, così Jocy Wilson la stringe e mi studia come solo una mamma sa fare.
«Chris non mi ha parlato molto di te... ma ho saputo di tua madre. Mi dispiace per la tragedia che ha colpito la vostra famiglia...».
«Mamma!». Chris ci divide e sbatto contro la sua schiena. «Smettila. Possiamo andare fuori?».
«Veramente aspettiamo qualcun altro...», accenna Jocy sistemandosi i biondi ricci.
«Chi?», chiede Chris.
La risposta è presto detta. La porta d'ingresso si apre alle nostre spalle e lo sceriffo Nathan O'Donnell compare nelle sue vesti più informali. Ha portato con sé una bottiglia di vino e la cede in fretta tra le mani della padrona di casa.
«Oh, Nathan, grazie mille!».
Lo sceriffo mi lancia una rapida occhiata. «È una sciocchezza...».
«Sceriffo!». Il padre di Mike lo chiama a sé con braccia aperte e lui lo raggiunge come fossero vecchi amici.
«Che cosa significa tutto questo?», chiede Chris.
Mike fa spallucce. «Mio padre l'ha invitato...».
Non mi va. Non voglio stare qui insieme a quell'uomo. Usciva con mia madre e adesso viene qui dopo averla messa in prigione.
«Credo che siamo tutti, caro», dice Jocy riferendosi al signor Wilson. «Possiamo dare inizio alla festa».
Avevo immaginato che Chris mi avrebbe presentato ufficialmente ai suoi, ma quando il signor Wilson ha dato l'okay, tutti gli ospiti sono andati fuori e di me non si è accorto proprio nessuno. Mike continua a tirare Chris tra le sue braccia, quasi fosse il suo cagnolino al guinzaglio, mentre per Ellie e i gemelli la situazione è quasi del tutto normale.
Rimango fermo in salotto per qualche istante, ma è lo sguardo dello sceriffo, attraverso la portafinestra, a riscuotermi. Non voglio che mi fissi, non voglio avere a che fare nulla con lui.
Raggiungo Ellie, che mi sembra più accessibile di Chris, e mi costringo a capire cosa fare.
La festa dei Wilson è una specie di aperitivo a buffet. Ci sono tanti stuzzichini ai tavoli lungo la piscina, ma niente di concretamente sostanzioso. Il barman al lato ha già preparato il prosecco ed Ellie mi porge il mio con un sorriso.
«Buonasera a tutti», annuncia il signor Wilson. «Prima di iniziare vorrei fare un brindisi e ringraziare famiglia e amici per la vostra presenza. Alla salute!».
«Alla salute!», rispondono tutti in coro.
Solleviamo in aria i flûte pieni di prosecco, ma Mike sussurra qualcosa all'orecchio di Chris. Non sento, mi rode. Perché quei due sono così vicini?
«Allora, sceriffo». Il signor Wilson si rivolge agli "uomini" della situazione. «Come procede? Ci sono novità in città?».
O'Donnell sorseggia il suo calice. «Tutto bene, Wilson. Come sai, non sopporto le ingiustizie e mi batto sempre per far rispettare la legge».
«Sì, certo...», commenta Mike a bassa voce con il resto della band. «Però allo spaccio di erba non ci fa caso...».
«Mike!», esclama Chris.
«Spaccio di erba?», ripete uno dei gemelli. «Figo!».
Mike se la ride, come se fosse uno intelligente. «Ne volete un po'?». Dalla tasca dei pantaloni tira fuori una bustina trasparente piena di quello che tutti noi stiamo pensando.
Chris cerca di nascondere il suo gesto, ma Mike ne approfitta per giocare e farsi toccare nelle parti intime.
«Chris! Ma che fai...».
La rabbia mi acceca, ma la mano di Ellie mi ferma prima che possa fare un passo falso. «Hai fumato di nuovo, Mike?».
Quest'ultimo le rivolge un'espressione greve, di scherno. «Non ancora!».
Lancio un'occhiata a Chris, ai suoi occhi grigio-azzurri che mi sembrano misteriosamente spenti. Mi chiedo perché finora non abbia aperto bocca. Stasera, mi dà davvero l'impressione di essere un animale addomesticato.
«Ehi, ragazzi!», esclama Jordan o Kevin. «Iniziamo a mangiare?».
Quando si muovono, i gemelli sono un terremoto. Così travolgono tutto il gruppo e persino i tavoli del buffet. Iniziano a riempirsi i piatti di salumi e tartine, seguiti da Ellie e Mike.
Chris, al contrario, rimane qualche secondo al mio fianco. Stringo ancora il mio bicchiere di prosecco, ma non ho avuto il coraggio di prenderne un sorso.
«Va' tutto bene? Vuoi andare via?».
Sì. Vorrei tanto andare via. Venire qui è stata una pessima idea. Dover affrontare Mike è un conto, ma tutta la famiglia di Chris e lo sceriffo... no, è troppo. Eppure non riesco a muovermi, a dire una parola, sempre perennemente paralizzato di fronte alle situazioni in cui mi butto senza pensare.
Non ho nemmeno fame, perciò porgo il mio bicchiere a Chris e gli dico che devo andare in bagno.
«Okay», risponde Chris preoccupato. «Entra in cucina e poi a sinistra...».
Annuisco. Torno dentro e seguo le sue indicazioni, chiudendomi la porta a chiave. Qui, dove la musica non arriva, tiro un sospiro di sollievo e mi sembra più facile gestire le mie emozioni.
Noto che il bagno dei Wilson è molto più lussuoso del mio. C'è una grande vasca idromassaggio e un box doccia tutto in legno. Lo specchio che ho di fronte è uno dei più grandi che abbia mai visto all'interno di un ambiente casalingo e mi chiedo che cosa dovrebbero farci con tutta questa superficie riflettente a disposizione.
Ed eccomi di nuovo a fissarmi, controllandomi gli occhi e il profilo della bocca. Secco come sono sembra che abbia messo i vestiti di qualcun altro. Non sono bello, non merito le attenzioni di Chris.
Infatti mi sta ignorando dall'inizio della serata. Che cosa mi ha invitato a fare? Ah, giusto, non l'ha fatto lui, ma suo cugino Mike! Certamente per prendermi in giro. Ora lo sospetto più che mai: tra loro due c'è stato qualcosa. Magari Mike ha visto che Chris e io ci siamo avvicinati e ora vuole mettersi in mezzo per rovinare tutto.
Appoggio le mani sul bordo del lavabo in porcellana e penso che ci sia già riuscito. Se fossi stato davvero al primo posto nei pensieri di Chris, a quest'ora avrebbe mandato Mike a quel paese e mi avrebbe accolto tra le sue braccia davanti a tutta la famiglia. Invece, non mi ha presentato nemmeno suo padre.
Le lacrime mi cadono sui dorsi delle mani e mi odio per questo. Mi ero ripromesso che non avrei provato più questo genere di emozioni, che non avrei pianto per nessun altro ragazzo.
Mi riscuoto e mi asciugo con il dorso della giacca. In seguito, apro il rubinetto e mi do una bella sciacquata. Ho chiuso. Basta. Torno di là, dico a Chris che è finita e me ne torno a casa. Devo occuparmi di nonna e pensare a un modo per far uscire mia madre di prigione.
Lei dice che ha accoltellato mio padre per proteggermi, ma non ci credo. È una bugia. Se ripenso a quella notte... sì, qualcosa è successo, ma... oddio che mal di testa!
Chiudo la manopola dell'acqua e mi asciugo di fretta. Spengo la luce e ritorno in cucina. Mi accorgo che la maggior parte delle luci in casa sono spente, così ne approfitto per sgattaiolare via senza farmi vedere. Avviserò Chris tramite un messaggio, adesso non mi va proprio di tornare in giardino e...
«Che cazzo hai in mente?».
Mi sento colto in fallo, così mi blocco sul ciglio della porta, poco dopo le scale per il piano superiore.
«Perché non mi vuoi più?». Questa è la voce di Mike, e prima era quella di Chris.
Non stanno parlando con me, ma tra di loro.
«Chi ti ha venduto l'erba, eh?», chiede Chris e lo sento strattonare il cugino.
Sono in mezzo alle scale, non mi hanno visto.
«Avanti, rispondimi!», insiste Chris.
«Mio padre!», confessa Mike.
«Cosa? Tuo padre? È questo l'esempio che ti dà?».
Mike scoppia in una risata isterica che cerca di sopprimere. «Tu non sai niente... sei solo un coglione. Cieco e sordo! Ritorna dal tuo William».
«Tu hai bisogno di aiuto...».
Il cuore ha smesso di battere.
«Io sto benissimo».
Di cosa stanno parlando?
«Devi smetterla di fumare, non sei te stesso!».
«Tanto me stesso non ti è mai piaciuto! Perciò meglio così, no?».
Chris resta in silenzio. Sospira. «Quindi è per questo che hai iniziato a fumare? Per colpa mia?».
«Tu non capisci...».
Mi sembra di sentire le mie parole.
«Fidati di me».
Chris mi ha detto la stessa cosa. Non so se sentirmi ferito o triste per entrambi.
«Mio padre... No, non posso dirlo».
«Cosa?», insiste Chris con lo stesso tono dolce che ha usato con me. «Cosa non puoi dire?».
«Se lo venisse a sapere mi picchierebbe», piagnucola Mike.
«Chi? Tuo padre?».
«Mike?!». Mi volto e un uomo è appena comparso nell'ombra.
Mi metto una mano sul petto, mentre Mike e Chris scendono dalle scale. Entrambi si sorprendono di vedermi, ma rimangono paralizzati di fronte alla figura statuaria dell'uomo.
«Papà...», lo chiama Mike.
«Che succede qui?».
«N-nient...».
Mike non riesce a completare la frase che un sonoro ceffone gli arriva dritto sulla guancia.
«Zio Mason!», esclama Chris.
Ma il padre di Mike lo ferma con un indice puntato al petto. «Tu stanne fuori, Chris. Abbiamo già parlato di questo con tuo padre... Voi due dovete stare al vostro posto!».
Osservo Mike calare la testa e perdere improvvisamente la sua aria da spaccone. Adesso non è più quell'antipatico ragazzo con l'aria da sufficienza sulle labbra. Sembra nudo, sprovvisto di tutte le sue maschere, e spaventato, come un bambino nel buio.
Chris, d'altro canto, mi rivolge una rapida occhiata e si avvicina a me afferrandomi il polso.
«Io non credo che tuo padre sia felice del tuo nuovo amico», continua l'uomo osservando il contatto del nostro legame. «È meglio che tu vada a casa, William Greys».
«Bill... Bill è un mio... amico e resta qui», s'imputa Chris, stringendo ancor di più la sua mano intorno al mio polso.
E mi sento come annaspare a pochi centimetri dalla superficie del mare. Lo sguardo torvo del padre di Mike, la penombra di questo salotto, tutto mi trascina verso il basso, ma Chris è ancora qui che cerca di tenermi a galla.
Ma poi arriva anche il signor Wilson e le sue labbra contrite mi regalano disgusto incondizionato.
«Che cosa succede, Mason?».
Il padre di Mike prende suo figlio per il braccio e lo trascina verso il giardino. «Io metto a posto mio figlio, tu cerca di fare lo stesso con il tuo...». Si volta di trequarti, lanciandoci l'ennesima occhiata contrariata. «Continua ad avere i suoi soliti... inclinamenti».
Spalanco gli occhi. Inclinamenti? È per questo che Chris non mi ha presentato suo padre? Perché non vuole che...
La consapevolezza mi spinge al rifugio e strattono la mano di Chris per allontanarlo da me.
«Bill...».
Lui mi guarda con occhi persi e lucidi, ma non so più cosa pensare. È tutta colpa mia.
«Christian, che stai facendo?».
Il signor Wilson si morde l'interno delle labbra. Me ne accorgo, anche con questa poca luce. Vuole che io sparisca da questa casa e perciò obbedisco. Non permetterò che Chris abbia problemi con lui a causa mia. So quando non sono ben accetto e ho capito che in questa famiglia ci sono problemi che devono essere risolti senza la mia presenza.
«Papà, Bill è un mio amico...», risponde con voce tremula.
Il signor Wilson si avvicina di un passo, mentre io retrocedo. «Amico? Che genere di amico?».
Apro la porta.
«No, Bill, non te ne andare».
«Christian!».
Il richiamo è imperativo e lui resta sul ciglio della porta a fissarmi. So che non ha il coraggio di varcare questo punto, perciò lo saluto con le lacrime agli occhi, stufo di tutto quanto. Esausto. E vado via.
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