Capitolo 23
La mamma di Ellie era severamente sorpresa, ma dopo che la figlia le aveva spiegato cosa era successo si era dimostrata più permissiva. Ellie era tornata a prendere i nostri vestiti belli asciutti e in men che non si dica avevamo lasciato casa sua.
Uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita, ma il fatto che ci fosse anche Chris insieme a me l'aveva reso anche uno dei più divertenti. Era bello condividere qualcosa, non ho mai provato a farlo. Ho sempre tenuto tutto per me.
Per fortuna ha smesso di piovere e ora il cielo è tornato limpido e soleggiato. Possiamo ritornare alla nostra passeggiata anche se sono sicuro che mi aspetta una bella ramanzina a casa da parte di mamma. Me l'aveva detto di portare l'ombrello, ma l'ho dimenticato subito dopo. Chris riesce sempre a occupare i miei pensieri, è una distrazione. Una piacevole distrazione.
Chris mi suggerisce una scorciatoia e ci ritroviamo di fronte al campus della scuola. Pensandoci, se dovessi rimanere a Heaven's Hill oltre l'estate, dovrò andare lì a studiare. Non sarebbe male, ma la cosa mi spaventa un po'. È stato già difficile ambientarmi con Chris e i suoi amici, figuriamoci con un intero istituto scolastico.
Mi sembra passato più tempo, ma dopo qualche minuto siamo già a Peach Road, con i fiori rosa degli alberi di pesco ad avvolgerci nella loro coperta di seta. Intravedo il sole, tra quelle fronde, un minuscolo barlume di luce, coperto a intervalli irregolari da grossi banchi di nuvole grigie. Forse, questa sera pioverà di nuovo.
Chris rallenta il passo. Non so perché, ma ho l'impressione che voglia dirmi qualcosa. È diventato serio all'improvviso ed è rimasto immobile per qualche secondo prima di invitarmi a proseguire verso il vialetto di casa mia.
«Che cosa c'è?», chiedo con un tono di voce spaventato. «Qualcosa non va?».
Scuote la testa e quando mi guarda, le sue iridi sono agitate. «Ripensavo a quello che ha detto Ellie, su di noi».
Strizzo gli occhi, cercando di capire.
«Noi... stiamo insieme, giusto?».
Sorrido. Mi fa preoccupare per nulla, come se fosse successo qualcosa di grave. Tiro un sospiro di sollievo e sollevo lo sguardo al cielo. «Mi sembra che ci stiamo frequentando, no?».
Anche lui comincia a rilassarsi e lo rivedo tornare quel bellissimo ragazzo sereno che quel giorno alla caffetteria mi ha invitato ad uscire.
«Volevo esserne sicuro».
In quel momento, mi accorgo dell'auto dello sceriffo parcheggiata davanti casa mia. Sono stato così preso da lui, da non rendermi conto che fosse lì già da un pezzo.
Chris si distrae quanto me e si volta alle sue spalle. Vediamo insieme lo sceriffo O'Donnell scortare mia madre verso l'auto. In manette.
Ho un improvviso groppo alla gola, come se avessi ingoiato un pasto amaro senza masticare. Perché mia madre è agli arresti? Il suo viso è così triste, così perso nel vuoto... Non si è nemmeno accorta di noi che siamo di fronte a lei, dall'altra parte della strada.
«Bill...». Chris poggia una mano sulla mia spalla. No, è quasi un abbraccio.
La mia testa poggia mollemente sul suo petto e sento la sua guancia tra i miei capelli.
Lo sceriffo O'Donnell indossa un paio di occhiali da sole neri, ma non ho bisogno di vedere i suoi occhi per capire quanto sia serio. E lo odio. Fino all'altra sera usciva con mia madre e ora le mette un paio di manette ai polsi, schiacciandole la testa per entrare nella sua auto, come una comune criminale. Ma lei non ha fatto niente, non ha colpe...
Lo sapevo... Sapevo che quel bastardo avrebbe rovinato tutto, anche dopo che se n'è andato.
Stringo forte i pugni, digrignando i denti, e le mie narici si gonfiano. Vorrei tornare a quella sera, a quando se n'è andato, a quando ha alzato troppo il gomito, a quando ha colpito mia madre... avrei voluto ucciderlo io, con le mie mani. Invece, ha preso il suo furgoncino verde e se n'è andato via.
Lo sceriffo mette in moto l'autovettura e fa inversione a "U" con poche manovre; non nota la nostra presenza oppure ha fatto finta di niente.
«Bill!». Chris mi riscuote e mi volta per guardarmi negli occhi. «Bill... non preoccuparti, andrà tutto bene».
Lo fisso con un certo sconforto e senso di oppressione. «Come puoi dirlo?».
«Fidati di me», mi dice.
Fa una pausa. Un lungo silenzio che mi travolge come la freddezza di un vento d'inverno.
«Vuoi dirmi che cosa è successo?».
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