Capitolo 21
In realtà, non ci avviciniamo neanche un po' a Seattle, mantenendoci distanti lungo i suoi confini. Chris si ferma vicino a una stazione di servizio che si trova su una via piena di negozi chiusi. Tuttavia, c'è tanta confusione e una lunga fila di macchine parcheggiate. Per fortuna, Chris riesce a trovare un posto vicino all'ingresso della stazione, spegne il motore e mi invita a scendere.
«Mio padre mi portava qui da piccolo», mi dice togliendosi il casco. «Fanno le mini ciambelle più buone di tutto lo stato».
Sorrido. «Esagerato...».
Lui se ne risente. «No, davvero! Non ho mai assaggiato ciambelle così soffici e gustose. Vedrai, ti ricrederai!».
Mi prende il casco dalle mani e mi fa segno di entrare.
Non mi sento proprio a mio agio. Il locale è poco elegante, ma così vestito mi sembra di venire dalla campagna. Chris, al contrario, sembra scappato da un matrimonio e la sua bellezza non fa che attirare sguardi indiscreti appena entriamo nella caffetteria.
Lungo il bancone ci sono un gruppo di motociclisti che bevono birra e si guardano una partita di football, mentre ai tavoli, fortunatamente, c'è qualche famiglia con dei bambini rumorosi. Noto che servono anche la cena, involtini di carne, insalate e qualche hamburger con ketchup e patatine.
Mi chiedo dove Chris mi abbia portato. Va bene ovunque, ma avrei sperato in qualche posticino romantico. Sembra più la birreria di paese e forse anche Chris se ne accorge.
«Me lo ricordavo meglio questo posto», ammette dopo che prendiamo posto. «Forse è l'orario».
«Tranquillo», rispondo abbassando gli occhi sul menu.
Una cameriera dalle forme molto pronunciate si avvicina a noi con aria stanca e svogliata. Gira un foglio consumato del suo taccuino e fa scattare il tappo della penna. «Sì?».
Chris non mi dà il tempo di visionare l'offerta della casa. «Ordiniamo un piatto mix di mini ciambelle e due yogurt con cioccolato e fragole. Grazie».
La cameriera sembra scarabocchiare qualcosa, quindi strappa il foglietto e si allontana trascinandosi i piedi. «Arrivano subito... Frank, un piatto di mini ciambelle e due yogurt con cioccolato e fragole!».
Mi esce fuori una risata isterica: praticamente tutto il locale ci guarda indispettito e non posso fare a meno di sentirmi un po' imbarazzato.
«Scusa», dice Chris. «Ma vedrai che le mini ciambelle sono buonissime!».
Ci servono in meno di due minuti. Un vistoso piatto di piccole ciambelle ricoperte da praline, cioccolato, mandorle e crema. La presentazione non è quello che si dice invitante, ma forse il sapore tradirà l'aspetto.
Chris mi invita subito a prenderne qualcuna, così scelgo quella con la glassa di fragole sopra. Ho fame, perciò le do un primo avido morso e...
«Cosa?». Chris sembra sorpreso. «È ottima, no?».
Inizia a sudare e a perdere ogni certezza.
«Sono buonissime!», mi conferma e per avvalorare la sua tesi ne prende una e la mette tutta in bocca.
La sua reazione è simile alla mia. L'impasto è asciutto, la glassa dura come la pietra e il sapore come quello di una scarpa.
Vedo i suoi occhi farsi lucidi. «Ma io mi ricordavo un'altra cosa...».
Ingoio il boccone amaro. «Sei sicuro che fosse questo il posto?».
«S-sì... ne sono certo! Papà mi ci portava ogni volta che tornava da lavoro... Avranno cambiato la ricetta, o cuoco!».
Chris è visibilmente dispiaciuto e la sua buffa espressione mi fa morire dal ridere. Pensava che mi avrebbe fatto una grandissima sorpresa, ma il fatto che non sia riuscita mi mette una strana allegria addosso.
«Ma quando è stata l'ultima volta che sei venuto qua?».
Si gratta la testa imbarazzato. «Credo quattro o cinque anni fa».
Rido. Rido e lui mi fissa. Prima triste, poi con occhi sognanti.
«Che c'è?», mentre lascio cadere sul piatto la mia ciambella mozzicata.
«Sei così bello quando ridi».
Adesso sono io che prendo colore e d'un tratto la sua mano, sopra il tavolo, sfiora la mia.
«Puoi dirmi cos'hai?», mi chiede. «Stamattina non stavi bene e stasera... sembrava che avessi pianto».
Ritiro la mano, abbasso lo sguardo. Mi sento scoperto, colpito, affondato. È davvero così facile mostrarsi deboli, e anche così terribilmente fastidioso. Vorrei non dover discutere di questo, lasciarmi tutto alle spalle e fare finta di niente, ma Chris mi fissa con intensità. Lo sento.
Avvicina la sua mano alla mia, la stringe. «Te l'ho già detto, di me puoi fidarti. Puoi raccontarmi qualsiasi cosa».
Qualsiasi cosa, eh? Se fosse davvero così, riuscirei a liberarmi di tutto il peso del passato.
I miei occhi corrono sul contatto delle nostre dita, delle sue sul dorso della mia mano che mi accarezzano e si fanno spazio all'interno della manica della mia giacca. Quanto vorrei che mi toccasse di nuovo, ancora, più affondo. Quel giorno al lago si è avverato l'impossibile per me e quell'abbraccio è stato più importante di mille parole.
Anche il bacio, sotto le rose, con i fuochi d'artificio. La sua canzone nella mia testa e il suo sapore tra le mie labbra. Nessun ragazzo, prima di Chris, mi aveva mai fatto sentire così. Lo devo a lui questo nodo alla gola che sento, questo vuoto che ho dentro che mi fa battere il petto. L'assenza della terra sotto i piedi e il completo bisogno di sentirsi avvolti dal calore delle stelle.
Inumidisco le labbra, provo a prendere un respiro. «Questa mattina, dopo che sono tornato a casa, lo sceriffo O'Donnell è venuto a farci visita».
Chris non dice niente, ma la sua espressione si fa seria.
«È stato trovato...». Mi sembra così assurdo dirlo ad alta voce. «È stato trovato il cadavere di mio... di mio padre».
La mano di Chris si stringe più forte alla mia e vengo pervaso da un calore che mi fa quasi sudare.
«È per questo che sei sconvolto?».
Annuisco.
«E tu lo sapevi... che era morto?».
Scuoto leggermente la testa. No, non lo sapevo! E non mi interessava saperlo. Avrei voluto che quella porta rimanesse chiusa e invece eccomi qui a parlarne con l'ultima persona al mondo a cui avrei voluto raccontarlo.
«E si sa com'è morto?», mi chiede con tono pacato.
Non rispondo, ma scuoto ancora la testa in segno di negazione.
«Senti...». Alzo lo sguardo, ha un po' la voce roca. «Visto che qui le ciambelle non sono più come una volta e... lo yogurt non mi sembra tanto meglio, ti va se ci andiamo a mangiare una pizza?».
Mi fa sorridere di nuovo e improvvisamente sento un buco nello stomaco. «Sì, sto morendo di fame!».
«Allora pago e scappiamo via di qui. Subito», aggiunge dando una breve occhiata ai motociclisti ubriachi al bancone.
Mi dispiace un po' che Chris debba pagare per entrambi, ma lui mi ha trascinato in questo piccolo viaggio senza preavviso e ho dimenticato a portarmi appresso persino il cellulare.
Usciamo di corsa senza troppi indugi, ci mettiamo il casco e torniamo indietro verso Heaven's Hill. Prendiamo un'altra strada, passando per il nuovo centro commerciale e da lì ci fermiamo presso una pizzeria da asporto.
«Come la prendi?», mi chiede porgendomi il suo casco.
«Fai tu», rispondo facendo spallucce.
Chris annuisce e corre a ordinare la cena, mentre io me ne sto buono e tranquillo a fare la guardia alla sua moto. Siamo tornati a Heaven's Hill, ma questa è una parte della città che ancora non conosco. Ci sono più negozi e case nuove, strade larghe e gruppetti di ragazzi che fumano seduti su un muretto.
L'odore di erba mi arriva fino a qui e ne resto nauseato. Mi chiedo come possano divertirsi in quel modo, eppure sembrano tutti un po' sballati ed euforici.
Distolgo da loro lo sguardo, anche perché la macchina dello sceriffo passa proprio di lì in quel momento. Rallenta in prossimità dei ragazzi che per un attimo nascondono le canne e fanno finta di nulla. Dal finestrino abbassato, riconosco lo sguardo di O'Donnell che gli lancia un'occhiata torva, ma transigente. Infatti, non si ferma e va avanti, li supera come se nulla fosse e punta il suo sguardo su di me.
Ha due occhi neri come la cenere e mi trapassano come proiettili silenziosi. Sembra che sia interessato più a me che agli sballati dall'altro lato della strada e allora mi chiedo se la conversazione avuta stamattina gli abbia messo in testa strane idee.
«Eccomi qua». Chris torna sorridente. «Ho ordinato una pizza grande ai peperoni».
Annuisco, poi mi giro dall'altro lato. Lo sceriffo se ne è andato.
«Tutto bene?».
Non voglio farlo preoccupare e gli lancio un sorriso. «Sì. Mi piacciono i peperoni».
«Oh, grande!», esclama Chris sollevato. «Qui sono certo che la fanno buona la pizza. L'abbiamo ordinata la scorsa settimana con la band...».
Gli squilla il telefono. «Oh, mamma... chi è?».
Quando legge il nome sul display cambia espressione. È seccato. «Che c'è?».
Non riesco a sentire con chi parla.
«Che cosa? Ma sono fuori... sto mangiando una pizza con... Va bene, va bene. Arrivo tra poco».
«Cosa è successo?», chiedo mentre stacca la chiamata.
«Era Ellie», risponde sbuffando. «Mio cugino Mike si è ubriacato e ha fumato. Siccome non vuole che suo padre lo scopra mi ha detto se mi aiutava a coprirlo...».
«Okay...».
Mi prende la mano e me la stringe a sè. «No, non è okay... deve rovinare sempre tutto. Aspettiamo la pizza e poi andiamo».
Annuisco. Mike è sempre in mezzo a noi, ma stasera per qualche strana ragione non riesco ad avercela con lui. Ho apprezzato il fatto che Chris sia scappato dalla festa dei suoi per venire e uscire da solo con me. È stato molto di più di quanto mi aspettassi.
Così attendiamo la pizza calda. Ne assaggiamo una fetta e poi ci mettiamo sulla moto per tornare a casa. Stringo il cartone della pizza tra il mio petto e la sua schiena, sperando che non scivoli di lato. Sono in una posizione un po' scomoda, ma Chris guida piano e riusciamo a raggiungere Peach Road senza inconvenienti.
Ellie, Kevin e Jordan ci aspettano davanti al cancello dei Wilson, tenendo Mike per le braccia mentre vomita contro un albero.
Chris mi aiuta a scendere, tenendo il cartone della pizza ormai tiepido.
«Ehi, ragazzi», ci saluta uno dei gemelli.
«Ciao, Bill, come stai?», mi chiede Ellie.
«Ciao, ragazzi», saluto con una mano.
Chris posa il casco sopra la sella della moto e infuriato si dirige verso suo cugino. «Che è successo?».
«Ha esagerato come al solito», risponde Ellie a braccia conserte. «Ha bevuto e fumato erba».
«Erba?», ripete Chris.
Mike sogghigna. «Maria... sì!».
«E dove te la sei procurata?», domanda Chris sempre più seccato.
Mike si gira verso di lui e prova a tenergli testa, ma inciampa subito sul suo prossimo passo. «Sei forse cieco, cuginetto? Non lo sai che in questa città sono tutti dei dddroggati?».
«Sì, proprio come te!», lo rimprovera Chris afferrandolo da sotto il braccio. «Portiamolo dentro».
«No!», sbotta Mike impuntandosi sui piedi. «N-no... mio padre mi ammazza».
«Be' è quello che ti meriti», commenta Ellie irritata.
«Se volete», e mi sorprendo io stesso a pronunciare quelle parole. «Puoi venire da me».
Che diavolo mi prende? Odio Mike, perché improvvisamente sono diventato buono?
Lo stesso Mike si stupisce e mi rifila un'occhiataccia con occhi strabici.
«Sei sicuro?», mi chiede Chris sorpreso quanto me.
Annuisco, prima di cambiare idea.
«Kevin, Jordan, mi aiutate?».
I gemelli rispondo all'attenti e aiutano Chris a trascinare Mike verso il vialetto di casa mia. Solo in quel momento mi viene in mente che ho dimenticato le chiavi, ma i gemelli mi stupiscono con i loro sguardi da furbetti.
Si avvicinano alla finestra della cucina e iniziano a cercare dentro i vasi di gerani, finché uno dei due non tira fuori un pezzo di metallo che luccica alla luce della luna. «Zia Kathy ne mette sempre una di scorta».
Mi stupisco come quei due sapessero della chiave nascosta di nonna Kathy, ma senza fare troppe domande entriamo in casa e dico a Chris e ai gemelli di stendere Mike sopra il divano. Ellie gli toglie le scarpe, mentre cerco una coperta da mettergli addosso.
Successivamente, Chris e io ringraziamo gli amici della band che ci augurano la buonanotte, per poi ripiombare in cucina con lo scatolone della pizza aperta e il suo contenuto più freddo che mai.
«Però è ancora buona», mi dice lui addentando una fetta. «Che fame...».
Anch'io ho fame, ma se penso di prendere un boccone mi viene da vomitare. Mi preoccupano i mugugni di Mike sul divano: non vorrei che svegli tutta la casa, non saprei che spiegazioni dare.
Chris mi osserva per tutto il tempo, ma non dice una parola. Sembra sereno, anche se lancia spesso delle occhiate a suo cugino. Mi domando ancora una volta come ho fatto a ritrovarmi con quei due in casa mia, forse le mini ciambelle erano avvelenate. Non mi spiego questo mio altruismo.
No, lo capisco invece. L'ho fatto per Chris. Dopo questa sera, ho capito che farei qualunque cosa per lui, anche allearmi con il nemico.
«Che c'è?».
«Non hai mangiato nulla...».
Osservo la pizza. «Non ho più fame».
Mi accarezza il braccio e mi fissa con due occhioni da cane. «Sei troppo magro, devi mangiare...».
Sospiro. Non voglio farlo preoccupare, così mi costringo a prendere una grossa fetta di pizza e mandarla giù come se fosse una medicina amara.
Lui pare soddisfatto e ritorna con uno sguardo sognante sul viso.
«Sei così bello...».
Sorrido, cercando di mascherare la timidezza. «Non è vero...».
«Sì, invece», incalza lui avvicinandosi a me. «Sei così dolce».
Dolce... mi sembra quasi un'assurdità. Non sono dolce. Sono una cattiva persona, ho fatto delle brutte cose, io... No, no. Non dovevo lasciarmi trascinare da questi soliti pensieri. Non voglio privarmi di questo momento, dei suoi occhi nei miei.
Si avvicina, come se stesse per sfiorare qualcosa di evanescente. Mi accarezza le dita della mano, poi sale sulle mie nude braccia e con le labbra mi chiede un invito.
Questo è il nostro terzo bacio? Sì, voglio proprio che lo sia.
Trattengo il fiato e chiudo gli occhi. Quasi mi sciolgo nel sentire il contatto con la sua pelle. Ha delle labbra così morbide che vorrei mi baciassero sugli occhi e sulla fronte. È un tocco lento e delicato, come tamponare una ferita. Il suo bacio mi sta guarendo e in me sparisce ogni incertezza.
Allungo la mia mano, audace, intorno alla sua testa e gli stringo i capelli, anch'essi morbidi e lucenti. Lo spingo più forte alle mie labbra, lo abbraccio, lo voglio.
Non sento altro che il battito del mio cuore, nella mia gola, nella sua bocca.
Tossisce.
Ci stacchiamo. Mike è in piedi sulla porta della cucina. Ha un aspetto orribile, gli occhi rossi, persi nel vuoto.
«Ti sei alzato?», chiede Chris allontanandosi da me.
«Possiamo tornare a casa», risponde Mike evidentemente infastidito dalla scena.
«Sei sicuro? Se tuo padre ti vede così...».
Mike riprende l'equilibrio e si punta in piedi a braccia conserte. «Sto-be-ne».
«O-kay», gli fa eco Chris.
Ecco, sento che il momento è volato via. Mannaggia a me che ho acconsentito a far venire Mike in questa casa. Ancora una volta ha rovinato tutto, ma osservarlo in queste condizioni pietose non me lo fa odiare più di quanto dovrei.
«Che c'è?», mi rifila con una smorfia.
«Niente», rispondo.
Mike si rivolge a suo cugino. «Allora, Chris? Ce ne andiamo?».
«Va bene, andiamo. Mettiti le scarpe!».
Credo che Mike si sia accorto solo in questo momento di essere scalzo. Così, mentre ritorna in salotto per rimettersi le scarpe io e Chris ci ritagliamo l'ultimo momento di solitudine insieme.
«È stata una bella serata, tutto sommato», dice mentre mi accarezza i capelli.
Sorrido. «Già... soprattutto la parte delle meravigliose mini ciambelle».
Si sente un po' ferito nell'orgoglio. «Ehi! Mi ricordavo che erano buonissime!».
«Sì, quando avevi dieci anni», gli dico trattenendo una risata.
«Grazie».
Lo guardo. «Per cosa?».
«Per tutto...».
«Sono pronto», interviene Mike imbronciato.
Sfortunatamente per lui, non riesce a stare propriamente in piedi. Chris gli dà una mano e lo accompagna alla porta.
«Okay, allora ci sentiamo domani», mi saluta Chris.
«Sì, sì... andiamo», incalza Mike infastidito. «Sono stanco».
Li accompagno con lo sguardo. Non aggiungo altro, non serve. Lui sa.
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