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Xavier iniziò ad arrampicarsi velocemente sull'albero, come faceva quando era bambino e giocava con i suoi amici. Con una mano si aggrappava a un ramo e con l'altra mano afferrava quello successivo, mentre con le gambe si dava la spinta per salire sempre più in alto. La preoccupazione si era impossessata della sua mente e non riusciva a pensare ad altro che non fosse: più in fretta, fai più in fretta! Aveva paura e un tremendo bisogno di parlare con Jordan.
In circa due minuti si ritrovò seduto a gambe aperte nel ramo che si affacciava sulla finestra della stanza di Jordan. Gattonò su di esso fino alla sua punta e si ritrovò davanti alla camera del verde, con il cuore che batteva a mille nel suo petto. Osservò attentamente la sua stanza: era disordinata, con fogli disegnati sparsi nel pavimento, uno zaino chiuso sul letto sfatto e i vestiti appoggiati a casaccio sulla sedia della scrivania.
Si rilassò appena vide Jordan: era di spalle alla finestra e sembrava piuttosto agitato, poiché stava saltellando sui talloni. Aveva i capelli mossi sciolti - Xavier avrebbe voluto vederlo in faccia, lo aveva sempre visto con la coda e quella nuova acconciatura lo incuriosiva parecchio -, le cuffie nelle orecchie e digitava qualcosa al cellulare con velocità.
Xavier si sporse e vide che stava parlando con uno chiamato "Dio Supremo" col cuore e gli stava scrivendo: tra poco sono da te... e il rosso era molto tentato di piantare un palo su per il culo a quello lì – ma molto tentato. Sospirò rumorosamente e deglutì, mentre cercava di tenere a freno l'ondata di gelosia che lo stava attraversando come un fiume in piena. Avrebbe tanto voluto scoprire chi fosse il ragazzo al quale stava scrivendo e, soprattutto, sapere cosa fosse per lui.
Jordan staccò le cuffiette dal cellulare e le infilò nella tasca della felpa blu che stava indossando. Afferrò un zainetto verde smeraldo che era sopra il letto e aprì la porta della sua stanza. Xavier vide Claude e Bryce che cominciavano a parlare con lui, alle volte lanciandogli qualche occhiata di chi la sapeva lunga. Ad un certo punto iniziarono ad urlare: «CHE? DILLO PIÙ FORTE NON TI SENTIAMO».
Jordan sbuffò. «HO DETTO CHE VADO DA BYRON! CIAO», e allargò le braccia, frustrato, prima di superarli.
Quando scomparve, Claude e Bryce scoppiarono a ridere ed entrarono nella stanza del verde. Si avvicinarono alla finestra e la aprirono osservando maliziosi Xavier, che era arrossito fino alla punta dei capelli. «Hai sentito dove va?» domandò Claude e si allungò con le braccia fuori: afferrò il rosso per un braccio e lo aiutò ad entrare.
«Sì» annuì Xavier, mentre appoggiava i piedi per terra. Si sedette sul letto e incrociò le braccia al petto, poi, curioso, iniziò a guardare i disegni sparsi sul pavimento.
Bryce gli saltò addosso e gli tappò gli occhi con le mani. «Non. Guardare. I. Disegni.» disse e voltò la testa verso Claude. «Raccoglili e mettili dentro il primo cassetto subito. E muoviti cazzo».
Il rosso, un po' sorpreso e leggermente infastidito dalla posizione ambigua di Bryce, si inginocchiò e iniziò a raccogliere gli infiniti disegni di Jordan. Alcuni "parlavano" di Xavier - la maggior parte -, altri raffiguravano vari occhi. Claude riconobbe subito i suoi e si stupì della loro bellezza. I suoi occhi erano davvero così luminosi e infuocati? Beh, quelli dell'albino erano sicuramente freddi e dolci, li conosceva benissimo e avrebbe saputo riconoscerli.
Gli cadde l'occhio su un disegno di lui e Bryce che litigavano sopra il divano. Era più che altro una bozza, dato che era fatta con la matita ed era piena di scarabocchi in più, ma era comunque bella. Datemi la sua capacità di disegnare, vi prego, pensava, mentre riponeva i fogli nel primo cassetto della scrivania. Notò che sopra la superficie di legno c'era la bozza di Byron con un bellissimo paio d'ali sulla schiena, mentre teneva per mano qualcuno che non aveva un'identità (infatti accanto al suo corpo c'era un punto interrogativo).
Si alzò e ripose i disegni nel cassetto. Appena lo ebbe chiuso Bryce saltò lontano di qualche metro da Xavier e si ricompose accanto al fidanzato, che continuava a guardarlo con occhi di ghiaccio, mentre la gelosia aumentava dentro il suo petto.
«Perché tutto questo?» domandò Xavier, sorpreso dal loro strano comportamento. In fondo erano solo dei disegni, quindi perché loro potevano guardarli e lui no?
Bryce alzò gli occhi al cielo. «Niente, lascia perdere» rispose e Xavier, sebbene controvoglia, lasciò davvero perdere la questione, dato che non voleva mettersi a litigare: aveva cose più importanti alle quali pensare.
«Più che altro, come mai va da Byron?» chiese quindi. A quanto aveva capito, lui aveva accompagnato i suoi due migliori amici e il ragazzo che amava a Liocott per vedere la finale, quindi l'ultima cosa che sperava era che fra loro due fosse nato qualcosa.
I due alzarono le spalle. «Non saprei che dirti» intervenne Claude e sbadigliò, portandosi una mano davanti alla bocca. «Comunque sia, io ora vado a letto. A dopo».
Bryce lo prese per il polso. «Aspetta, vengo anche io!» esclamò. Quindi si voltò verso Xavier e gli fece cenno di seguirlo. Una volta fuori chiuse a chiave la porta della stanza e osservò glacialmente la Fragola. «Se provi ad entrare e a guardare i disegni ti ritrovi senza il cazzo» disse.
Xavier sentì un brivido percorrere la sua spina dorsale e annuì. «Tranquillo... vado a studiare».
[...]
Jordan si fermò davanti alla porta di un palazzo alto e bianco accanto alla strada che portava in piazza, così come gli aveva detto il biondo al telefono. Suonò il campanello con la scritta "Byron Love" e si sistemò lo zaino sulle spalle mentre aspettava. Sentì un bzzz poco dopo e la porta si aprì leggermente. Jordan la spinse verso l'interno e iniziò a salire le scale di legno che portavano al secondo piano, mentre si guardava intorno con curiosità: le pareti erano dipinte di un bianco candido e alcuni quadri le abbellivano, facendo apparire il luogo un po' meno triste.
Appena arrivò davanti ad una porta rischiò di prenderla nel viso, dato che Byron l'aveva aperta con fin troppo entusiasmo. Il biondo saltò subito in collo a Jordan, che si appoggiò al muro per non cadere.
«Come sta il mio gay preferito?» gli domandò il biondo una volta che tornò con i piedi a terra. Senza aspettare una risposta, afferrò Jordan per il polso e lo trascinò dentro al salotto: un' enorme stanza quadrata piena di librerie bianco latte, con un tavolo rettangolare di vetro al centro, il divano accanto e la televisione sopra un mobile ricolmo di riviste.
Seduto su una poltrona c'era Henry, Jordan l'aveva riconosciuto subito. Indossava solo i pantaloni e aveva un segno rossastro nella clavicola. Mangiava del gelato mentre guardava "Tokyo Ghoul". «Ah! Byron hai visto Kaneki? No ma io lo amo.» esclamò a un certo punto. Si mise a sedere nel letto e alzò le braccia verso il soffitto, mentre con le ginocchia saltellava su e giù. «Vai Ken, fai il culo ad Ayato, quel figo, ma che è uno stronzo!»
Byron scosse la testa esasperato, poi si voltò a guardare Jordan, il quale sembrava divertito da quella scena. «È da venti minuti che va avanti così. Sono anche sicuro che non ha sentito il campanello» disse.
«Ma sei scemo?» domandò Henry. «Parli di solo!» Si voltò lentamente e osservò con uno sguardo tagliente Byron, ma quando si accorse di Jordan sgranò gli occhi e ci mancò poco che cascasse dal divano per lo spavento. «E che ci fa lui qui?»
Byron ridacchiò. «Che ti dicevo?» mormorò. Si avvicinò al divano e spense la televisione. «È Jordan, uno della Raimon. Mi è venuto a far visita».
Henry annuì e si alzò per avvicinarsi al verde. «Io sono Henry» disse semplicemente dandogli una pacca sulla spalla.
«Io vado a preparare il tè! Voi due, nel frattempo, fate un po' di conoscenza!» esclamò Byron e scomparve di corsa dentro una stanza, lasciando i due da soli.
Jordan era molto imbarazzato e sentiva lo sguardo di Henry pesante come un masso di venti chilogrammi. A parte che lui non aveva mai sollevato un masso di quel peso... però, insomma, avete capito. Cominciò a giocare con le proprie dita, mentre si guardava intorno, posando gli occhi su qualsiasi cosa, pur di non dover incrociare quello sguardo freddo e indagatore.
«Cos'hai nello zaino?» domandò Henry all'improvviso, rompendo così l'imbarazzante silenzio che aveva riempito la stanza.
Jordan posò gli occhi su di lui e si passò la lingua sul labbro inferiore. Avrebbe dovuto dirglielo? Ma sì, in fondo era il fidanzato di Byron, quindi poteva tranquillamente fidarsi di lui. «Ehm... alcuni dei miei disegni» mormorò.
Gli occhi di Henry si illuminarono. Afferrò lo zaino e, prima che Jordan potesse fare qualsiasi cosa (anche tirargli un pugno nel viso), era già seduto a tavola che sfogliava i suoi disegni. Più li osservava e più i suoi occhi si ingrandivano e si illuminavano. Una volta finito, ripose quelle piccole opere d'arte nella cartellina di Jordan e poi nel suo zaino con delicatezza, per non rovinare nulla.
Il verde osservò le sue mani grandi e le dita lunghe e fine, quasi incantato da tutta quell'eleganza, della quale anche i suoi movimenti erano impregnati. Sembravano quelle di un pianista, a differenza delle sue che erano un po' grassocce e, soprattutto, piccole. Claude a volte gli diceva che sembravano quelle di un bambino.
Henry si voltò verso di lui e lo scrutò con i suoi occhi grigi, poi sorrise. «Perché non vai in una scuola d'arte?» gli chiese, curioso. Gli sembrava talento sprecato, il suo, un talento che non poteva rimanere rinchiuso in quello zaino.
Jordan rimase un po' interdetto nel sentire quella domanda. Aveva sempre pensato di diventare un detective (o qualcosa del genere) insieme a Xavier. Il problema era che adesso che loro due non si parlavano, quindi era inutile mantenere quella specie di promessa. Stava per rispondere che avrebbe tanto voluto, quando Henry si alzò dalla sedia e afferrò il suo zaino. Lo lanciò al proprietario, per poi prenderlo per un polso e trascinarlo fuori dalla casa, lasciando così un triste Byron in piedi nel salotto con in mano un vassoio e del tè.
I due scesero le scale di corsa e, una volta in strada, Henry costrinse Jordan a correre - sebbene non ne avesse la minima voglia. Arrivarono alla piazza, dove c'era la più importante scuola d'arte della loro città. I due si fermarono lì in mezzo, quando Jordan per poco non scoppiò a piangere.
«CAZZO JORDAN, NON VOGLIO PERDERTI!»
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