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revisionato

Xavier in quel momento avrebbe solo voluto chiudersi la porta alle spalle, accucciarsi davanti ad essa per impedire che si aprisse e restare lì a piangere tutta la sera aspettando che il verde se ne andasse. Già solo incontrando quegli occhi neri gli erano salite le lacrime agli occhi. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma sapeva che lui lo avrebbe scansato, arrabbiato per come si era comportato in quegli ultimi giorni. Dopo il bel periodo che avevano passato insieme, prima che lui si facesse male e fosse costretto a rimanere in Giappone, non gli aveva dimostrato nulla. Aveva fatto la cosa che gli riusciva meglio: scomparire, andarsene dalla sua vita. Che talento triste, il suo.

Jordan nel frattempo si era aggrappato alla porta e lo fissava con gli occhi sgranati e brillanti come due stelle: sembrava pensieroso. Xavier avrebbe voluto seguirlo nel mondo dentro la sua testa, nel quale si perdeva spesso: non era mai riuscito a capire - o anche solo a immaginare - quello che pensava o provava e si odiava per questo, perché poi non sapeva nemmeno come poterlo aiutare.

I due restarono in silenzio a lungo a perdersi l'uno negli occhi dell'altro e viceversa, troppo impauriti per fare il primo passo e darsi un semplice abbraccio. Avevano entrambi paura della reazione dell'altro, erano terrorizzati all'idea di perdersi per sempre e di rompere anche quel sottile filo che li teneva ancora uniti. Non immaginavano, però, che proprio quelle incertezze lo stavano consumando lentamente.

«Xavier» mormorò Jordan.

Il tono timido e caldo della sua voce fece rabbrividire Xavier, le lacrime che riprendevano possesso dei suoi occhi offuscandogli la vista. «Ciao» replicò soltanto: sentiva il cuore battere velocemente nella cassa toracica e gli sembrava di aver corso parecchi chilometri sotto al sole, a causa della velocità del suo respiro. Cercando di non far caso a queste sensazioni strane, ma ormai di abitudine quando era vicino a Jordan, avanzò di qualche passo e si chiuse la porta alle spalle. Anche l'altro arretrò, ma inciampò in una mattonella sporgente e Xavier lo afferrò per un braccio, spingendolo poi verso il suo petto per evitare che cadesse a terra. «Attento» mormorò con il viso affondato nella sua spalla: inspirò il suo dolce profumo alla ciliegia e sentì il battito del suo cuore accelerare ancora.

Decise di staccarsi da quell'abbraccio involontario e si allontanò da lui, perdendosi a osservare i suoi lineamenti perfetti. Vide che Jordan aveva le guance leggermente imporporate e se ne chiese il motivo. «Grazie» disse il verde con l'accenno di un sorriso sulle labbra, quindi anche lui si allontanò dall'altro di qualche passo, questa volta stando attento a non inciampare, sebbene non gli sarebbe dispiaciuto affatto finire contro il petto di Xavier e sentirsi a casa ancora una volta.

«Che ci fai qui?» gli domandò Xavier con un tono freddo. Non avrebbe voluto - e nemmeno dovuto - parlargli così se voleva risolvere la situazione che aveva fatto precipitare con le sue stesse mani, ma la parte razionale del suo cervello gli diceva di mantenere le distanze per non sentirsi... strano, vulnerabile e debole.

Jordan parve ferito da quel tono di voce e strinse il labbro inferiore fra i denti, mentre i suoi occhi si facevano sempre più luminosi e lucidi. «Sono venuto qui per vedere la vostra finale, ti dispiace?» La sua voce era ancora bassa, quasi un sussurro, come se avesse paura di disturbare, di essere di troppo, ma risultava forte e acuta dato il silenzio che li circondava. Sembrava che il mondo e il tempo si fosse fermato per osservare quell'incontro.

«Cosa?» Xavier esitò, cosa che notò con dispiacere il verde. In realtà si era solo perso a fissare lineamenti del suo volto e non aveva capito bene la sua risposta. «No, Jordan, non mi dispiace affatto», e provò a sorridere.

«Allora perché hai esitato?» gli chiese Jordan con la voce che tremava: temeva, infatti, la sua risposta e aveva paura che il suo cuore si frantumasse ancora. Non era cambiato nulla in quel tempo che li aveva separati. Xavier, come immaginava, aveva fatto l'amico per noia, non perché gli interessasse veramente aiutarlo con gli allenamenti, e lui aveva perso la testa per quegli occhi verde smeraldo. Di nuovo. Se lui non voleva nemmeno essere suo amico, che probabilità c'era che ricambiasse i suoi sentimenti? Nessuna.

Xavier si sentì ferito quando sentì quella domanda. «Che c'è, non ti fidi di me?» Era arrabbiato e in quel momento avrebbe solo voluto scappare via, lontano da lui, per evitare di dire cose di cui avrebbe potuto pentirsi. Quell'incontro voluto dal destino aveva iniziato a prendere una piega che a lui non piaceva per niente, dato che stava peggiorando i loro rapporti già instabili. Sebbene ce l'avesse davanti, infatti, Jordan gli mancava comunque.

«Dammi un motivo per fidarmi di te, dato che in tutti gli anni che ti conosco non mi hai mai guardato come dovevi» ribatté Jordan e con quelle parole colpì dritto il cuore di Xavier, che fece per ribattere, ma l'altro continuò imperterrito a parlare: «Anzi, forse mi hai guardato perché dovevi, perché ti facevo pena. Poi quando hai finalmente avuto l'occasione di perdermi... non...» Stava per scoppiare a piangere: sentiva le lacrime riempirgli gli occhi e la gola bruciare per lo sforzo di non lasciare che nemmeno una parte del suo dolore scivolasse sulla sua guancia rendendolo vulnerabile. Strinse le mani a pugno e si fece coraggio. «Non ci hai pensato due volte a lasciarmi solo!» urlò tutto d'un fiato e le infermiere che erano lì si voltarono a guardarli. Nessuno dei due ci fece caso. Erano entrambi troppo feriti. «E poi quella sera al campo, i giorni successivi, quando stavi sempre con me... tutte cazzate! Una marea di cazzate, e io adesso mi chiedo come può una persona fingere così bene di tenerci!»

Xavier aggrottò le sopracciglia. Avrebbe solo voluto prendere a pugni Jordan. Oppure andare lì e tranquillizzarlo con un abbraccio, ma era troppo arrabbiato per farlo. «Hai ragione!» rispose quindi. Gli neri del ragazzo presero a brillare più forte, ma non per la gioia, per il dolore, e qualche lacrima rigò il suo viso delicato e contratto in una smorfia di dolore. «Tutto quello che hai detto era la pura verità» Xavier rischiò di sentirsi male vedendo le lacrime di Jordan e continuando quel discorso che lo stava distruggendo lentamente. «Ma quello che ti dissi al campo... lo penso ancora! Tu sei un bravo giocatore e, in quei giorni, sono stato davvero bene. Se potessi tornare indietro li vivrei tutti di nuovo dalla prima ora all'ultima-»

«Non mentire! Lo hai già fatto abbastanza, quindi preferisco la verità. Non c'è bisogno che mi elogi per pura pena» lo interruppe Jordan e si asciugò le lacrime con le maniche della propria felpa, rigorosamente strette fra le sue dita. Xavier pensò che quelle non erano lacrime, ma polvere che scendeva da due stelle: erano polvere di stelle e non voleva che fossero sprecate per una persona di merda come lui.

Se Jordan fosse riuscito a dimenticarlo, allora si sarebbe sentito molto meglio. Se lui fosse scomparso dalla sua vita, non avrebbe più visto i suoi occhi perdere la loro tipica luce allegra, e lui avrebbe fatto di tutto per vederlo felice. Anche mentire e ferire se stesso.

«Non è che se dico che sei bravo a giocare a calcio, allora vuol dire che mi piaci come persona» disse tutto d'un fiato e fu in quel momento che vide negli occhi di Jordan un dolore diverso, quasi come se si aspettasse quelle parole. Quindi continuò, lasciando perdere la vocina dentro la sua testa che gli diceva di farla finita con quella sceneggiata, che non avrebbe risolto nulla, che aveva scelto la via peggiore. «Anche durante il ritiro ho finto di essere tuo amico; fingere è una cosa che mi riesce piuttosto bene, no? Lo dici tu stesso. E non negare perché anche tu eri convinto di starmi simpatico» Jordan annuì e ingoiò un boccone forse troppo doloroso. «Bene. In realtà, come hai detto tu, erano tutte cazzate. E quando ho ricevuto la tua lettera non ero affatto felice, il contrario».

«Bene» mormorò Jordan, sospirando. Alzò la testa e guardò Xavier con un sorriso triste e tirato a increspargli le labbra. «A questo punto, addio. Vorrei dire che è stato un piacere conoscerti, ma mi hai solo rovinato la vita».

«Non me ne può importare meno di così, credo» rispose Xavier, quindi lo superò a grandi passi e iniziò a scendere le scale.

Una volta fuori dall'ospedale si inginocchiò a terra e iniziò a piangere rumorosamente, il corpo scosso dai singhiozzi e le persone che lo guardavano, preoccupate. Strinse le mani a pugno e strinse il labbro inferiore fra i denti, mentre sentiva qualcosa dentro di lui rompersi, forse per sempre. L'espressione di Jordan in quel momento, quando gli stava sputando in faccia tutte quelle bugie, gli si bloccò davanti agli occhi e il suo cuore riprese a sanguinare. Era in corso un'emorragia interna dentro la sua cassa toracica e lui non sapeva come curarla. «Perdonami» mormorò.

Qualche piano più in su Jordan era entrato nella stanza di Hillman con lo sguardo rivolto verso i propri piedi e le mani strette a pugno. Si sedette nella sedia accanto al letto del vecchio e si prese la testa fra le mani: la sentiva scoppiare. Aveva avuto tutte le conferme che aveva sempre desiderato, eppure si sentiva così spezzato, come se gli mancasse una parte di sé. Avrebbe voluto alzarsi da lì e rincorrere Xavier, ma con quale scopo? Per farsi scansare brutalmente e farsi urlare contro di lasciarlo in pace, perché l'unico sentimento che c'era tra loro era l'odio?

Sentì le lacrime premere per uscire, quando si ricordò il vero motivo per cui era venuto lì. Alzò la testa e vide Hillman seduto nel letto con la schiena appoggiata al cuscino, che lo guardava con occhi pieni di tristezza. «Ciao» lo salutò Jordan passandosi una mano sotto agli occhi per cercare di nascondere le lacrime che era riuscito a trattenere a stento. «Come stai? Travis mi ha detto tutto».

Hillman sorrise. «Io bene, tu invece mi sa di no» rispose e accarezzò il volto di Jordan, che chiuse gli occhi con quel tocco ricco di una dolcezza quasi paterna.

«Hai sentito tutto?» domandò il ragazzo e indicò la porta della stanza, mentre si mordeva con forza il labbro inferiore. Hillman annuì. «Comunque non è niente. Cioè, in fondo già me lo aspettavo» mormorò poi e abbassò lo sguardo sulle coperte bianche, mentre stringeva le mani a pugno. «Anche se ci sono rimasto male lo stesso».

Hillman alzò un sopracciglio. «Pensi che abbia detto la verità?» gli domandò e Jordan lo guardò male.

«Certo, perché non avrebbe dovuto farlo?»

Hillman scosse la testa. «Pensaci», poi aggiunse: «Comunque sono felice di rivederti».

Jordan sorrise nonostante il dolore al cuore. La sua non era ferita come quella di Hillman, era diversa, forse anche più dolorosa, perché poteva essere curata solo dalla persona che gliel'aveva inflitta. «Anche io. Quando Travis me lo ha detto mi sono preoccupato moltissimo; temevo di non avere fatto in tempo a ringraziarla» spiegò.

Hillman lo guardò con attenzione, mentre ripensava a ciò che avrebbe potuto aver fatto al ragazzo da farlo precipitare lì. «Ringraziarmi per cosa, scusa?» chiese incuriosito quando capì che non avrebbe trovato una risposta da solo.

«Per avermi salvato dall'Alius Accademy e per avermi fatto aprire gli occhi grazie a Mark e gli altri. Lei era il loro primo allenatore, no?» Hillman annuì. «Hanno la tua stessa voglia di combattere».

L'uomo rise. «Jordan!» esclamò tra le risate e riuscì a contagiare anche l'altro, che sorrise. «Prego, allora. E grazie a te per essere sempre così vero».

Jordan sorrise e si alzò. «Adesso devo andare a casa, non ho nemmeno cenato. Poi non vorrei svegliare gli altri per entrare o, peggio, essere costretto a dormire sulle scale» disse e ridacchiò leggermente. «Buonanotte, Hillman».

«Buonanotte, caro».

Con un ultimo e triste sorriso, Jordan uscì dalla stanza e chiuse la porta alle proprie spalle. Una volta fuori si coprì la bocca con la mano destra e scoppiò a piangere silenziosamente. Le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi e gli rigavano il volto; i singhiozzi scuotevano il suo corpo e il vuoto dentro di lui aumentava di secondo in secondo, mentre la luce che Xavier aveva sempre portato nella sua vita si affievoliva ogni secondo un po' di più, fino a lasciargli solamente un buio quasi agghiacciante davanti agli occhi.

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