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revisionato

Xavier alzò gli occhi verso il cielo, mentre teneva la testa appoggiata sulla mano. Sbuffò. Aveva appena finito di pranzare e si era rifugiato in camera per riposare, ma non era andata come sperava: per prima cosa si era sdraiato sul letto, ma, quando si era accorto che non si sarebbe addormentato nemmeno con un sonnifero, si era alzato e aveva camminato seguendo i bordi del tappeto che copriva il pavimento accanto al letto; poi, notando che nemmeno quello funzionava per far passare la leggera ansia che si era impossessata di lui senza un preciso motivo, aveva deciso di sedersi sulla sedia accanto alla finestra, dove si trovava in quel momento a guardare il cielo, che era limpidissimo e solo qualche nuvola bianca contornava quell'azzurro.

Le strade della zona giapponese, però, erano completamente vuote, tranne un turista che trascinava una valigia rossa da un lato all'altro della strada, dopo aver guardato a destra e a sinistra per vedere se stava passando qualche macchina. Il campetto di fronte alla sua camera, quello dove erano soliti allenarsi, era vuoto ed era strano poiché Mark faceva sempre degli allenamenti extra. Probabilmente, pensò Xavier, adesso era ad allenarsi con il copertone sulla spiaggia.

Xavier sospirò sconsolato: quella mattina si era svegliato con un'ansia strana, che era aumentata dopo la chiacchierata con Suzette e, soprattutto, dopo pranzo. Era sicuramente dovuta all'imminente finale, ma secondo lui c'era dell'altro. Il suo sesto senso e il suo istinto non si sbagliavano mai.

Ripensò alle parole di Suzette: «L'amore è una brutta bestia; soprattutto quando non ne sei consapevole. A quel punto... ti controlla». Perché le aveva dette proprio a lui? Insomma, lui non era innamorato di nessuno, nemmeno inconsapevole di essere innamorato di qualcuno; insomma, una cosa così importante l'avrebbe saputa, ne era convinto, anche perché tutti l'avevano sempre elogiato per la sua scaltrezza e intelligenza, quindi...

Il rombo di un aereo che passava sopra la sua stanza lo svegliò dai propri pensieri. Xavier saltò in piedi e si sporse dalla finestra per guardare passare il veicolo che possedeva la bandiera giapponese. Chissà chi viene qui, si domandò, curioso: si catapultò fuori dalla camera e scese di corsa le scale. Spalancò la porta principale, uscì in giardino e alzò gli occhi al cielo, osservando l'aereo giapponese passare sopra la sua testa, abbassarsi lentamente e scomparire tra gli edifici e gli alberi.

Rimase con gli occhi fissi sul punto nel quale il veicolo era scomparso, l'aeroporto, quando una voce lo distrasse: «Xavier?» Il rosso si girò e vide Jude sull'uscio con la spalla sinistra appoggiata a una delle due ante della porta. «Che ci fai qui?»

«Ho sentito un aereo passare sopra la mia camera e sono sceso a vedere. Sinceramente non so nemmeno io perché» spiegò Xavier e ridacchiò leggermente per la propria stupidità. Jude sorrise e si avvicinò a lui per poi alzare la testa verso il cielo e guardò le nuvole: creavano strani e buffi disegni e gli sembrò persino di vedere un ragazzo rincorrere una palla di nuvole. «Piuttosto,» Il rosso interruppe la sua contemplazione del cielo. «tu cosa ci fai qui?»

Jude alzò le spalle. «Ho sentito del trambusto nel corridoio, sono uscito e ho visto qualcuno correre per le scale» spiegò tranquillamente. «Poi mi sono accorto che eri tu e ti ho seguito», e ridacchiò portandosi la mano davanti alla bocca.

«Ah» Lo stomaco di Xavier ebbe un leggero brontolio: arrossì violentemente e si portò una mano dietro alla testa per grattarsi la nuca, imbarazzato. «Scusa, è che ho fame...»

Jude sorrise. «Ti va di andare a prendere un gelato?» gli domandò e mise la mano nella tasca dei pantaloni che stava indossando. Frugò un po' con le dita e tirò fuori qualche spicciolo.«Io ho questi soldi».

Gli occhi di Xavier si illuminarono e frugò nelle proprie tasche. Trovò un po' di monete, abbastanza per pagare un gelato. «Certo, andiamo!» esclamò, euforico.

Jude chiuse la porta del palazzo alle sue spalle e raggiunse Xavier, che nel frattempo si era già arrivato per la strada della zona giapponese. Camminarono a lungo, fermandosi qualche volta per firmare qualche pallone appartenente a dei bambini piccoli, oppure per guardare qualche vetrina dei negozi sportivi che si affacciavano sulla via principale. Xavier sorrideva contento: gli ricordava molto il suo paese e ciò gli scaldava il cuore di gioia. Ancora una volta di chiese cosa stesse facendo Jordan. Magari anche lui stava mangiando un gelato.

Jude decise di raggiungere la gelateria con il gelato più buono della zona (diceva che appartenesse a un italiano che a momenti sapeva più il giapponese che la propria lingua natale), in uno degli ultimi edifici della strada.

Passarono davanti all'aeroporto e Xavier diede un'innocua occhiata. Rallentò leggermente il passo e gli sembrò di vedere un testa verde: il suo cuore smise di battere e sentì gli occhi inumidirsi, mentre il respiro gli si faceva sempre più affannoso. Sbatté le palpebre e scosse la testa: molto probabilmente si era confuso con qualche pianta, oppure era la sua mente che gli faceva brutti scherzi. Era impossibile che Jordan si trovasse lì. Non avrebbe mai fatto tutta quella strada in aereo (lui non c'era mai stato e aveva paura, se lo ricordava bene) per lui o anche per tutta la squadra. Ne era sicuro.

Raggiunse Jude a corsa, il quale non si era accorto della sua esitazione e rischiò quasi di finirgli addosso quando si fermò davanti alla famosa gelateria. Xavier si bloccò e la osservò: era piena di gente che se ne stava seduta nei tavolini all'aperto gustando in tranquillità il proprio gelato.

«Vieni» disse Jude ed entrò nella gelateria. C'era l'aria condizionata a palla e Xavier rabbrividì leggermente, sorpreso dal cambio di temperatura improvviso. Il ragazzo con i rasta si voltò e lo guardò con l'ombra di un sorriso. «Attento a non ammalarti; vorrai fare bella figura alla finale di dopodomani, magari giocando. Jordan si aspetterebbe questo» Xavier impallidì. Perché adesso tutti gli parlavano di lui? «Insomma, non vorrai sfigurare davanti a lui! E poi sicuramente Bryce e Claude ti prenderebbero in giro, insieme al loro nuovo migliore amico Byron» Ridacchiò. «Sai, all'inizio quasi non ci credevo che uno come Byron fosse cambiato. E invece...»

«Solo chi cade può risorgere, come una fenice dalle ceneri» mormorò Xavier, soprappensiero, ricordandosi le parole di Byron. Conoscendolo meglio aveva iniziato ad apprezzare quel ragazzo, era particolare, quello di sicuro, ma aveva anche un cuore grandissimo capace di ospitare fin troppe persone.

Alzò lo sguardo e vide Jude osservarlo con una certa curiosità. Prima che potesse parlare, però, la fila finì e l'altro ordinò un cono al cioccolato e yogurt. Poi fu il turno di Xavier, che prese uno yogurt con la crema di pistacchio sopra.

Una volta presa la propria ordinazione, uscì fuori e vide che Jude era già a metà della strada verso casa. «Jude!» urlò e cominciò a correre per raggiungerlo. Il ragazzo coi rasta si bloccò e si voltò ridacchiando: aveva già quasi finito il suo gelato. Xavier si piegò in due per riprendere fiato. «Sei uno stronzo».

Jude scoppiò a ridere. «Lo so, lo so» disse e gli diede un piccolo pugno sulla spalla.
Ripresero a camminare, quando Xavier scorse Paolo e Angelo dirigersi verso la zona italiana con delle buste sotto alle braccia. «Paolo!» urlò. «Angelo!»

I due si voltarono e gridarono all'unisono, correndo verso di loro: «Xavier! Jude!»
Quando si raggiunsero, si abbracciarono forte. Xavier si staccò da angelo e si catapultò fra le calde e ospitali braccia di Paolo, che lo strinse a sé con affetto. I due, durante quella vacanza, si erano conosciuti grazie a Mark e avevano avuto il tempo e il modo di conoscersi meglio grazie a degli incontri inizialmente casuali, poi organizzati proposti da uno dei due. Xavier si fidava così tanto di Paolo che gli aveva persino raccontato la sua storia con Jordan, sebbene questo volesse dire mettere in cattiva luce se stesso. Alla fine, però, il giovane e talentuoso giocatore italiano aveva capito e non se n'era andato.

[...]

Jordan camminava tranquillamente, trascinando la sua valigia per le strade giapponesi (che poi non erano giapponesi, però era la stessa cosa secondo lui) e guardandosi intorno. Uscì dall'aeroporto da solo - Bryce, Claude e Byron si erano già avviati verso la casa che avevano prenotato - e sentì una voce che conosceva fin troppo bene. Si bloccò, il suo cuore cominciò a palpitare frettolosamente all'interno del suo petto, gli occhi gli si riempirono di lacrime, quindi girò più volte la testa verso destra e sinistra, alla ricerca di una chioma rossa. Poi lo vide. Stava abbracciando un ragazzo con la divisa della Orfeo, nonché soprannominato "La meteora bianca": Paolo Bianchi. Anche dopo l'abbraccio, il ragazzo italiano non gli staccava la mano dalla spalla destra.

Jordan fece un lungo respiro per non correre lì e tirare la valigia verde in faccia a quello lì. Si nascose dietro ad una palma e osservò il gruppetto parlare allegramente. Xavier si rivolgeva spesso a Paolo e i due scoppiavano a ridere con foga, a volte persino toccandosi le braccia o le spalle.

Il più basso - gli sembrava che si chiamasse Angelo - iniziò a dare delle gomitate all'amico con un'espressione maliziosa sul volto, ma Jordan non si accorse dello sguardo che il piccoletto aveva lanciato ad una ragazza italiana che stava passando accanto a loro. Paolo arretrò arrossendo e spostando lo sguardo fino a incontrate gli occhi neri del ragazzo nascosto dietro la palma. Si guardarono negli occhi a lungo e la sua espressione cambiò quando vide che indossava la tuta dell'Inazuma Japan. Chiamò qualcuno e l'altro immaginò fosse Xavier, dato che vide la sua testa spostarsi verso Paolo.

Jordan iniziò a scuotere la testa con forza rischiando di sbatterla contro il tronco della palma. Si inginocchiò e unì le mani per pregare Paolo di non dire e fare nulla. L'italiano aggrottò le sopracciglia e con un sorriso scartò l'argomento, quindi Xavier alzò le spalle e spostò la sua attenzione su Angelo, che parlava con enfasi sbracciando a destra e a sinistra. Paolo guardò nuovamente Jordan e impallidì vedendo che aveva unito le mani a cuore e lo faceva battere verso di lui.

Quando Paolo si voltò, Jordan trasformò il cuore in due dita medie, con una smorfia di disgusto a dominargli il volto. Quindi si alzò e cominciò a correre. Si infilò dentro un vicolo e accese il cellulare. Si fece mandare la posizione della casa da Byron - Bryce e Claude avrebbero fatto troppe domande, oppure avrebbero iniziato a urlargli contro perché... nemmeno lui sapeva il perché - e arrivò all'abitazione seguendo i vicoli nascosti, perché non voleva vedere nessuno di più o meno indesiderato.

Suonò il campanello e Byron andò ad aprirgli. Indossava solo un paio di pantaloncini blu che mettevano in risalto i suoi capelli chiari. Il biondo gli sorrise. «Credo che dovremmo condividere la camera, a parte che tu non voglia dormire nel divano» disse.
Jordan alzò le spalle. «Per me va bene. Tanto quello etero sei tu» replicò e ridacchiò.

Appena entrò sentì un buon profumo alle rose provenire da una camera con la porta aperta. Immaginò che fosse colpa di Byron ed entrò. Nella stanza c'erano due letti, uno accanto all'altro, con un solo comodino a dividerli. «Che buon odore...» mormorò ironicamente Jordan tossendo più volte di fronte a quella quantità industriale di profumo alle rose.

Byron entrò nella stanza e chiuse la porta alle sue spalle, quindi si sedette sopra il letto con l'eleganza di un dio. «Vero?» Evidentemente era troppo vanitoso per capire la sottile ironia delle parole di Jordan. «Comunque devo ammettere di avere un po' paura di te» Jordan mise il broncio e gli lanciò la maglietta che si era appena sfilato. Byron scoppiò a ridere. «Dai scherzo! Lo sai che ti voglio bene» esclamò, alzandosi e abbracciando il verde.

Jordan scoppiò a ridere, ma scivolò su una ciabatta. Perse l'equilibrio e finì nel letto con Byron sopra di lui. «Oddio, scusa» mormorò, imbarazzato, spostando lo sguardo sul soffitto.

Il biondo si alzò con molta calma e alzò le spalle, ridendo. «Dovresti esserne felice, piuttosto che imbarazzato. Non capita tutti i giorni di stare sotto a un figo come me» disse, facendo l'occhiolino a Jordan, che scoppiò a ridere, decisamente più rilassato.

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