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revisionato

Qualche mese dopo...

Xavier uscì dalla stanza e chiuse la porta dietro di sé cercando di non fare troppo rumore. Non voleva essere scoperto a uscire mentre gli altri cenavano tutti insieme. Si era allontanato da loro con la scusa che si sentiva poco bene, il che era, in effetti, una mezza verità. Scese le scale della casa e arrivò all'ingresso: da lì riusciva a sentire le urla e le risate dei suoi compagni di squadra che si divertivano tutti insieme.

Lui ci aveva provato. Aveva provato ad essere felice insieme a loro, a pensare solo ed esclusivamente alla squadra e alle partite, ma ogni maledetta cena era accompagnata dal ricordo di Jordan che se ne stava in disparte, solo e deluso all'inizio, poi che rideva e scherzava con lui, osservandolo in quel modo, facendolo impazzire. Lui lo guardava da sempre con occhi che Xavier non aveva mai capito, forse perché non li aveva mai guardati veramente. Li aveva sempre visti, quei buchi neri pieni di emozioni e fragili come una foglia, ma non li aveva mai osservati con attenzione. Anzi, quando aveva iniziato a farlo veramente, e non solo perché sentiva il bisogno di aiutarlo dopo la morte dei suoi genitori, quei bastardi che se ne stanno lassù, oltre le nuvole, avevano fatto rimanere a casa Jordan. Xavier aveva sperato tanto in un suo arrivo (ci sperava tutt'ora), aveva persino pregato - cosa che non faceva mai, di solito bestemmiava -, ma niente.

Alzò la testa di scatto, sentendosi osservato. La girò a destra e a sinistra, ma notò solo una figura alta e indistinta accanto all'attaccapanni. Si avvicinò, ma vide che era solo il giaccone che Shawn si era voluto portare dietro nonostante il caldo dell'isola. Scosse la testa con un sorriso di fronte alla stranezza dell'amico e uscì. Fortunatamente la porta era già aperta, quindi non perse tempo nemmeno a chiuderla senza fare rumore. Mise le mani nelle tasche della felpa e si strinse per bene all'interno di essa, faceva un po' freddo.

Camminò a lungo tra gli alberi seguendo il piccolo sentiero che doveva portare alla spiaggia. Gli piaceva quel posto: non era molto silenzioso, però la sua era una confusione che lo lasciava pensare. Non come quella dei suoi compagni di squadra. Quella lo faceva solo bestemmiare.

Arrivò alla spiaggia e, prima di inoltrarsi in quella distesa di sabbia, si tolse le scarpe e le calze. Le tenne in mano mentre si avvicinava al mare. Si sedette su un tronco che era stato abbattuto e che si trovava in prossimità dell'acqua. Prese il cellulare e iniziò a guardare gli ultimi messaggi che si era scambiato con Jordan. Sembrava la chat fra due normalissimi amici, anzi, forse quella tra lui e Mark era più vivace. Loro due si erano scritti solo i primi giorni e poi Xavier, per paura di dare fastidio a Jordan, non gli aveva più scritto, e Jordan non lo aveva più cercato.

«Come rovinare un'amicizia per la seconda volta» mormorò e scosse il capo spegnendo lo schermo con rabbia. «Sono un idiota».

Xavier strinse il telefono tra le mani. Alzò la testa e guardò le onde che si infrangevano sulla sabbia continuamente, senza mai arrendersi. Sorrise ingenuamente. Anche le onde sono più determinate di me. Però non so davvero cosa fare con lui... insomma, io ci ho provato, pensò. Poi ebbe una specie di flashback.

Janus gli correva dietro nel corridoio, cercando di fermare la sua corsa verso il campo e urlando continuamente il suo nome: «Xene! Xene! Avevi detto che avremmo fatto dei passaggi insieme e-»
«Zitto!» lo aveva interrotto lui, urlando. «Piuttosto, vai ad allenarti con la tua squadra, la più debole tra tutte».
Quel giorno aveva visto qualcosa rompersi nello sguardo sempre attivo e dolce di Janus. Uno sguardo che lo aveva accompagnato fin da piccolo. Xene si era sentito strano. Per la frustrazione, aveva pensato. «Perché?» gli aveva domandato il capitano della Gemini Storm con la voce rotta a causa delle lacrime che cercava di trattenere.
«Perché sei inutile. E trova qualcos'altro da fare piuttosto che rovinare la vita a me» gli aveva risposto e quando Janus aveva scosso la testa non ci aveva più visto dalla rabbia. «Non è la risposta che volevi, vero, Janus? Mi dispiace, ma ho trovato qualcuno migliore di te!» Aveva indicato Bellatrix, quindi si era avviato con lei al campo, stringendo i pugni e ritrovandosi improvvisamente gli occhi pieni di lacrime calde e amare. L'amica lo aveva guardato scuotendo la testa. «Non commentare» l'aveva implorata, per tutta risposta lei l'aveva lasciato solo con il suo senso di colpa. Cosa aveva fatto Janus per meritarsi tutto quell'odio da parte sua? Stava davvero seguendo per filo e per segno i consigli velenosi di Bellatrix?

Si alzò di scatto e diede un calcio alla sabbia. Quanto era stato stupido? Aveva seguito Bellatrix e aveva cacciato malamente un ragazzo che era finito in un gioco sbagliato per errore e che cercava solo un appoggio. Avrebbe dovuto sentirsi sollevato per essere ancora il suo punto di riferimento nonostante tutto, piuttosto che infastidito. Ma ormai era troppo tardi per rimediare anche a questo. Quanto cazzo aveva sbagliato con lui? Quanto l'aveva fatto soffrire?

«Perché, Jordan?» urlò rivolto al cielo, le lacrime che scorrevano libere e lente sulle sue guance.

Aprì gli occhi e vide miriade di stelle che coloravano il blu della notte. Si lasciò cadere a terra, sedendosi sulla sabbia e appoggiando la testa al tronco. Le stelle. Lui amava le stelle e pensò che spesso gli occhi di Jordan assomigliavano a due stelle.

Si ricordava quando, da piccoli, era appena arrivato all'orfanotrofio. Non faceva altro che piangere, allontanava tutti con delle spinte, si metteva sempre in un angolo. Xavier aveva provato più volte ad avvicinarsi, non sopportava vedere le persone così maleducate ed egoiste, ma solo dopo circa quindici volte Jordan si era confidato con lui.
«Sono morti in un incidente. La mamma mi ha catapultato fuori» gli aveva raccontato, riprendendo a piangere subito dopo.
Xavier aveva sbuffato. «E basta di piangere! Non ti servirà a nulla» gli aveva detto. «Piuttosto leverà il tempo per divertirci a tutti noi, dato che siamo preoccupati per te».
Jordan l'aveva guardato con le sue grandi stelle nere e aveva smesso di piangere. Xavier aveva sospirato di sollievo e lo aveva invitato a giocare con loro porgendogli la mano e aiutandolo ad alzarsi.

Alzò una mano verso il cielo, allungò le dita e le chiuse più volte, come se volesse rapire due di quelle stelle, come se volesse trovare gli occhi di Jordan. Il mio... migliore amico, era lui?, si domandò, ma quella definizione non gli sembrava comunque abbastanza. Jordan era davvero troppo, non poteva essere rinchiuso in due banali parole.

«Xavier!» urlò una voce familiare dietro di lui, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.

Il rosso si alzò e incrociò gli occhi sempre allegri di Mark. Gli sorrise, poi dietro di lui scorse anche Axel e Shawn. «Ragazzi!» esclamò. «Che ci fate qui?»

«Dovremmo fare la stessa domanda a te» replicò Axel. Non gli sfuggiva niente. «Non dicevi di stare male?»

«Sì, ma ora è tutto a posto...» rispose lui, sorridendo imbarazzato. Axel, anche se ti voglio un bene della Madonna, giuro che prima o poi ti ucciderò, pensò. Axel sembrò immaginare i suoi pensieri perché sorrise e alzò le spalle. «più o meno, insomma».

Shawn si morse il labbro inferiore e spostò lo sguardo verso il mare. Xavier lo guardò e aggrottò le sopracciglia, sorpreso dal suo comportamento. Sembrava quasi che non avesse voglia parlare con lui. Si chiese cosa avesse fatto di male e se avesse perso pure lui.

«Xavier» L'interpellato spostò la sua attenzione su Mark. «Ti va di venire a fare una passeggiata con noi per la città? Così magari ti sentirai meglio, visto che non credo che i tuoi problemi derivino dalla febbre».

«Mark, è una mia impressione o sei diventato meno stupido?» domandò Axel facendo ridere tutti tranne Mark, che - dopo qualche minuto perso a capire l'uscita del suo migliore amico - iniziò a rincorrerlo per la spiaggia urlandogli contro.

Shawn e Xavier rimasero indietro. Nessuno dei due aveva voglia di correre dietro a Mark e Axel e nessuno dei due aveva voglia di iniziare qualche discorso. Restarono quindi in silenzio a lungo, silenzio che fu interrotto da Xavier. «Sei in ansia per la finale? Manca poco, ormai».

Shawn sospirò. «Un po' sì, lo devo ammettere. Insomma, giocheremo la finale del Football Frontier International e potremmo diventare i giocatori più forti del mondo!» esclamò, mentre i suoi occhi chiari brillavano di eccitazione. Xavier li osservò, cercando dentro di sé le stesse emozioni che provava quando erano gli occhi di Jordan a brillare in quel modo, ma non trovò nulla di interessante. «Ti rendi conto?!»

Sorrise notando l'esaltazione del ragazzo. «Sì, mi rendo conto» disse, poi guardò il cielo. «Vorrei solo...» ...che lui fosse qui per vedermi. Magari potremmo chiarire un'amicizia che non ha mai avuto tempo di crescere e germogliare, ma che invece io stesso ho fatto appassire durante la primavera.

[...]

Jordan entrò in camera e appoggiò il suo biglietto per l'isola dove si sarebbe tenuta la finale del Football Frontier International sopra il comodino. Lanciò la giacca sopra il letto ordinatamente fatto (detta così sembra che si è drogato, ma ok), si tolse le scarpe, lasciandole sotto al letto, e sciolse la sua solita codina verde. I capelli gli incorniciarono il tenero viso. Prese quindi dalla tasca dei jeans gli altri tre biglietti e uscì dalla propria stanza, entrando in quella che condividevano Bryce e Claude. Li ritrovò l'uno sopra all'altro nel pavimento, mentre si tiravano i capelli a vicenda per arrivare per primi alla pastina vicino alla sedia della scrivania.

«Sai già quello che succederà se non me la fai prendere!» esclamò Bryce, afferrando per il colletto Claude e avvicinandolo al suo viso con un sorrisetto malizioso.

Il rosso sbiancò. «Un bacio mi va bene ma... quello no, ti prego!» urlò.

Jordan si sentì avvampare e provò a tornare indietro. Non capiva molto bene cosa intendesse Claude con "quello",  e non aveva nemmeno molta voglia di scoprirlo. In quel momento avrebbe voluto che ci fosse stato Xavier, che gli avrebbe sicuramente tappato gli occhi come quando erano bambini e avrebbe sgridato quei due per non essersi accorti subito della sua presenza all'interno della stanza.

Sbatté accidentalmente un piede nella porta e Bryce si voltò nella sua direzione, sbiancando appena lo vide. «Togliti, idiota!» urlò a Claude, mentre lo lanciava contro il letto.

«Ma il bacio...» mormorò lui, poi seguì lo sguardo allarmato di Bryce e sbiancò.

«Mi dispiace aver interrotto qualcosa, torno in camera» mormorò Jordan, ma Bryce, che nel frattempo si era alzato, lo afferrò per il braccio e chiuse la porta.

Claude si alzò. «No, amico, tu ora non vai da nessuna parte» disse, avvicinandosi al ragazzino. Bryce gli mise una mano nel culo. «Ma sei impazzito?» Claude arrossì, mentre il compagno alzò le spalle con un'espressione neutra. «Comunque, se dici a qualcuno di questo, sei morto».

Jordan sorrise. «Tranquilli, starò zitto» Porse loro i tre biglietti e li sventolò davanti ai loro visi. «Lo portate voi a Byron?»

I ragazzi annuirono e lo salutarono con un sorriso dolce. Jordan tornò in camera e si gettò nel letto, incapace di addormentarsi. Continuavano a frullargli per la mente le immagini di Bryce e Claude. L'unica differenza era che al loro posto si trovavano lui e Xavier. Scattò a sedere. «Basta, Jordan! Siete solo amici!» urlò, po abbassò lo sguardo lucido. «Forse nemmeno quello...»

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