Maschera d'acciaio
C'è una maschera per la famiglia, una per la società,
una per il lavoro. E quando stai solo, non resti nessuno.
(Cit Luigi Pirandello.)
Tatooine quattro anni dopo.
Sono passati quattro anni dalla morte di mia madre Shiva. Non sento la sua mancanza, se devo dire la verità, non l'ho mai considerata una madre.
Al momento mi sto allenando, anche se la mia mente è altrove. I miei pensieri sono caotici e confusi, riflettono su come tutto sia cambiato rapidamente nel tempo. È stupendo e inquietante allo stesso tempo osservare come gli eventi e le persone si susseguano, come le stagioni e gli anni.
Da qualche tempo quattro Sith sono arrivati alla villa, mio padre mi ha detto che sono i miei nuovi maestri e devo ubbidire loro come se fossero lui. Non posso alzare neanche un dito contro di loro, i maestri sono severi e seguono perfettamente i desideri di mio padre. Quest'ultimo è sempre più assente, impegnato con i suoi doveri da cancelliere e per questo mi ha affidato ai maestri, concedendo loro un potere e una libertà nei miei confronti che nessun altro ha mai avuto.
La villa è diventata un'accademia, con tutti gli strumenti per il mio addestramento al posto delle piante grasse del giardino. Anche la rosa rossa piantata con amore da Shim è stata distrutta, al suo posto ora c'è solo terra arsa dai due soli. La villa, come i Sith, sembra riflettere l'aridità che deve essere nei loro cuori. Quella rosa era speciale per me, ma come Shmi, anche lei si è appassita.
Dopo ore di allenamento, il sole cocente mi ustiona la pelle e il mio corpo è sudato. La mia vita è scandita solo dagli studi e dagli allenamenti, senza tempo per essere un ragazzo e vivere la mia adolescenza. Tutto è pianificato e scandito da doveri e responsabilità, a volte mi sento soffocare desiderando di essere come tutti gli altri per un giorno.
L'addestramento mi ha preparato per entrare in azione, aspettando di vedere nuovi pianeti e scoprire la Galassia di cui conosco ben poco. La maestra Vers, con il suo aspetto spietato e le sue azioni cruente, mi ha colpito causandomi dolore per aver commesso un errore durante l'allenamento. Devo essere preciso, come un'arma potente come mi ripete sempre mio padre.
Fuggo di nuovo dalla realtà, rifugiandomi nei ricordi per un attimo di pace.
Qualche mese fa mi hanno costretto ad uccidere Shmi, era come una madre per me. Mi sono opposto ma ho fallito, alla fine la mia spada laser l'ha uccisa. O meglio, lei si è gettata sulla spada. Papà mi aveva dato la possibilità di scegliere: uccidere Shmi o Rex, non riuscivo a decidere, lei ha deciso per me. Il suo ultimo atto d'amore verso di me e Rex. L'ultimo sorriso, è stato per me. L'ultimo pensiero sono stato io. Shmi si è spenta, appassendo tra le mie braccia, cambiando colore smettendo per sempre di sorridere con il suo dolcissimo sorriso che sapeva rischiarare anche le giornate più buie. In quel momento, il mio cuore si è frantumato in mille pezzi. I maestri mi hanno trascinato con violenza via dalla sua figura, ordinando a Rex di gettare il suo corpo da qualche parte.
Skar, il maestro devoriano, mi teneva saldamente: le mie braccia erano tenute sollevate in aria dalle sue, che passavano sotto le ascelle, per poi chiudere la presa congiungendo le mani intorno al mio collo. Ricordo che mi dimenavo in preda a un pianto isterico, cercavo di liberarmi dalla presa. Ma fu tutto vano. La debolezza che mostrai mi costò cara e fui punito severamente. I sentimenti, un Sith li usa per aumentare il suo potere, li usa a suo vantaggio, io invece ne fui vittima. Il dolore che provai è indescrivibile.
Quella sera ho pianto davvero tanto. Rex e i soldati hanno medicato le mie ferite. Sono come una seconda famiglia per me. Negli anni, il nostro rapporto si è consolidato. Sono gli unici che non dovranno mai temermi, anzi sono gli unici che spesso mi tirano scappellotti o mi rimproverano, privatamente ovviamente.
Rex mi ripete sempre la stessa cosa: Potresti essere mio figlio, sei come un figlio. Ti ho visto nascere, crescere, ti ho curato ogni ferita.
-Basta così per oggi! -ordina papà.
Rispettosamente i maestri si ritirano, dopo aver fatto un ossequioso inchino a mio padre. Lecchini! Una smorfia di disgusto si dipinge sul mio viso. Cerco subito di riprendermi, non voglio essere rimproverato.
Dopo lunghe ore di allenamento finalmente riprendo la spada. Sono esausto, sto per sedermi a terra quando mio padre mi interpella. Oggi è uno di quei giorni in cui non è a Coruscant, ma è su Tatooine per controllare i miei progressi. Quando viene per giudicarmi, mi sento come un acrobata su una corda tesa a cento metri da terra, senza alcuna rete di sicurezza. Mi avvicino alla tettoia del quadriportico, mi fermo a pochi passi da mio padre e chino rispettosamente la testa. Il nostro rapporto padre-figlio è davvero complicato! E anche il rapporto tra maestro e apprendista... No, è sempre complicato. Ma sono convinto che un giorno mio padre mi vedrà davvero, che finalmente sarà orgoglioso di me. Quando mi trovo di fronte a lui, mi fa segno di avvicinarmi e obbedisco. Le sue mani si posano sulle mie spalle, un gesto inaspettato.
-Ho sbagliato qualcosa padre?- Domando lui con prudenza e tono basso. Lo vedo sorridere. Un sorriso bonario. È tanto che non vedo un sorriso del genere sul suo viso. Sorrido anche io di risposta. Adesso ho meno paura. Non è qui per farmi male.
- No, figlio mio, non hai commesso errori, per ora. Tra tre giorni mi dirigerò su Mustafar, tu verrai con me. Ormai hai sedici anni è ora di affidarti le tue prime missioni-. La notizia mi spiazza. Vorrà dire abbandonare tutto ciò che ho sempre conosciuto: L'arena, la villa, Watoo e la sua bottega, zia Beru, Wendalyn e Bull. Lascerò, una parte della mia vita qui.
Vorrei gridargli tantissime cose, vorrei urlargli addosso la mia frustrazione, dirgli che non partirò. Cioè che partirò, a patto che poi io possa tornare qui: A casa. Eppure non apro la bocca, nemmeno un fiato esce dalle mie labbra serrate la voce muore nella mia mente. Annuisco semplicemente tenendo gli occhi riversi al suolo. Non vuole una mia risposta, tanto ha già deciso. Non ho altra scelta che ubbidire.
-Vader, voglio mostrati una cosa seguimi-.
Insieme superiamo il salone e un corridoio vetrato che si affaccia sul portico da un lato e sull'abitazione dei soldati dall'altro. Vedo Rex e gli altri salutare dei cloni che stanno scendendo da una grande astronave. Hanno la stessa divisa bianca con parte del pettorale e del casco blu. Presumo che l'astronave ci scorterà su Mustafar. Camminando, superiamo la mia stanza e quelle dei maestri, per entrare infine nel suo lussuoso e spazioso studio.
Appena entro, deglutisco. Di questa stanza ho solo brutti ricordi, tranne forse un paio. Lo vedo sedersi alla scrivania e incrociare le mani davanti al suo volto, mentre io resto in piedi di fronte a lui. Poco dopo, il suo dito lungo e magro preme un piccolo pulsante e una mattonella nera del pavimento si sposta. Lentamente, qualcosa emerge dal buio, rivelandosi alla luce del giorno. Di fronte a noi compare un'armatura nera, nera come la morte, con un casco dello stesso colore che nasconde il volto e gli occhi. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima di una persona. Forse per questo, mio padre vuole nascondere i miei occhi. Quegli occhi azzurri che aveva la mia madre Shiva, gli stessi occhi di Shmi. Questi miei maledetti e dannati occhi che non cambiano colore, non vogliono arrendersi. Nel tempo, un Sith imprime i segni del lato oscuro sul suo corpo, è il prezzo da pagare. Tuttavia, sulla mia pelle ancora non è apparso nulla. Quell'armatura nasconderà la mia sconfitta come apprendista Sith.
"Questo sarà il volto che avrai, nessun Sith, droide, generale, soldato, Jedi o nemico vedrà mai chi c'è sotto. Tu sarai Dart Vader, e l'armatura la tua immagine", mi dice con un sorriso soddisfatto. Io sfioro quell'acciaio freddo, duro e privo di vita. Spero di sbagliarmi, spero di aver frainteso. Forse è solo un sogno, o meglio un incubo. Sento il suo sguardo indagatore su di me. Sarà come essere costantemente in una gabbia, vivrò imprigionato. Una lacrima mi scende, la asciugo subito per non farlo notare.
-Padre io, non...-
-La indosserai! Nessuno deve vedere chi c'è sotto quella maschera, nessuno. Fine dei discorsi. - La sua voce non ammette contraddizioni, ansi è così sottile da velare una minaccia nascosta. Chino la testa sconfitto. Di fronte alla mia sconfitta papà fa ritornare l'armatura nell'oscurità e si alza. Viene verso di me. Di nuovo, pone una sua mano sulla mia spalla. -Andiamo.- È soddisfatto. Ha vinto di nuovo. Uscendo, raggiungo la mia stanza e senza pensarci due volte spalanco l'immensa finestra ed esco. La mia stanza si affaccia verso gli alloggi dei soldati e quindi il punto di atterraggio dell'astronave di papà. Appena fuori, corro nel tentativo di pedinare i soldati. Dopotutto, i nuovi non sanno nemmeno chi sono.
Vedendomi scappare, alcuni di loro alzano il blaster verso di me ma riesco a schivare i proiettili senza difficoltà. Poi sento Rex gridare: "Fermati, Soldato!" I soldati si fermano appena ricevono l'ordine di Rex. Approfitto di questo momento per saltare le mura e correre nel deserto. So che mi metterò nei guai, ma dopo aver visto quella maschera che dovrà coprire il mio volto e il mio cuore, ho bisogno di aria. Sarò mai il Sith che devo essere? Non sono un Jedi, ma non sono nemmeno un Sith! Chi sono veramente?
Corro in frenesia verso il luogo in cui giace il suo corpo. Arrivo al punto preciso e cado in ginocchio. È il tramonto e fisso l'orizzonte, desiderando che Shmi fosse lì, lei sapeva sempre cosa dirmi.
Ancora vedo il suo cadavere, prima caldo, poi freddo. Lui non voleva che piangessi sul suo corpo e mi obbligò con la forza a staccarmi da lei, desiderando che il suo corpo finisse nell'inceneritore insieme ai rifiuti. Ma mi ribellai a questa folle decisione. Con l'aiuto di Rex e degli altri, avvolgemmo il suo corpo in un telo bianco e lo portammo fuori dalla villa. Sulla sommità di un'altura non lontano dalla casa, guardammo l'immensità del deserto, racchiusa in una splendida oasi naturale.
Dopo aver trovato il posto, scavammo una fossa che sarebbe stata la sua dimora per alcuni anni, finché il caldo, gli insetti, i vermi e il tempo non avrebbero consumato le sue membra, lasciando solo ossa dove un tempo c'era una pelle meravigliosa. All'inizio non volevano che scavassi con loro, ma mi opposi e alla fine mi permisero di unirmi a loro. Ogni palata di sabbia tolta aumentava la consapevolezza che lei non sarebbe più stata con me. Il momento in cui dovette essere sepolta fu il peggiore. Quando la salma fu calata nella fossa, i ricordi di una vita insieme tornarono, provocando emozioni contrastanti. Le parole di Shmi risuonano ancora nella mia mente: "Ti stanno ingannando, Ani. Loro non sono i tuoi genitori, io sono tua madre. Ricorda di avere fiducia nella Forza, ama sempre..." Poi si addormentò per sempre tra le mie braccia.
Chiesi spiegazioni a Rex, ma i suoi occhi non mentivano. Nascondeva qualcosa. Era lì fin dall'inizio e sapeva tutto, ma non poteva parlare. Quando finalmente trovo la forza di alzarmi dal suolo e riaprire gli occhi per tornare alla realtà, mi rendo conto che il tramonto aveva ceduto il passo alle stelle. Era passato molto tempo da quando ero fuggito da casa.
Ad attendermi di fronte al cancello c'erano le guardie rosse, Rex, Fives, Tech, Echo, Trooper e Ther. Dei soldati appena arrivati non c'erano tracce. Presumo fossero stati confinati nei loro alloggi. Guardando i volti degli uomini, dei cloni, che erano come una famiglia, compresi che ero veramente nei guai. Mi sentivo come un condannato a morte.
Scortato dai soldati, fui condotto nel giardino interno della villa. Appena posai un piede sul patio, Amor, il mio maestro umano, mi spinse al centro del piazzale con un sorriso compiaciuto e mi ordinò di mettermi in ginocchio con le mani sopra la testa. Una spinta alle mie gambe mi fece cadere a terra, procurando dolore alle ginocchia. Papà si trovava di fronte a me, con gli altri maestri dietro di lui. Appena assunsi la posizione richiesta, qualcuno si avvicinò alle mie spalle e mi strappò la maglia marrone.
-Trenta colpi dovrebbero bastare- disse papà con crudeltà. Il fatto che stesse usando un mezzo fisico anziché la Forza per punirmi era strano, forse voleva lasciare un segno impresso nella mia mente e nel mio corpo affinché mi ricordassi di non disobbedirgli.
La mia pelle si distruggeva centimetro per centimetro, aprendosi e sanguinando. Contavo mentalmente ogni colpo ricevuto, ma quando erano appena quindici mi sentii cedere e caddi in avanti, incapace di sostenere la posizione richiesta da mio padre.
-In piedi! Voi rialzatelo! E tenetelo fermo! - Ordina mio padre.
Rex e Ther si avvicinano e prontamente eseguono l'ordine. Mi tirano su per le braccia. Rex a destra Ther a sinistra. Mi tengono per le braccia. Le gambe piegate al suolo, la testa costretta dritta dalla ferrea presa dei soldati.
- Ricomincia -. Ordina papà al maestro Amor.
Non posso credere alle sue parole. Lo guardo con occhi lucidi, supplichevoli.
-Non guardarmi così, potevi pensarci prima. Ogni disubbidienza va punita. Poi te l'ho detto un vero signore dei sith sopporta ogni cosa, il tuo corpo deve essere temprato e resistente a ogni dolore. Noi, traiamo forza dal dolore, dalla rabbia, dall'odio, nutriti di questi sentimenti figlio mio, non opporti a loro. Ricomincia-.
Mentre il castigo ricomincia, Rex guarda lontano. Ad ogni colpo stringe la presa, Ther fissa un punto indefinito. I loro volti sono contratti dalla fatica di tenermi fermo. Ogni tanto, incontro uno sguardo fugace di Rex. I suoi occhi non riescono a nascondere la sua preoccupazione. Ho provato a non urlare, ma non so esattamente quando, a un tratto, ho cominciato a chiedere perdono, a chiedere la fine di quella tortura. Continuo disperatamente tra i singhiozzi a domandare il perdono. Nulla sembra impietosire papà. Poi all'improvviso le frustate, lente e ben scandite, smettono. Rex e Ther lasciano la presa. Così scivolo a terra. Il mio volto è pieno di lacrime. Il mio corpo completamente pervaso da brividi, mi rannicchio in posizione fetale nel tentativo di alleviare il dolore. Ma delle mani mi afferrano e mi riportano in ginocchio, un urlo di dolore dovuto al movimento obbligato e al dolore dei tagli sulla schiena esce incontrollato dalla mia bocca. Rex esegue il comando di papà. Lo vedo avvicinarsi a me come un'ombra cupa e minacciosa e provo a sottrarmi al suo tocco. Ma Rex è obbligato a tenermi fermo. Sento la sua frustrazione. Se la sento io, anche papà e i miei maestri l'avranno percepita e avranno capito quanto sia gravoso per lui questo compito. Dopotutto, papà sa del legame che mi unisce a lui. Altrimenti non mi avrebbe chiesto di scegliere tra Shmi e Rex quel giorno.
-Lo farai di nuovo? - La sua voce adesso è calma.
-No, s...signo...re- rispondendo tra i singhiozzi.
Soddisfatto di quella risposta, lui, i miei maestri e le sue stupide guardie se ne vanno lasciandomi solo in un mare di singhiozzi e tremolii. Quanto vorrei raggiungerti Shmi.
Quando tutti si sono allontanati, Rex insieme agli altri come al solito si avvicinano pronti a raccogliere i cocci e a rimetterli insieme. Mi conducono nelle loro stanze, dove mi medicano.
Vedere l'armatura, rivivere la morte di Shmi, subire l'ennesimo castigo e leggere la delusione sul volto di mio padre fece scattare qualcosa in me. Mentre Rex e gli altri mi medicavano, promisi a me stesso che non avrei mai più deluso nessuno. Che sarei diventato il migliore, promisi che avrei indurito il mio cuore, non sarei mai più stato debole.
Se mio padre desidera un soldato e un'arma, questo è ciò che diventerò. Se desidera una maschera, io diventerò quella maschera. Una maschera d'acciaio, nessuno avrebbe potuto farmi del male.
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