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Castigo


Anche nelle notti più buie,
vi è una piccola luce.
(Mia cit.)


Ritorno alla villa.

Le stelle erano alte nel cielo. Prima di tornare a casa mi fermai a giocare con i miei amici. Avevo promesso a me stesso di essere più veloce, ma quando si smontano e rimontano i motori, la velocità svanisce.

Sono completamente sporco di grasso e olio, ma ne è valsa la pena. Mentre mi avvicinavo a casa, potevo vedere le mura della villa. Dietro le alte mura c'é un giardino a quadrati con portici e mattonelle marroni che detesto. Al centro c'è una grande fontana con pesciolini che sono la mia distrazione preferita durante i monologhi dei miei maestri.

Intorno al giardino si sviluppa il resto della villa: le stanze, le guardie imperiali, i cloni, le scale che portavano alle stanze della servitù e ai sotterranei. La vista del quadripo portico che si apriva su una grande porta in legno pesante mi ricordava le stanze riservate a mio padre, sempre più deserte a causa dei suoi impegni al senato.

Prima aspettavo con ansia il ritorno di mio padre da Coruscant per passare del tempo con lui, ora invece attendo con ansia la sua partenza.

I soldati mi aspettavano sull'uscio e mi dissero che mio padre mi stava aspettando dentro. Rex sembrava serio, troppo serio. Decisi di entrare con coraggio nel cuore.

All'interno di casa, Shmi, la schiava, mi guardava preoccupata. Le sorrisi per rassicurarla, ma dentro di me combattevo la mia paura. Camminai fino a una porta chiusa, sapevo che mio padre mi stava aspettando.

Mi inginocchiai di fronte a lui senza dire una parola, ma fu mia madre a rimproverarmi per non essere ubbidiente. Mi difesi dicendo di essere stato alla corsa degli sgusci, ma mio padre sbatté con forza la mano sulla scrivania, facendo cadere gli oggetti e rimproverandomi per non aver ascoltato.

Mi sentii soffocare quando usò la Forza su di me, proferii scuse e chiesi perdono mentre il dolore mi attraversava il corpo. Alla fine, il dolore cessò e capii che mio padre non conosceva la pietà.

- Per adesso basta così, ma non finisce qui. -

Mi passano davanti sia lui che mia madre, non mi abbracciano, non chiedono come sto. A loro non importa. Fermo sull'uscio mio padre dice solo un'altra cosa - Vatti ad allenare - Il mio cuore perde un battito. Sento le guardie avvicinarsi a me. Spaventato mi ritraggo. Rannicchiandomi nell'angolo tra il divano e il muro. Come un topo in una gabbia, tremo e stringo forte le mie gambe al petto. Mi illudo che quell'angolo possa proteggermi e garantirmi una sicurezza che in realtà è solo effimera, perché racchiusa solo nella mia mente.

Nonostante faccia forza, le guardie rosse mi sollevano conducendomi nel quadriportico dove ci addestriamo con i bastoni. Le guardie rosse sono agili, veloci, precise, fortissime, troppo per me che sono dolorante e stanco. Mi colpiscono senza remore. Cado a terra e mio padre che mi osserva dice una sola cosa - Ancora! - Con la sua voce dura, roca, impastata di bramosia e cattiveria, mista al piacere e alla soddisfazione che deriva dal potere di poter comandare tutto ciò che è di fronte e sotto di lui. Una voce che attraversa l'anima, fin dentro al cuore e ridiscende nelle viscere, gelandoti il sangue.

Lo ripete all'infinito quel comando. E all'infinito il mio volto, si scontra con quelle maledette mattonelle marroni che detesto.

Sono distrutto. Ma non arriva lo stop. Vorrei fuggire via, ma lui mi troverebbe sempre, poi non saprei dove andare e comunque lui è pur sempre papà.

- Basta così, vai al palo e allenati lì-. Ordina perentorio.

Non fiato troppo spaventato e stanco, eseguo e basta sotto il vigile sguardo dei soldati.
Tiro pugni e calci al palo di legno, devo essere veloce e preciso. Ogni punto che devo colpire ha uno scopo: Sono i punti vitali delle persone.
- Sei debole, continuerai ad allenarti così finché non migliori -

- Sì, signore - rispondo a testa bassa. Non riesco mai a renderlo fiero di me. Un giorno ci riuscirò. Un giorno, sarò il Sith più potente dell'intera galassia.

- Voi soldati! Tenetelo d'occhio. - Scattano sull'attenti - Sì, signore! - E come un attore teatrale papà e le sue guardie personali escono di scena.

Le mani sono livide, le nocche doloranti e sanguinanti, anche i piedi scalzi battono dolorosamente sul legno del palo. Tutto ha uno scopo, accettare il dolore, convivere con esso, renderlo parte di me, della mia esistenza. Perché il dolore, la rabbia mi renderanno più potente, più forte. Così dicono i miei maestri. Così vuole mio padre.

Odio tutto questo. Odio puro, feroce. L'odio che conosco da quando sono nato e che fa compagnia alla paura e alla rabbia. E poi c'è quella dannata luce in fondo al buio che vuole lo stesso restare, che grida e si fa sentire. Quella luce che devo soffocare. Quella piccola fiammella che Shmi mantiene in vita in me. Come una candela che nell'oscurità illumina vagamente la mia strada.

Mi guardo intorno e vedo gli altri cloni fissare con occhi spenti la scena che ormai si ripete da anni.

Cerco con lo sguardo Shmi e la trovo nascosta in un angolo del giardino. Si tiene la testa tra le mani. Odia sentire le urla del figlio e non sopporta vedere il dolore sul suo volto. Come ogni madre vorrebbe proteggerlo, io stesso vorrei proteggerlo, amo quel ragazzino come se fosse mio figlio, ma siamo tutti impotenti di fronte al signore dei Sith.

Lord Sidious è il nostro signore e nessuno può opporsi a lui, chi lo fa trova solo la morte.

Quando Anakin si sposta al palo, vedo Shmi rilassarsi un po'. Quando i signori e le guardie personali di Sidious rientrano, restiamo solo io e i miei uomini nel piazzale. Abbiamo l'ordine di restare a vigilare sull'allenamento di Anakin.

È notte fonda e nessuno è venuto per bloccare questa follia.

Adesso basta! Sono stanco. Shmi si è addormentata esausta nel suo rifugio sicuro.

-Tech, Echo, Fives, ragazzi. Controllate che non arrivi nessuno.- li chiamo. Senza fiatare, si mettono in posizione per coprirmi.

-Anakin, signorino- lo chiamo. Come risvegliato dai suoi pensieri, si volta verso di me. Gli occhi lucidi, le mani che tremano.

-Basta così.- gli dico mentre lui continua con calma. Alla fine, mi avvicino a lui e lo abbraccio.

-Lasciami, soldato. Cosa pensi di fare?- sento la sua collera.

-La cosa giusta. Sei solo un ragazzino. Basta così!- gli dico.

-Non chiamarmi ragazzino e non darmi ordini.-

-Modera il linguaggio. Se permetti, ti abbiamo visto crescere. Ti ho visto crescere e ho medicato le tue ferite insieme a Shmi ogni giorno, dal giorno in cui hai iniziato ad addestrarti. Non penso di meritare questo trattamento da te.- gli dico serio e anche un po' severo. Sebbene sia un mio superiore, per me resta il bambino che di notte, dopo che Shmi aveva finito di allattare, io lo cullavo. Il bimbo con cui ogni sera giocavo segretamente. E lui lo sa. Ancora oggi, ogni sera io e Shmi sgattaglioliamo nella sua stanza. Anche i ragazzi alle volte ci raggiungono insieme a Bull e a sua sorella gemella Wendalyn.

-Scusa, mi dispiace. È che se lui lo scopre..- mi sussurra abbracciandomi.

-Non temere, i ragazzi ci avviseranno. Ci siamo noi Anakin. Riposa.- gli dico.

Appena gli dico quelle parole, si lascia cadere stanco addosso a me e io piano ci poggiò a terra con lui stretto tra le mie braccia.

Quasi subito, arriva anche Shmi che si deve essere svegliata per via del nostro battibecco.

La prima cosa che fa è dargli un bacio in fronte e dare un bacio a me. Poi bacia le sue mani livide e sporche di sangue.

- Shmi. -
- Va tutto bene piccolo mio. Adesso io e Rex ci prendiamo cura di te. - Gli dice con una dolcezza che solo una madre può avere verso suo figlio.

Con cura pulisce le sue ferite, baciando ogni punto leso. Con cura lo medica e lo coccola.
- Adesso Rex, cosa facciamo?- Shmi mi guarda cercando in me delle risposte. Il piccolo si è addormentato.
- Adesso lo porto nella sua camera, deve risposare. -
- Lord Sidius, si infurierà per questo. - È spaventata. Sappiamo bene quanto Sidius sappia essere perverso e crudele.

- Non fa niente, né pagherò le conseguenze. - Anche gli altri cloni miei fratelli asseriscono.

- Ti aiutiamo Signore. - Mi dice Fives.

Insieme portiamo Anakin nella sua stanza e poi usciamo.

Quando mi sveglio la mattina, trovo ancora addormentato mio marito Sidius.

Indosso la mia preziosa e costosa vestaglia di puro lino rosso e esco dalla camera da letto.

Mi piace molto il potere che ho acquisito in questi anni.

L'unico inconveniente è dover sopportare il bambino che è sempre in mezzo ai piedi. Tuttavia, considerando le rigide regole a cui è sottoposto, non è così fastidioso.

Decido di non passare attraverso la casa per raggiungere il grande salone e opto invece per i corridoi coperti che circondano il portico. Così posso controllare il bambino.

Quando raggiungo i cloni che si occupano della sua sorveglianza, noto che Vader non è con loro.

Sono furiosa e chiedo loro chi abbia osato portare il bambino nelle sue stanze senza il mio permesso. Rimangono immobili e in silenzio, con lo sguardo fisso in avanti.

Nessuno risponde.

- Molto bene allora punirò tutti quanti. -Urlo furiosa.

- Mia signora, sono stata io, la colpa è la mia. - sento una voce di donna, una voce insignificante però fastidiosa. Mi volto e mi trovo davanti Shmi quella maledetta schiava.

Subito l'afferro per i capelli strattonandola poi la getto a terra. Lei urla. Sto per colpirla con i fulmini di forza, quando il comandante del cinquecento un'esimo si getta in ginocchio davanti a me. Sia io, che mio marito sappiamo del loro legame sentimentale.

- Mi signora, la prego abbia pietà. È solo una donna debole e di buon cuore. La supplico. Punisca me. - Lo scanso con un solo gesto della mano grazie all'uso della forza e lui vola addosso al muro.

- Questa volta ti ammazzo, lurida schiava che non sei altro. - Comincio a torturala con i fulmini della forza e le sue grida per me sono musica.

- Madre, madre. Basta ti prego. La schiava non ce la fa più, smettila. - È la voce di Vader. Lo vedo giungere veloce dalla sala da pranzo.

- Figlio mio. - Mi volto è dietro di me. Subito gli assesto uno schiaffo.

- Hai osato disubbidire...- Sto per colpirlo di nuovo, quando sento la mia vestaglia tirare. Abbasso lo sguardo è la schiava che si sta aggrappando al mio prezioso abito. Schifata la scanso.

- No, no mia signora era svenuto e io l'ho trascinato via. - Anche la sua voce mi infastidisce, è così pietosa. Sta proteggendo Vader, come farebbe una madre per il proprio figlio. Non lo ascolto. La mia attenzione è rivolta a mio figlio, finalmente sto per sfogare la mia frustrazione e rabbia, quando vengo di nuovo bloccata. Il soldato CT-7567 si è piazzato di fronte a me, impedendomi di colpire Vader e prendendosi lo schiaffo al suo posto.

- Mia signora, io e Shmi abbiamo portato via Lord Vader ormai privo di coscienza. Glielo giuro. - La voce del soldato è ferma e risoluta, non sembra temere una ripercussione.

Li guardo e poi fisso il volto triste di Vader. Punirli sarà un vero piacere.
- Figlio è la verità? -
Lui lì guarda e poi guarda me. Non sa cosa dire. Rido.
- Non importa li punirò ugualmente. - Questa situazione mi sta divertendo moltissimo.

Vader mi guarda con astio mentre lì punisco con l'uso dei fulmini. Da lontano percepisco la presenza di mio marito.

-Sono stufa! Vader, vai subito nelle tue stanze dritto a studiare e non ti voglio vedere fino a pranzo è chiaro? -
abbassa lo sguardo spaventato udendo la severità e il tono minaccioso che ho impiegato.

- Sì madre. Come desideri. - Risponde a bassa voce. Lo vedo allontanarsi diretto nel salone.

In contemporanea rivolgo la mia attenzione all'uomo e alla donna a terra che guardo con odio e sufficienza - Ti giuro Shmi verrà il giorno in cui te e Rex morirete. Lui è mio e di mio marito. Ricordati, che sei solo una stupida e inutile schiava. -
Poi volto loro le spalle lasciando il soldato e la schiava nel suolo impolverato dalla sabbia del deserto.

Devo sbarazzarmi di lei. Ho sbagliato a farla restare in vita. Tornata dalla missione me ne occuperò personalmente.

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