Capitolo tredici.
"Si trova al secondo piano." Fece uno sbadiglio prima di dirigersi all'ascensore.
"Poi mi spieghi, eh." Annuii anche se non sapevo cosa dovessi raccontargli.
Dopo aver percorso dei corridoi mezzi vuoti, arrivammo in una sala dove c'erano le cartelle di tutti i pazienti, sia degli anni passati che quelli del presente.
"Cerca la mia." Gli sussurrai nell'orecchio.
Niente, niente, niente. Nemmeno un accento della mia cartella, pregavo solo che Ethan fosse venuto al corrente di quelle informazioni prima di me.
"Eccola." Urlò d'improvviso Cameron dopo un bel po' di tempo a ricercare quella maledetta cartella.
"Andiamo in camera, muoviti su." Gli sorrisi curiosa di sapere cosa c'era scritto lì dentro ma, allo stesso tempo, preoccupata sul contenuto.
"Okay però calmati. Non c'è nessuno che ci corre dietro." Come no.
"E perchè stiamo prendendo le informazioni su di te?" Continuò poi, dirigendosi all'ascensore.
"Poi te lo spiego."
"Me lo stai ripetendo da stamani. Mi dici che ti prende?"
Alzai gli occhi al cielo, avviandomi alla mia stanza seguita da lui.
Mi sedetti sul letto e lo ffece anche lui.
"Prima o poi dovrai ricominciare a camminare." Improvvisamente cambiò discorso, forse capendo che non avrebbe risolto niente continuando a tartassarmi i suoi quesiti.
"Non ora." Risposi acida, prendendo la cartella dalle sue mani e facendo un sospiro.
"La smetti di trattarmi male?" Passai una mani sul mio nome scritto su quella cartella, ignorandolo completamente.
"Te ne puoi andare." E quella frase era risultata come un affermazione e non come una domanda.
"No." Sgranai gli occhi quando si riprese la cartella.
"Ridammela." Sbuffai quando vidi che tendeva la mano, in cui stringeva i plicchi di fogli, verso l'alto. Ero troppo bassa per riuscirci ad arrivare.
Mi aggrapai alla sua spalle e cercai di afferare la cartella invano.
Mi ritrovai, d'un tratto, con il mio corpo appoggiato al suo. Cameron ridacchiava perchè, a causa della mia inferiore altezza rispetto alla sua, cercavo ancora di riprendermi la cartella.
Mi arresi poco dopo , capendo che non avevo speranze di vittoria. Appoggiai la mia mano sulla sua libera e la intrecciai con la mia.
"Cos'hai?" Chiese con tono preoccupato, quando misi il capo nell'invaco del suo collo.
"Ho solo paura." Sussurrai e lui lasciò la cartella sul comodino, sfregando poi la mano su e giù sulla mia schiena.
"Perchè non vuoi dirmi niente."
Mi lasciò un bacio nei capelli e a quel punto la vista mi si appanò.
"Sei così strana oggi." Sussurrò, continuando i movimenti con la mano.
"Voglio avere delle certezze." Tirai su col naso per poi sistemarmi meglio su di lui.
"Su cosa?" Scossi il capo.
"Perchè sei così? Non ti riconosco più? Nell'ultimo periodo non sei più tu. Rivoglio l'Evans di prima, quella sorridente, quella che mi faceva ridere, quella che mi faceva impazzire, quella che all'inizio non sopportavo, quella testarda, quella ragazza che prima era mia." Chiusi le palpebre e delle lacrime traditrici cominciarono a scendere dal mio viso. Appoggiai la mia fronte sulla sua e riaprii gli occhi.
"Non sono più tua?" Domandai con voce rotta. Tolse la mano dalla mia schiena per appoggiarla sulla guancia sinistra e mi asciugò una lacrima, sospirando.
Sollevò di poco il collo, fiorando le mie labbra.
"Devi dirmelo tu." Sussurrò a pochi millimetri da me.
"Sei così pensierosa, sempre con la testa tra le nuvole, distaccata. Paura la dovrei avere io. Ho il timore di perderti." Le nostre labbra finalmente si unirono, creando un bacio fatto di sofferenze e fobie represse.
"Parlami, ti prego. Fidati perchè non ne posso più di essere un estraneo nel tuo mondo che ti sei creata in questo periodo, non riesco a farmene una ragione." Bisbigliò, ancora a poca distanza dalle mie labbra, quando ci staccammo.
"Non sei un estraneo." Sussurrai facendo sfiorare i nostri nasi.
"E allora cosa sono? Io non riesco a capirlo."
"Sei ciò che mi rende felice." Il mio bisbiglio era così poco audibile che pensavo, -o, anzi, speravo- non fosse stato da lui udito.
"Allora non sto facendo bene il mio mestiere perchè non sei affatto felice."
"Non è colpa tua, solo mia o forse neanche della sottoscritta. Non lo so, ho solo paura di cosa potrebbe star scritto in quel fascicolo." Appoggiai la testa sul suo petto, godandomi il suo suono del suo battito.
"Che potrebbe esserci scritto secondo te?" Domandò accarezzandomi i capelli e guardando, però, il bianco del soffitto.
"Non lo so." Mentii perchè non volevo ve lui lo venisse a scoprire, non per ora. In realtà io non sapevo cosa c'era ma una mezza idea me l'ero fatta. Io stavo ancora rielaborando il tutto dopo quegli anni passati tra lacrime, sfregi e urla soffocate.
La presi tra le mani e mi barcollò, per un momento, l'idea di lasciare che i miei dubbi venissero sfamati dalla dottoressa. Ora ero là e potevo, anzi, volevo sapere cos'altro c'era di oscuro nel mio passato.
L'aprii e cominciai a ogliare tra le diverse pagine fino ad arrivare ai dati dei miei genitori. La pagina dedicata a mia madre, era quella che mi importava più di tutte. La sua foto attaccata, con la spillatrice, sul foglio ritraeva una donna bionda, felice e sana. Erano quelle le uniche ed identiche cose che mi ricordavo lei.
Nome: Britney
Cognome: Morgan
Data di nascita: 24/04/1981
Luogo di nascita: Orlando
Residente a Seattle.
Insegnante.
Nessun segno parcolare.
La donna, laureata nella facoltà di Scienze della formazione primaria, era sposata con l'avvocato Evans ed aveva una piccola bambina di soli cinque anni, Abigail Evans, quando morì il giorno 13/05/2004 alle ore 9:46. Le cause del suo decesso sono semplici: la ventiduenne era affetta da una rara forma di tumore al cervello. Nonostante i vari ricoveri, terapie e chemioterapie, la donna ha perso la vita ad una giovane età, lasciando da soli il marito, tutt'ora vedovo, e la figlia.
Presupponiamo, quindi, che il tumore al cervello che affligge la diciottenne, Abigail Evans, sia un fattore ereditato dalla madre.
Chiusi in fretta il fascicolo, riponendolo sul comodino.
Sentii le braccia di Cameron stringermi forte e un 'Mi spiace' uscire dalle sue labbra.
Rifeci aderire i nostri corpi e nascosi il mio viso nell'incavo del suo collo.
"Io non lo sapevo ed era meglio che non lo venissi a sapere." Come aveva mio padre, potuto mentirmo per tutti quest'anni?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro