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Primi incontri

Questa non è una storia come le altre. E' la storia della mia crescita, della mia identità, in cui ciascun lettore può rispecchiarsi.
Non sono un individuo eccezionale, né una ragazza-eroina. Sono Ivonne e sono nata in una piccola città di provincia, in Campania, genitori affettuosi, due fratelli. Tutto è cambiato quando ho deciso di vivere per un anno in Germania, Stoccarda. Lì ho studiato e ho conosciuto delle bellissime persone. Non che non stessi bene in Italia, ma fuori dalle mura di casa soltanto in pochi mi volevano veramente bene. Quando la mia migliore amica, dopo 6 anni di amicizia, mi ha scaricato come un rifiuto, qualcosa in me si è acceso. Una voglia di riscatto.
Il mio nome era del primo cavallo di cui mia madre si era follemente innamorata. La sua passione, la stessa che ho io, è immensa e spericolata. Le piaceva spaventare mio padre, inventarsi di essere caduta e poi riderne insieme. Molti atteggiamenti li ho presi da lei. Parlavo molto da bambina, era la mia valvola di sfogo, il mio salvagente. Ancora oggi non capisco come le persone facciano a tenersi tutto dentro.
Se non fossi così, sicuramente sarei un cavallo che correrebbe tutto il giorno pur di sfogare la propria rabbia. Non immagazzino rancore, ma esperienze.

In Germania mi dissero tutti che ero troppo esuberante, attiravo l'attenzione. Questo mi metteva a disagio, ma poi capii che poteva essere un punto di forza e che sarei dovuta uscire dal guscio per cavarmela da sola.
In amicizia avrei dato anche l'anima, ma in amore ero molto schiva. Avevo paura delle attenzioni, delle illusioni, di potermi sentire bella quando non lo ero. Nessuno aveva capelli e occhi scuri, quel naso accentuato, la pelle porosa.
Le prime ragazze a cui mi ero avvicinata provavano giusto curiosità per le mie origini, soltanto dopo ho scoperto delle vere amicizie, principalmente maschili. E anche questo mi spaventava. Erano dei bei ragazzi, alti, e io mi vedevo piccola vicino a loro. Quando mi prendevano in braccio mi sentivo al sicuro, protetta dal resto che ci circondava e che non conoscevo affatto.

Forse non conoscevo così bene neanche loro, fino ad un venerdì sera di Novembre, quando mi portarono nel loro locale. Un rito di iniziazione. Era un pub fosco, dall'odore misto fra alcol e sudore, con tavolini accoglienti e un piccolo palco in cui si esibiva un gruppo rock.
C'era molta confusione, birra e mi trovai l'unica ragazza ad un tavolo di matti scatenati, goliardici quanto nessun'altro italiano avevo mai visto.
Al terzo giro arrivò un cameriere diverso, splendido, educato. Sembrava conoscerli e dopo delle rapide occhiate si sedette vicino a Riker. Parlavano fitto e con la coda dell'occhio mi sentivo scrutata. Ma era successo lo stesso anche con gli altri, non mi sembrava un tipo eccezionale. Invece, quando infilò la mano destra in tasca, capii che ci sarebbero state delle novità quella sera.
Il cameriere non stava offrendo soltanto della birra, bensì 2 grammi di erba. Riconobbi una bustina ben sigillata, però vidi che nessuno pagò. Johan a quel punto mi disse "Ce la offre per te." rimanendo serio.
Ero abbastanza stupefatta, specialmente nel vederli tutti fumare con semplicità e leggerezza. Nessuno me ne aveva mai parlato prima e questo un po' mi offendeva.
"Dai scema, non fare così. Hai anche rimorchiato."
Queste erano le uniche frasi che mi sentivo ripetere. Però osservavo quei volti imperscrutabili, e non percepivo serenità. Soltanto con l'effetto della cannabis mi sentii più leggera, nonostante fosse difficile dimenticare degli occhi così profondi.
Nessuno voleva parlarmi di lui, ad eccezione dell'unico con cui avevo legato meno, che ridacchiava ai miei commenti e mi sfotteva per gli occhi rossi.
"In Italia gira roba leggera" commentava.
Louis era il più bello. Sua madre era francese e aveva i suoi tratti nel volto, nei bellissimi capelli castani. Anche il suo sguardo mi intimoriva, ma era un amico al pari degli altri, se non fosse stato per la sua ostinata freddezza. Inizialmente ero convinta che non mi volesse fra loro, ma non dava alcun cenno di ribellione, forse perché era troppo subdolo per privarmi così velocemente di una sicurezza.
Pensavo che volesse vedermi fallire, anche nello studio, per farmi rimpiangere di essere arrivata in una città così lontana.
"Se proprio vuoi sapere di lui, vai a parlarci. E' fuori, nel retro." disse accendendosi una sigaretta.
Gliela presi dalla bocca come lui era solito fare, e mi avviai con lentezza. Non sembrava una grande prospettiva per il primo incontro e non volevo crearmi false speranze.

Lo vidi e ci guardammo. Quando fui abbastanza vicina, gli chiesi da accendere e mi porse un accendino terribile, il peggiore mai visto.
"L'ho preso in Olanda." disse notando la mia reazione.
"Amsterdam?"
"Tesoro per chi mi hai preso" e rise. "Italiana?"
"No, tedesca." risposi sorridendo, pentendomi subito dopo.
"Ah, ora capisco perché giri in certi posti. Da sola."
Mi inquietò il fatto che mise in evidenza il fatto che gli altri non ci fossero. Non avevo bisogno della loro protezione, visto che mi avevano mandato da lui.
"Dovrei avere paura?"
"Se qualche professore a scuola venisse a sapere che fumi? Anche se male." e sorrise di nuovo.
"Non credevo bisognasse essere esperti"
Non volevo affrontare il tema dell'università, nonostante la maggior parte dei ragazzi infrangesse le regole senza problemi.
"Hai le mani così piccole che non riusciresti neanche a girare." e mi fece un occhiolino.
"Te, oltre a girare, che fai?" dissi fredda.
"Mi godo la vita. E ti osservo." rispose con la bocca piena di fumo. Aveva le pupille dilatate.
"Cosa vedi?" feci passare qualche secondo prima di reagire. Sentivo più freddo di prima.
"Che i tuoi amici ti stanno cercando. Se sei tanto coraggiosa, ti aspetto qui domani." buttò la sigaretta nel tombino e rientrò senza voltarsi.

                             
Avevo molti pensieri quella sera e sulla metro gli altri si accorsero. Cominciarono a sfottermi come sempre, ma Louis mi osservava più del solito. Sperava che qualcosa trapelasse e per questo mi sedetti vicino a lui.
"Sei già innamorata?" - disse senza timore.
Sembrava di parlare con il cameriere.
"Non so neanche come si chiama." – risposi pensando che era sicuramente un bel ragazzo. Ma niente di più.
"Questo non importa. E' il tipo per te." dalla voce intuii un pizzico di ironia e reagii subito.
"Che ne sai di me."
"Cosa so? Credi di essere complessa ma sei trasparente. Muori dalla voglia di essere amata e cadrai nelle braccia del primo che si fermerà a guardarti."
"Vaffanculo Louis." non potevo dire altro, ma non mi alzaii.
"Lo sai che sei la mia piccolina, vero?" mi venirono i brividi. Lui si avvicinò al mio orecchio e mi disse "Non cercarmi quando avrò ragione."
Il treno si fermò. Eravamo fortunatamente arrivati al dormitorio.

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