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Le luci della città

Cuore, mio cuore, turbato da affanni senza rimedio,
sorgi, difenditi, opponendo agli avversari il petto;
e negli scontri con i nemici poniti, saldo, di fronte a loro; e non ti vantare davanti a tutti se vinci;
vinto, non gemere, prostrato nella tua casa.
Ma gioisci delle gioie e soffri dei dolori non troppo: apprendi la regola che gli uomini governa.  
🖤

Non sopportavo l'idea della predestinazione di cui aveva parlato il francesino e non sopportavo di ripensare continuamente alla sua bocca vicino ai miei capelli. Era un dio, tutte lo volevano. Io desideravo che non invadesse i miei spazi, provocandomi quel fastidioso disagio.
Ma non potevo cambiare il suo essere inopportuno. Era più grande del gruppo e probabilmente il più intelligente. Non nascondeva il carisma neanche nel suo aspetto curato e nell'atteggiamento impeccabile: era alto, atletico, affabile. Gli occhi vitrei e il volto rasato potevano confonderlo con un ragazzo qualsiasi, ma ad un occhio più attento risaltava la sua espressione perennemente beffarda e fiera.
Possedeva quell'eleganza innata, che soltanto la sicurezza in se stessi può dare. Stefan poteva aggiungere a queste doti la vanità e il senso di sfacciata superiorità che non poteva sfuggirmi.
Eppure Louis mi stava spingendo verso di lui, perché? Mi odiava fino a quel punto?
Non avevo così tempo da soffermarmi su certi problemi.

Dopo la solita routine, quel sabato mi sentii poco bene. Pensai subito che fosse l'effetto del mix della sera prima ed anche la mia coinquilina italiana lo notò.
"A forza di uscire con loro, diventerai come loro." - stavo ascoltando mia madre? Cecilia era molto apprensiva, ma mi voleva bene.
Quel giorno aveva uno dei soliti maglioni che coprivano interamente le sue poche forme, i capelli crespi e scuri raccolti con una fascia arcobaleno che avevo notato fin dal primo giorno.
In comune avevamo molto, dai tratti scuri all'amore per lo studio, ma lei dimostrava ogni giorno una straordinaria maturità. Aveva imparato a cavarsela da sola molto prima di me, privata ingiustamente del sostengo dei genitori. La sua carnagione olivastra era resa più luminosa dalla luce del mattino. Invidiavo come apparisse invincibile.
"Non preoccuparti. Dovresti venire anche te stasera, sono simpatici." - forzai un sorriso ma non cambiai il suo umore.
"Sembri un cadavere. Se rimanessi a casa sarebbe meglio." - a quel punto la cominciai ad inseguire facendo finta di essere un fantasma sfruttando la mia altezza e la coperta bianca che portavo sulle spalle. Lei finalmente rise.

Non avevo la più pallida idea di cosa mettermi, ma in Germania facevo meno caso allo stile. Vedevo spesso persone in tuta e confesso che mi piaceva omologarmi. Quindi decisi di essere me stessa anche quella sera, e scelsi fra le mie cose preferite, concentrandomi sul trucco. Non amavo i piccoli occhi neri presi da mio padre, ed era difficile poter migliorare quel viso asimmetrico a cui ero ormai abituata.
Mi stupii quando arrivata alla fermata trovai soltanto Louis.
"Gli altri erano stanchi. Stamani hanno vomitato." Aveva anche lui una felpa nera che metteva perfettamente in risalto l'incarnato pallido.
Sentivo il viso congelare e pregai che il mio aspetto fosse all'altezza. I capelli ricci erano mossi dal vento che giocava con le punte rosse, quando non ero io ad avvolgerle nervosamente fra le dita.
Il total black rispecchiava sicuramente l'umore di entrambi.
"Anche io stavo poco bene. Perché te sei venuto?"
Sorrise avvicinandosi ai binari.
"Pensavi ti lasciassi da sola?"
"Beh, me la so cavare." non lo credevo così tanto e ringraziai che le mie parole fossero allontanate dal vento.
Passammo il viaggio in silenzio mentre scorgevo la piccola città dai vetri appannati. Raramente apparivano nella lunga scia notturna dei palazzi più alti e familiari.
Decidemmo di prendere un kebab da asporto, nel quartiere brulicante di vita.
Era imbarazzante non avere argomenti e cercai di non far trapelare quell'emotività che avrebbe sfruttato.
"Dopo vado a farmi un giro con alcuni miei amici. Quando vuoi andare via chiamami." - disse finendo velocemente il panino e mimando con la mano il gesto di chiamare. Lo faceva spesso come se non fossi in grado di ascoltarlo.
"Non voglio esserti di peso." - non ero neanche a metà, non avevo fame.
"Non lo sei. Però stai attenta con Stefan. Non è il tipo."
Mi sedei sulle scale di un vicolo isolato ma rabbrividii per il freddo. Non sapevo cosa rispondere e lui si mise accanto a me, allungando il braccio sulla mia spalla. Mi venne spontaneo poggiare la testa vicino alla sua e pensai che nessuno potesse sentirsi più protetto di me, in quel momento.

Ogni persona che conoscevo ed incrociavo in Germania, sembrava mi volesse naturalmente bene. Non avevo modo di essere triste, persino i professori mi stimavano nonostante faticassi un po' con la lingua. Mi era utile pensare alle cose belle in quei piccoli momenti di ansia.

Verso le 8 andammo a piedi fino al pub e sentii tremare le gambe. Indossavo una gonna nera con delle calze, immaginai fosse il freddo. Pensai a Cecilia che era tranquilla a casa, a pensarmi forse. Ormai dovevo farmi forza ed entrai. Louis se ne andò salutandomi con un cenno.
Il locale era più pieno della sera precedente, ma io ero completamente sola. Andai al bancone e presi una coca-cola. Mi guardai intorno e vidi un gruppo di ragazze che sembravano molto ricche. Non mi vergognavo del mio aspetto e comunque non era loro che stavo cercando.
"Hey, tutta sola?" si avvicinò un ragazzo un po' alticcio.
"No, aspetto un amico." cercai di non guardarlo.
"Vuoi aspettare con me intanto?" e si avvicinò.
Sentivo le gola più secca della mattina stessa e non mi resi neanche conto di quello che successe dopo.
Il ragazzo finì a terra e io non reagii neanche per aiutarlo. Arrivarono subito i suoi amici che lo fecero rialzare e vidi che aveva uno zigomo gonfio. Alla mia destra c'era Stefan, il suo vassoio era a terra.
"Usciamo." – mi disse e mi prese per un braccio.

La mia mente era confusa. Ci sedemmo in una panchina poco distante dal pub, sopra una piccola collina. Il panorama era splendido.
"Non dovevi farlo." – ruppi subito il silenzio. Mi stringevo le mani e lui si accorse.
"Lo conosco, è di qua. Non mi darà problemi." – si accese una sigaretta.
Feci lo stesso. Così evitavo di far trasparire l'ansia.
"Come ti chiami?" mi chiese.
"Ivonne. Te sei Stefan, giusto?" finalmente mi soffermai a guardarlo, perché era più vulnerabile. Il viso molto magro contribuiva a farlo apparire  trascurato. Aveva lasciato crescere i capelli castani, che fuori dal pub lasciava liberi di ricadere sul volto, a coprire il sopracciglio tagliato. Una ferita nascosta come quelle che percepivo dentro di lui.
"Come lo sai?"
"Me lo ha detto un mio amico." - commentai con sicurezza.
"Immagino sia Louis." - si voltò a guardarmi, stendendo le braccia sulla panchina. Attendeva una mia reazione.
"Vi conoscete?"– mi si illuminarono gli occhi. Ero felice potessero esserci connessioni fra i pochi che conoscevo.
"Eravamo migliori amici da piccoli."
"Che è successo dopo?" - fui spontanea.
Sorrise quasi sbuffando. "Non è facile da spiegare." Dovevo aspettarmi fosse così freddo, un po' come tutti. Non poteva raccontarmi la sua vita come se fossi sua amica. Cercai di mandare avanti la conversazione, ma non fu facile. Sembrava essersi chiuso dopo aver nominato Louis.
"Lui non mi aveva detto che eravate così amici. Però non mi dice molto."
"Su questo siamo simili. Siamo attratti dalle stesse cose." – E vidi che mi lanciò un'occhiata, mentre ero assorta nelle luci multiformi della città.
"Dal silenzio?"– il freddo mi scosse e sorrisi.
Lui fece lo stesso. "Anche. Ma meriti più di questo." Arrivammo fino a un parcheggio, dove c'era soltanto una Mercedes bianca.
'E' tua?' – Era molto bella.
'Sì, diciamo. Ti faccio vedere qualcosa qui intorno.'
'Non so... non dovrei salire in macchina con degli sconosciuti.' – scherzai.
'Neanche starci da sola, se è per questo.' – rispose prontamente lui.
'Parlami di te.' – risposi in fretta, ma non ero sicura della pronuncia.
Alzò gli occhi al cielo.
'Faccio il cameriere per guadagnarmi qualcosa. Prima ero entrato in Accademia. Volevo fare il militare come mio padre. Alla fine del primo anno mi hanno espulso.' – sembrò pensare ad altro dopo aver terminato la frase.
'Da quando sono tornato, Louis mi ha voltato le spalle per i vostri amici. E adesso sono qua.'
Non potevo credere che Louis potesse essere stato così meschino. Ma in quel momento non mi interessava sapere la verità, soltanto avvicinarmi a lui.
'Mi dispiace. Io sono qui senza un motivo preciso. Avevo l'occasione e l'ho colta. Volevo cambiare.' - mi stavo torturando la manica della felpa.
'Prima o poi tornerai alla vita di prima' – commentò. – 'Non credo che sia questo il tuo posto.'
'Vedo che avete tutti lo stesso difetto: credete di sapere cosa sia meglio o peggio per me.' – parlai d'impulso. Ero ferita. Lui mi toccò i capelli.
'Perché non vogliamo che tu faccia i nostri stessi errori.' – rabbrividii.
Quella frase mi fece pensare ad un'unica persona. Louis non mi aveva chiamato. Vidi l'ora ed era veramente tardi. Non sapevo neanche se Cecilia mi avrebbe aperto di nascosto.
'Tutto bene?' – mi disse poggiandosi alla macchina. La mia espressione era trasparente.
'Devo andare. E' tardi.' – e chiamai Louis.
'Lascia stare, ti accompagno io.' – in quel momento Louis mi rispose. Sentii le loro voci sovrastarsi. Era vicino alla stazione e dovevo farmi trovare lì.
'Dovrei andare alla stazione.' - dissi dopo aver attaccato e forse in fondo ero contenta che la serata fosse finita.
'Sali. O vuoi sapere qualcos'altro prima?' – sorrise e pensai che finalmente ci era riuscito.
Il viaggio fu abbastanza veloce. Stefan guidava bene ma non ispirava molta fiducia.
'La prossima volta guido io.' – dissi scherzando.
Credo che non l'avesse presa molto bene, specialmente quando arrivammo. Per raccogliere il telefono poggiai la mano sul cambio, sopra la sua, ma la levai subito.
'Tutto bene?' – mi disse.
Non volevo che mi baciasse. Lui si accorse e mi prese per mano. La mia pelle era ruvida per il freddo e scorreva le dita affusolate sul rossore.
'Sei bella.'
'Non credo.' – risposi evitando lo sguardo.
'Rilassati.'
'Eri te a dirmi di stare attenta.' – sussurrai.
Mi baciò. Con delicatezza, poggiandomi la mano sul viso. Ma poi mi scostai.
'Devo andare. Notte, Stefan.' - e mentre uscivo capii subito di aver rovinato tutto.

                               
Appena scesi la situazione non migliorò. Mi accorsi che Louis era poco più avanti, ubriaco.
'Che cazzo hai fatto?' – gli chiesi quando vidi il labbro spaccato, dopo essermi assicurata che Stefan fosse ripartito.
'Sono corso da te, tesoro' – e mi mise il braccio intorno alla spalla come qualche ora prima, senza riuscire a reggersi in piedi.
'Puzzi.' – gli dissi disgustata. Dovevo aspettarmelo.
'Ho preso i biglietti, sono in tasca.'
'Ok andiamo.' - sostenendolo mi accorsi di quanto fosse leggero.
Sul treno continuava a poggiarsi su di me. Non dissi nulla, avevo bisogno di calore e silenzio.
Credevo dormisse quando poco dopo mi disse che aveva visto la Mercedes. Era del padre di Stefan.
Allora gli raccontai dell'Accademia e delle altre poche cose che avevo capito di lui. Il treno vuoto mi faceva sentire terribilmente sola.
'Balle.' – rispose quasi ridendo.
'Che cazzo ti ridi?' – gli dissi. Non potevo trattenermi. Volevo soltanto immergermi nella bellezza delle luci che vedevo scorrere nei miei occhi lucidi, senza poterle fermare.
'Non sai proprio niente di me.' - rispose gelido.
A quelle parole mi alzai, sedendomi esattamente nel posto davanti. Lo ignorai fino alla fine del viaggio, ignorando che mi stesse guardando.
Per scendere lo aiutai e andai a casa velocemente, lasciandomi quelle sensazioni alle spalle.

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