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Giorno dopo

E ti guardo da qui
Mentre scivoli via dentro al blu
Questa notte che non sei più mia
Guarda come mi fa
Male questa città, mentre tu
Sei più forte da quando sei qua

E la luce che entra dalla finestra stacca a metà
I tuoi discorsi come adesivi
Ma non ti sciogli da un po'
E tu sei come un gomitolo
Che fine hai fatto
Si può
Sapere come ti sei
Cacciata in tutti i tuoi guai
Da quando non sei più nei
Tramonti e dentro le fotografie
Nei giorni neri, però
Rimane come una scia

Il giorno seguente fu quasi peggiore.
Mi sembrò di risvegliarmi da un incubo, sperando che nulla fosse realmente successo e potessi rimanere tranquilla come durante il sonno. Il vestito rovinato ed il resto sulla mia sedia mi diedero conferma che non potevo rimanere nelle mie illusioni. Avrei dovuto affrontare tutto.
Fortunatamente notai che ero in pigiama e il mio viso era pulito. Ricordavo che Cecilia si fosse occupata di me e immaginavo dormisse, essendo soltanto le 6. Non smettevo di piangere in silenzio e chiudevo gli occhi per non osservare il suo sguardo, ricordavo solo questo.
Ma poco dopo vidi che non ero sola.

Louis era seduto sul pavimento in fondo al letto, con una coperta ad avvolgerlo. Mi fece molta tenerezza, mi avvicinai a lui e vidi il taglio sullo zigomo che non era ancora medicato. Volevo metterci un cerotto.
Quando mi alzai mi sentivo debole, avevo dolori ovunque, soprattutto nelle parti intime, sul seno e sul collo.
Le maniche lunghe coprivano il resto dei lividi dovuti alle strette degli amici di Stefan.
Nel percorso fino al bagno mi riaffiorarono i ricordi e non potevo far altro che bloccare a stento la mia nausea e l'esigenza di coprirmi.
Avevo bevuto ma non dovevo vomitare e cercai a lungo un cerotto con il resto dell'occorrente. Tornai da quel ragazzo bellissimo, che nella mia testa ora mi disprezzava. Probabilmente odiava più se stesso e avrei preferito il contrario.
Iniziai a bagnare il taglio con poca acqua ossigenata e subito aprì gli occhi fermando la mia mano.
Avevo ancora delle lacrime sul viso, gli occhi distrutti e mi guardò in silenzio. Disse soltanto "Hey" e mi abbracciò così stretta che gli dissi che mi stava facendo male.
"Scusa Ivo. Ti ho lasciato andare con quel vestito perché volevo che ti sentissi bella come sei. Dovevi stare sempre vicino a me." – era dispiaciuto ma non riusciva a far trasparire di più. Penso che il pianto fosse stato una rarità del giorno della morte della madre.
Accarezzò i rossori che avevo sul collo e il segno del morso che sarebbe presto diventato un livido. Il trofeo della mia stupidità. Voleva vedere tutto e su stava trattenendo.((
"Don't worry. Lascia che ti metta il cerotto." – risposi ma mi accorsi di non avere voce. Le urla, il freddo, mi avevano fatto questo effetto. Dovevo tranquillizzarlo e non ci stavo riuscendo.
"Non è colpa tua, è Stefan uno schifoso. Non fare così, non piangere. Lo vuoi un bel bacio?"
Non volevo sapesse tutto. Purtroppo quei lividi non aiutavano e non avrei mai peggiorato la cosa.
Lo baciai e fui contenta di sentire le sue labbra al posto di quelle di quell'essere che mi tornava in mente per l'umiliazione.
Aprii le gambe mettendomi su di lui, ma sentii dolore e si accorse.
"Che hai?" – mi guardò terrorizzato.
"Nulla, sono caduta quando Ron mi ha preso." mentii e lui si alzò di scatto.
"Non mentire. Ti ha violentato." – mi guardò serio.
"Lo voglio sapere. Ascolta, già ieri ha avuto quello che si merita ma io lo uccido da solo se lo ha fatto. Non provare a giustificarlo." – stava alzando il tono di voce. La sua espressione mi è ancora impressa nella mente.
"Fai piano, Cecilia dorme." – dissi piangendo mentre mi avvolgevo nella sua coperta e mi coprivo il viso. Ero impaurita. Non ero sicura sapesse controllarsi e non mi avrebbe fatta sentire meglio. Mi prese il mento con una mano.
"Ivonne, dimmelo." – il suo sguardo era vitreo. Sapeva che non potevo mentirgli.
"No, eravamo dentro e lui mi ha spinto addosso ad una colonna. Mi ha solo toccata, te lo giuro." questa volta pensavo capisse di dover smettere. Volevo abbracciarlo e non pensare a nulla.
"Toccata dove? Che animale, che schifo." – Stringeva le dita come se volesse spezzarle.
"Mi ha palpato più volte. Però ascoltami, ora è passato. Già vi siete affrontati, lascialo perdere. Non lasciamo che rovini il nostro rapporto." lo stavo implorando. Ero troppo sconvolta per avere quel confronto.
"Ah, questo lo chiami rapporto? Ieri sera sei scappata da me. Non ti fidi per dirmi la verità. Ai miei amici non ho potuto dire di noi e di quanto ero preoccupato per te." era arrabbiato. Non sapeva dove sfogare la sofferenza, era troppo per lui, ma non poteva farmi sentire una bambina.
"Mi stai dando la colpa perché un attimo i miei spazi? Volevo stare un po' con delle ragazze, come faccio sempre in Italia! Stavo venendo da te quando mi ha fermato." – avevo un filo di voce e il mio dolore si stava trasformando in rabbia.
"E' questo il problema, pensi che tutto riguardo te. Non ti interessa dei miei tempi e che mi sono messa quel vestito per te, avrei fatto di tutto pur di renderti felice, non lo capisci?!" – continuai, dato il suo silenzio. Non potevo sforzare molto la voce ma volevo che mi rispettasse. Urlare sembrava la cosa più semplice.
"Non sforzarti, non hai voce." – eravamo in piedi uno davanti l'altro. "Voglio solo che mi racconti cosa è successo."
"Non riesci neanche a guardarmi in faccia. Pensi che sia una puttana come fanno tutti. Lasciami in pace, ti prego." – mi sedetti sul letto per non guardarlo. Mi misi le mani sul volto perché la mia espressione era di nuovo troppo contratta e sofferente. Non vedevo quasi nulla.

Entrò Cecilia e chiese a Louis di lasciarmi da sola.
"L'ho lasciata da sola ieri ed ecco cosa succede. Voi due non sapete niente di come pensano i ragazzi qua. Non sapete niente di questo posto." – umiliò anche lei. Cecilia si mise a piangere, credo più vedendo come stessi, e non potevo permettere la trattasse così. Lei lo guardò con disprezzo e uscì.
"Sei uno stronzo, lei non ha colpe. Nessuno ha colpa oltre a Stefan. Non ti permettere più di dirci cose simili, e ora esci, lasciami da sola!" – in quell'istante Louis mi diede una spinta verso il letto e chiuse la porta. Mi teneva il braccio come era successo prima del nostro primo bacio.
"Voglio che te ne vai se non riesci a calmarti. Sono stufa della vostra violenza, guarda, guarda se proprio vuoi." – gli mostrai i lividi che sentivo sulle braccia.
Li osservò esterrefatto, sfiorandoli delicatamente.
"Immaginavo. Io voglio solo aiutarti. Non dire mai più che sei una puttana. Sei la migliore ragazza
che io conosca."– mi accarezzò la testa. Si mise a fumatore alla finestra da cui entrava una luce bianca e soffusa, senza lasciarmi la mano.

Rimanemmo a lungo in silenzio, in una mattina che sembrava non terminare mai. Io seria e lui accennando dei sorrisi per farmi sentire meglio.

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