Dolceamaro
Continuavo a ripetermi che sarebbe andato tutto bene mentre per l'università non avevo più unghie da mangiare.
Mi trovavo bene con il gruppo studio, però sentivo di avere ancora una questione in sospeso con Ron.
"E' un bastardo." dissi a Johan un giorno in mensa. "Se fosse qui gli tirerei questa mela."
"Beh sai, gli altri sono d'accordo con lui." ammise Trevor, come se parlasse di letteratura.
"Cosa?" guardai il pranzo, sicura che sarebbe rimasto nel piatto.
"Li ho sentiti ieri sera. Pensano che sia stato sbagliato inserirti così tanto nel gruppo. Portarti al pub e il resto." mangiava tranquillamente.
"Bene. Direi che allora potete andare a fanculo tutti." mi stavo alzando e Trevor non mi fermò.
Non potevo sopportare un discorso del genere.
"E' perché sei una ragazza. Le ragazze portano problemi, è risaputo." provò a giustificarli.
"Allora vai dal tuo gruppetto di fighetti e lasciami in pace."
Non mi voltai neanche a guardarlo. Ero su di giri.
Credevo che mi volessero bene e che non si lasciassero condizionare da quello che era successo. Pensavo che forse non avrei dovuto lasciare che Stefan si avvicinasse. Credevo di potermi buttarmi e sbagliare, era quello che avevano cercato di insegnarmi. Mentre ora me lo rinfacciavano.
Mi ero illusa di avere una nuova famiglia invece erano scappati al primo problema. Li stavo odiando con tutta me stessa. Riker soprattutto, lui mi aveva promesso che sarei stata felice se mi fossi fidata.
Una sera, un tempo infinito prima, seduti su una panchina gli avevo raccontato tutta la verità. Era molto tempo che non riuscivo ad aprirmi così facilmente e ancora più tempo mi sembrava quello che era passato da quando ero partita lasciandomi tutto alle spalle.
"Sai riconoscere una persona che ti vuole bene da una a cui non frega niente?" mi aveva chiesto incredulo, terminato il mio discorso. Aveva ragione ed era un vizio assurdo che continuavo a portarmi dietro. Ora mi sentivo più matura e forse erano gli altri a non essere all'altezza.
Lui era intelligente, intrepido, si atteggiava sempre da leader. Dovevo capire a fondo cosa lo aveva spinto ad odiarmi. Mi chiedevo: Con Louis ero convinta di aver rimediato, non era stato lui il vero problema?
"Sei passata sopra a molte cose." mi disse Cecilia in biblioteca.
"Si, ma non credere che possa veramente perdonare tutto."
"Brava, sennò ci penso io." disse facendomi con un sorrisino malefico.
Dopo cena decisi di affrontare la situazione, chiamando Riker. Non rispose e anzi attaccò ai primi squilli.
"Non voglio parlarti. Ti scriverò quello che vuoi sentirti dire. Ero tuo amico Ivonne, ma dai primi problemi d'amore non ti sei più guardata intorno. Ho visto una ragazzina correre dietro il primo che le faceva dei complimenti, chiudersi in se stessa per una cotta del mio migliore amico. E dimmi, avrei dovuto accettarti dopo questo? Avrei dovuto fidarmi di te? Non ho bisogno di te e non mi manchi." – il monologo sembrava preparato da tempo. Mi fece riflettere su quanto tempo avesse avuto per chiamarmi e dirmi queste cose. Scrissi di getto:
"Ron ti prego, accettami per quella che sono. Io con te l'ho sempre fatto. Ho avuto la mia lezione, sono stata sola eppure ora voglio soltanto la tua amicizia, tornare ad essere quelli di prima. Non posso essere felice senza te. Con Louis ho chiarito, perché avevi ragione a dirmi che ero stata un'egoista con lui. Ho lasciato quel coglione di Stefan. Voglio voltare pagina e dobbiamo farlo insieme."
Per fortuna rispose alle chiamate.
"La madre di Louis è morta." disse lentamente.
"Lo so, da due settimane." sentivo volesse aggiungere qualcosa.
"Ha preferito dirlo a te. Lo conosco da 10 anni. Io non capisco cosa è successo, a tutti."
"Mi chiedo lo stesso. Come sei potuto finire con una manipolatrice?" – volevo rimangiarmi tutto per paura di una sua reazione. Li avevo visti insieme, rimanendo sbalordita. Mi avevano raccontato che gli impediva di uscire con chi volesse.
"Te l'ho sempre detto che abbiamo diritto di sbagliare."
Tirai un lungo sospiro. Era geloso del rapporto con Louis, assurdo.
"Va bene, se vorrai parlarmi chiamami. Non ti sei comportato molto d'amico."
Sentii una voce femminile. Capii che era il momento di chiudere un discorso privo di conclusione.
"Ciao. Verrò al funerale." – la sua voce mi rimase impressa, perché percepii dolcezza.
Mi diede una speranza che forse non dovevo neanche sognare. Sentivo che qualcosa si fosse smosso, ma purtroppo Riker era incastrato e non potevo fare nulla per lui.
Non volevo poi riempirmi continuamente la testa di polemiche e problemi altrui; in fondo aveva ragione, a vent'anni si ha il diritto di sbagliare. Semplicemente non volevo che tale scelta ricadesse così tanto sul nostro rapporto che sentivo non si sarebbe più ricostruito.
Si avvicinava la mia partenza, ed il tempo tiranno correva più veloce di qualsiasi pensiero.
La giornata dei fiori e dei preparativi era stata molto bella.
Percepivo una tensione quasi elettrica fra me e Louis. Preferivo quando eravamo occupati a parlare con persone esterne, piuttosto che ripensare all'imbarazzo della camminata sotto la pioggia.
Reggeva l'ombrello facendomi arrivare più acqua sui capelli. Si erano umiditi, gonfiati e sicuramente il mio aspetto era penoso, però stare con lui mi metteva comunque di buon umore.
"Vedo come ti vergogni, quasi arrossisci nonostante il freddo" – disse mentre guardava le corsie per attraversare.
"Io vedo soltanto quanto sono bagnata a causa tua."
Ovviamente la mia inopportuna frase ci fece molto ridere e ringraziai che non disse poi nulla a casa sua con Johan e Mark.
Gli altri erano impegnati e comunque stavo ancora aspettando delle scuse. L'idea di aver cercato di alleggerire un impegno così grande che gravava su Louis mi faceva dimenticare del resto.
Vedemmo un bel film, stretti su un unico divano.
Il sonno arrivò molto in fretta e non mi meravigliai neanche quando sentii il braccio di Louis stringermi, come aveva già fatto molte volte.
Verso le 2 mi risvegliai, e mi accorsi che eravamo rimasti soltanto io e lui.
Subito ebbi l'ansia di dover tornare, ma alla fine non potevo fare altro se non rimanere nell'accogliente casa. Scrissi un messaggio a Cecilia scusandomi, e me la immaginai da sola per l'ennesima sera.
Andai in cucina per sistemare i bicchieri e sussultai dallo spavento quando sentii il suo abbraccio avvolgermi.
Mise la testa fra il collo e le mie spalle.
"Mi hai fatto paura." dissi subito, sperando non percepisse la mia ansia.
Mugugnò per farmi capire "Si" e quasi mi fece il solletico sbuffando.
Non sapendo che fare poggiai le mani sul lavabo e gli chiesi "Ti stai addormentando? Non potrei reggere mai il peso di entrambi, ti informo." mai fino a quel momento mi ero sentita così coccolata.
Mi diede un bacio sul collo.
"Profumi." – fu l'unica frase che disse in quel momento interminabile, in cui io ormai avevo leggermente inclinato la testa su di lui, tenendo gli occhi chiusi.
"Dai siamo stanchi, andiamo a dormire." sussurrai. In qualche modo volevo sempre interrompere il silenzio. Un silenzio stranamente confortevole.
Finalmente mi girò ma non avevo calcolato come sarebbe stato ritrovarsi faccia a faccia. Come una bambina qualsiasi non riuscivo a sostenere il suo sguardo.
Aveva quel volto scultoreo leggermente inclinato verso destra, come si fa quando si osserva attentamente un quadro. La barba era cresciuta di poco e gli cedeva un aspetto più maturo, trascurato.
Questa volta lo abbracciai io.
"Non guardarmi, sono in pessime condizioni. Come ti senti?" - mi preoccupavo per il suo lutto.
Però la sua stretta era lenta, mentre io non volevo staccarmi da quella posizione che mi permetteva di guardare il tavolino e non lui.
"Ti ringrazio per la risposta, se dobbiamo rimanere svegli almeno sia per fare conversazione."
Mi allontanò prendendomi il volto con entrambe le mani, e con il pollice mi toccò un labbro.
"Dai veramente" – mi tolsi e sorrisi.
"Ssshh..." – Mi si strinse lo stomaco. Voleva che lo guardassi, ma al suo confronto mi sentivo orribile. Non era uno scambio equo.
Nei miei occhi neri non poteva trovarci nulla oltre che la sua immagine riflessa. Non riuscivo a smettere di sorridere per distrarmi dalla sua serietà.
In quel momento fin troppo intimo suonarono il campanello.
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