07. Quanto vorrei che fossi tu.
"Ho delle belle notizie. Sembra che sia tutto apposto, dall'ecografia non noto nessuna anomalia. Non c'è nessuna gravidanza extraeuterina o problemi di altro genere, vedo che sta andando tutto bene" strinsi la mano di Pattie sorridendo e sospirai eliminando ogni traccia di frustrazione. "Adesso però devo prescriverti delle analisi per fare controlli più approfonditi"
"Sì, va bene" annuii e presi della carta per pulirmi il ventre. "Dottore, solo una cosa. Durante il giorno ho spesso momenti in cui devo vomitare, è normale? Si tratta di iperemesi gravidica?"
"Purtroppo molte donne ne soffrono. Il mio consiglio è di mangiare poco, spesso e sopratutto cibi sani. Con lo stress come stai messa?" mi chiese porgendomi un foglietto con su scritto chi esami che avrei poi dovuto fare.
"È un argomento delicato su cui deve ancora lavorarci" rispose Pattie al posto mio stringendomi la mano. Istintivamente, ricordai ciò che era successo il giorno precedente con Justin. Dopo essere rimasta chiusa in camera mia tutto il giorno, mi aveva chiesto di dargli un'altra possibilità ed io, completamente pazza di lui, avevo accettato. Speravo che dopo quella piccola tregua, potessi sul serio stare meglio.
"Devi cercare di stare tranquilla, va bene?" annuii. "Bene, allora ci sentiamo per prenotare la prossima visita"
"Arrivederci dottore" Pattie strinse la mano al medico ed uscì dalla porta.
"Grazie, a presto" gli strinsi anch'io la mano e gli sorrisi.
"Mi raccomando, ricorda quello che ti ho detto. Buona giornata signorina Jackson"
"Certo, buona giornata anche a lei" salutai con un gesto della mano il dottore e raggiunsi Pattie che stava aspettando l'ascensore.
La mia prima visita ginecologia era andata. Mi sentivo più sicura sapendo che non c'erano complicazioni e che tutto sarebbe andato per il verso giusto se avessi seguito i suoi consigli. Ero ancora giovane e il dottor Bexlaham aveva capito quanto nuovo e difficile fosse la situazione che si era creata, infatti mi parlava in modo dolce, rassicurante, come se stesse parlando con sua figlia. Avevo fatto bene ad ascoltare il parere di Pattie e di andare dal suo stesso ginecologo.
Dato che eravamo a London, ci volle circa un'ora per tornare a Stratford. Non fu facile non pensare a mia madre durante il viaggio, eravamo addirittura passati fuori il posto dove lavorava e quasi mi sembrava di averla vista ma era impossibile, alle nove e cinquanta lei era seduta nel suo ufficio e non a bere il caffé con i colleghi. Piuttosto che tornare a casa, chiesi a Pattie di portarmi al negozio. Justin mi aveva assolutamente vietato di andare a lavoro per riposarmi ma non volevo perdere otto ore di lavoro solo per una visita. Infatti, quando varcai la porta d'entrata, rimase colpito nel vedermi.
"Afrodite, ti avevo detto di rimanere a casa" mormorò Justin smettendo di fare qualunque cosa stesse facendo per avvicinarsi. "Com'è andata la visita? Ti ha detto qualcosa?" mi chiese subito prendendomi le mani e incrociando i nostri occhi.
"Sto bene, non c'è bisogno che io rimanga a casa" gli sorrisi rassicurante.
"Ha detto il medico che va tutto bene ma che deve cercare di stare più tranquilla e di tenere sotto controllo lo stress" disse Pattie al posto mio. "Forse per stare più tranquilla dovresti sul serio fare come mi hai detto ieri, tesoro.." Justin corrugò le sopracciglia e mi guardò intensamente come per chiedermi spiegazioni.
"Cosa le hai detto?" mi chiese, quasi impaurito da una mia possibile risposta.
"Che avevo pensato di andare da mio padre ma non ne sono sicura, io..-"
"Voi due non fate altro che litigare, è normale che questo porti pressioni e di conseguenza stress al bambino. Se per stare meglio l'opzione sarebbe allontanarvi, allora penso che non bisogna scartarla a priori" Pattie poggiò su entrambi una mano sulla spalla. "Io non voglio cacciarti, assolutamente. Mi piace averti con me e sai che ti voglio bene come se facessi parte della famiglia. Ma non voglio che il bambino subisca pressioni a causa delle vostre continue litigate"
"Mamma, io e Afrodite ci siamo già chiariti. Le ho detto che mi sarei impegnato per comportarmi meglio. Che motivo c'è di andar via, addirittura in un altro stato dove ci sono tre ore di fuso orario? Lei ha la sua vita qui." Justin abbassò lo sguardo sulle nostre mani ancora strette. Lo sentii tremare.
"Per adesso voglio pensarci ancora un po'." mormorai prendendo il mento di Justin in modo tale da alzargli il viso. "Non ho ancora deciso nulla e non voglio prendere decisioni affrettate." gli sorrisi come per rassicurarlo.
"Voi due mi farete impazzire" mormorò Pattie abbracciandoci contemporaneamente. "Vado a lavoro, ci vediamo questa sera" disse per poi dileguarsi senza nemmeno aspettare che ricambiassimo il saluto.
"Adoro tua madre" mi allontanai da Justin per timbrare al computer la mia entrata con user name e password.
"Lei adora te" Justin tornò a sistemare le corde ad una chitarra che era appena arrivata. "Sono contento che sia andato tutto bene. Temevo che dopo ieri e l'altro ieri fossero sorte complicazioni"
"Justin, ti avevo chiesto di dimenticare ieri e l'altro ieri" mormorai cercando a mia volta di non pensarci.
"Non so come tu faccia a non pensarci, Afrodite, io se chiudo gli occhi rivedo il momento in cui ti ho presa e.."
"E niente" mi abbassai per arrivare alla sua altezza, gli presi il viso tra le mani e gli accarezzai gli zigomi. La sua pelle era liscia, morbida al tatto, praticamente perfetta. "Justin, non pensarci più. È stato solo un momento di debolezza che non accadrà più. So che non mi farai più del male fisico, voglio crederti quando mi dici che sei dispiaciuto e ti prego, continua a dimostrarlo. Mi fido di te, capito?" gli sussurrai cercando di non pensare ai brividi che il contatto con la sua pelle riusciva a darmi. Il nostro scambio di sguardi fu talmente intenso che tutto scomparve intorno a noi.
Mi fido sul serio? continuavo a chiedermi e sapevo che forse stavo sbagliando, ma non potevo vivere per sempre nella paura che ciò che era successo potesse succedere ancora una volta.
Dopo quelle mie parole, Justin non rispose. Mi guardò serio e avvicinò la sua mano al mio viso. In un primo momento ebbi l'istinto di allontanarmi ma quando mi resi conto che voleva solo accarezzarmi, lasciai che mi toccasse. Chiusi gli occhi sotto al suo tocco delicato, aggraziato, dato quasi con paura. Chiusi gli occhi e lasciai che la sua mano scendesse lungo il mio collo, passò per la spalla, percorse l'avambraccio, raggiunse la mia mano e la strinse. Scariche di elettricità circondarono noi e lo spazio circostante. Eravamo il nucleo dell'atomo che formava la nostra storia un po' pazza, un po' fuori dal comune, la nostra storia inesistente fisicamente ma esistente, segretamente, nei nostri cuori.
Odiavo e amavo il modo in cui mi faceva sentire quel ragazzo dai capelli biondi e gli occhi ipnotici. Lo odiavo perché mi faceva sentire uno schifo, perché mi prendeva in giro, perché si faceva perdonare solo attraverso una stupida stretta di mano ed io ancora più stupida ci cascavo sempre e completamente. Però lo amavo. E lo amavo perché nonostante fosse menefreghista e insensibile, riusciva a rendermi felice anche solo attraverso un sorriso o uno sguardo.
Dopo quello intenso scambio di sguardi arrivarono abbastanza clienti che occuparono tutto il mio tempo. Il lunedì era forse il giorno più impegnativo dato che bisognava spolverare tutto il negozio, sistemare in magazzino gli ordini di inizio settimana, controllare le mail dei fornitori e avere a che fare con la clientela. Da solo Justin non ce l'avrebbe mai fatta e a me piaceva essere il suo braccio destro, il suo complemento. Era gratificante sentirgli dire che ero stata brava, adoravo quando a fine giornata mi prendeva e mi baciava la fronte dicendomi 'come avrei fatto senza di te?'. Anche se erano piccole cose, mi facevano battere il cuore.
Fortunatamente alle tre e mezza di pomeriggio arrivò anche Andrew. Era un ragazzo di soli diciassette anni che viveva solo con la mamma che non aveva un lavoro stabile, per cui Justin gli aveva offerto un contratto part-time di ventiquattro ore settimanali così avrebbe potuto aiutare sua madre in casa e andare a scuola allo stesso tempo. Passammo, tutti e tre insieme, un pomeriggio carico di pressioni. Anche se mi piaceva lavorare, un aspetto più che negativo dello svolgere un qualsiasi mestiere era proprio la pressione che ti dava il voler rendere tutto perfetto, oltre ovviamente alla pressione che davano alcuni clienti. "Ho ordinato questo venerdì e non mi è ancora arrivato!" "Questo pacchetto nuovo di corde aveva una corda spezzata!". Odiosi.
Nonostante tutto, alle sei del pomeriggio avevamo quasi finito tutto ciò che avremmo dovuto fare quel giorno.
"Finalmente questa giornata si è conclusa" mormorò Justin prendendo le chiavi della moto e di casa da sotto al bancone. "Andrew, adesso ti rimane solo da riordinare lo scaffale dietro di me. Mi raccomando, scrivi i codici di cosa manca, sai già come fare"
"Come ogni lunedì, capo" Andrew batté il pugno a Justin e si posizionò dietro al bancone accanto a Justin.
"Andiamo, Afrodite?" mi chiese Justin gentilmente prendendomi la mano.
"Oh, io avevo pensato di recuperare le due ore che ho perso stamattina per la visita" risposi prendendogli ugualmente la mano.
"Ma devi riposare. Non preoccuparti per le due ore, puoi recuperarle un altro giorno. Sai che per noi non ci sono problemi" insisté il biondo accarezzandomi il ventre con una mano libera.
"Sto bene" gli assicurai prendendogli il mento tra le dita. "Poi devo finire di pulire. Se domani dobbiamo cambiare l'esposizione delle pareti allora voglio che non ci sia nemmeno un granello di polvere"
"Almeno lascia che ti venga a prendere dopo, non voglio che cammini fino a casa" mormorò Justin guardandomi negli occhi.
"Se vuoi posso accompagnarla io. Sono con la macchina di mamma" entrambi ci girammo verso Andrew che ci fece l'occhiolino.
"Va bene" cedette Justin sospirando. Mi baciò la fronte. "Siediti se non ce la fai"
"Sì, mamma" alzai gli occhi al cielo e lo accompagnai alla porta d'uscita. Dopo averlo salutato un'ultima volta, andò via. "Bene, torno a spolverare" dissi sorridendo ad Andrew.
"Hei, Afrodite, aspetta" il moro mi bloccò smettendo per un attimo di lavorare. "Posso chiederti una cosa che vorrei chiederti da quando hai cominciato a lavorare qui?"
"Certo" risposi avvicinandomi. Ne approfittai per sedermi su uno sgabello girevole.
"Tu e Justin state insieme?" mi chiese senza giri di parole.
"Oh, no. Vivo solo in casa sua" risposi muovendo la mano con non chalance. Al suo sguardo interrogativo mi scappò un sorriso. "È una lunga storia ma te la farò breve. Pattie è l'ex fidanzata di mio padre e di conseguenza ho chiesto aiuto a lei quando mia madre mi ha cacciata di casa dopo aver scoperto che sono incinta."
"Ci vuole coraggio a cacciare di casa la propria figlia incinta" mormorò Andrew poggiando la sua mano sulla mia.
"Cerco di non pensarci, ormai è fatta. Avrei potuto immaginarmi una reazione del genere conoscendola, ma va bene così" Andrew mi strinse la mano e mi guardò negli occhi per rassicurarmi. Aveva gli occhi di un verde smeraldo talmente acceso che mi ci persi all'interno.
"Comunque sia, penso che il capo abbia una cotta per te" disse cambiando argomento. "L'ho visto comportarsi così solo con sua madre e credimi, lui ama sua madre"
"Penso che sia solo perché sono incinta e si preoccupa per il benessere del bambino.." biascicai poco sicura delle mie parole.
"Non è suo figlio, giusto?" annuii. "Quindi non ha nessun motivo di preoccuparsi per il bambino, a meno che non sia innamorato della mamma" commentò lasciandomi perplessa. "Pensaci" disse infine, riprendendo a controllare le varie scatole di plettri.
Rimasi perplessa dopo quella conversazione. Non pensavo fosse possibile per Justin innamorarsi, sopratutto di me. Di me, che avevo diciotto anni ed ero già incinta. A ventitré anni, l'ultima cosa a cui si pensa è badare ad un bambino che per di più non è il proprio. Per me e Justin sarebbe stato impossibile già in partenza. Per quanto bello sarebbe stato essere sua, ma sua del tutto, non avrei mai potuto rovinargli gli anni più belli della sua vita affidandogli la responsabilità di un figlio che non era nemmeno suo. Avrei preferito vederlo fidanzarsi con una bella ragazza e osservarlo da lontano vivere la sua vita come meglio voleva. Ci tenevo troppo per dargli un peso così grande.
Però non mi sarebbe dispiaciuto averlo tutto per me. Svegliarmi la mattina al suo fianco o tra le sue braccia, restare a fissare il suo viso beandomi della sua bellezza, assaporare le sue labbra ogni qual volta volevo. Era il simbolo della perfezione, dell'attrazione. E averlo tutto per me sarebbe stato il regalo più bello da ricevere dopo tutto quello che mi stava capitando.
Tra tutti i miei pensieri e le mie fantasie impossibili, finii di pulire il negozio giusto in tempo per l'orario di chiusura. Prima di spegnere le luci, osservai soddisfatta il mio operato e solo allora, guardando il negozio splendere sotto le luci artificiali, mi resi conto del perché Justin amasse così tanto quel posto. Come aveva promesso a Justin, Andrew mi accompagnò a casa con la macchina di sua madre. Lo ringraziai e lo salutai con un abbraccio, dopodiché mi avviai verso la porta di casa e la aprii con la mia copia delle chiavi.
"Sono a casa!" urlai poggiando la borsa e le chiavi all'ingresso.
"Hei tesoro, c'è Justin con te?" mi chiese Pattie dalla cucina.
"No, però sono le otto e un quarto. Non è ancora arrivato a casa?" le chiesi raggiungendola.
"Aveva detto che aveva da fare, è stato piuttosto evasivo. Forse è da Ryan"
"Ho sentito Ryan ed è tornato adesso da lavoro" dissi apparecchiando la tavola per tre. Sapere che Justin non era ancora arrivato era piuttosto strano. Era andato via dal negozio due ore e mezza prima, cos'aveva fatto per tutto quel tempo? Perché non ci aveva detto nulla? E perché aveva approfittato che non ci fossi per andare chissà dove?
"Provo a chiamarlo" mi disse Pattie prendendo il suo cellulare, annuii e presi anch'io il mio notando che ero stata taggata in un post su Facebook da Chrystal Hastings, una delle ragazze con cui avevo provato a legare durante le superiori. L'altra era Danielle Hemingway, cocca del professore di filosofia e, con entrambe, andai per la prima volta in discoteca. Inutile dire che quella serata mi aveva stravolto la vita.
Cliccai sulla notifica e mi si aprì una fotografia scattata dal fotografo della discoteca che ritraeva me e le ragazze mentre sorridevamo. 'Guardate che gnocche che siamo' aveva commentato Chrystal taggando me e Danielle. Osservai per bene la foto focalizzandomi sopratutto sul mio sorriso: sembravo felice. In effetti, per quanto pazza, quella fu una serata memorabile e, tralasciando certi aspetti, anche perfetta. Salvai la foto e cominciai a scorrere le altre mentre aspettavo che Pattie finisse di cucinare e che Justin tornasse a casa. Tra quelle foto, molto probabilmente, c'era anche la foto del ragazzo con cui avevo avuto la mia prima volta. Cercai di ricordare il più possibile ogni aspetto di quel ragazzo, ma ricordai solamente che aveva tanti tatuaggi, dei cerotti sulle dita, gli occhi marroni e i capelli biondi. Ed era dannatamente bello. Scartai le foto con ragazzi dai capelli scuri e gli occhi chiarissimi, ma nessuno dei ragazzi che era stato immortalato assomigliava al ragazzo che vagamente ricordavo. Una foto, però, attirò la mia attenzione. Corrugai le sopracciglia osservando i ragazzi immortalati e rimasi sbalordita nel notare che erano dei ragazzi che io conoscevo, ovvero Ryan, Mitchell, Chaz e Justin. Cominciò a battermi forte il cuore non appena realizzai che fossero loro. Non sapevo che anche loro fossero stati nella discoteca in cui ero stata anch'io la stessa sera. Non mi sembrava di aver visto nessuno di loro quella sera, forse Ryan al bancone del bar prima che il barista carino mi facesse ubriacare. Osservando Justin, notai quanto bello fosse quella sera: aveva un cappello della New Era rosso, una camicia nera a mezze maniche attillata, jeans col cavallo basso ma stretto alla caviglia e delle splendide Supra rosse. Aveva un sorriso meraviglioso, ancora più bello di quanto ricordassi. Al collo portava tante catenine d'oro e anche una targhetta simile alla mia. Anche se era vestito di nero, era bello come il sole. Salvai anche quella foto e continuai a scorrere cercando di trovare il ragazzo misterioso, ma nulla. Avrei dovuto trovare altri modi per rintracciarlo e per capire chi fosse.
Sospirai e poggiai il cellulare sul tavolo nel momento esatto il cui la porta di casa si aprì. Mi alzai per andare incontro a Justin e chiedergli dove fosse stato, ma stava parlando al telefono.
"Ryan te l'ho detto, ho chiesto di farmi dare l'elenco ma niente. No, non mi hanno voluto ascoltare. Sì, poi ho fatto un giro in macchina per vedere se riuscivo a riconoscerla. Cosa vuol dire che dovrei smettere di cercare lì? È lì che sta e devo ritrovarla. Lo so, lo so che è una pazzia arrivare fin lì ogni settimana ma sono già passati quasi due mesi e ancora non l'ho ritrovata. E pensai che smettendo di cercare io possa aprire gli occhi? Li apro solo se la cerco. Ryan, dirmi che le risposte sono più vicino di quanto penso è inutile se non l'ho ancora ritrovata. Va bene, va bene seguirò il tuo consiglio. Sì, okay. Adesso vado che mi stanno aspettando per cenare. Sì, ci sentiamo per messaggio. A dopo"
Corrugai le sopracciglia ascoltando ogni sua singola parola. Stava cercando qualcuno, una ragazza? Era andato a cercarla perché era innamorato di lei? Chi era la ragazza che stava cercando? Ma sopratutto, stava cercando una ragazza? Avrei voluto riempirlo di domande, ma non ne ebbi il coraggio. Tornai velocemente in cucina prima che si accorgesse della mia presenza in corridoio e cercai di sembrare indifferente quando varcò la soglia della porta.
"Finalmente ci hai degnato della tua presenza" mormorò Pattie accarezzando il viso di Justin.
"Sì, avevo delle commissioni da fare, mi dispiace" Justin baciò il viso della mamma, dopodiché mi rivolse un sorriso. "Com'è andata con Andrew?"
"Bene, quando sei andato via non è entrato più nessuno così abbiamo finito di sistemare senza troppe complicazioni" risposi prendendo posto accanto a lui.
"È in gamba anche se è tanto giovane" commentò Justin prendendo l'acqua.
"Io ho solo un anno in più a lui" gli battei un pugno sul braccio e misi il labbruccio fingendomi offesa.
"Sì, ma tu sei una ragazza e le ragazze sono più mature dei ragazzi" Justin mi prese il mento tra il pollice e l'indice, dopodiché mi sorrise. Non perderti nei suoi occhi. Non perderti Afrodite...
"Sì" farfugliai soffermando il mio sguardo sulle sue sopracciglia, gli occhi, il naso, le labbra. Quel ragazzo era troppo bello per essere vero.
Notai Pattie sorridere guardandoci. Di soppiatto, senza che ce ne rendessimo conto, ci scattò una foto col suo cellulare e la pubblicò sulla sua storia di Instagram. "Guardate che belli che siete" ci disse mostrandoci il cellulare. Eravamo belli sul serio."Su, adesso mangiate che sono già le nove" ordinò e noi, da bravi bambini, consumammo in silenzio la cena che Pattie aveva cucinato.
Subito dopo cena, stanca com'ero, decisi di andare a fare una doccia e di andare poi a letto. Sentire l'acqua scorrere sul mio corpo era una sensazione bellissima, le gocce che scivolavano via portavano con sé pensieri, ansie e preoccupazioni. Dopo una giornata simile, era inutile dire che ne avevo bisogno. Una volta essermi lavata, mi asciugai, indossai l'intimo, spazzolai i capelli ancora bagnati e tornai in camera per prendere il pigiama, ma sobbalzai nel notare che non ero sola.
"Oh mio Dio, Justin!" urlai attirando la sua attenzione. Arrossii quando mi resi conto che mi stava fissando. Avrei voluto tornare in bagno e coprirmi anche solo con l'asciugamano, ma i miei piedi non volevano muoversi da terra.
"Afrodite.." sussurrò Justin avvicinandosi e accarezzandomi il ventre. "Dio, quanto sei bella" sussurrò ancora senza smettere di guardarmi.
"Dev-devo, sì, devo.. devo vestirmi" balbettai in preda all'imbarazzo.
"Dove hai messo il pigiama?" mi chiese Justin accarezzandomi il collo, poi le spalle.
"Sotto il cuscino" risposi socchiudendo gli occhi. Quando li riaprii fu solo perché Justin mi stava porgendo il pigiama. Indossai velocemente il pantalone.
"Si nota già di più la pancia rispetto a quando sei arrivata" mi disse sedendosi sul letto. Piuttosto che mettere subito la maglia del pigiama, presi la mia macchina fotografica e mi avvicinai allo specchio. "Cosa fai?" chiese Justin curioso, senza smettere di osservarmi.
"Voglio creare un album fotografico, ogni settimana mi scatto una foto per vedere come cambia il mio corpo" risposi sincera mettendomi di profilo di fronte allo specchio. Scattai una prima foto. "Vuoi fare una foto con me?" gli chiesi titubante.
"A patto che dopo ti asciughi i capelli, altrimenti ti svegli con la cervicale domani mattina" mormorò Justin alzandosi dal letto e posizionandosi dietro di me. Eravamo entrambi di fronte allo specchio ed entrambi avevamo lo sguardo focalizzato sul mio ventre mentre un sorriso ci contornava le labbra. Scattai una prima foto. "Aspetta, mettiti di faccia allo specchio" mi disse e seguii il suo consiglio. Lui si posizionò dietro di me, poggiò le mani sulla pancia e formò con le dita un cuore con al centro l'ombelico. Entrambi guardammo l'obbiettivo sorridendo e scattai una seconda foto. "Adesso rimettiti di profilo" ordinò e feci come mi disse. Lui si inginocchiò, poggiò le mani ai lati della pancia e lasciò un bacio su di essa. Scattai la terza foto.
"Potrei farci l'abitudine" biascicai accarezzandogli i capelli.
"Adesso metti la maglia e va ad asciugarti i capelli che appena torni voglio vedere tutte le foto che hai fatto" Justin si alzò con un balzò e andò a stendersi sul letto prendendo il mio cellulare tra le mani. Scossi la testa ridendo ma non obiettai e andai subito ad asciugare i capelli. Dieci minuti dopo, mi stesi sul letto al suo fianco e socchiusi gli occhi beandomi della sensazione di benessere che provavo ogni qual volta toccavo il suo corpo, ma sopratutto il suo petto. Restai una decina di minuti sul suo petto senza parlare. Mi bastava sentire il battito del suo cuore e le sue mani che mi accarezzavano la schiena per stare bene. Ad un tratto, però, Justin si alzò e prese la mia macchina fotografica tra le mani. "È arrivato il momento di vedere le foto" disse mettendosi a pancia sotto e accendendo successivamente la mia Nikon.
Non sfogliò solo le foto che avevo fatto da quando ero incinta, ma bensì tutte le fotografie che avevo sul rullino commentando ognuna di esse. Ed avevo quasi cinquecento foto sul rullino. Mi piaceva fotografare la natura, i paesaggi notturni, le grandi città. Amavo immortalare la realtà per potermela ricordare, per poter rivivere ogni ricordo ogni qual volta volevo. Sia quelli belli, che quelli brutti. Quella sera con Justin rivissi momenti stupendi con mio padre a Los Angeles, gite didattiche con la scuola, alcune partite dei Maple Leafs. E anche quegli ultimi, turbolenti mesi.
"Questa è la mia preferita" constatò Justin guardando la foto in cui eravamo entrambi di profilo e Justin aveva le mani sul mio ventre.
"A me piacciono tutte e tre" dissi prendendo il cellulare e passando tutte e tre le foto sul cellulare. "Vuoi che te le mandi?"
"Sì, grazie" disse alzandosi e poggiando la macchina fotografica sul mobiletto. Tornò a letto e fece per stendersi quando gli venne la brillante idea di sedersi sulle mie cosce bloccandomi le mani. Da quella posizione riuscivo a vedere ogni singolo tatuaggio che portava sul petto. Dal gabbiano tatuato sul fianco alla data della nascita della mamma tatuata sulla clavicola. Ma sopratutto, la croce.
In quel momento, ebbi un flashback.
'Con estrema delicatezza, mi poggiò sul letto, lui sopra di me. Mi bloccò le mani sul ventre e sorrisi guardandolo dal basso. Anche sul suo petto erano presenti tantissimi tatuaggi, aveva addirittura una croce tatuata proprio lì al centro. Era bello. Di una bellezza innaturale, misteriosa. Così bello da far cadere ai suoi piedi qualsiasi ragazza.
E quella sera era proprio con me.
"Dimmi il tuo nome" mi chiese, stendendosi al mio fianco.
"Afrodite"'
Scossi la testa a quel ricordo. Era il ricordo della mia prima volta con quel ragazzo misterioso. Era il ricordo di tatuaggi, di una croce tatuata al centro del petto proprio come quella di Justin.
"Afrodite, a cosa pensi?" mi chiese Justin guardandomi dall'alto.
"A niente" sussurrai vaga. "Ma adesso ti prego, stenditi con me e dormiamo insieme" mormorai prendendolo per le spalle e spingendolo sul letto. Ci stendemmo entrambi sotto le coperte e lasciai che mi abbracciasse, che mi cullasse, che mi calmasse.
Ma, per quanto stanca fossi, non riuscii a non pensare al flashback che avevo avuto.
E se fosse stato Justin il ragazzo con cui ero stata? Entrambi i ragazzi avevano la croce sul petto e lui era lì quella sera.
Ma allora perché non si ricordava di me? Il ragazzo non sembrava ubriaco quanto me, ero io quella a non ricordare.
Se fosse stato lui avrebbe riconosciuto la targhetta. Anche se non era sempre evidente, la portavo costantemente al collo.
Scossi la testa e cercai di scacciare via i pensieri. "Quanto vorrei che fossi tu" sussurrai stringendogli le mani rendendo così evidente il perché di tutte quelle domande: ero innamorata di Justin e avrei voluto che fosse stato il lui il ragazzo con cui avevo avuto la mia prima volta, ma nessuna prova poteva certificarlo.
Forse.
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