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01. Da vergine a incinta.

Non ero una ragazza a cui piaceva molto la musica alta e il caos, odiavo vedere la gente strusciarsi su degli sconosciuti e camminare tra le persone sudate e ubriache che popolavano la discoteca del mio quartiere. Ma quella sera volevo divertirmi. Divertirmi davvero.
"Hei, potresti portarmi un Malibù e cola?" chiesi al barista una volta essere arrivata al bancone.
"Hai ventun'anni?" corrugai le sopracciglia e mi sedetti su uno sgabello girevole. Un ragazzo dagli occhi azzurri e le braccia tatuate mi guardò sorridendo e scuotendo la testa per sistemarsi i capelli.
"Quanti anni mi dai?" gli chiesi mordicchiando un'unghia per mascherare il mio imbarazzo. Non ero brava a mentire.
"Non ventuno. Ma mi stai simpatica, quindi ti accontento" sospirai sollevata e alzai gli occhi al cielo.
"Accontenti tutte le ragazze simpatiche che non hanno ventun'anni?" osservai il liquido trasparente del Malibù riempire a metà il mio bicchiere.
"Solo quelle carine" dopo aver stappato una coca cola, la versò mischiandola al rum. "E simpatiche"
"Lo hai già detto. Sei piuttosto ripetitivo" alzai gli occhi al cielo scherzosamente e sorseggiai piano la mia bibita alcolica.
"Non ti ho mai vista da queste parti, è la tua prima volta in una discoteca?" annuii azzardatamente.
"Sì, sono venuta con un paio di conoscenti ma mi hanno scaricata per farsi figo uno e figo due" indicai con l'indice le ragazze che mi avevano accompagnato, Chrystal e Danielle. Avevano tanto insistito affinché le accompagnassi e non me l'ero sentita di dire di no anche se sapevo che mi avrebbero presto lasciata sola per stare con i loro ragazzi. "Non fa per me questo genere di posti"
"E come mai hai accettato?" mi chiese poggiando i gomiti sul bancone.
"Volevo provare qualcosa di nuovo, ballare, far loro compagnia.. Ho anche pagato il ticket, altrimenti me ne sarei volentieri tornata a casa. Dovresti dire al tuo capo che venti dollari per una sola entrata è una rapina senza pistola" sentii il risolino del ragazzo biondo con gli occhi azzurri seduto accanto a me, gli sorrisi divertita quando il barista mi richiamò.
"Penso che lo sappia già" alzai gli occhi sul ragazzo di fronte a me. Osservai i suoi occhi chiari improvvisamente spaventata.
"Perché, è qui nei paraggi?" mi morsi il labbro e sorseggiai, con l'intento di finirlo, il mio drink dalla cannuccia.
"A dire il vero, sarei io il titolare dello stabile." schiusi la bocca incredula, dopodiché chiusi gli occhi e sorrisi imbarazzata.
"Bene, se non ti dispiace adesso vado a sotterrarmi" feci per alzarmi, ma la sua mano mi fermò prendendomi dal gomito.
"No, mi fa piacere parlare con te. Resta ancora un po'."
Ancora imbarazzata, tornai a sedermi sullo sgabello e ad osservare i lineamenti di quel barista che si era rivelato anche il capo della discoteca. Era un ragazzo giovane, dagli occhi azzurri e i capelli neri, non molto alto ma abbastanza snello. Indossava una camicia azzurra e una cravatta nera, quei colori si abbinavano perfettamente ai suoi occhi e ai suoi capelli. Mentirei se dicessi che non era bello, ma non era il mio tipo.
"Potrei averne un altro?" gli chiesi, passandogli il bicchiere vuoto.
"Ti piace così tanto il rum al cocco?"
"A dire il vero, non conosco chissà quanti drink. Questo è l'unico che ho assaggiato e che sono sicura mi piaccia" strinsi le spalle e cominciai a fare dei mezzi giri sullo sgabello, come se fossi stata una bambina. Ma in effetti lo ero, avevo solo diciotto anni.
"Non hai mai assaggiato un Mojito?" scossi la testa sotto il suo sguardo incredulo. "Allora lascia che questa sera ti prepari un Mojito con i fiocchi"

Non obiettai e lasciai che il barista/proprietario della discoteca mi facesse assaggiare il Mojito e poi il Cosmopolitan e poi il Margarita e dopo ancora il Cuba libre. In meno di due ore mi ritrovai con la pancia completamente sotto sopra, la gola in fiamme e la testa che scoppiava. Avrei tanto voluto andare a casa, ma l'alcol presente nel mio corpo mi spinse in mezzo alla pista da ballo dove, da sola, cominciai a muovermi a ritmo di musica sotto l'enorme palla argentata posta lì al centro. Stavo bene. Mi sentivo libera, vuota, senza preoccupazioni. Non lasciai che nessuno mi si avvicinasse, ma non riuscii a fermare delle mani grandi coperte da cerotti che mi strinsero forte i fianchi, senza però farmi del male. Il ragazzo aderì il suo corpo al mio, poggiò il mento sulla mia spalla e cinse il mio ventre con le sue braccia muscolose e tatuate.
Mi abbandonai a quel contatto, tutto si bloccò immediatamente. Non sentivo più la musica, la testa non mi girava più, lo stomaco non era più in subbuglio. Quelle mani, quelle braccia, il suo corpo così stretto al mio mi mandarono letteralmente in paradiso. Raggiunsi le sue braccia con le mie mani e le accarezzai con le dita lentamente. C'erano su così tanti disegni, non avevo mai visto dei tatuaggi più belli di quelli.
"Posso ballare con te?" mi chiese ed io non risposi, rimasi a fissare le sue braccia che mi tenevano stretta a sé. Ad un tratto lo sentii muoversi dietro al mio corpo lentamente, muoveva i fianchi a ritmo di musica ed io, troppo bisognosa di un contatto col suo corpo, mi mossi con lui. Le sue mani accarezzarono le mie braccia, arrivarono fino alle mie mani. Incrociò le nostre dita e, senza mai staccarle, mi girò verso di sé. E incrociai i suoi occhi.

"Sei un angelo?" gli chiesi e mi sentii vulnerabile a cotanta bellezza.
"E tu?" mi chiese a sua volta.
Socchiusi gli occhi forse imbarazzata, forse soddisfatta - neanch'io sapevo che emozioni provare. Portai la testa sotto l'incavo del suo collo e mi lasciai cullare dalle sue braccia sulle note di Now That I've Found You di Martin Garrix. Ovvero la mia canzone preferita.
"We come one tonight, I've been waiting for your wake up call" sussurrai, aprendo gli occhi e puntandoli in quelli del ragazzo misterioso.
"Growing stronger now, I can hear it in a thunderstorm" il ragazzo continuò provocandomi un sorriso.
"We sing, oh oh oh oh oh. I don't want to do this without you" sorrise a sua volta, avvicinò ancora di più, per quanto possibile fosse stato, il mio bacino al suo.
"Oh oh oh oh oh.. I won't let go now that I've found you" allacciai le mie braccia dietro al suo collo.
"Now that I've found you" urlammo in coro.

E poi mi baciò.
Tutti attorno a noi cominciarono a saltare su sé stessi, a ballare, a sfrenarsi. Io e lui, invece, restammo fermi al centro della pista a divorarci con le labbra. Quel suo bacio risucchiò anche la mia anima, fu così intenso che quando ci staccammo per prendere aria Now That I've Found You era già terminata e un'altra canzone che non riuscii a riconoscere in un primo momento era già ormai a metà. Incrociai i suoi occhi, quei suoi splendidi occhi color nocciola, tanto comuni su un qualsiasi ragazzo ma così unici su di lui. Mi accarezzò il viso prima di sprofondare ancora una volta sulle mie labbra con un bacio lento e casto, così breve che quasi avevo paura di veder scomparire questo ragazzo da un momento all'altro perché forse avevo l'alito che sapeva di alcol, o forse perché non sapevo baciare.
"Vieni con me" però mi disse. E non potei non seguirlo.
"Dove andiamo?" gli chiesi. Mi scappò una risata.
"Non lo so" rise anche lui.
Dopo esserci allontanati dalla folla, mi poggiò ad un muro e riprese a baciarmi con più foga, con più desiderio. Non mi tirai indietro, lo volevo anch'io tanto quanto lui stava dimostrando di volere me. Gli accarezzai il collo, le spalle, le braccia, il petto. Gli accarezzai le labbra.
"Cosa sto facendo?" chiesi, più a me stessa che a lui.
"Ci stiamo baciando" rispose senza esitare. "Non vuoi?"
"E' questo il punto" mormorai.
"Il punto è che non vuoi?"
"Il punto è che voglio baciarti per tutta la notte." constatai. Sul suo viso apparve un sorriso che non riuscii a decifrare, quando però mi prese la mano e mi trascinò con sé al piano superiore di quella discoteca capii perfettamente le sue intenzioni. Ma non mi tirai indietro. Forse a causa dell'alcol, forse perché stupidamente mi fidavo di lui, forse perché volevo sentirmi finalmente donna. Proprio con lui, che nell'arco di dieci minuti mi aveva fatta sentire più viva che mai.
Dopo aver aggirato la sorveglianza, mi trascinò con sé in una stanza vuota e chiuse a chiave la porta.
"Adesso potrai baciarmi tutto il tempo che vuoi" sussurrò sulle mie labbra. E non me lo feci ripetere due volte.

Non mi ero mai spinta tanto oltre con un ragazzo, avevo avuto un solo vero fidanzato col quale ero stata per due anni senza però mai andare oltre ai baci. Forse è per questo che mi ha tradita, pensai. Ma i miei pensieri furono interrotti dal rumore di una cintura che si stava slacciando: la mia.
"Cosa fai?" gli chiesi, osservando le sue mani sbottonare i miei pantaloncini in jeans. Non mi rispose, ma continuò a baciarmi facendomi pian piano dimenticare della mia stupida e inutile domanda. "Fa troppo caldo qui dentro" sussurrai e in un attimo il mio top cadde a terra. Seguito anche dalla sua maglia. E dai miei pantaloncini. E dai suoi jeans.
"Sei bellissima, sei dannatamente bella" socchiusi gli occhi e lasciai che le sue mani esplorassero il mio corpo. "Mi sembra surreale baciare e toccare una creatura così bella" poggiò la sua fronte alla mia e socchiuse gli occhi. "Lascia che ti renda mia, solo per questa notte" riaprì gli occhi.
"Mi farai del male?" gli chiesi inconsciamente e senza nemmeno pensare al fatto che avrebbe sicuramente capito che fossi ancora vergine dopo quella mia stupida domanda. La seconda, o forse la terza stupida domanda che avevo fatto da quando ero con lui. Il suo sguardo cambiò, sembrò addolcirsi.
"Non potrei mai" mi accarezzò il viso. "Sarà la tua miglior prima volta di sempre"

Mi lasciai così trasportare da quei suoi baci, dalle sue carezze, dalle sue mani sul mio corpo. Quelle sue mani grandi, le cui dita erano coperte da cerotti, mi avevano affascinata dal primo secondo in cui mi avevano toccata. Adoravo le mani degli uomini. Erano forse la prima cosa che notavo e l'ultima che dimenticavo. Le mani di mio padre erano le mani più belle che avessi mai visto o toccato, ma quelle di quel ragazzo, così morbide, grandi, curate e piene di cerotti, mi facevano sentire protetta in una maniera inspiegabile. L'uomo che mi aveva dato la vita non mi aveva mai accarezzato nel modo in cui quel ragazzo sconosciuto mi stava accarezzando.
Con estrema delicatezza, mi poggiò sul letto, lui sopra di me. Mi bloccò le mani sul ventre e sorrisi guardandolo dal basso. Anche sul suo petto erano presenti tantissimi tatuaggi, aveva addirittura una croce tatuata proprio al centro del petto. Era bello. Di una bellezza innaturale, misteriosa. Così bello da far cadere ai suoi piedi qualsiasi ragazza.
E quella sera era proprio con me.
"Dimmi il tuo nome" mi chiese, stendendosi al mio fianco.
"Afrodite" sussurrai, trattenendo una risata.
"Come la dea della bellezza?" annuii.
"E dell'amore, del desiderio, della fertilità e del piacere" continuai accarezzandogli la schiena.
"Il tuo nome non ti smentisce. E questa sera ti renderò una vera e propria dea, mia cara Afrodite"

Dopo quelle sue parole, mi lasciai andare completamente al suo tocco, ai suoi baci. I nostri restanti indumenti caddero sul pavimento e si portarono con sé anche la mia verginità e il mio essere bambina. Non avevo mai provato emozioni simili, non mi ero mai sentita più bene di quanto mi sentissi bene sotto al suo corpo, tra le sue braccia. Avevo toccato il cielo con un dito senza mai allontanarmi da quel morbido letto, unita al suo corpo. Era stato dolce, era stato delicato, era stato romantico, era stato amorevole, era stato magnifico.
Avrei potuto restare con lui, su quel letto, per tutta la vita.
Ma il mio cellulare, che alle tre e trentacinque cominciò a squillare, mi ricordò che non potevo.
"Devo andare" sussurrai dandogli un ultimo bacio sulle labbra. "Ci rivedremo, vero?"
"Ci rivedremo, Afrodite" guardai i suoi occhi color nocciola ancora una volta.
"Come farò a ritrovarti?" gli chiesi e, senza rispondermi, mi poggiò al collo una catenina.
"Vedrò questa targhetta e ti porterò via con me" poggiò un'ultima volta le labbra sulle mie.
"Grazie.."
"Justin. Sono Justin." risi alzandomi. "Cosa c'è? Io non ho riso per il tuo nome e tu invece-"
"Sto ridendo perché ho appena perso la verginità con un ragazzo di cui non conoscevo nemmeno il nome" indossai gli slip e il reggiseno. "Vorrei sentirmi male per questo ma non ci riesco. Sono stranamente felice" indossai i pantaloncini che stranamente mi andavano larghi e il top.
"Io ho fatto sesso con una dea dell'Olimpo, mi porterai a conoscere anche le altre divinità come Era, Atena o Artemide?" alzai gli occhi al cielo.
"Ti farò conoscere Atena e ti farò vedere quanto brava è con la spada" scherzai e mi soffermai a guardarlo allacciarsi le scarpe. "Fa presto a riconoscere la targhetta"
"Riconoscerei lei e te tra mille" si avvicinò e fece per combaciare nuovamente le nostre labbra, ma lo bloccai.
"Avrai questo bacio quando mi ritroverai" sussurrai ad un pelo dalle sue labbra. Rubai un altro secondo per guardare il suo viso e ricordarmi i suoi occhi, dopodiché andai via.

Quando tornai a casa me ne infischiai delle urla di mia madre e della conseguente punizione per essere tornata a casa alle quattro piuttosto che alle due come avevamo deciso e stabilito la sera precedente. La mia testa era ancora in quella stanza e il mio corpo ancora ansimante sotto quello dello sconosciuto ragazzo dagli occhi color nocciola. Desideravo tanto rivederlo, ma sapevo che sarebbe stato non difficile, di più. Non avevo il suo numero, non conoscevo il suo cognome, non sapevo nemmeno se era del mio stesso quartiere dato che non lo avevo mai visto. Tutto ciò che avevo era una targhetta con su scritta una data e delle lettere. 01.03.1994 JDB. Nessun segno che mi portasse a riconoscere la macchinetta che aveva inciso quella targhetta, nessun nome, niente di niente. Speravo solo che prima o poi mi ritrovasse, perché desideravo ardentemente rivederlo.

Una volta essermi chiusa in camera, aprii il mio diario e cominciai a scrivere tutto ciò che era successo per non dimenticare nulla di quella splendida serata.

'Caro diario,
sono io, Afrodite. Sono sbronza, forse ubriaca, e in punizione, ma questo lo sapevi già perché tu sai ogni cosa di me e quindi avrai sicuramente calcolato che sarei tornata tardi a casa di ben due ore e che ogni ora di ritardo vale quanto una settimana di punizione. Ma sai che ti dico? Non mi interessa! Ho passato una delle serate più belle di tutta la mia vita. Ho perso la mia verginità, capisci? Ho perso la mia verginità con un ragazzo stupendo di nome Justin che mi ha regalato la sua catenina per riconoscermi tra la gente. Ha detto che mi riconoscerà tra mille, sarà davvero così? Spero di sì perché ho un dannato bisogno di rivederlo. Di lui ricordo che ha tanti cerotti sulle dita, che è dolce, che ha le labbra morbide, carnose, attraenti e che ha tanti, troppi tatuaggi, anche sul petto. Mi è rimasta impressa una croce e ho visto anche una corona. Con un bacio è riuscito a farmi spuntare le ali e a farmi toccare il paradiso. Anche se non lo conoscevo. Di certo non andrò in giro a baciare ogni ragazzo del mio quartiere come la protagonista del film 'Baciati dalla sfortuna' , ma sono sicura di riconoscere quelle labbra.
Adesso vado che mi scoppia la testa.
Ti aggiorno,
ciao Mario!
-Afrodite'

Le giornate sembravano tutte uguali rinchiusa in casa, quasi non mi resi conto del tempo che stava passando e anche velocemente. Secondi, minuti, ore, giorni, settimane. Erano ormai passate due settimane dal solo ed unico giorno in cui avevo visto quel ragazzo che mi aveva fatto toccare il cielo con un dito in una sola notte, con un solo bacio.

"Tesoro, mi faresti un piacere?" mi chiese mia madre, mi alzai dal divano raggiungendo la cucina. "Sono occupata a cucinare ma non ho il sale, andresti a prenderlo al supermercato?"
"Certo. Vado, l'ammazzo e torno, ciao donna!" sorrisi baciandole una guancia e uscii correndo di casa. Non toccavo l'asfalto da due settimane, morivo dalla voglia di uscire e ammirare il verde delle foglie, l'azzurro del cielo.
In poco meno di due minuti mi ritrovai al supermercato. "Ciao Grace" salutai la cassiera con un gesto della mano.
"Ciao piccolina, finita la punizione?" corrugai le sopracciglia guardandola di sottecchi.
"Lo hai saputo anche tu?" scossi la testa pensando a quanto mia madre fosse chiacchierona. "Ah, non voglio saperlo" alzai le mani in segno di resa e mi addentrai all'interno del supermercato.
Anche se dovevo comprare solo il sale, girovagai per gli scaffali in cerca di qualcosa di buono da mangiare, come ad esempio delle patatine. "O delle patatine tortillas" sussurrai tra me e me, prendendo al volo il pacco rosso contenente tanti piccoli triangolini di mais fritti che mi mandavano assolutamente in estasi, sopratutto se accompagnati alla salsa messicana. Dopo aver preso il sale, mi avviai verso la cassa e inevitabilmente, passai di fronte agli scaffali colmi di diverse linee di assorbenti. Rimasi a fissare le varie marche senza un perché preciso, sembravo nervosa, ansiosa, eppure non ne avevo un motivo preciso. Scossi la testa e velocemente mi avviai alla cassa.
"Allora, come hai passato queste due settimane?" alzai gli occhi sulla donna bassa e paffuta che mi stava facendo il conto.
"E' una presa in giro?" le porsi una banconota che prese al volo. "Ovviamente serie TV e libri a manetta. Se avessi avuto una settimana in più di punizione, avrei anche rivisto tutta la saga degli Avengers e degli X-Men"
"Sei o non sei una ragazza?" Grace alzò gli occhi al cielo porgendomi il resto.
"Anche la Vedova Nera è una ragazza." mi allontanai.
"Ma il suo supereroe preferito non è Wolverine!"
"Infatti non ho detto che voglio essere la Vedova Nera" salutai Grace con un sorriso e un gesto della mano, dopodiché uscii dal supermercato e mi avviai verso casa.
Durante il breve tragitto verso casa, mi sentivo tutt'altro che tranquilla. Mi girava un po' la testa e mi sentivo piuttosto stanca, ma non ci diedi molto peso. Infondo non avevo dormito molto le notti precedenti, passavo la maggior parte del mio tempo a mangiare e a guardare serie tv online. Una volta essere arrivata a casa, porsi il sale a mia madre che aveva già apparecchiato la tavola.
"Pensavo restassi fuori fino alle quattro del mattino come due settimane fa" scherzò mia madre.
"Solo per comprare del sale? I negozi chiudono" restai al suo gioco sedendomi al suo fianco. "Non pensavo che l'America desiderasse sapere che Afrodite Jackson è stata in punizione. Dimmi una cosa mamma, Obama cosa ne pensa?"
"Pensa che i figli irresponsabili vadano educati"
"Ma ho ritardato di solo due ore, non di due giorni" roteai gli occhi e cominciai a masticare quasi nauseata. Amavo il cavolfiore, ma proprio quel giorno mi stava dando il voltastomaco.
"Ringrazia che non siano state tre. Ogni ora equivaleva ad una settimana di punizione. Afrodite, lo sai che sono molto severa su queste cose e ti ho sempre detto che, se le mie idee non ti stanno bene, puoi anche andare da quel poltrone di tuo padre in California" sospirai senza obiettare. Amavo mia madre e rispettavo le sue regole, ma odiavo quando parlava male di mio padre. Non era stato un buon padre e forse non era la persona migliore del mondo, ma era pur sempre mio padre. Mi aveva dato la vita e lo amavo solo per questo.
"Tranquilla, penso che sarà l'ultima volta che andrò ad una festa" mormorai e feci per prendere ancora del cavolfiore, ma il senso di nausea si fece più forte. Senza dare spiegazioni a mia madre, corsi in bagno e vomitai tutto ciò che avevo ingerito, svuotai letteralmente me stessa. Una volta essermi pulita le labbra ed essermi alzata, lavai il mio viso con dell'acqua fredda e guardai il mio riflesso allo specchio. Ero sbiancata e non poco.
"Tutto bene?" mi chiese mia madre guardandomi dall'uscio della porta.
"Sì, penso che mi abbia fatto male il cavolo"
"O forse hai mangiato troppe schifezze" alzai gli occhi al cielo, senza però nascondere un sorriso.
"Anche" mormorai. "Io sto bene, mi gira solo ancora un po' lo stomaco. Torna a mangiare" quasi la cacciai con un gesto veloce delle mani.
"Se vuoi, posso restare con te." mia madre mi poggiò entrambe le mani sulle spalle, scossi però la testa. Dopo avermi baciata la fronte, andò via chiudendo la porta del bagno alle sue spalle.
Sospirai e poggiai la schiena al muro. Socchiusi gli occhi e aspettai che il senso di nausea scomparisse, ma le mie preghiere non furono esaudite.
Senza un motivo preciso, aprii l'applicazione all'interno della quale registravo mensilmente le mie mestruazioni e notai che non ci fosse nulla di strano. Il ciclo non era in ritardo, anzi, mi sarebbe dovuto arrivare il ventotto ed eravamo solo al ventidue. Mi sentii sollevata e mi feci forza cercando di non pensare a quel forte senso di nausea che però non mi lasciò. Né quel giorno, né i giorni successivi.
Ero stanca, senza forze. Mangiavo poco quanto niente, tutto ciò che mia madre mi portava mi provocava la nausea ed era una sensazione orribile, perché mia madre cucinava divinamente e mi sentivo terribilmente in colpa a non farla felice mangiando ciò che amorevolmente mi preparava ogni qual volta tornava a casa da lavoro.
Sapevo che c'era qualcosa che nel mio corpo non andava, ma non volevo accettarlo. Pensavo che fosse semplicemente dell'influenza, ma dal momento in cui erano passate due settimane da quando avevo vomitato per la prima volta e non ero migliorata, decisi di fare qualcosa di concreto e mi preparai per andare dal medico senza dir nulla a mia madre, non volevo che si preoccupasse più di quanto fosse già preoccupata.
Mentre camminavo tra le vie poco affollate di London, mi ricordai della medaglietta che il ragazzo in discoteca mi aveva regalato la sera in cui eravamo stati insieme e sorrisi al ricordo delle sue labbra sulle mie, delle sue carezze, del suo corpo unito al mio. Mi aveva resa donna. Ed era stato stupendo.
Sorrisi al ricordo, un sorriso che si tramutò però in panico quando mi resi conto di un fattore importante: era il sei agosto. Sospirai e, con le mani tremanti, aprii l'applicazione in cui tracciavo il mio ciclo. Che era in ritardo di nove giorni.
"Dannazione" mormorai, portandomi una mano tra i capelli. Cominciai a sudare freddo a vedere tutto girare. Non poteva assolutamente essere. Non potevo essere incinta. "Dannazione, dannazione!" continuai alzando la voce. Corsi il più velocemente possibile in farmacia e, per mia fortuna, al bancone non c'era né il dottor Petterson né la dottoressa Chloé, ovvero degli amici di mia madre. C'era però Jessica, una ragazza poco più grande di me che si era appena laureata, fortunatamente era una donna molto sulle sue.
"Ciao Jessica" la salutai con un gesto della mano. Mi guardai intorno, non c'era nessuno oltre me e lei.
"Ciao Afrodite, come va la nausea?" scossi la testa e mi avvicinai al bancone.
"Non bene." sospirai e, quasi in un sussurro, continuai a parlare. "Avrei bisogno di tre test di gravidanza"
"Che cosa?" urlò, strabuzzai gli occhi.
"Per favore, non farmelo ripetere" deglutii rumorosamente e presi una banconota da venti mentre lei mi preparò i tre test in una bustina in plastica che nascosi nella mia borsa.
"In bocca al lupo, Afrodite" le sorrisi dolcemente prima di andar via.
Tornai a casa in un batter baleno, più ansiosa che mai. Non volevo che i miei dubbi si rivelassero giusti, magari erano solo una coincidenza la nausea e il ritardo mestruale.
Ma i test non erano dalla mia parte.
E tutti e tre uscirono positivi.

Ciao a tutti, mi presento.
Mi chiamo Afrodite Jackson, ho diciotto anni e questa è la storia di come, a causa di una sbronza e di un bel ragazzo, non solo ho perso la verginità, ma sono pure rimasta incinta.
#maiunagioia

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Hey, biscottini blu!
Da un anno a questa parte mi sono fissata con Percy Jackson, non so se ne avete mai sentito parlare. È il personaggio principale di una delle saghe di Rick Riordan, uno scrittore a parer mio fantastico.

Comunque, non sono qui per parlare di quanto io adori i libri di Rick Riordan (potrei diventare un tantino logorroica).
Ho scritto questa breve fanfiction un po' di mesi fa, forse addirittura uno o due anni fa ma non l'ho mai pubblicata. Oggi finalmente mi sono decisa, sto scrivendo parecchio in questo periodo e volevo cominciare a scaldare il mio profilo prima di pubblicare altro.
Spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate!
Love you,
-Sharon.

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