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jack il vagabondo

Nasciamo tutti con gli occhi chiusi, serrati​, in mezzo alle grida e lamenti di dolore, ma solo in pochi decidono di aprire gli occhi e andare oltre al dubbio evidente di quel che ne sarà della propria vita una volta che si è nati. Ma nonostante questo dubbio sia sempre stato così talmente chiaro e evidente, noi nemmeno siamo stati in grado di farci avvolgere da questo fartelo, semplicemente perché, non avevamo ancora le capacità di soffermarci su tutto questo non appena siamo nati.

Ma il mio destino, al contrario di chiunque altro, era così ben evidente nonostante non ho avuto nemmeno la capacità di pensare e ragione in quel preciso istante della mia nascita.

La povertà e l'indennità di vivere intorno a me fu la prima cosa su cui appoggiai il mio primo sguardo quando ho avuto la possibilità di nascere.

Il mio fato apparentemente era già segnato, anzi, sarei già dovuto morire senza nemmeno nascere. Mia madre si sacrificò da sola, senza l'aiuto di nessuno per salvarla, in uno ospizio dove trovavano riparo i poveri dalla belva che era da considerarsi il freddo e il gelo, la belva più crudele che ti uccide tra mille e lente sofferenze.

"È nato condannato ad essere come noi, e a vivere come noi" questo sicuramente pensavano i senzatetto vagabondi che furono i primi a stringermi con le loro sporche e malaticcie braccia. Mia madre semplicemente non poteva, perché era morta proprio in quell'istante.

L'infanzia sarebbe dovuta essere il periodo di maggior libertà e felicità per qualsiasi altro bambino, ma non lo fu per me. La vita in uno ospizio per un bambino, che dovrebbe solamente sognare, era un vero inferno che ti tagliava le ali e ti vietava di volare.

La fame e i maltrattamenti: non ne potevo più. Così decisi un giorno, di mia spontanea volontà, di non accontentarmi della solita cucchiaiata di avena, ma in quel giorno, la fame mi diede al cervello.

Mentre stavo per compiere un gesto che probabilmente mi sarebbe costato caro, pensai solamente a come sarebbe stato il mio carattere se fossi nato benestante:" sarei stato soltanto il solito bambino viziato" ma un'altra domanda mi sorse spontanea:" allora ne vale veramente vivere questa vita, a questo punto?" Veramente non mi sapevo rispondere per la confusione che c'era nella mia testa in quell'istante.

Non avevo mai avuto paura di fare stupidaggini, e quel momento non era di certo il migliore per iniziare ad avere.

Così rimasi con il mio atteggiamento spavaldo, ma questa volta più del solito, proprio per indispettire ancor di più il direttore dello ospizio, e mi incamminai verso il bancone dove veniva servita la melma spacciata per commestibile.

"Signore ne voglio ancora, e subito!" Dicevo mentre porgevo il piatto e guardavo con uno sguardo di sfida il direttore. Ma lui invece, mi ricambiò con uno sguardo ancora incredulo, come tutti quanti in quel momento che mi fissavano sorpresi e sconvolti per il mio gesto.

"Ora forse sono diventato l'idolo di tutti..." Non avevo amici, e nessuno mi rispettava, ma non solo quelli più grandi, lo stesso valeva per i miei pari di età.

Appena l'uomo si riprese, si infuriò all'inverosimile, come se io avessi fatto qualcosa di maligno o peggio... Il direttore travolto dalla rabbia, iniziò ad inseguirmi per tutta la mensa e a colpirmi con violenza, con il suo bastone.

I suoi colpi sembravano frustate e, mi lasciarono con una schiena dolente e piena di lividi. Non riuscì quasi più a poggiarmi da nessuna parte per quanto mi faceva male, ma non ci pensai più di tanto... Perché una cosa mi terrorizzava ben di più.

Quando venni informato di ciò che mi aspetterà e di quel che potrebbe essere la mia punizione, non avevo avuto nemmeno il tempo per pensare al dolore, ma bensì​ iniziai quasi a pentirmi per la mia azione.

Mi trattenni dalle lacrime, anche se stavo per scoppiare. Non volevo farlo, ma non volevo nemmeno rimanere rinchiuso in quell'inferno che era l'ospizio.

Fui stato concesso in adozione come apprendista a chiunque volesse. Ma con molta probabilità, sarei dovuto andare a fare lo spazza camino, il mestiere peggiore, il più indegno, pericoloso e umiliante.

Ma il mio destino finalmente, tenne represso per almeno una misera volta il suo lato più burbero e sadico nei miei confronti.

Grazie al mio aspetto gracile, macro a causa dei periodi di digiuno e quant'altro, venni scattato per quel tipo di mestiere, a causa della mia indennità fisica.

La fortuna era dalla mia parte, ed ero estremamente felice.

Il signor Josef era un signore anziano dal cuore umile, tenero e docile. Nei giorni successivi sono sempre stato fedele alla sua bontà e alla sua capacità di altruismo verso i meno fortunati. Oltre al dono di un periodo di tranquillità, mi donò un lavoro sereno nella sua stessa bottega.

"Questo è il mio tesoro, questo è il mio modo di viaggiare e espandere i miei orizzonti" il signor Josef amava i libri, erano la sua seconda vita. E mi disse proprio quelle parole, mentre mi introdusse nella sua biblioteca personale nello scantinato della bottega.

"Signor Josef" ma un tratto, le lacrime iniziarono a graffiare il mio viso.

"Che che ti è successo Jack? Cos'è che non va?" Lui si chinò alla mia altezza e appoggiò la sua mano sulle mie piccole spalle.

"Non so leggere" dissi singhiozzando.

"Non credi che sia il momento di imparare a farlo?" Lui mi sorrise e mi abbracciò.

Nei giorni seguenti mi sentivo completo, felice e pieno di vita. Questa però non era la mia vera vita, non c'era benessere nel mio cammino di vita. Questo era solo un sogno, un sogno che venne stroncato proprio dal punto da dov'è nato. Cioè dal cuore.

Ma non dal mio, ma dall'organo d'amore di chi mi diede l'opportunità di assaporare la bontà della spensieratezza.

Il signor Josef era morto di infarto, e non ebbi nemmeno  l'opportunità di andare al suo funerale, perché dovetti correre come il vento, senza lasciarmi nulla indietro.

Se mi avessero trovato, per quella volta non sarei stato fortunato, chissà che cosa mi sarebbe toccato. Non sapevo dove andare, non ho avuto nemmeno il tempo per scegliere il dove, ma nonostante questo, non ho mai avuto la paura di cimentarmi a fare il vagabondo per le vie che conducevano verso Londra.

"Londra! Certo, ho sempre sognato di andare lì, una volta che sarei stato libero... E ora mi si presenta l'occasione"

Ho scelto di percorrere le strade dei boschi e case in campagna, perché prima di immergermi nel affollato e irrespirabile Borgo di Londra, volevo assaporare la brezza del vento che trasportava il fetore del concime.

Le strade di campagna erano quasi ricoperte da pozze di fango e, per la maggior parte delle volte c'erano due muretti fatti con la pietra ai lati della via. Non potevo evitare di certo di non sporcarmi le scarpe.

Dormire sotto gli alberi non è stato poi così tanto male. Provavo diffidenza nel chiedere se avevano una stanza in più le persone che vivevano in campagna, perché non si sapeva mai chi potessero essere quelle persone.

In quelle fredde notti, il mio unico compagno era un semplice libro, che leggevo sempre mentre riposavo ad un falò. Era il libro preferito del signor Josef, ed era anche il mio.

Dopo aver percorso strade solitarie, ed ecco che dinnanzi a me si ergeva la magnifica Londra.

Quando Iniziai a vederla già da lontano, la sensazione di stupore avvolse il mio cuore, ma nonostante ciò, nei giorni successivi mi sembrò di esser stato di nuovo catapultato nel passato.

Ero un vagabondo senza tetto, e pativo ancora una volta la fame. Ma un'altra volta ancora, non ce la feci più.

C'era un'immensa folla di persone che camminavano per i borghi di Londra, "sarà un gioco da ragazzi..." Pensai tra me e me.

Feci una scelta non proprio casuale, ma presi di mira senza pensarci due volte il primo che si trovò al mio fianco, così li rubai il portafoglio.

All'apparenza non si era accorto nemmeno della mia presenza, ma quando mi trovai dinnanzi ad una bottega mi sentì un qualcosa afferrare il mio braccio.

"Wow, sei bravo ragazzo" iniziai leggermente a dimenarmi per non dare troppo nell'occhio.

"Non ti voglio far niente, anzi i miei complimenti" mi voltai per vedere il viso di questo sconosciuto, ed era un uomo giovane, appena maggiorenne.

"Cerchi qualcosa da mangiare? Sei orfano o sei scappato da qualche parte?" Io risposi tenendo lo sguardo basso.

"Allora seguimi, hai incontrato la persona giusta!"

Quest'uomo mi portò verso le strade povere di Londra, e al contrario di come la pensavano molti altri, quelle strade ti facevano sentire in buona compagnia.

La gente viveva per strada e condividevano i loro pochi averi. Se non eri uno di loro, oppure se non ti conoscevano,  in queste vie venivi spolpato persino delle tue mutande, ma io a quanto pareva, camminavo affianco ad una persona molto conosciuta per queste strade.

Se dovessi descrivere tutto questo con una parola, userei ospitale e caloroso, perché era proprio così. La persona che mi aveva portato qui, mi presentò altri ragazzini della mia stessa età, che anch'essi, erano nella mia stessa situazione.

Si dimostrarono subito tutti gentili con me, nonostante mi conoscessero a malapena, era come se, avessimo passato una vita insieme. In fondo, derivavamo tutti da un passato e da esperienze molto simili.

"Ciao, sei nuovo?" Durante il cenone una ragazza, poco più che una ragazzina, si sedette vicino a me, e si presentò.

"Il mio nome è Gaia; il tuo?" Era una ragazza molto semplice, con un volto dolce, labbra a cannotto, un fisico snello​ e capelli biondi che le scendevano fin sulle spalle. Ma c'era un qualcosa in lei che all'apparenza dava una brutta impressione.

Sin da prima che si sedesse a tavole, da lei si poteva udire il sapore di vergogna, sudore e pentimento. Appena porse la sua mano, esitai per un attimo a stringerla, ma non volevo essere maleducato.

"Jack, piacere" mi lavai subito le mani.

Nonostante all'inizio mi avesse dato questa brutta impressione,lei  era quella con cui avevo più confidenza, e insieme ci lascevamo andare in racconti molto confidenziali sul nostro passato e ambizioni future. Lei da quel che mi raccontava, non aveva particolari ambizioni, ma voleva solo un tetto sulla testa e a qualsiasi costo.

Non ci volle molto, che capì che ognuno qui nella "comunità" aveva un compito ben preciso, e a me mi fu subito assegnato uno.

"Allora Jack, sei pronto" mi disse silenzioso e in incognito un mio compagno di furto.

"Dai su, entriamo e facciamola finita!" Dovevamo derubare un vecchio signore che abitava da solo. Noi ci nascondevamo nelle siepi, mentre cercavamo un modo per entrare senza far rumore.

D'un tratto, un colpo d'arma da fuoco, interruppe il silenzio che c'era tra di noi, e mi colpì sfiorandomi sui fianchi.

Mentre perdevo i sensi stendendomi sul freddo terreno del prato d'erba, guardai con disprezzo il mio compagno che se la cava a gambe.

A seguito di un sonno profondo, il risveglio nel cuor delle notte fu dolente. Non feci in tempo nemmeno per guardarmi in torno, oltre al fatto che era difficile guardare oltre il buio che ancora riempiva i miei occhi.

Appena provai a muovere le spalle, urlai dal dolore.

"Non ti agitare e non ti muovere! Qui sei al sicuro"

In quel giorno conobbi il signor Mark, una persona molto speciale. Lui era un dottore ormai pensionato, e sapeva bene come medicare certe ferite. Il proiettile non era stato sparato da lui però, ma da suo figlio minore.

Mark approfittava quasi sempre del suo giardino per far giocare i ragazzi di strada a pallone o ad altri giochi. Quando questi bambini venivano a giocare e a trascorrere giornate intere sul suo prato, il signor Mark portava molte volte a loro da bere.

"Jack, ti stai rimettendo in fretta... So che non vedi l'ora di correre un po' anche te, insieme agli altri della tua età. Ma devi essere paziente." Il signor Mark si prendeva cura di me, come se fossi un figlio.

La sua umanità, fiducia e altruismo, lo spinsero a non badare al fatto, che provai a rapinarlo. Lui sicuramente era consapevole della mia situazione, e sicuramente sapeva che se non l'avessi fatto, sarei finito nei guai con quelle vecchie e cattive conoscenze.

Non un certo senso, il signor Mark mi teneva al sicuro, ma lui era inconsapevole che prima o poi quelle persone mi sarebbero venute a cercare.

In fondo, anche loro erano la mia famiglia.

Nel giro di un mese potei già correre e giocare, così da sentirmi quasi un bambino normale come tutti gli altri, ma quel periodo, proprio come tutto il resto dei giorni felici della mia sfortunata vita, quel periodo durò ben poco.

Dovetti andare alla bottega a comprare del pane. Era la prima volta che uscì di casa dopo un mese, e l'ansia e paura mi avvolgeva. Ero molto teso, sapevo che mi osservavano, e sapevo anche che probabilmente mi stavano venendo a prendere.

Preso da quelle sensazioni iniziai a correre. Sentivo che mi seguivano, e man mano che mi rincorrevano mi conducevano sempre di più verso un vincolo cieco.

In poco tempo, finì nella loro trappola.

La via era bloccata, ed ero solo nei paraggi. Mentre ero faccia al muro, loro si avvicinavano sempre più, finché non iniziarono a colpirmi.

Mi chiusi a guscio  e per parare le bastonate, ma questo   non basto. Sentivo che lentamente dei lividi si andavano a formare sulla mia pelle. Sentivo il sapore salato del sangue che colava dal naso. Percepivo le mazzate e i calci in faccia mi disorientavano.

Avevo paura, ed ero sicuro che mi avrebbero ucciso, ma poi svenni.

Avevo la faccia gonfia, e per questo mi fece veramente molto male riaprire gli occhi, ma nonostante questo, dovevo vedere e sapere dove mi trovavo.

"Sei ancora qui... Per favore aiutami..." La ragazza a cui mi affezionai tanto era seduta dinnanzi a me. Lei era commossa, piangeva per il semplice fatto di vedermi in quello stato.

"Jack, hai tradito la nostra fiducia..." L'uomo che mi introdusse alla banda, entrò con fare minaccioso, e dal suo tono di voce, mi resi conto di quanto era deluso.

"Guarda come ti sei ridotto Jack. Ora sei diventato un bambino ricco e viziato; ma fai ancora in tempo a tornare indietro Jack. Cos'è scegli, noi o quel povero vecchietto..."

Altre persone appartenenti alla banda entrarono nella stanza. "Io vi odio!" Urlai io. Ero pieno di ansia, paura e rancore.

Le cambe mi tremavano ancora, ed ero anche consapevole, che avrei fatto una brutta fine. "Finalmente. Tra poco sarà tutto finito..." Esultai tra me e me.

"Niente più sofferenze o rimorsi per le mie scelte, niente più..." Iniziai a pensare.

In quel momento, iniziarono a darmi botte sino allo svenimento. Non si sarebbero fermati finché non sarei morto.

Mentre mi fingevo morto, sentivo i lamenti di disperazione della mia amica che mi era sempre stata a fianco. La sentivo maledire il suo stesso capo, la sentivo così addolorata, dispiaciuta e sconvolta.

"Basta stupida puttana!" Mentre lei si disperava, sentì lo schiocco di uno schiaffo sul suo tenero volto.

"Ormai è morto, rassegnati."

Mi gettarono in una campagna perché erano convinti che fossi morto, ma invece si sbagliavano di grosso.

Mentre venivo gettato nella prima campagna abbandonata molto lontana da Londra, Gaia si offrì per concedermi una degna sepoltura.

Mentre lei impugnava la pala e si preparava per questo sporco compito, mi rassicurai che non c'era nessun altro oltre a lei, così, prima che lei iniziasse a scavare, aprì bocca.

"Perché hai deciso di seppellirmi? Sono ancora vivo..." Lei rimase un attimo in silenzio, ma poi mi strinse in un forte abbraccio.

"Gaia, vieni con me... Per favore!"

"Dove andremo?" Sussurrò lei mentre mi abbracciava forte.

"Vivremo insieme, sotto la tutela di un caro anziano signore che vuole tanto bene a noi, e alla gente sfortunata come noi. Finalmente, potremmo crescere e vivere sani."

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