7 luglio 1676 pt. 4
Mentre Galatea si riprendeva, a forza di respiri lenti e distesi, dallo scontro con l'entità sconosciuta, Ottavio si era rimesso, mogio mogio, a revisionare il testo del romanzetto che Robertone sosteneva essere la nuova promessa di successo. Era una trama scadente, con sviluppi prevedibili e ispirata a prove ben più elevate. Per di più, quello non era per nulla il genere di libri che il marchese era solito leggere e già dopo le prime pagine il giudizio negativo era ben consolidato.
La concentrazione gli mancava, ma non se ne fece un cruccio perché, davanti a simili lavori, Ottavio non si faceva scrupoli ad abbassare il livello di qualità; d'altro canto, nessuno in officina avrebbe questionato le sue scelte. Ora l'oggetto della sua attenzione era diverso e ben più bruciante, oltreché ovvio. Di quando in quando alzava gli occhi sulla porta della camera, come a pregare che, quasi per magia, la serratura scattasse e lo lasciasse entrare. Cosa avrebbe fatto una volta superata la soglia? La sua mente si figurava scene differenti, dalle più realistiche fino a quelle del tutto improbabili: l'avrebbe trovata in lacrime? O arrabbiata? O solo abbattuta?
La sua speranza era che l'approccio maldestro e frettoloso, che fino a un anno prima non sarebbe parso né maldestro né frettoloso, non avesse guastato il clima più di quanto già non fosse. Di una cosa, d'altra parte, era piuttosto certo: Ferraris l'avrebbe rimproverato duramente. E non avrebbe potuto non dargli ragione, e questo lo scottava.
Serrò il pugno portandolo alle labbra e, per sfogare la tensione, si morse le nocche. Non si procurò un gran dolore, ma si sentì in un certo senso soddisfatto del segno rosso impresso sulla pelle, punizione autoinflitta per un fallo da principiante.
Il tempo era scivolato rapidamente; e troppo presto le previsioni di Ottavio vennero a prendere corpo nella realtà. Ferraris, a pomeriggio ormai inoltrato, venne a bussare pronto a sentirsi raccontare qualcosa di interessante. La faccia mesta del marchese non richiese ulteriori spiegazioni sul momento ed entrambi furono contenti dell'assenza dei bambini e di Galatea; i primi erano rimasti a giocare in cortile, la seconda non accennava l'intenzione di uscire dalla camera.
«Ma cos'avete combinato qui?» disse tra i denti Ferraris, introducendosi a passo spedito.
Ottavio richiuse, si girò con le mani aperte a mezz'aria e sussurrò, per non farsi udire: «Che cosa volete? Ho sbagliato...»
«Ricapitolate il tutto, per favore», ribatté l'altro a bassa voce, cercando il fiaschetto del vino e due bicchieri. Sedettero al tavolo, uno con piglio severo e l'altro con l'espressione tipica di un bambino rimbrottato. I fatti salienti erano così pochi che non fu difficile concludere il racconto nel giro di un minuto, un minuto teso e avvelenato.
«In pratica vi rivelate essere come tutti gli altri uomini, Monsignore», lo prese in giro alla fine, dopo un sorso di vino rosso ristoratore. Ottavio storse le labbra di disappunto, ma evitò di raccogliere la provocazione. Ferraris, dunque, insistette: «Ve l'avevo detto che lei non vi cerca perché il letto è freddo...»
Spazientito, l'altro ribatté piano: «È da un anno, tra la gravidanza e il resto, che il letto rimane freddo. Ve lo dico francamente: ho visto una possibilità e ho pensato di coglierla».
Ferraris sorrise desolato e gli versò altro vino; Ottavio lo buttò giù in un solo sorso, al che il compagno lo mise in guardia: «Attento a non esagerare. Si commettono spropositi quando si beve troppo».
«Credetemi, io non commetto spropositi.»
Si frammise un breve silenzio, sufficiente a entrambi per ritrovare la calma. Ferraris avrebbe cominciato volentieri un discorsetto, ma Ottavio lo anticipò: «Quando l'ho baciata, ho provato qualcosa di simile ai nostri baci di prima... Ma è svanito, e aveva quegli occhi tristi poi...»
Ferraris distese il viso, facendosi più comprensivo: «Io vi ammiro, in realtà», disse. «Io non sarei capace di essere un marito fedele: perciò non mi voglio sposare, per il bene della sfortunata fanciulla che si troverebbe vincolata per sempre a un libertino come me. Non voglio rovinare la buona reputazione di una persona onesta, dato che so che la gente invidiosa non è capace d'altro che fare di ogni cosa un pettegolezzo. Voi avete tollerato fino ad ora e mi chiedo come abbiate fatto».
«Mi hanno educato così, non è un merito», si schermì ad occhi bassi.
«Siete troppo modesto. L'educazione vi fornisce strumenti e modelli, sta a voi applicarli nella pratica. Quanti ricevono la stessa educazione e ne fanno uso e profitti diversi? La verità è che voi siete un uomo coraggioso e tenace, davanti al quale chiunque dovrebbe levarsi il cappello dalla testa e strisciarlo per terra.»
Ottavio, imbarazzato dall'encomio gratuito, si alzò in piedi squadrandolo con occhio diffidente. Ferraris lo imitò, temendo di aver dato un'impressione sbagliata.
«Altri mi definirebbero stupido, bigotto e molto ingenuo, con uno come voi a ronzare sempre intorno a mia moglie», osservò il marchese con altezzoso distacco.
«Altri? O piuttosto voi stesso?»
In quell'esatto frangente, la serratura della camera scattò: i due uomini ebbero appena il tempo di uno scambio di occhiate, quindi Ferraris bisbigliò: «Continuiamo così, penserà che bisticciamo come nostro solito».
Era infatti una precisa mossa strategica quella di inscenare piccoli litigi e lanci di frecciatine in presenza di Galatea, così che non potesse sospettare il patto segreto che la riguardava. I veri screzi avvenivano sempre in campo neutrale e non arrivavano mai alle sue orecchie.
Ottavio annuì e riprese l'invettiva: «Non sono affari che vi riguardano e la vostra curiosità è del tutto ingiustificata».
«Perdonate, se ho voluto intromettermi nelle faccende vostre. Il mio intento era quello d'aiutarvi, ma ora ve lo dico bello e chiaro: arrangiatevi!»
A quel punto, allo schiocco di chiusura della porta, entrambi finsero di accorgersi di lei e ammutolirono.
«Tea... Come ti senti?» domandò, stavolta sincero, Ottavio. Ferraris, non meno interessato alla risposta, aspettava sospeso.
Galatea, muovendo i primi passi ancora scombussolata, ragionò a stento sulle parole che era riuscita ad afferrare. Non sollevò nessuna discussione a riguardo, abituata com'era ad assistere alle loro schermaglie. La sua attenzione si rivolse immediatamente a una cosa in particolare e non rimase molto stupita, non trovandola: cercava Discordia. Non era la prima volta che, beccati i due litiganti nel bel mezzo delle loro stoccate verbali, si rendeva conto dell'assenza di colei che era stata l'ispiratrice principale delle parole avventate di suo marito.
«Tea?» la incalzò questi, venendole incontro. Si fermò a distanza, però, per non metterla di nuovo sotto pressione. Tuttavia, lei ritrasse le mani sul petto e intrecciò le dita, sforzandosi di soprassedere ai dubbi e alle accuse che si muovevano nella sua mente sotto impulso della figura senza nome. Tutta la sua buona volontà si profondeva nell'intento di dire qualcosa di dolce, che risollevasse il morale di entrambi dopo l'imbarazzante episodio del bacio. La voce maligna la tormentava, istillandole continue titubanze e insicurezze: più Ottavio le si avvicinava, pur lentamente, più il suo cuore batteva forte, più si sentiva soffocare.
«Scusami», sussurrò, faticando a udire la propria stessa voce. Lui sospirò, non sapendo decidersi su come agire. Ferraris, dal proprio posto, osservava di sottecchi la situazione, valutando la possibilità di intervenire; dopo un momento, infatti, si appressò ad Ottavio e guardò Galatea dritta in viso senza che il marchese se ne accorgesse. Lei abbassò gli occhi e si umettò le labbra, cosa che ebbe un effetto immediato sui due uomini di fronte a lei. Poi, senza pensarci, disse: «Vieni in camera».
«Come?» balbettarono all'unisono Ferraris e Ottavio. Un'occhiata bieca, un colpo di gomito per nulla simulato e una piccola Discordia che montò in fretta sulla spalla del marchese, e Galatea avvampò di vergogna, ma si fece ancor più risoluta a continuare.
«Ottavio, vieni in camera ora», ripeté, questa volta guardandolo fisso in volto.
"Se ti rifiuterà", azzardò la figura con tono odioso, "vorrà dire che gli è già passata la voglia. Vorrà dire che non ti desiderava nemmeno prima."
Per questo Galatea voleva, esigeva un assenso. Non le importava quanto fosse intimamente indisposta all'atto, voleva semplicemente togliersi il pensiero, dimostrare a se stessa che non era una stupida voce maligna a governarla. Mesi prima quella stessa figura la esortava a concedersi controvoglia, perché altrimenti sarebbe stata abbandonata; poi, quando Ottavio si era tirato indietro, lei aveva insinuato che tutto dipendesse dal fatto che era poco attraente, brutta e colpevole. Nessuno l'avrebbe più voluta, nemmeno l'uomo cui era legata dal matrimonio, il padre dei suoi figli. Benché le costasse enorme fatica, Galatea voleva vedere Ottavio seguirla in camera. Voleva vederlo disposto a un rapporto con lei, animato dallo stesso trasporto con cui, poco prima, l'aveva baciata.
Invece lo vide esitare, prendere un profondo respiro che pareva non finire mai. Tremò davanti alla prospettiva di un rifiuto; e contemporaneamente si sentì sollevata a pensare che non avrebbe dovuto farlo per forza. Dopotutto, era un istinto animalesco, niente a che fare con ciò che lei davvero chiedeva da lui: qualcosa di cui non era consapevole, ma da cui dipendeva.
Non fuOttavio a troncare di netto le sue speranze; nemmeno Ferraris, che si sarebbevolentieri trovato al posto del marchese e di sicuro con meno impaccio.
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