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Il potere della voce


Qui per dirvi solo che non è corretta quindi scusate eventuali errori<3

Bagnato dalle tue labbra,
ha un buon sapore il mio nome

Per scolpire i tratti dei visi sconosciuti in quel locale, le luci giocano con la penombra. Disegnano nasi, sorrisi, corpi che danzano e ventri che si sfiorano. Si rincorrono a ritmo di musica, si scontrano su ogni nota diversa. Sono forti, le luci, accecanti.

Si spengono e si accendono torturando iridi sensibili.

C'è una mascella, tra tutte quelle presenti, serrata più delle altre. Se ne sta scomoda su un viso, che retto da un collo un po' sollevato osserva la massa di corpi che oscillano con occhi vispi e vivi. Anche questi sono tagliati dall'ombra, ma nei loro colori la luce non riesce a giocare.

Sono scuri.

Sono cupi, abissali.

Simone, circondato al bancone dai suoi compagni di squadra, si porta il vetro fresco alle labbra. L'alcol gli scorre in gola, la irrita, la brucia. Lo sguardo è fisso su un unico punto, le voci risultano irraggiungibili ai suoi timpani. Vibra il mondo circostante, ma Simone non lo sente.

Sente solo il sangue che ribolle.

Con la mente contaminata dalla musica troppo alta, i suoi pensieri si riempiono di immagini distorte della verità. Vede Manuel ballare al centro della pista, divertirsi, sussurrare le parole di una vecchia canzone all'orecchio di uno sconosciuto. Segue con gli occhi dilatati i movimenti lenti del suo bacino, avanti e indietro, avanti e indietro.

Sbuffa fumo, e i suoi compagni non lo notano.

Non lo nota nessuno.

Inizia a credere che quell'uscita con la squadra avversaria sia stata una pessima idea. Non per altro, se non avesse mai messo piede in quel locale ora non si sentirebbe così.

Furioso, cocente, esplosivo.

Pronto a reagire ad ogni tocco, con le labbra insanguinate e morse dai denti digrignati.

Geloso.

Simone lo sa, che la definizione giusta per il suo stato d'animo è geloso.

Ma geloso di cosa, poi? Di un ragazzo con cui non ha nulla? Di un ragazzo a cui non è legato in nessun modo? Di un ragazzo la cui anima è intoccabile tanto quanto il cuore?

C'è solo un rapporto carnale, tra loro.

Eppure, Simone arde.

Quando quel biondo sconosciuto prende Manuel per i fianchi, decide che il suo limite di sopportazione è ormai oltrepassato. Fa un respiro profondo, chiude gli occhi, si alza.

Sta dando di matto per una cosa non sua.

"Vado a farmi una sigaretta." comunica ai suoi compagni, che annuiscono tutti senza capire.

Nessuno di loro può capire, tanto.

Nessuno sente il bisogno di controllarsi il petto per capire se il cuore lì dentro c'è ancora. Nessuno teme un ladro, che qualcuno gliel'abbia portato via.

Nessuno, tra loro, è un incendio nel vuoto.

Solo Simone.

Fa fatica a girare i tacchi. Deve sforzarsi per smettere di guardare, per staccare gli occhi gelosi dal corpo che ha marchiato come suo per sempre. Tiene i denti stretti, e i pugni chiusi.

Da' un'ultima occhiata, per paura che Manuel gli venga portato via.

Poi, quando quel ragazzo inizia a lasciare una scia di baci umidi sul collo del suo Manuel, capisce che è già successo, e che non può farci nulla.

Così, bollente per la furia, da' le spalle a quell'orrenda scena.

E l'assenza dei suoi occhi famelici, è abbastanza per allarmare il subconscio di Manuel.

***

La sua fronte suda. Manuel la sente gocciolare, tediata com'è dai ricci che vi sono incollati. Le guance le percepisce rosse, i fianchi dolenti, la rauca ed invisibile. Il bacino si muove a rilento, calmo, contro un corpo estraneo e diverso.

Un corpo che non è il suo.

Non è l'alcol a muoverlo. Manuel è completamente sobrio, ha bevuto solo una birra. È più l'euforia a ballare con lui, ad accompagnarlo, l'adrenalina di una partita appena vinta.

Il sapore della vittoria sulla lingua.

Neanche si rende conto delle dita che gli premono sui fianchi, o dei baci che gli bagnano il collo. Si gode il momento, e basta. Per una qualche ragione si sente protetto, al sicuro, ancorato alla realtà.

Finché un paio di occhi non si staccano da lui.

È come se lo avvertisse, Manuel. Lo capisce quando il suo battito decelera, che Simone non è più lì. Per una qualche strana ragione, è il suo corpo a comunicarglielo.

Sono le stesse gambe che hanno tremato sotto Simone a dirglielo. Lo stesso petto che si è incastrato al suo, le stesse spalle che quelle unghie hanno graffiato. Lo stomaco che borbotta, il collo che si volta, lo sguardo che cerca invano.

Come un istinto naturale.

Come se il suo corpo avesse patito quell'assenza prima che la sua mente potesse constatarla.

"Scusami." mormora quindi distratto, staccandosi completamente da quello sconosciuto. È l'irrazionalità a guidarlo, ora.

Quella calamita che lo ha sempre legato a Simone.

Spingendo delicatamente via l'altro ragazzo, Manuel si fa strada tra la folla. Il tanfo misto di alcol e sudore filtra attraverso le narici, piegando i suoi muscoli facciali in una smorfia. Con una velocità quasi estenuante, giunge finalmente dai giocatori della squadra avversaria, radunati tutti in semicerchio attorno all'unica sedia vuota presente davanti a quel bancone.

È quella che poco prima occupava Simone.

"Rega'." esordisce a voce alta, tentando di sovrastare il rumore forte della musica.

L'attenzione del gruppo, che poco prima era impegnato in un chiacchiericcio indisturbato, viene rivolta completamente a lui.

Sette teste si voltano verso la sua direzione.

"Ao, guardate chi c'è venuto a trova'!" esclama Matteo, un biondino ricciolino tra i più socievoli in squadra. "R'capitano Ferro in persona! A che dobbiamo st'onore, capita'?"

"Sarà venuto a vanta' la sua prima vittoria." commenta un altro tra i compagni di Simone, di cui Manuel non riesce a inquadrare bene il nome.

Alza gli occhi al cielo, accennando un sorriso.

"Te piacesse," ribatte beffardo, passandosi la lingua sul labbro inferiore. "in realtà stavo a cerca' r'capitano vostro. Glie dovrei parla' n'attimo. Me sapete di dove sta?"

Matteo assottiglia lo sguardo. Lo scruta per qualche attimo, prima che il suo viso si allarghi in un sorriso.

Nei suoi occhi brilla uno strano luccichio.

Manuel non riesce a dargli un nome.

"Sta' nel retro. Ha detto che s'andava a fa na sigaretta."

***

Il fumo è sempre stato il miglior compagno per i pensieri di Simone. Li ha sempre presi per mano, permettendogli di volare e di andarsene via. Li ha portati a spasso, ad esplorare il cielo e le nuvole più bianche e vivaci.

Li ha consumati e resi nulli.

Li ha sempre amati e prosciugati.

Per questo Simone fuma da anni. Perché il potere di una sigaretta è tale da aspirare i vortici nella sua testa. Perché il fumo lo calma, lo rende meno bollente, meno irascibile.

Perché brucia le immagini pesanti.

È nelle pieghe del cielo stellato di settembre che il suo fumo si infila quella sera. Simone, con la testa e le spalle contro il muro, lo osserva allontanarsi da lui, portarsi via parte del suo fuoco. La mascella ancora gli duole, e negli occhi ancora splendono incendi. Una mano la riscalda in tasca, l'altra la usa per fumare.

Almeno quelle le ha occupate e non può prendere a pugni il muro.

È già qualcosa.

Sospira.

Quei momenti non smettono di perseguitarlo. Nella sua mente continua a rivedere Manuel, incastrato a qualcun altro, toccato da qualcun altro. Ed è come se qualcuno avesse tagliato le ali ad una farfalla. Un peccato indicibile, impensabile. Una visione così orrenda da causare i brividi.

Per cui, Simone trema di rabbia.

Gli è impossibile percepire il mondo intorno a lui. È troppo immerso nel suo stesso mare per accorgersi del rumore di qualcosa che non sia un'onda. Ignora gli scogli, i gabbiani, la sabbia cocente sotto i piedi.

La porta che si apre piano accanto a lui.

È silenziosa, lei, non cigola. Accompagnata da una mano leggera si sposta, rigida ed incompresa. Lascia passare il nemico, la cui ombra sgattaiola fuori dal locale completamente indisturbata.

Manuel si chiude la musica alle spalle e incrocia le braccia affidandosi al muro.

Simone, intanto, continua a cadere nella trappola di un cielo vuoto.

"Ce n'hai una anche per me?" domanda Manuel, sollevando il mento per indicare la sigaretta tra le labbra di Simone. È un tentativo misero, fallimentare.

E infatti, fallisce.

Simone non replica. Appare distaccato, come se non avesse neanche percepito la sua presenza. Indifferente alla sua aura, alla sua energia, al calore del suo corpo.

Diverso.

Simone quella sera è diverso. Intoccabile, insensibile.

Manuel aggrotta le sopracciglia, confuso.

Non si rende neanche conto del potere che gli brilla tra le dita.

"Oh Simò. Me stai a sentì si o no?" lo richiama, voltando la testa verso di lui e schiacciando la guancia contro la parete. Di nuovo, cala un silenzio glaciale, raffreddato dallo sguardo gelido di Simone che sembra riuscire a spegnere anche le stelle.

Manuel cerca in quegli occhi il luccichio della loro antica dolcezza. Ma trova solo ombre, buio, pozzi profondi e inesplorati. Forse, se avesse un po' più di coraggio, sprofonderebbe.

E lì riuscirebbe finalmente a vedere il fuoco della rabbia.

"Che palle però oh–ma se po' sape' che c'hai?"

La voce di Manuel vibra scherzosamente tra loro, accompagnata poi da uno sbuffo quasi divertito. L'indifferenza di Simone gli stringe il petto, lo massacra, ma cerca di non farglielo notare.

Intanto, Simone deve fare i conti con il disastro nel suo stomaco.

Le mani gli sudano, e quasi la sigaretta gli scivola tra le dita candide. La camicia nera stringe sul petto in affanno, i polmoni sembrano desiderare soffocarlo,la gola pare ostruita ed irritata dalla presenza di una fiamma. Nel polso il sangue pulsa, forte.

Il suo corpo è quasi interamente devastato.

"Manuel," riesce a sibilare, tetro. "tornatene dentro. Dall'amico tuo."

Quando quelle parole vengono pronunciate, sulla realtà cade un velo trasparente. Così che Manuel possa osservarla ancora, ricercare in lei la bellezza, ambire a farne parte.

Ma senza poterla toccare.

Senza poterlo toccare.

È colto alla sprovvista. È sorpreso, colpito, trafitto. Impiega qualche attimo a connettere i punti, a unire i pezzi di quel puzzle.

La figura che gli si presenta davanti, alla fine, quasi lo solleva.

Simone non è indifferente a lui; Simone ha occhi solo per lui.

E la consapevolezza di averlo totalmente in pugno lo manda fuori di testa.

"Dall'amico mio, eh?" replica dunque, accennando un sorriso malvagio. Con fare sicuro, poi, si lecca le labbra e incrocia le braccia. " Famme capi, Simò—non sarai mica geloso?"

Manuel lo sente compiere un respiro profondo, misurato.

L'adrenalina che quella reazione gli provoca è tale da infiammarlo e da annebbiargli mente e cuore. È la realizzazione di aver causato qualcosa di grande a guidarlo, a spingerlo ad agire di più.

È risaputo, però.

Disporre di troppo potere a volte può diventare pericoloso.

"Te da' fastidio, ve'?" prosegue quindi, andando a tastare pian piano ognuno dei nervi scoperti di Simone. "Sapere di non avere qualcosa. La possibilità di perdere quello che pensi sia tuo—te da' alla testa, Simò. Non è vero?"

Quegli stessi occhi che per minuti ha cercato finalmente trovano la forza di incontrare i suoi. Non sono più vuoti, grezzi, arrugginiti. Ora si nutrono di qualcosa di nuovo, qualcosa che proviene da dentro.

Sangue.

Sono piccoli nella notte, pungenti e tentatori. Manuel deglutisce, cedendo alla voracità di quello sguardo.

Non si sente più tanto potente.

Inizia a sentirsi solo tanto piccolo.

"Manuel," ringhia Simone, gettando la cicca spenta a terra e schiacciandola violentemente con il piede. "tornatene dentro a farti tocca dall'amico tuo. Dammi retta."

"...Altrimenti?"

Il tono viene fuori provocatorio, ma bagnato di una debolezza percepibile solo per un orecchio attento.

Simone incastra la lingua tra i denti, valutando un'idea. Nella voce di Manuel scova quel particolare, la carta che fa crollare quel castello costruito male.

Lui è fin troppo attento.

Così, coglie l'occasione all'istante. Si sposta con cautela, fissando nel suo sguardo quello traballante di Manuel. Mantiene la mascella serrata, i pugni stretti, mentre le gambe si muovono sicure e lo portano esattamente di fronte all'altro.

Si passa una mano tra i ricci, tenendo le braccia conserte. Indugia con gli occhi sull'altra figura, studiandola, nutrendosene.

Poi, deglutendo, si sporge abbastanza per far sfiorare i loro nasi.

"Altrimenti so costretto a ricordarti perché te scopi me e non lui."

Le labbra di Manuel si schiudono automaticamente. Cercano il loro magnete, lo desiderano, ne hanno bisogno. Simone tiene le braccia chiuse, lontane da lui, conserte. Con la lingua, invece, si massaggia il palato.

Manuel indietreggia stando ben attento a non spezzare il contatto visivo.

"E sarebbe na cosa tanto malvagia?" commenta.

Finalmente, nelle iridi di Simone accade qualcosa. Il sole risorge, arde, vive. Brilla di furia, di calamità, di fame e di desiderio. Travolge la cupezza dell'abisso, lo polverizza, lo rende nullo.

Rende il suo sguardo determinato, tentatore.

I suoi palmi finiscono inevitabilmente contro il muro, così da poter intrappolare completamente Manuel con il proprio corpo.

A quel punto, riesce persino ad accennare un sorriso.

"Non so..." bisbiglia, accarezzando col dorso dell'indice la barba di Manuel. "...lo sarebbe?"

L'altro smarrisce la razionalità nella voce di Simone. Apre la bocca più volte nel tentativo di articolare qualsiasi cosa. Ma per Manuel è impossibile anche solo parlare, vittima com'è della carne di Simone. Non agisce, non reagisce, si limita a subire.

È un burattino nelle mani di Mangiafuoco.

E si fida di lui abbastanza da permettergli di manovrarlo come vuole.

"Pe' niente..." riesce a sussurrare infine, afferrando Simone per i lembi della camicia e attirandolo a sé. Sente l'erezione dell'altro premere contro la propria coscia, e si lascia andare ad un sospiro di piacere.

Simone si morde un labbro.

Fa scivolare la stessa mano con cui poco prima l'aveva accarezzato sulla nuca di Manuel. La stringe leggermente, tira qualche riccio, si avvicina lentamente alle sue labbra. "Bene." mormora allora, autoritario.

E Manuel sente il proprio inguine andare in fiamme.

Con un pollice, Simone inizia a massaggiargli la gola. L'altra mano ancora la tiene contro il muro, sudaticcia e un po' appiccicosa. Con la lingua pulisce via il suo stesso sorriso, schiudendo le labbra arrossate dall'alcol. Si avvicina, lento, ammaliante.

Il corpo di Manuel lo cerca rapito, facendo involontariamente scontrare i loro bacini.

Alla fine, quella lunga agonia si conclude con un bacio.

Il miscuglio di saliva conseguente rinvigorisce le labbra screpolate di Manuel. Simone le assedia, le marca, le morde, le succhia. Sfoga la sua frustrazione con i gesti repentini della lingua, che energica ed esperta si muove scaltra per far gemere Manuel. È fremente, pulsante, eccezionale.

Le gambe di Manuel si fanno gelatina sotto il suo tocco.

"Simò..."

Il mormorio è una supplica ad una bocca che si è appena staccata. Simone lo guarda, affannato, impavido. Il suo viso si piega in un'espressione soddisfatta, decorato dal rossore tinto sulle sue gote.

Nella notte nessuno canta, il buio soffoca ogni suono. Ci sono solo loro, e il loro fuoco.

Manuel deglutisce e attira Simone di nuovo a sé per il colletto della camicia.

Le loro labbra si scontrano violente, stavolta. Si inseguono in un gioco di morsi e dominio, cantando inni alla vittoria e lamenti alla sconfitta. Sono brusche, e meravigliosamente bagnate.

Eccitanti sono i loro mille baci.

Così come la mano di Simone che dal muro scivola sul primo bottone della camicia di Manuel.

"Sei plastilina tra le mie mani..." sussurra Simone.

Un bottone salta, e la sua lingua percorre la mascella di Manuel fino ad arrivare al lobo.

Le sue guance si irritano per la presenza della barba.

Non gli interessa.

"Mio...mio." prosegue, mordendo senza denti il l'orecchio per poi scendere lungo tutto il collo.

La sua voce, severa e autoritaria, possiede la forma, il suono e la furia di un ruggito animale. È seducente, ammaliatrice, incantatrice.

Manuel sospira portando la testa all'indietro.

La mano di Simone continua a sbottonargli la camicia. Le sue dita, allora, scelgono di imitare quei gesti, trattando allo stesso modo il tessuto fine indossato da Simone. Lo torturano un po', tremanti, sbagliando qualche passaggio per via della distrazione.

Gli risulta difficile lavorare ad occhi chiusi, ma eventualmente ce la fa.

E ugualmente, ce la fa anche Simone.

Ora il petto nudo di entrambi rabbrividisce. Simone coglie l'occasione per risalire con la bocca, e tornare quindi a godersi le labbra di Manuel. Con entrambe le mani, poi, inizia ad esplorare le parti scoperte del suo corpo, accarezzando con i polpastrelli lembi di pelle ancora illesa.

Le dita si infilano quindi sotto la camicia, si aggrappano alle spalle.

Il bacio termina con Simone che punta un ginocchio tra le cosce di Manuel.

"Guardati come sei bello...sei raro."

"E tuo."

Simone sorride, mordendosi la lingua coi denti.

"E mio."

Il bacio che segue è accompagnato dalla mano audace di Manuel, che forte e pulsante si infila nella chioma di Simone. Intanto, il bacino di quest'ultimo oscilla, producendo scintille in entrambi i loro corpi.

Un indice traccia il contorno di un serpente attorcigliato su un cuore. Ed è in quel preciso istante che qualcosa tocca l'anima di Manuel, che una punta di luce si intrufola in quel pozzo buio. Il ragazzo, stordito, si lascia sfuggire un gemito, mentre la mano scende fino alla cinta che segna i suoi pantaloni.

Simone la sgancia, spostandosi nuovamente sulla gola di Manuel.

"Dio, Simone." sibila la voce di quest'ultimo quando la mano dell'altro si introduce nel buco della cerniera. Massaggia la punta coperta della sua eccitazione, i boxer, nutrendo un desiderio dirompente e maestoso.

Termina la tortura sul collo di Manuel, giusto per poterlo guardare in faccia mentre gli sussurra la verità.

Le labbra gonfie, i ricci scompigliati, gli occhi vogliosi e socchiusi per l'arte debolezza.

Simone impazzisce.

"Ecco, bravissimo," soffia. "il mio nome—è l'unico nome che devi gemere così. Va bene?"

Manuel annuisce, veloce e reattivo.

"Dillo, Manuel. Dillo."

Così ordinando, Simone gli sfila pantaloni e boxer.

Manuel rabbrividisce sotto il suo tocco, fremente e caldo ad ogni massaggio. Simone accarezza, stimola, strofina. Va lento, lentissimo, così tanto da risultare spiacevole.

Il piede di Manuel inizia a premere sul pavimento, impaziente.

Ha bisogno di sentirsi suo.

"Simò. Simò per favore."

Simone incurva un angolo della bocca, soddisfatto.

"Cosa?" chiede, quasi con tono innocente.

Manuel sospira; e gli è difficile comprendere se sia per il piacere o per l'esasperazione.

"Tu lo sai. Lo sai che sei l'unico che me fa sentì così. Non c'è bisogno che t'o dico io. Però se proprio te serve—mostrami fino a che punto so' veramente tuo."

Simone, forse per pietà, o forse semplicemente per desiderio, si fa bastare quelle parole. Velocizza i movimenti della sua mano, sincronizzandoli quasi alla frequenza del battito di Manuel che tiene sotto controllo con l'altra mano. Accompagna la dolce melodia composta dalle note dei sospiri dell'altro, infila la lingua tra i denti, lavora con maestria ed esperienza.

È un'opera d'arte, la sua. Ogni gemito di Manuel, ogni carezza, ogni spinta verso di lui, è tutto un nuovo capolavoro. Riuscire a gestire tanta bellezza tra le mani senza distruggerla, ma complimentandola; è questo il suo maggiore talento.

Simone è un'artista, e Manuel la sua tela schizzata e colorata.

"Simò—"

"Taci."

Il proprietario di quella voce rabbiosa inizia a muovere il bacino in avanti, e poi indietro. Si struscia contro la sua gamba, e intanto stimola lui. La pace dei sensi è alle porte per entrambi, bisogna solo aprirle.

Ma Simone è ancora parzialmente furioso.

E Manuel lo sa.

"No," ribatte, tentando di fingersi autoritario. Simone si sofferma su quel tono, rallentando di nuovo il suo massaggio. Lo guarda, provocatorio. Provaci, gli sussurra la sua mente. E Manuel allora ci prova. "voglio la tua testa tra le mie cosce."

Simone si blocca. Tra le sue dita esplodono scintille, nella sua bocca la saliva si impregna di voglia. Schiude le labbra, se le lecca, lascia che Manuel lo squadri curioso e impaziente.

Tela su cui dipinge, cielo su cui disegna stelle.

Simone obbedisce.

"Bene." sussurra, prima di lasciargli un bacio a stampo sulla bocca.

Poi, creando una scia di umidità simile ad una costellazione, prende a scendere lungo il corpo del ragazzo, piano. Segna i contorni dei tatuaggi, succhia i capezzoli, lecca la pancia fino al basso ventre. Cade sulle ginocchia, lentamente, e inizia a mordicchiare l'interno della coscia dell'altro.

Manuel, intanto, si gode lo spettacolo.

"Non tapparti la bocca, dopo," gli comanda Simone, respirando caldamente sulla sua eccitazione. "voglio sentì il nome mio che ti esce dalla bocca. Voglio che lo ripeti così tanto da dimenticartelo.

E voglio che lo senta pure lui."

Quando successivamente Simone avvolge le labbra intorno a lui, Manuel espira tutto il suo appagamento. Il ragazzo succhia, lecca, lo tiene fermo contro il muro spingendolo dai fianchi. Tiene gli occhi concentrati, ogni tanto guarda su per posare gli occhi su un collo scoperto.

Opera in maniera calma e sensuale.

Manuel, intanto, è travolto da una corrente d'aria. Sente le gambe tremare sotto la pressione del genere, e brividi continui correre lungo la schiena. L'unica fonte di calore, per lui, arriva da quella bocca.

Ed è l'ossimoro più piacevole del mondo.

"Simone." mormora, in preda all'estasi.

In tutta risposta, Simone mugugna contro la sua pelle pulsante, causandogli un ulteriore tremore.

"Simone, Simone, Simone..."

La potenza delle parole, a volte, è sopravvalutata. Non sono loro a gestire le situazioni, siamo noi. Gli diamo un tono, un accezione, un valore. Diventano importanti quando le rendiamo tali. Quando le urliamo, quando le pronunciamo per fare del mare.

Altrimenti, sono solo questo.

Parole.

Simone è un nome come tutti gli altri. Potrebbe essere il nome di un cane, o di un angelo. Può vibrare tra le labbra di tutti, essere impresso su qualsiasi documento all'anagrafe. Ma non sarà mai tanto importante, se non proclamato da quella voce.

È Manuel a renderlo angelico.

È Manuel a spingerlo a superarsi.

Quella sera, quando Manuel raggiunge il piacere è Simone lo ingoia con fare sicuro, l'aria è profumata nel cielo di Roma. Sa di fiori sbocciati, prati bagnati, sigarette consumate e amori appena nati. È buona da inspirare, è magica.

Simone risale il corpo di Manuel, lento, mentre quest'ultimo abbassa la testa ed apre gli occhi. Le iridi si incontrano a metà strada, si scambiano una leggera occhiata, ed è subito primavera.

"Te dovrei fa ingelosì più spesso." bisbiglia Manuel dolcemente, accarezzandogli una guancia mentre sorride. "Guarda che sei proprio bello."

Simone sbuffa, alzando gli occhi al cielo.

"E tu un cretino."

Manuel lo scruta, analizzando i dettagli di quel viso. I ricci disordinati, le labbra gonfie per lui, il neo sotto il mento, la fronte arrossata dal sudore. Sono caratteristiche piccole e senza legame, sconclusionate.

Eppure, sono ciò che lo rendono bello.

Una lucciola rara in un campo di grano.

"Il tuo cretino." ribatte quindi Manuel, realizzando che in quel momento non vorrebbe trovarsi da nessun'altra parte se non con lui.

Simone sorride, felice.

"Il mio cretino." ripete, allungandosi per dargli un bacio.

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