9. Our way to fall
Nella foto: Kai Eickam
Fallacia alia aliam trudit, Publio Terenzio
(Un inganno tira l'altro)
AIDEN
Mi piaceva come venivo trattato sul lavoro, tutte quelle attenzioni che mi riservavano mi facevano sentire importante, forse perfino essenziale agli occhi di qualcuno. Durante i servizi fotografici smettevo di essere uno dei tanti studentelli a spasso per Brooklyn e diventavo qualcosa di diverso, un'icona da seguire e forse perfino riverire. Era fin troppo comodo dismettere i miei panni e fingermi qualcun altro, soprattutto quando quello sconosciuto poteva andarsene in giro per la città ostentando sicurezza ed abiti costosi come se fossero la sua seconda pelle.
La realtà era ben diversa e per niente affascinante, bastava liberarsi di quei vestiti e tornare a casa per far crollare quella piccola e insulsa finzione durata appena poche ore. Mia madre era seduta a tavola, il suo visto stanco era chino su quelli che dovevano essere avvisi di scadenza di pagamento e tasse. Documenti su documenti che si costringeva a leggere da cima a capo. Quella scena mi provocò il solito senso di amarezza e inadeguatezza, ma mi costrinsi ad avanzare in cucina come se niente fosse.
- Ehi Aiden, non ti avevo sentito arrivare – La vidi coprire un grosso sbadiglio dietro la mano, nonostante tutto continuava perfino a sorridermi – non è che faresti un po' di caffè? Sento di stare per crollare
- Mamma, potresti prendertela comoda almeno durante il tuo unico giorno libero – Erano parole vuote quelle, le ripetevo quasi ogni settimana e puntualmente non venivano mai accolte da mia madre. Mi limitai a mettere su il bollitore
- Devo stare dietro ad un sacco di cose, tesoro. Mi riposerò quando sarò morta
- Se continui con questo ritmo non ti ci vorrà molto. Tra doppi turni in ospedale e veglie sulle bollette credo che tu stia esagerando – le feci notare.
- Beh, se proprio vuoi rendermi le cose più semplici potresti iniziare con il rispondere alle chiamate di tuo padre. Ieri mi ha detto che non ti sei presentato al vostro appuntamento della settimana scorsa
Quel tono così deluso mi dava sui nervi – Già, non ho voglia di giocare all'allegra famigliola con Alan. Spiacente. Quanto è patetico? Viene a lamentarsi con te!
- Lui non si stava lamentando, tesoro. Vuole vederti per parlarti di una questione
- Dio, perché prendi sempre le sue difese? – il mio tono di voce salì a dismisura – ti ha tradito, mamma! Ti ha tradito e mollato per una troietta ventenne! Perché diavolo non sei neanche incazzata?! Non lo capisco ... sembra quasi che io sia l'unico qui a vedere le cose per come stanno
Uno strano silenzio calò sulla stanza. Mia madre si tolse gli occhiali e prese ad accarezzarsi le tempie con lentezza. Non volevo neanche sostenere una conversazione del genere.
- Bene, vorrà dire che te ne parlerò da sola
- Che cosa significa? – ero confuso, non andai neanche a sedermi accanto a lei. Rimasi in piedi, con le braccia conserte e la mia solita postura rigida
- I-io ... io non riesco più a mantenere questa casa, Aiden. Ci ho provato con tutta me stessa, ma tra affitto, tasse di ogni genere e spese ... non ce la faccio più. Siamo all'osso
- Posso darti una parte dei soldi che guadagno, non è un problema per me
- Non basterebbero – il suo tono era perentorio. Mi ritrovai a fissare l'enorme mole di documenti sparsi sul tavolo. Sapevo che non navigavamo nell'oro, ma eravamo messi davvero tanto male allora?
- Però ecco la buona notizia, qualche settimana fa mi hanno offerto un nuovo posto di lavoro. La paga è ottima e non dovrei fare neanche tutti questi straordinari. Potrebbe essere un buon modo per prendere un bel respiro e iniziare di nuovo
Dov'era la fregatura, mi chiesi? Doveva essere lì da qualche parte. Pronta a saltare fuori in un momento in cui le cose andavano già di merda per me.
- Il punto è che dovremmo trasferirci a Norfolk. Lì gli appartamenti hanno prezzi molto più abbordabili. Ho già iniziato a fare qualche calcolo dei costi e rientreremmo perfettamente in tutte le spese. Vedi, potresti finire la scuola lì -
Gelo. Per un attimo mi sentii come se un oggetto volante grosso come una casa mi avesse investito in pieno. Soffocai una risatina incredula
- A Norfolk? In Virginia? Ci sono come minimo otto fottute ore tra Brooklyn e Norfolk! D-dovrei trasferirmi in un posto che non conosco? Durante il mio ultimo anno di liceo? Cristo, tutta la mia vita è qui. N-non puoi parlare sul serio
- Oppure puoi rimanere qui ... tuo padre e Giselle sarebbero felici di averti a casa loro
Non lo aveva detto sul serio, non potevo aver sentito bene. Vidi i suoi occhi chiari, così simili ai miei, riempirsi di lacrime in fretta non appena incontrò il mio sguardo che doveva essere sconvolto.
- Come puoi chiedermi di andare a vivere da lui? Sai quanto lo odio! – avevo parlato con un filo di voce, stavo tremando
- Non c'è altra scelta, tesoro. Mi dispiace, ma non c'è. Non possiamo permetterci di vivere a Brooklyn. Ho provato ad arginare i nostri debiti come meglio ho potuto, ma non posso più farlo ... entro due mesi al massimo dovremo lasciare casa. So che ti sto chiedendo tanto, mi dispiace tantissimo, Aiden
- Perché non me lo hai detto prima? Cazzo! Ho comprato questa dannata auto quando avrei potuto aiutare te con le spese ...
Il viso di mia madre si incupì – Tesoro, devo essere io a pensare a te! Sono tua madre
Due mesi. La mia vita sarebbe cambiata drasticamente in soli due mesi. Mi sentii perso, non riuscivo più a sostenere lo sguardo distrutto di mia madre, né riuscivo ad ascoltare quelle rassicurazioni inutili su quanto tutto sarebbe andato bene alla fine. Voleva spedirmi da mio padre ... Aiden, il grosso fardello che nessuno voleva portare.
- Esco
Andai via quasi scappando, incurante dei richiami di mia madre. Quella non poteva essere la mia realtà, forse stavo semplicemente dormendo e presto mi sarei svegliato, le risate sarebbero state assicurate dopo. Ma non c'era nessuna sveglia pronta a riportarmi alla mia quotidianità fatta di noia e certezze, non quella volta. Così continuavo a correre, urtando contro quella gente, come una mina vagante che non aveva idea di dove sarebbe finita.
Il negozio di dischi si ergeva davanti a me come un'apparizione divina. La musica era sempre la risposta a tutto, no? No, non solo quella. Una testa bionda ossigenata faceva capolino da una poltrona in sala ascolto; mi stavo dirigendo verso Levin senza far caso a nient'altro. Aveva gli occhi chiusi, era talmente concentrato nell'ascolto da essersi estraniato del tutto. Pallido, dagli zigomi alti e i tratti spigolosi. Quella volta i suoi occhi penetranti non mi stavano tenendo in ostaggio ... no, quella volta potevo concedermi tutto il tempo che volevo, o almeno era quello che credevo. L'ascolto era finito in fretta e quando aprì gli occhi mi trovò semplicemente lì, in piedi davanti a lui.
- Aiden? – si tolse le cuffie in fretta. Mi chiesi che faccia dovessi avere per provocare in lui un'espressione così sgomenta
- Ehi. Bella pensata che abbiamo avuto. Giuro che non ti stavo seguendo! Ero solo in giro – volevo aprire le labbra e ridere, volevo farlo davvero e con tutte le mie forze. Ci stavo riuscendo?
Levin mi guardò con attenzione – Va tutto bene? Sembri diverso dal solito
Stavolta riuscii a ridere davvero, una perfetta imitazione di una risata – Più figo vuoi dire? Già, te lo concedo. Sono reduce da un servizio fotografico a Manhattan. Guarda, devono avermi messo della crema ed altri intrugli profumati in faccia. Sono extra morbido. Senti?
Afferrai le mani di Levin e le guidai verso il mio viso. Le sue mani erano caldissime a contatto con la mia pelle fredda, era un tocco fin troppo piacevole ed intimo. Perché lo avevo fatto? Stavo perdendo la testa. Levin era confuso, continuava ad osservarmi con un velo di preoccupazione piuttosto visibile.
- Perché non andiamo a bere qualcosa? – proposi con così tanto entusiasmo che spaventò perfino me stesso. Stavo combattendo contro la voglia di piangere, ma adesso avevo compagnia e potevo semplicemente fingere che niente di tutto quello fosse successo davvero.
- Davanti una pinta sarà più semplice dirmi che ti prende. Vado a pagare questi e ti seguo
Non ero irritato da quello strano risvolto. Fino a pochi minuti prima avevo pensato di volermene stare da solo ad elaborare quanto stava succedendo, non era affatto naturale per me condividere cose come quella. Allora perché stavo permettendo a me stesso di andarmene in giro con Levin?
- Vieni, entriamo all'Old Pine. Non ci metto piede da una vita
- Ti sei fatto di speed o cosa? – mi lanciò un'altra occhiata attenta. Senza rendermene conto avevo afferrato di nuovo il suo braccio. E pensare che non mi era mai piaciuto toccare o lasciarmi toccare dagli sconosciuti ...
Levin scosse la testa e mi seguì nella parte più remota ed isolata del locale. I suoi occhi chiari continuavano ad indagare in cerca di qualche indizio che potesse spiegargli che cosa mi era preso. Forse avevo davvero bisogno di qualcuno con cui parlare ... non un amico, non il mio ragazzo ... soltanto qualcuno che non conoscevo bene, qualcuno da cui potevo prendere le distanze se mi fossi spinto troppo oltre.
- L'altra volta a scuola mi sei sembrato strano
- Tu mi sembri strano anche adesso – Ribatté Levin – senti, se te la sei presa per la festa di sabato sappi che non eri tu il problema. Non fanno per me i posti troppo affollati. Avrei dovuto chiamarti per avvertirti probabilmente ...
La festa di sabato? Dovetti fare mente locale per ricordare quello di cui Levin stava parlando.
- No, idiota. Non ti stavo neanche aspettando – forse un po' lo aveva aspettato invece. Ma non era stato quello il motivo principale della mia freddezza. Era la presenza di Andrew nella mia vita ad avermi ricordato che quello strano rapporto che stavo costruendo con Levin non andava affatto bene.
- Allora che ti prende? – Levin appoggiò il mento sul dorso della sua mano. Dio, era così carino mentre cercava delle risposte.
- Una lunga serie di cose – che iniziavano con Andrew. No, non volevo parlargli del mio storico ragazzo figlio di puttana, qualcosa dentro di me mi impediva di tirare fuori la mia storia con Andrew. Non erano affari suoi e ad ogni modo ... cosa diavolo avrei risolto parlandone con lui?
- Vedi di iniziare da qualche parte allora.
- Perché? Hai fretta? Devi andare a chiuderti in casa e deprimerti per il resto della serata? Non vorrei scombinare dei piani tanto entusiasmanti! – perché ero così aggressivo? Stavo per scusarmi quando vidi apparire un lieve sorriso sulle sue labbra
- Accidenti, hai indovinato. Prima me ne starò qui a farmi insultare e deridere da te ancora per un po' ... magari alla fine ti sentirai anche meglio
- Scusami
Le birre erano arrivate, ma io non avevo sete. Il peso delle parole pronunciate da mia madre mi colpì di nuovo con la stessa forza di prima. La sola idea che nel giro di due mesi sarei dovuto andare via mi atterriva.
- Aiden?
Aveva sfiorato la mia mano con le dita in un gesto quasi impercettibile, ma che io avevo sentito con la stessa violenza di un temporale. Avevo gli occhi umidi di pianto e non me ne importava un accidente
- Sembrerebbe che presto dovrò trasferirmi. Io e mia madre non possiamo più permetterci di vivere a Brooklyn ... che schifo, eh? – avevo provato ad abbozzare un sorriso, forse fallendo miseramente
- Cosa? Dove andrete?
- In Virginia a quanto pare. – la mia voce apparentemente incurante avrebbe convinto qualcuno?
- Molto lontano da qui. Non hai nessuna alternativa? Qualche parente che possa ospitarti almeno fino alla fine della scuola?
Scossi la testa. Levin sembrava davvero colpito, forse perfino dispiaciuto, avrei detto. Non poteva esserlo poi così tanto ... non ci conoscevamo nemmeno, no? Ci avrebbe messo un paio di ore a dimenticare quel ragazzo con cui andava in giro per locali e che forse, ad un tratto, stava quasi per baciare.
- Tuo padre?
- Si fotta mio padre. Non andrò a vivere con lui e la sua amante. Ha la mia età, Cristo ...
Bevvi quei sorsi di birra come se da quell'atto ne dipendesse la mia stessa vita. Due mesi di tempo. Solo due. Come avrei fatto con Andrew? Anzi, ci sarebbe ancora stato un Andrew? No, forse sarebbe finita anche prima, non dovevo neanche lontanamente pensare a quel problema, non subito almeno.
- Sono sicuro che troverai un'alternativa. Potresti prendere un appartamento insieme ad altri ragazzi ... fai il modello, no? Avrai qualche entrata
- Sai che ti dico? Basta parlare di me! – Con un gesto teatrale appoggiai il boccale vuoto di birra sul tavolo, facendolo sbattere appena. Poi puntai i miei occhi maliziosi su quelli confusi di Levin
- Andiamocene a fare un po' di baldoria!
- Aiden ...
- Non essere noioso, Levin. Abbiamo diciotto anni. Hai presente cosa significhi essere giovani? Non lo saremo per sempre, quindi lasciami essere giovane adesso.
- Fa pure, ma senza di me
- Col cazzo – Sorrisi, improvvisamente ispirato. Andrew non meritava la sorpresa che gli stavo tenendo in serbo ormai da un paio di giorni, però io sì. Tirai fuori il piccolo mazzo di chiavi e le sventolai sotto il viso ancora confuso di Levin
- Ho delle chiavi speciali! Ho sganciato ben cinquanta dollari per averle – gli comunicai, radioso
- Accidenti, le chiavi più costose della storia. Non è stato un buon affare, se vuoi il mio parere
- Non essere idiota. Queste servono ad aprire qualcosa di grandioso – continuai, con la speranza di tentare quell'essere cinico e per niente collaborativo
- Davvero? Mi dispiace che sia io a darti questa brutta notizia, Aiden, ma tutte le chiavi servono ad aprire qualcosa. E' il loro utilizzo, sai? Guarda quante ne ho io! E di certo non ho speso cinquanta bigliettoni per averle ...
- Sei un coglione, Eickam! – sbottai. Stavo ancora toccando le sue mani. Che diavolo mi prendeva?
- E tu mi stai confondendo, Berg! Vuoi dirmi che cazzo dobbiamo fare con queste chiavi?
Un attimo di silenzio che mi servì a creare un po' di suspense, poi mi sollevai dalla mia sedia e mi protesi verso di lui, così vicino da poter sentire il profumo della sua colonia, misto a quello più duro del cuoio
- Ce ne andiamo in piscina con queste – le lasciai tintinnare qualche secondo, adesso potevo vedere la consapevolezza prendere possesso del suo viso serio, Levin stava ancora soppesando molte cose.
- Come te le sei procurate?
- Ci lavora un ragazzo che frequenta la Tech. Quel genietto ha deciso di guadagnare qualche extra passando le chiavi a chiunque voglia comprarle. La piscina in questione è quella grossa su a Mayroad... un ritrovo perfetto per gli snob e i ricconi. Suppongo che ti piacerà tornare tra la tua gente. Sei pronto a partire?
- Adesso? – Levin era accigliato
- E allora quando? – ero già in piedi, la mia mano era tesa verso la sua – Levin, la vita ti sta scorrendo davanti come un treno merci di passaggio. Perché non salti su?
- Credimi, ho fatto fin troppi salti – commentò lui, per un attimo il suo viso si incupì appena, ma non durò a lungo – il custode? Come funziona?
- Se ti dai una mossa non lo becchiamo. Non inizia la sua ronda prima delle due del mattino ... direi che possiamo essere lì nel giro di un'ora! Forza, in marcia, mio compagno di prodezze!
Lanciai i soldi sul tavolo e lo trascinai letteralmente fuori. Stavo cominciando a divertirmi, finalmente stavo avendo il tipo di serata che meritavo.
- Aspetta, c'è un problema. Non ho un costume ...
Non lo aveva detto sul serio, sperai
- Come? Fammi capire bene, io e te stiamo per introdurci illegalmente in una piscina, ma il tuo problema principale consiste nel non avere l'outfit adatto per l'occasione.
- Esattamente. Ora conosci le mie priorità
Scoppiammo a ridere entrambi nello stesso istante, adesso era lui a spingermi verso l'entrata della metro, mi afferrò per le spalle e con una piccola spinta mi fece crollare su uno dei sedili del treno. Alzai lo sguardo su Levin. Se ne stava in piedi, davanti a me, così vicino che mi sarebbe bastato sollevare le mani per passarle intorno alla sua vita, fasciata da pantaloni neri e stretti. Mi stava guardando di rimando e aveva un bellissimo sorrisino sulle labbra; forse anche lui dopotutto aveva bisogno di una serata come quella. Passai le mie braccia intorno alla sua gamba e mi appoggiai contro il tessuto fresco dei suoi jeans, mi sentivo uno stupido koala, ma che importava ... potevo percepire le sue dita affusolate accarezzarmi i capelli con lentezza.
Stavo percorrendo una strada pericolosa e ne ero totalmente consapevole. Avevo fatto un salto sul mio treno.
LEVIN
La sera era fresca e piena di luci e schiamazzi, Aiden camminava svelto accanto a me, di tanto in tanto mi lanciava un'occhiata divertita. Aveva un sorriso ammaliante e gli si formavano delle fossette sulle guance, ma quella dolcezza nei tratti era mitigata dai canini lievemente appuntiti che gli conferivano un'aria quasi ferina. L'avevo seguito senza pormi troppe domande, c'era qualcosa in lui che mi attirava in un modo che non riuscivo a controllare a dovere. Ero ancora in tempo per tirarmi indietro, se l'avessi voluto. Mi reputavo un caso irrimediabile, rischiare di venire beccato mentre facevo un bagno in piscina mi rendeva forse la persona più stupida ed incosciente della terra, eppure eccomi lì ... a camminare accanto ad Aiden, verso la nostra meta.
- Vieni, passiamo da una delle entrate sul retro – La sua voce era eccitata, mi ritrovai quasi a sfiorare le sue spalle con il mio petto, si era fermato di fronte ad una porta sul lato più nascosto del grosso edificio. Lì era abbastanza buio ed isolato, un'entrata perfetta per chi ci lavorava.
- Cristo, se ci beccano e ...
- Non finiresti in carcere. Al massimo ci metterebbero ai lavori socialmente utili, che forse è pure peggio, adesso che ci penso.
-Tranquillo, non c'è il rischio che tu diventi socialmente utile
Aiden aveva sgranato gli occhi e riso piano – questa cattiveria gratuita da parte tua non me la sarei mai aspettata! Per fortuna abbiamo preso un paio di birre, forse alla fine della serata ti trasformerai in una persona decente
- Non contarci troppo – ribattei, poi lo seguii oltre la porta con estrema attenzione. I miei sensi erano allerta, avevo un curriculum infinito in quel genere di cose, anche se solitamente non eravamo così fortunati da avere delle chiavi con le quali introdurci nelle abitazioni altrui.
Davanti a noi c'era un bel corridoio immerso nel buio e lievemente inquietante, per un attimo vidi Aiden bloccarsi sul posto
- Che c'è? Ci stai ripensando? Ti sei finalmente reso conto di quanto la tua idea sia merdosa? – lo guardai un po', godendo di quel piccolo tentennamento in un ragazzo solitamente tanto freddo ed impenetrabile.
- Possiamo sempre tornarcene indietro se il grande Aiden se la sta facendo addosso
- Fanculo, Eickam. I tuoi trucchetti beceri non funzionano con me. Mettiti il cuore in pace, entro la fine di questa notte rimarrai in mutande nella piscina di Mayroad.
Poi era partito in fretta verso il fondo del corridoio. I nostri passi risuonavano forte nel silenzio assoluto dell'edificio vuoto. Gli stavo dietro, dentro di me cercavo di ignorare tutte quelle domande senza risposta che si ammassavano l'una sull'altra, non era naturale che mi trovassi lì con lui, né potevo fingere di non capire dove saremmo andati a parare, continuando in quel modo. Non potevo permettermelo, quello non era il momento giusto ... dovevo pensare soltanto a me stesso, niente problemi esterni avevo giurato. Che cosa stavo facendo? Non avrei dovuto permettere a nessuno di arrivare a quel punto con me.
- Eccoci qui. Pronto?
Non lo ero per niente. Aiden afferrò il maniglione antipanico e spinse la porta. L'oscurità quasi totale nella quale eravamo immersi venne illuminata da uno sfavillante bagliore proveniente dalla distesa d'acqua. La piscina era enorme, di forma ovale, dalle ampie finestre poste in alto penetrava una luce chiara, ma che non poteva niente contro il blu assoluto dell'acqua sotto di noi. Perfino le pareti sembravano colorarsi di quel blu elettrico e sempre in movimento come le piccole onde che increspavano la superficie della piscina. Quell'atmosfera era magica.
- Sorpresa, sorpresa. Direi che ti piace, hai gli occhioni a forma di cuore! – mi prese in giro Aiden. Non perdeva neanche un attimo di tempo, stava già calciando via le sue sneakers e dalla sua occhiataccia capii che voleva invitarmi a fare lo stesso. Gli diedi le spalle e iniziai a spogliarmi anch'io, un brivido leggero mi scosse la pelle della schiena quando mi liberai anche della t-shirt che portavo sotto il mio giubbotto. Eppure non faceva freddo.
- Sapevo che eri tipo da boxer neri, ci avrei messo la mano sul fuoco
- Ah, davvero? E ci hai pensato tanto a quale modello di intimo preferisco indossare? – era arrivato il mio turno di divertirmi un po', peccato che Aiden non sembrasse provare la benché minima vergogna. Rise forte, i suoi occhi mi passavano in rassegna in modo così diretto che forse sarebbe toccato a me distogliere lo sguardo, alla fine.
- Che male c'è? Perché non dovrei pensare a che intimo usi? Guardami, io invece sono un tipo da boxer più stretti. Questione di comodità
Non lo mettevo in dubbio, sentivo che la mia bocca si stava seccando ad una velocità spaventosa. Lo guardai soltanto per qualche attimo, quasi casualmente, lasciando scivolare il mio sguardo lungo il suo corpo magro ma ben modellato. Non dovevo esagerare a agitarmi in alcun modo, non sarebbe stato per niente semplice nascondere un'erezione soltanto con un dannato paio di boxer addosso. Aiden non aiutava affatto però, in un tentativo di mettere in ordine i suoi vestiti si era piegato, mettendo in mostra il suo sedere piccolo e tondo, fasciato dal tessuto leggero dei boxer che erano fin troppo stretti. Era grigio o blu? Ad ogni modo perfino quel colore gli donava.
Era arrivato il momento di entrare in acqua e nascondere quel problema per niente trascurabile. Non potevo controllarlo, volevo farlo, ma semplicemente non potevo. Ero stato un perfetto coglione, non dovevo neanche essere lì quella notte. Mi tuffai prendendo la rincorsa.
L'acqua era bellissima, perfino la temperatura era perfetta; feci un paio di bracciate, poi mi immersi sott'acqua fino a quando non toccai il fondo con le braccia. Era una sensazione piacevole rimanere lì per un paio di secondi, la quintessenza dell'isolamento più totale. La pace durò poco, mi resi conto che Aiden mi aveva seguito quando inavvertitamente urtai il suo corpo con il mio braccio, poi sentii le sue mani che mi afferravano per spingermi ancora più giù. Voleva giocare. Mi dibattei, nella confusione sentii i nostri corpi che si scontravano, poi fu il mio turno di reagire. Emersi da lì a fatica, trascinandomi dietro Aiden che uscì ridendo forte. Iniziai a nuotare verso il bordo più basso della piscina, fino a quando non riuscii ad arrampicarmi per uscire.
- Paura, eh? Cazzo ... mi hai fatto andare il cloro negli occhi – si lamentò Aiden. Era già accanto a me, anche lui seduto sul bordo della piscina. Era ansante – allora? Non è molto meglio quando è vuota?
- Lo stai chiedendo alla persona più sociopatica della terra. – Ribattei. Mi faceva strano saperlo lì, a pochi centimetri da me. Quella situazione innaturale mi agitava. Non volevo guardarlo, ma sentivo il suo sguardo farsi sempre più pressante su di me. Così mi sollevai appena, seduto in quel modo riuscii ad immergere le gambe in acqua. Percepivo soltanto io quella strana tensione nell'aria?
- Ti do fastidio per caso?
Sobbalzai di fronte a quella strana domanda – Cosa? Perché?
Aiden si fece più vicino, la sua coscia distava poco più che qualche centimetro dalla mia – Perché sei teso. Sembra quasi che tu stia cercando di ignorarmi con tutte le tue forze. Ho fatto qualcosa di male?
Le sue gambe finirono in acqua subito dopo, mi ritrovai a scuotere la testa in un cenno di diniego. Non stavo aiutando per niente la mia situazione, Aiden si sentì spinto a continuare forse, il suo piede destro stava sfiorando il mio.
- Se ci fosse qualche problema me lo diresti, no?
Sentii il peso della sua mano sulla mia coscia e subito dovetti nascondere il brivido che stava scuotendo il mio corpo
- Mi piace questo posto, avevo le chiavi e tutto ... ma se ti ho portato qui c'è una ragione.
- Davvero? – ero così teso che mi ritrovai a ridere appena – non mi aveva mai sfiorato il cervello che ci fosse un doppio fine nelle tue azioni
Quel suo dannato piede continuava a muoversi sul mio, mi accarezzava la caviglia, poi risaliva lungo la gamba lentamente. Ero eccitato e non potevo fare nulla per nascondere quel tipo di problema, che lo vedesse pure, pensai, stremato.
- Se adesso mi facessi la stessa domanda che mi hai posto in auto qualche settimana fa ... beh, saprei come risponderti
- Sì? – stavo perdendo la lucidità, ogni tocco era un passo verso il non ritorno, eppure non mi stavo scostando da lui, non era proprio nei miei piani. Stavo commettendo un errore forse, non mi ero neanche reso conto di averlo afferrato per la mano e spinto in acqua insieme a me. Stringevo la sua vita flessuosa con le mani, le onde blu della piscina sembravano danzare sul suo viso perfetto, era imperlato di piccole gocce ed io ero così vicino a lui da poterle contare ad una ad una. Mi sentii mancare il fiato, si stava aggrappando con le braccia intorno il mio collo, una presa delicata, ma persistente che mi fece rabbrividire ancora. Da quanto tempo non toccavo qualcuno in quel modo?
- A te va bene, Levin?
Troppo vicino, parlava contro il mio orecchio e continuava ad accarezzarmi la schiena. Poi la morbidezza della sua bocca sul mio lobo, lo stava succhiando piano per poi cospargere il mio collo di baci e morsi leggeri. Cercai di trattenermi con tutte le forze per non gemere, sentivo il mio cuore battere nel petto con la stessa violenza di un martello pneumatico.
- N-non dovrei ...
Non dovrei cosa? Perdevo lucidità ogni attimo di più, soggiogato dallo sguardo puro ed intenso di Aiden, mi sentivo annegare in quelle pozze acquamarina.
- Perché? Non ti piaccio?
Sempre più vicino, il suo inguine spingeva contro il mio, aveva smesso di torturare il mio collo per concentrarsi su quello che stavo disperatamente tentando di comunicargli. Ma la risposta a quella domanda arrivò in modo spontaneo pochi istanti dopo, quando fui io per primo ad assalire quelle labbra.
Così morbide e bollenti, poi la ruvidezza della sua lingua che cercava la mia. Aprii la bocca per accoglierlo quanto più potevo mentre sentivo le sue cosce stringersi intorno alla mia vita e le sue braccia lungo la mia schiena. Esploravo la sua bocca con lentezza, volevo sentire la sua lingua danzare con la mia, poi la morbidezza del suo labbro inferiore, lo stavo succhiando fino a quando non ottenni un ansito forte. L'ossigeno era superfluo, da troppo tempo non mi sentivo così leggero, perso in qualcosa che non dovevo meritare, ma che mi era stato dato in modo spontaneo.
Continuavamo a baciarci con foga, sentivo la pressione della sua mano contro la mia nuca, poi il bordo della piscina contro le spalle. Aiden voleva uscire e soltanto in quel momento diventai consapevole di quello che sarebbe potuto succedere a breve. Che cosa stavo facendo? Ero ancora in tempo per fermarmi.
- Andiamo sul materassino
Eravamo in piedi adesso, Aiden cospargeva il mio petto di baci infuocati mentre mi spingeva indietro, sempre tenendomi stretto per la vita. Stavo andando a fuoco, ognuno di quei baci era come un marchio ardente sulla mia pelle. Mi guidò giù, verso uno dei materassini ai lati della stanza; lui era già sdraiato sotto di me, le gambe appena divaricate per fare spazio alle mie ed il viso arrossato e confuso. Come dovevo apparire ai suoi occhi? Sconvolto come mi sentivo?
Era sbagliato. Potevo sentirlo dentro, stavo andando ad aggiungere un nuovo problema in una vita già fin troppo problematica. Non un ragazzino come Aiden, non un dannato compagno di scuola che tra pochi mesi sarebbe anche potuto andare via. Perché non riuscivo ad oppormi? Forse perché la sua pelle era fresca e tesa sotto la mia lingua ed io ne volevo sempre di più. Lasciai che anche lui mi toccasse, la sua mano risaliva il mio petto, poi si posava sul mio collo fino a quando non morsi appena l'indice e il medio che stava infilando dentro la mia bocca. Succhiai a fondo, sentendo la mia erezione sveglia come non mai, anche lui doveva esserne consapevole, forse allertato dai miei gemiti acuti. La sua mano scese giù a sfiorare il rigonfiamento dei boxer e bastò quel tocco per far sì che rabbrividissi come se fossi stato percorso da pura elettricità. Si strusciava sulla mia erezione gonfia con dei movimenti lenti che mi costringevano ad andargli incontro per cercare un sollievo a quel bisogno spaventoso e persistente. Volevo di più, continuando in quel modo sarei venuto presto e non nel modo che desideravo.
Aiden doveva provare le mie stesse sensazioni, entrambi ci avventammo sui rispettivi boxer e ce li strappammo quasi di dosso. Mi lasciai spingere sul materassino e ricaddi sulla schiena, lo sguardo di Aiden era sceso in basso, lo vidi sorridere appena prima di posizionarsi tra le mie gambe
- Piacere, io sono Aiden. Non vedevo l'ora di conoscerti
In una situazione diversa, forse, avrei anche potuto trovarlo divertente, ma non quella sera. Quella volta volevo soltanto sentirlo dentro la sua bocca, stretto contro la sua lingua bollente. Sarei potuto venire soltanto con quel pensiero. Stava scendendo giù, non avrei potuto prepararmi alla sensazione delle sue labbra intorno alla mia eccitazione, per quanto ci pensassi, il pensiero non poteva raggiungere la perfezione di quel momento. Inarcai la schiena, da troppo tempo non mi lasciavo andare in quel modo ... ed Aiden era bravo, fin troppo bravo. Lanciai un'occhiata confusa davanti a me, ma era stata una pessima idea, perché vederlo all'opera era anche meglio. Non volevo venire in quel modo, mi sentivo un ingrato, ma quei gemiti gutturali mi stavano mandando fuori di testa, senza considerare la sua bocca bollente che mi inglobava quanto più poteva.
- A-aiden ... avvicinati – allungai una mano verso il suo corpo, spingendolo ad inginocchiarsi accanto a me in modo tale che anch'io avessi potuto toccarlo in qualche modo. La sua erezione era bollente e appena bagnata, segno che stava apprezzando quello che stava facendo con il mio corpo. Quel pensiero mi eccitava ancora di più. Iniziai a muovere le dita su di lui, ad un ritmo lento, lo stesso che Aiden stava usando su di me. I nostri gemiti si facevano sempre più alti ed il respiro sempre più affannoso. Il mio tocco lo stava distraendo e forse era quello che volevo, ero ormai allo stremo e non potevo sopportare altro. Sentivo l'orgasmo montarmi dentro, ma anche Aiden doveva essere sul punto di lasciarsi andare.
- S-sto venendo
Esplosi nella sua bocca pochi istanti dopo, nello stesso momento in cui lui si lasciò andare nella mia mano con un ansito basso. Stavo cercando di riprendere il respiro, sentivo il sangue tornare a fluire nei punti giusti del mio corpo, mentre Aiden si lasciava cadere accanto a me con l'aria soddisfatta di chi aveva ottenuto almeno una cosa dalla sua lista dei desideri. Si voltò verso di me, aveva i capelli ancora umidi e leggermente scompigliati, le labbra gonfie e rosse ... una di quelle visioni che non avrei dimenticato in fretta.
- Ti è piaciuto?
- Non l'hai notato? – provai ad abbozzare un sorriso, ma ero troppo stanco perfino per quello – e tu che non vedevi l'ora di conoscerlo ... a saperlo prima avrei trovato un posto un po' più comodo di questo –
- Davvero? A me piace qui. Non è perfetto?
Aiden stava per aggiungere qualcosa quando entrambi ci irrigidimmo, allertati da un rumore lontano, ma comunque molto percepibile.
- Dicevi? – mi tirai su alla velocità della luce, seguito da Aiden che corse a raccogliere le nostre cose, disseminate ovunque.
- Cazzo, è il custode- la cosa avrebbe dovuto preoccuparlo, ma invece stava ridendo. Un altro idiota amante del pericolo che entrava a far parte della mia vita.
In silenzio ci vestimmo in fretta e furia, l'uomo era sempre più vicino, sentivamo i suoi passi nel corridoio che dava sulla nostra piscina.
- Quanto meno ha avuto la decenza di farci venire prima di piombare qui a fare la sua ronda – Aiden era ammiccante più che mai, dovetti tappargli la bocca con una mano per farlo tacere e spingerlo via.
La notte era fresca e luminosa, l'adrenalina di quella serata non sarebbe passata tanto in fretta, perfino nella sicurezza della strada continuavo a sentirmi terribilmente eccitato. Erano le quattro del mattino ed Aiden stringeva la mia mano, eravamo sul punto di salutarci e le nostre strade si sarebbero divise.
- Quindi?
- Quindi buonanotte? – chiesi confusamente
Aiden portò gli occhi al cielo – No, quindi che intendi fare? Sei un tipo da una botta e via?
Finsi di pensarci un po' – Potrei ... tu che tipo sei?
Lo vidi ridere, quel sorriso malizioso che stavo iniziando ad associare sempre più spesso ad Aiden. Era inconfondibile.
- Presumo che lo scoprirai
Stavolta fu il mio turno di ridere mentre lo osservavo andar via. Voleva mantenere il mistero e forse mi stava anche bene. Avevo bisogno di tempo per elaborare quanto fosse pericolosa la situazione nella quale stavo finendo.
KENO
L'entrata del Clover Club era davanti ai miei occhi, imponente ed elegante come sempre, la fissavo con ostinazione come se stessi sfidando quel posto. Ma non ero lì per quello, non ero arrivato con l'intento di bere un drink in uno dei locali più sofisticati di Brooklyn ma per combattere il dannato prurito che la mia ultima discussione con Noah mi aveva lasciato addosso.
Avevo ancora la sua faccia stampata nella mente, quello sguardo irritato, come se mi stesse giudicando, come se si sentisse tanto superiore a me da mollarmi, facendomi passare per il disperato dei due. Quella sera avrei ristabilito l'ordine naturale delle cose, ricordando ad entrambi chi aveva il controllo.
Controllo? Si tratta di questo o sei solo perfido?
Varcai la soglia senza che il mio passo tradisse esitazione, fui subito coinvolto in quell'atmosfera rilassante, le luci soffuse, la musica jazz e l'interno in legno, caldo e intimo. Passai in rassegna l'arredamento elegante, alcuni divanetti erano occupati dai clienti e, prima che potessi passare oltre, notai uno dei camerieri venirmi in contro. Mi resi conto di conoscerlo, doveva chiamarsi Jaco, il biondino della festa, con i capelli un po' raccolti e la divisa impeccabile sembrava quasi più grande.
- Serve ... un tavolo? – la sua voce era incerta, segno che anche lui mi aveva riconosciuto.
- Vado a sedermi al bar – dissi senza degnarlo più di tanto della mia attenzione.
Lo superai e continuai a procedere lungo la sala verso il bancone di legno chiaro, la superficie era liscia e pulita, gli sgabelli ordinatamente allineati e ovviamente il barista stava già intrattenendo qualche cliente. C'erano due giovani donne, entrambe protese verso il bancone in una posa molto esplicita, volevano attirare le occhiate del barman ma quando mi accomodai gli occhi verdi di Noah furono solo per me.
Era bello, questo potevo concederglielo anche se non lo avrei mai detto a lui direttamente, i capelli pettinati all'indietro lasciavano ancora più visibilità a quella mascella magra e squadrata, persino i suoi occhi verdi sembravano più grandi e profondi. Stava esitando, potevo vederlo mentre stringeva appena la superficie del bancone con i polpastrelli ma io ero lì, non poteva fingere che non ci fossi, non ne era in grado.
Vieni Noah, giochiamo.
Alla fine compii una serie di passi per arrivare a fronteggiarmi, era ancora in silenzio e mi fissava tentando di mantenere una espressione distaccata, non era bravo nemmeno in quello.
- Un Long Island per favore – disse e misi sul bancone il mio vecchio documento falso, quello con cui c'eravamo conosciuti.
- Non hai ventun anni Keno, non è divertente – replicò alla fine.
Era tremendamente teso, come un animale che fiuta il pericolo in ogni direzione e non sa dove andare a nascondersi. Cercava di guardare il suo carnefice dritto in faccia per far vedere che non lo temeva, era quasi tenero.
- C'è qualcosa che puoi darmi da bere? Magari una birra – feci una breve pausa – o anche due o tre, ho intenzione di fermarmi parecchio
- Cosa diavolo sei venuto a fare qui? È meglio che tu te ne vada – ancora una volta quel tono duro, una marmotta che sfida un orso.
- Perché? Ti sto rovinando la piazza? – sorrisi leggermente mentre spostavo la testa di lato in modo che potesse avere una visuale più invitante del mio collo pallido – quelle due ti stanno mangiando con gli occhi
- Non mi lascerò incastrare ancora da te Keno, sei stato chiaro l'altro giorno, no? Beh, ne ho abbastanza
Come no. Tu non ne hai mai abbastanza Noah, sei biologicamente programmato per sopportare.
- Allora dammi la mia birra, così potrò bere in santa pace mentre tu decidi quale delle due belle fighette la giù sbatterti stasera
Era impietrito ma non riusciva a replicare, non senza mostrare la sua grande debolezza che a me era tanto familiare, potevo vederla persino nel modo in cui riempiva l'elegante bicchiere allungato. Le sue mani tremavano.
Posò il bicchiere e si impose di andare a servire gli altri clienti, tornare a parlare con quelle due idiote, una aveva persino scritto il suo numero di telefono in un tovagliolo. Sul serio? Esiste ancora gente così?
- Perché un tipo come te beve da solo?
Quella domanda mi fece voltare, non mi ero reso conto che accanto a me si era seduto un altro ragazzo, non aveva l'aria di essere troppo vecchio, forse qualche anno in più di Noah. Abbastanza facoltoso da bere un Whiskey pregiato in un locale come quello e abbastanza sicuro di sé da provare a rimorchiare un ragazzo al bancone di un bar senza nemmeno essere sicuro che fosse gay.
- I miei amici sono tornati a casa presto e ho un certo debole per questo locale – dissi accennando un sorriso.
L'altro si unì alla mia espressione divertita – ti capisco, vengo spesso a bere un bicchiere qui prima di tornare a casa. Si incontra sempre gente interessante
Reclinai appena il viso, fingendomi lusingato da quel velato complimento, non lo ero davvero, non mi interessava essere rimorchiato in un bar. Ma d'altronde bisogna essere anche disposti a mentire per essere perdonati, giusto? Sapevo che Noah ci stava fissando, riuscivo a vedere la sua sagoma riflessa in quel bancone che lucidava di continuo. Sapevo di avere i suoi occhi addosso ma non mi voltai mai a guardarlo, continuavo a tenere la mia attenzione puntata su quello sconosciuto.
- Mi chiamo Patrick – disse poi continuando a squadrarmi con i suoi occhi scuri.
- Io sono Keno
- Che ne dici se ti offro un altro giro? È più divertente bere con qualcuno
Accettai, ancora una volta senza esitare gli sorrisi e lasciai che attirasse l'attenzione di Noah ma non voltai la testa verso di lui mentre poggiava le nostre bevande, c'era un nuovo oggetto che aveva catturato la mia attenzione. Proprio dietro le spalle del mio interlocutore c'era il grande orologio a pendolo del locale, imponente e appoggiato alla parete della stanza, segnava mezzanotte e venti, ancora dieci minuti alla fine del turno di Noah.
- Si è fatto tardi – dissi bevendo l'ultimo sorso di birra – dovrei rientrare
- Beh, io ho la macchina. Potrei darti uno strappo a casa ...
Mi sollevai a quel punto e lo seguii verso l'uscita, ma una volta a fuori dal locale arrestai il passo, l'altro mi fissò leggermente dubbioso.
- Che ti prende? – chiese leggermente confuso – non ti va di rientrare? Beh, potrei portati a fare un giro ...
Lo sguardo con cui ricambiai la sua proposta non gli piacque, adesso sembrava a disagio mentre i miei occhi si facevano sempre più seri e penetranti.
- Non ti sembra di esserti sopravvalutato un po'? – chiesi a nessuno in particolare, era una domanda retorica che lo gettò ancora più nella confusione – flirti con un ragazzo sconosciuto ad un bar e poi lui ti segue per una folle notte all'insegna del brivido. Lo pensi sul serio possibile?
Adesso era rigido e nervoso – trovarmi qualcuno per la serata non è di certo un problema per me
- Ma io non sono qualcuno – risi ricambiando le sue occhiate furenti con indifferenza – fidati, uno come me non te lo puoi permettere. Stasera hai puntato troppo in alto
Quello scosse la testa irritato mentre si voltava per andarsene – bastardo arrogante – ringhiò mentre procedeva lungo il marciapiede.
Io sorrisi mentre mi poggiavo alla parete del palazzo e attendevo altri pochi istanti, poi sentì il tonfo della porta del club che si apriva violentemente e vidi il corpo di Noah che avanzava spaesato nella strada. I suoi occhi erano attenti e setacciavano la via davanti a sé, poi spostò lo sguardo a destra ed in fine mi individuò.
- Hai perso qualcosa? – chiesi mentre lui non riusciva a credere che fossi davvero lì.
- Quel tipo ...- non aveva il coraggio di continuare a dar voce a quei pensieri.
- Cerca di non sottovalutarmi – gli dissi staccandomi dal muro e piazzandomi a pochi passi da lui.
Non restammo separati a lungo, lui si avvicinò con uno scatto afferrandomi per i fianchi ed imprigionandomi in uno dei suoi baci più disperati. Potevo sentire ognuna delle sue richieste attraverso quel bacio: non andare via, non lasciarmi mai più, ho bisogno di te.
E allora dimmi Noah, dov'è finito il tuo tono sprezzante? La tua voglia di lasciarti me alle spalle.
Ci staccammo senza fiato ma i suoi occhi tradivano un bisogno impossibile da estinguere con un solo bacio. Ero tutto per lui, in quel momento esistevo solo io, la prospettiva di perdermi davvero aveva fatto uscire tutto il bisogno che Noah aveva di me ma che i rimasugli del suo amor proprio gli avevano impedito di mostrare.
Qualcuno finirà per farsi davvero del male, ma quel qualcuno non sarò io.
Mi mossi a quel punto e mi rifugiai nella penombra più appartata di un vicolo poco lontano, Noah mi seguiva a poca distanza, mi ritrovai le sue mani addosso ancora prima che potessi poggiare la schiena alla parete.
Le labbra di Noah erano su di me, sentivo la sua lingua lungo il collo mentre le sue dita mi sollevavano la maglietta, contrassi leggermente lo stomaco quando sentii la sua saliva umida nel mio addome. Poi le sue labbra morbide iniziarono a lasciarmi una scia di baci lungo il ventre, dall'ombelico sempre più in basso. Prima che potessi rendermene pienamente conto lui era in ginocchio e i miei pantaloni abbassati a metà coscia. Non mi ero accorto di quanto fossi eccitato finchè non lo vidi con i miei stessi occhi, le labbra di Noah erano lì a pochi millimetri dalla mia erezione e dannatamente invitanti. Lo fece senza bisogno che dicessi una parola, prese la mia lunghezza dentro la sua bocca calda e io non riuscii a trattenere quel gemito anche se ci provai con tutto me stesso.
- Noah – mormorai mentre sentivo il calore intorno alla mia eccitazione, sentivo tutto con un'intensità spaventosa.
Lui non sembrava fare a caso a me in quel momento, era totalmente assorto in quell'atto, succhiava e seviziava la mia erezione con una cura assoluta, come se ne valesse la sua vita. Mi sentivo stremato, come se potessi collassare e andare in pezzi se avessi raggiunto quell'orgasmo. Una parte di me ne fu spaventata, fin troppo, sembrava brutalmente intimo anche se eravamo in un viscido vicolo di merda.
- Aspetta – dissi alla fine senza riuscire a gestire quelle sensazioni – fermo, ti prego
Ancora quel volto serio, Noah si mise in piedi come se sapesse cosa mi passasse per la testa, mi accarezzò una guancia e sfiorò la punta del mio naso con il suo.
- Certe volte vedo una parte di te così nascosta e reale. Poi mi rendo conto che è qualcosa che non vorresti mostrarmi davvero, è così diversa dall'immagine superficiale che dai di te stesso – mormorò – mi fa paura vedere con quale tenacia tu voglia nasconderti ai miei occhi
Zitto. Smettila di provare a capire.
- Andiamo a casa tua – dissi provando a dare un senso ai miei gesti – non mi va di stare in mezzo alla strada
Non ebbe nulla da replicare, lo seguii lungo la strada, casa sua era a pochi isolati di distanza dal club ed infilarmi fra quelle mura di mattoni mi faceva già sentire meglio. Potevo mantenere il controllo lì, potevamo ricominciare senza che mi lasciassi andare a quelle sensazioni destabilizzanti.
Posso continuare a distruggere la strada di questo ragazzo verso il paradiso.
I baci ricominciarono ancora prima che lui riuscisse ad aprire la porta, fui io a prendere l'iniziativa questa volta e non gli lasciai il tempo di riflettere. Lo spinsi contro il divano mentre salivo a cavalcioni su di lui, le mie labbra gli rubavano tutto, sia l'ossigeno che la ragione.
Posso trascinarlo giù con me, in questa prigione.
Gli sfilai la maglietta e cominciai a cospargere il suo petto di baci violenti, pizzicavo la sua pelle con i denti e lo sentivo rabbrividire sotto di me. Strofinai il mio bacino contro il suo e non fu difficile sentire la sua erezione tremendamente pronta attraverso i pantaloni. A quel punto mi sollevai ed iniziai a spogliarmi lentamente sotto i suoi occhi, anche lui fece lo stesso, nonostante le sue mani tremassero per l'eccitazione si tolse fino all'ultimo indumento e provò ad avanzare. Io mi spostai indietro per non essere raggiunto.
Posso sottrarlo ad un finale più lieto, posso distruggere la sua felicità prima che arrivi, posso modellarlo a seconda dei miei desideri. Posso fare tutto perché ho il controllo.
I suoi occhi mi guardavano confusi mentre io reclinavo la testa e formulavo quel pensiero ad alta voce.
- Toccati – mormorai lasciandolo ancora più stupito – toccati mentre mi guardi
Abbiamo tutti fame, abbiamo tutti bisogno di qualcosa, abbiamo tutti un appetito che non riusciamo a saziare. Io avevo bisogno di quello per sopravvivere.
Mi poggiai alla parete mentre vedevo la sua mano spostarsi fra le gambe per ubbidire a quella richiesta, aveva iniziato ad avvicinarsi e aveva poggiato una mano al muro all'altezza della mia spalla. Potevo sentire il suo fiato a pochi centimetri dal mio viso e i suoi mugolii di piacere, stava cercando di trattenere sé stesso dal toccarmi e infrangere la mia richiesta.
- Sei stato cattivo con me – mormorai ad un soffio dalle sue labbra, quegli occhi verdi non si staccavano dai miei, sembrava uno sguardo di supplica – hai detto quelle cose ... sul fatto che fossi io quello che veniva a strisciare da te, mi hai detto che avevamo chiuso ...
- I-o – non riusciva a parlare la sua mano non smetteva di muoversi e la sua bocca era dischiusa leggermente.
- Hai smesso di amarmi Noah? – chiesi soffiando sulle sue labbra e fermando i movimenti che la mano compiva sulla sua erezione.
- Non potrei mai smettere di amarti – confessò.
Alle mie orecchie quella era una sconfitta per lui, l'ennesima volta che quell'uomo non era stato in grado di imparare la lezione, ma per Noah il suo amore per me era un vanto, era qualcosa per cui lottare.
Portai le sue dita alle mie labbra e cominciai a bagnarle con la saliva, lo sentii fremere consapevole di quello che stava per accadere. Quando fui soddisfatto lasciai andare le sue dita che si spostarono immediatamente dietro di me, pronte a stuzzicare la mia apertura e prepararmi con attenzione.
- Non ho smesso di pensare a te nemmeno un istante – mormorò al mio orecchio prima di unire nuovamente le nostre labbra.
Mi avvicinai ancora, il più possibile, avevo circondato le sue spalle con le mie braccia, sollevando leggermente le punte dei piedi. Le nostre erezioni continuavano a strusciare fra loro finché Noah non spostò le mani sulle mie cosce e, con un gesto secco, mi sollevò. Io assicurai le gambe intorno alla sua vita mentre lui mi poggiava ad un ripiano poco distante. Sentii nuovamente il contatto con il muro fresco e non solo, l'erezione di Noah stava lentamente entrando dentro di me.
- Ti amo – mormorò al mio orecchio quando fu totalmente immerso dentro il mio corpo.
Poi iniziò a spingere lentamente, io non dissi una parola, continuavo a fissare quegli occhi verdi e profondi, una parte di me era soddisfatta di quel risultato, era tornato da me ma allo stesso tempo qualcosa mi rendeva nervoso, la sua devozione mi stremava.
Non ebbi modo di concentrarmi ancora su quei pensieri, le sensazioni del mio corpo presero il sopravvento anche sulla mia mente, sentire Noah muoversi dentro di me aveva sopraffatto la mia razionalità. Non avrei mai potuto negare la sua abilità nel farmi perdere la testa, conosceva il mio corpo molto meglio di quanto conoscesse la mia mente.
Il corpo non può mentirgli.
- Noah ... sto ... - non riuscivo a parlare mentre quegli affondi aumentavano di intensità, era tremendamente bello quell'istante.
Il momento che precedeva l'orgasmo era ancora meglio dell'amplesso stesso, almeno Noah sapeva renderlo così, sapeva portare il mio corpo ad un passo dal tracollo, ognuno dei miei sensi era al massimo, dalla pelle alle viscere, ogni millimetro bruciava e non riusciva ad averne abbastanza.
- Vieni per me Keno – mormorò al mio orecchio – voglio guardarti
Ed io lo feci, non riuscii più a trattenermi e riversai il mio seme macchiando l'addome di entrambi, sentii venire lui poco dopo, con l'ennesima spinta profonda che mi fece rabbrividire, il suo seme bollente fu dentro di me. Non sembrava ancora soddisfatto tanto che non uscì immediatamente, restò ancora stretto a me ed io non mi scostai. Restammo lì, nudi ed avvinghiati, ancora e ancora, finché Noah non fu sazio del mio odore e della mia pelle.
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