8. Two sides of an argument
Nella foto: Alencar Loss
Consuetudo est altera natura.
(L'abitudine è una seconda natura)
CALLUM
Se ne era andato. Quando la mattina mi ero svegliato ed ero passato in punta di piedi davanti alla sua camera la porta era aperta, avevo gettato timidamente lo sguardo all'interno: era vuota. Alcuni cassetti erano ancora semi aperti, anche l'armadio era stato svuotato, la foto sul comodino non c'era più, Alencar aveva davvero lasciato quella casa alla fine, ero rimasto solo.
Non sapevo cosa provavo al riguardo, di certo una grossa parte di me era sollevata anche se consapevole che quei due non avrebbero mai smesso di vedersi. Poi c'era una piccola parte che, invece, era triste per quell'ennesimo distacco, un'altra persona che nel bene o nel male considerava la mia esistenza era sparita dalla quotidianità. Erano terribili le abitudini, alla fine arrivi a rimpiangere qualcosa che ti ha sempre fatto soffrire ma che, contemporaneamente, era lì con te, ti si è annidata sotto la pelle e ora temi persino di rimpiangerla.
Sei patetico.
Quando arrivai a scuola quella mattina intuii subito che non era un giorno come gli altri, nei corridoi sentivo una strana pressione, come se gli sguardi di tutti fossero su di me. Mi resi conto che era più di una sensazione, ogni persona che incontravo mi fissava e poi voltava lo sguardo, persino i gruppetti agli angoli degli armadietti.
Rabbrividii mentre mi infilavo in classe sperando che quelle occhiate cessassero ma non fu così, vidi diversi miei compagni voltarsi e poi mormorare fra loro.
- Callum? – era stato Finn a parlare, il ragazzo che sedeva abitualmente nel banco accanto al mio – ma ti senti bene? Sembri sul punto di vomitare
E lo ero, non potevo vedermi ma sapevo di essere pallido come un cencio, avevo persino la nausea – non capisco perché mi fissino tutti. Cos'ho fatto?
Era dai tempi del mio primo attacco di panico a scuola che nessuno mi guardava in quel modo, come se fossi una sorta di fenomeno da baraccone o una creatura che nessuno avesse mai visto sulla faccia della terra.
- Sono solo stupidi pettegolezzi – mi tranquillizzò - qualcuno ha picchiato Maxwell, è parecchio grave, lo hanno ricoverato in ospedale. Qualche idiota ha cominciato a dire che ultimamente aveva preso di mira te e sai ... magari Alencar gliela aveva fatta pagare, sai visto che i vostri genitori stanno insieme – poi sorrise – vedrai che la smetteranno, sono solo chiacchiere. Maxwell era un enorme stronzo chissà chi avrà fatto incazzare
Io mi ammutolii, non riuscivo a parlare, niente si poteva avvicinare alla verità più di quelle chiacchiere, doveva essere stato lui. Mi sollevai prima che la lezione iniziasse e uscii di fretta dall'aula, mi sentivo di nuovo soffocare, quel disagio mi si arrampicava addosso, come la tremenda domanda che infestava la mia mente.
Era colpa mia? Se non avessi sfidato la sorte, se gli avessi consegnato un buon compito adesso lui starebbe bene, era l'ennesima persona che stava soffrendo per la mia superficialità? Non riuscii a controllarlo, semplicemente l'immagine di quella mano penzolante spuntò davanti ai miei occhi. Era come perdere le redini della mia stessa mente, come se le cose semplicemente andassero e quelle immagini si presentavano senza che io potessi fermarle. Il sapore dell'acqua salata, il dolore alle gambe e alle braccia, la terribile fatica di uscire da quell'inferno e poi la consapevolezza che l'inferno era appena cominciato. Quella folla, le urla di mia madre e tutti quegli occhi puntati su di me, accusatori.
È colpa tua, tua, tua, tua!
Mi ritrovai sul retro della scuola, non sapevo come avessi fatto a muovermi fin lì ma ci riuscii, mi lasciai scivolare lungo la parete vecchia dell'istituto mentre sollevavo il volto in alto e cercavo di allargare maggiormente il colletto del maglione.
Il dolore stava per diventare ingestibile quando un rumore mi costrinse a voltarmi, Levin venne avanti quasi sorpreso e si appoggiò alla parete poco lontano da me.
- Questo posto sta diventando parecchio affollato – disse in una sorta di commento ironico.
- Non per colpa mia, sono cinque anni che vengo qui. Sei tu il nuovo arrivato – replicai con lo stesso tono.
Lui accennò un sorriso, molto breve e poi si accese una sigaretta, ci fu un lungo silenzio prima che riaprisse bocca – preferisci che vada via?
Io scossi la testa, portai le ginocchia al petto e mi lasciai cullare da quella vicinanza. Il primo essere umano fermo accanto a me che non mi guardasse come fossi ripugnante oppure un comodo mezzo per ottenere qualcosa.
- Ho notato di non essere più l'attrazione principale oggi – disse inspirando dal cilindro – a lezione si mormorava il tuo nome. Un cambiamento piacevole, direi
Annuii consapevole – Maxwell era il tipo che mi ha pestato qualche giorno fa, quello a cui mi sarei dovuto ribellare
Mi rifilò un'occhiata di sbieco – e lo hai mandato in ospedale?
- Non sono stato io – il mio tono era cupo.
- Non sei un fan dei vendicatori? Sembra che ti dispiaccia per Maxwell
- E' solo che ... - era dura ammettere davanti ad un altro essere umano quello che sentivo dentro di me – è tutta colpa mia, se io avessi svolto bene quel compito, se non mi fossi messo a fare cose stupide Maxwell non mi avrebbe pestato e adesso ....
- E' una delle cose più assurde che io abbia mai sentito – mormorò espirando.
Fissai il fumo espandersi nell'aria e sparire, mi chiesi perché io non potessi fare altrettanto – vorrei solo che la gente smettesse di farsi male a causa mia. Il figlio del compagno di mia madre... è una persona violenta, è stato lui a picchiarlo
- Sei uno di famiglia per lui, dovreste guardarvi le spalle a vicenda, sembra quasi una condanna a volte però – parlava con tono basso e consapevole, come se stesse ricordando qualcosa che era successa anche a lui – anche davanti ad un fratello indegno, si finisce per desiderare di proteggerlo. Tu almeno sembri degno di meritare aiuto, sono certo che a suo modo vuole solo proteggerti
Non è me che vuole proteggere, non è a me che lui tiene, io non esisto, sono solo l'involucro.
Mi sollevai di scatto, la mia mente si stava nuovamente affollando di pensieri angoscianti e dolorosi, vidi l'espressione di Levin mutare e diventare immediatamente attenta e indagatrice.
- Che ti prende?
- Non sono io – mormorai, fu un sussurro tanto basso che non sapevo se lo avesse udito, era qualcosa che stavo ricordando più a me stesso che a lui – io non merito pietà e protezione. Il mio corpo non è mio
Levin sollevò un sopracciglio – Cosa?
Poi andai via, velocemente, mi sentivo nuovamente confuso e instabile, dovevo allontanarmi, rifugiarmi da qualche parte dove non avessi avuto tutti gli occhi addosso, dove potevo sentirmi meno sotto assedio. Ma esisteva davvero quel posto?
Non stavo guardando dove andavo e all'improvviso mi ritrovai a sbattere contro qualcuno con forza, sentii la sua dolorosa protesta per quello scontro e d'istinto mi accovacciai portando la testa fra le mani.
- Mi dispiace, scusami io ... non volevo farti del male! – ero stremato.
- Ehi, guarda che sono ancora vivo – disse l'altro – mi hai solo urtato, non trivellato di proiettili
Quella voce l'avevo già sentita. Mi tolsi le mani dalla testa e sollevai lo sguardo, sì era di nuovo lui, il ragazzo che aveva provato a soccorrermi quando avevo avuto l'attacco di panico. Mi fissava con aria interrogativa e ad un tratto mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi, io non la presi, tornai in piedi da solo guadagnandomi una strana occhiata.
- Sai che sei un tipo strano? – disse con voce leggermente stizzita – non sono uno che se ne va in giro a soccorrere gente sdraiata per terra, avresti anche potuto ringraziarmi l'altro giorno
Quelle parole mi stupirono, a guardarlo sembrava una sorta di statua di porcellana, con la pelle chiarissima e i capelli biondi con dei piccoli riflessi quasi bianchi, i suoi occhi erano azzurri e limpidi come il cielo estivo. Sembrava assurdo che una persona all'apparenza così delicata potesse avere modo così bruschi e sprezzanti.
- Dio, ma sei caduto e hai battuto la testa? Perché mi fissi così, stai avendo un ictus? – quelle esclamazioni lo fecero ridere o forse era soltanto la mia visione a divertirlo.
- Non ... volevo essere sgarbato – mormorai alla fine, giusto per dirgli qualcosa e poi proseguire per la mia strada – solo che non ti ho chiesto nessun aiuto e non c'è niente che nessuno possa fare quando hai un attacco di panico
- Bene, nessun grazie e ora sono anche un buono a nulla, ottimo – brontolò – è il mio giorno fortunato
Restai nuovamente in silenzio, volevo passare oltre e andare via ma il suo corpo sembrava un muro difficile da superare.
- Io sono Keno comunque, sei dell'ultimo anno?
- Senti vado di fretta – dissi alla fine, ero stanco di avere quello sguardo addosso – grazie tante per l'aiuto ma la prossima volta non disturbarti
Poi finalmente riuscii ad aggirare l'ostacolo del suo corpo e muovermi a grandi passi dal cortile verso l'uscita della scuola. Volevo assolutamente liberarmi del peso della folla, tornare a casa e stare male dove nessuno avrebbe potuto vedermi. Ma poco dopo aver percorso alcuni passi lungo il marciapiede, una macchina fra le tante attirò la mia attenzione.
La Gran Torino di Alencar era lì, accostata alla banchina, mi irrigidii ma non smisi di camminare, era me che cercava? O forse stava monitorando qualcos'altro? Volevo provare a passare oltre senza fermarmi, nel vano tentativo di non farmi vedere ma, poco prima che la mia figura oltrepassasse lo sportello del guidatore, il finestrino si abbassò.
- Callum
La sua voce emerse dall'interno dell'auto cupa come sempre, fu impossibile per me non restare impietrito al suono del mio nome, voltai timidamente lo sguardo e vidi i suoi occhi rivolti a guardarmi.
- Sali. Ti porto a casa
Non discussi quell'ordine, feci il giro del mezzo e mi sedetti al posto del passeggero anche se avevo molte domande annidate nella testa.
- Perché sei qui? – chiesi in un sussurrò.
- Ho preso le ultime cose, ho finito di trasferirmi
Quella risposta non chiariva in nessun modo la mia domanda ma non glielo feci notare, mi limitai a porre l'interrogativo successivo.
- Sei stato tu, vero? Oggi a scuola ne parlavano tutti ... di Maxwell
L'auto frenò lentamente al semaforo e vidi i tremendi occhi di Alencar posarsi su di me – se ti azzardi a dire qualcosa a qualcuno, se provi a fiatare con chiunque su questo argomento ...
- Lo so – dissi in fretta – non ho intenzione di dirlo a nessuno. Però tu non dovevi ...
- So io cosa devo o non devo fare – mi interruppe.
- E l'appartamento nuovo? Ti piace vivere lì? – domandai cercando di cambiare argomento nuovamente.
Capii di non essere incappato in uno dei più felici, almeno questa fu la sensazione che mi diede il suo lungo silenzio, forse non esistevano momenti felici nemmeno per lui. Gli anni passati a conoscere e temere Alencar mi avevano fatto arrivare alla conclusione che in fin dei conti eravamo due facce della stessa medaglia. Entrambi sofferenti e sopraffatti, incapaci di venire fuori dalla melma, entrambi caricati di un pensante fardello.
- L'appartamento va bene – disse alla fine.
Eravamo arrivati a casa, me ne accorsi solo quando sentii il motore dell'auto spegnersi, posando lo sguardo lungo il vialetto notai la presenza di un'altra auto e capii che i tempi idilliaci erano finiti. Buffo pensare che fino a quel momento le mie giornate fossero magnifiche.
- E' tornata – comunicai più a me stesso che a lui.
- Quella puttana non resterà a lungo – mormorò, doveva essere una sorta di tentativo di consolarmi.
- Ho saltato l'appuntamento con il Dottor Fisher la scorsa settimana, sarà arrabbiata
- Te ne fisserà un altro e cazzo vedi di andarci, è pur sempre la tua dannata salute – disse con tono irritato – fammi sapere quando è, ti accompagno io.
Perché? Perché fai questo? Solo per lei? La ami così tanto?
- Non serve che ti disturbi
- Scendi da questa macchina e fammi sapere quando hai l'appuntamento con il dottore
Annuii, impossibile replicare a quel punto, uscii dalla macchina e quando chiusi lo sportello lui ripartì. Fissai la casa e non avevo alcuna voglia di entrare ma sapevo che non potevo sottrarmi per sempre a quell'incontro.
Quando varcai la soglia e mossi i primi passi all'interno della casa, mi accorsi immediatamente della sua figura quando attraversai l'ingresso della cucina. Era seduta al tavolo con una tazza di caffè accanto mentre visionava alcune stampe, i suoi occhi saettarono immediatamente verso di me e non occorreva che parlasse. Il suo sguardo era insoddisfatto, come se si aspettasse di vedere qualsiasi altro al mio posto, ma il fatto che fossi proprio io era la notizia peggiore.
- Bentornata
Questa potevo risparmiarmela ammisi fra me e me, ma ormai non c'erano altro che comportamenti di circostanza a coprire gli spessi strati di odio che mia madre provava per me. Il suo figlio assassino, quel piccolo mostro che aveva condannato a morte la sorella, quell'essere ripugnante che aveva osato sopravvivere.
- Mi ha chiamato il Dottor Fisher, hai saltato l'appuntamento, mi è sembrato preoccupato. Ma vedo che sei solo impegnato a farmi fare pessime figure, ti ho fissato un altro appuntamento per domani alle 10
Fine della discussione, era tornata con gli occhi ai suoi fogli ed io mi ero ritrovato nella bolla della non esistenza.
Bentornata mamma.
ALENCAR
- Direi che siamo messi bene – disse Miles soddisfatto – quel mio contato a Brooklyn Heights si rifornirà da noi la settimana prossima, ci sono un bel po' di feste per ricchi in quelle zone
- Ottimo – mormorai – e il Soul? Ce lo abbiamo stasera?
- E' tutto organizzato – rispose Tian – abbiamo già sparso la voce fra le persone giuste, ci aspettiamo una buona affluenza –
- Cerchiamo di tenere Jonas al margine. Miles vai a sentire i nostri tossici in riabilitazione e senti il tipo del chiosco a Coney Island, fatti dire se ha voglia di farsi dei guadagni extra
L'altro annuì e lasciò il parcheggio in cui ci eravamo incontrati, restammo solo io e Tian, lo sguardo del mio amico non sembrava soddisfatto di ciò che vedeva nei miei occhi.
- Venti chili sono parecchi, è questo che ti preoccupa? – mi chiese – oppure c'è dell'altro, anche se non vedo cosa ci sia di peggiore che deludere Kurt
Mi accesi una sigaretta – è solo un periodo incasinato, sono passato da casa e ho notato l'auto di quella stronza -
Tian riflettè attentamente – ogni scusa è buona per tornare lì a leccarti un po' le ferite e autocommiserarti – gli rifilai un'occhiataccia ma lui non ne restò impressionato – proprio tu che hai avuta la possibilità di liberarti e guadagnarti un po' di respiro stai lì a fare gli appostamenti a quel posto infernale. Quando c'è un povero ragazzo intrappolato che non vorrebbe altro che uscire ed essere al tuo posto
- Cristo, non chiamarlo povero ragazzo. Lo fai sembrare un martire – ringhiai.
- Beh, dal mio punto di vista lo è – commentò Tian senza cedere dalla sua posizione – nutro molto rispetto per Celia, sono addolorato per quanto le è successo ma la responsabilità non può essere tutta sulle spalle di un bambino di otto anni – lo vidi scuotere la testa- vivere con una donna che invece di accettare le proprie responsabilità le getta addosso ad un ragazzino penso sia mostruoso, quello che sopporta Callum ogni giorno è una dannata apocalisse
Ha scelto lui di sguazzare in quell'inferno.
- Beh, che ti aspetti che faccia io? Lui non è un mio problema – ringhiai.
- Cerca di avere un minimo di rispetto per la sua condizione e non sbavare su quella casa come se fosse il luogo più idilliaco del mondo in cui tornare.
A quel punto tacqui ed annuii consapevole che come sempre Tian non si sbagliava del tutto. Callum avrebbe certamente pagato per essere al mio posto, io almeno potevo dire di essere stato amato.
- Ma il padre? – mi disse ad un tratto mentre camminavamo verso la mia auto – si è più visto?
- Suo padre è morto – commentai.
- Cazzo, ma che razza di vita – brontolò e a me venne quasi da ridere, c'era un imbarazzante percentuale di morti in quella famiglia.
- Non so molto al riguardo, penso sia stato un incidente d'auto, poco prima che si trasferissero a casa nostra
- Quel tipo ha davvero bisogno di un po' di tregua –
Alla fine ci separammo, sapevamo che ci saremmo rivisti presto quella sera e io approfittai del tempo prima dell'inizio della festa per andare al mio appartamento e sistemare le ultime cose che avevo portato.
Entrai in casa e posai la sacca per la boxe all'ingresso, feci qualche passo e mi arrestai, sul divanetto avevo un'ospite che mi stava aspettando, Celia era lì.
- Ciao dolcezza – mi salutò sollevandosi.
Il suo profumo delicato fu nelle mie narici immediatamente e poi il sapore di ciliegie investì la mia lingua, sentivo le sue braccia lunghe avvinghiarsi alle mie spalle, quel bacio durò fino a che ne fummo in grado.
- Che ci fai qui? Va tutto bene? – le chiesi sfiorandole il viso.
- Avevo voglia di vederti! - sorrise – è così silenziosa quella casa senza di te, sono scappata senza che la sentinella mi notasse
- Saranno giorni infernali prima della sua ennesima partenza – dissi quasi senza riflettere, ancora preda del mio discorso con Tian.
- Infernali? – chiese con tono irritato – per chi? Ti metti a pensare come possa stare Callum adesso?
Io tacqui immediatamente.
- E' a me che dovresti pensare! A me! Sono stata io a starti vicino, io ti ho sempre capito e appoggiato – sbraitò – quello è solo un buono a nulla che mi ha rovinato la vita! Non merita la pietà di nessuno, soprattutto la tua!
- Perdonami Celia, non volevo farti incazzare, ho solo pensato ad alta voce – cercai di rimediare ma il danno ormai era fatto.
- Ah, è questo quello che pensi? Pensi a lui? – non lasciò che la abbracciassi ancora, cominciò a camminare su e giù per la stanza – ti ricordo che non c'era lui ad aiutarti quando ne avevi bisogno, non c'era lui a pulire il tuo vomito o ad accompagnarti a fare il test! Lui era troppo dannatamente impegnato ad autocommiserarsi per poter stringere legami con chiunque, troppo egoista per prendersi cura di un'altra persona. Sono stata io a salvarti
- E non ti ringrazierò mai abbastanza per questo – dissi alla fine afferrandola e costringendola a guardarmi negli occhi - io ti amo Celia, a prescindere da tutto quello che Callum rappresenta per te.
Lei non era pienamente soddisfatta, non lo era mai, non finché in qualche modo suo fratello esisteva ancora, il suo era un desiderio impossibile da realizzare.
Se solo potessi amarti e annientarti nello stesso momento, in quell'istante sarei in grado di renderti davvero felice.
- Solo te, amo solo te – continuai a mormorare al suo orecchio mentre cominciavo a baciarla alla base del collo.
Inizialmente era rigida ma le mie labbra che la sfioravano stavano facendo accapponare la sua pelle e rilassando i muscoli. Sentii le sue braccia salire lungo il mio petto e fermarsi nel bordo del colletto della mia t-shirt, poi tornarono giù e con un gesto rapido me la tolse di dosso facendola cadere sul pavimento.
Cominciò a lasciarmi una scia di baci lungo le spalle e al centro del petto, io le accarezzavo i capelli lunghi, poi poggiai le mani sui suoi fianchi e la guidai leggermente in avanti, verso la direzione della camera da letto.
- Vuoi fare l'amore con me? – chiese maliziosa.
Le diedi un altro lungo bacio, gustando il suo sapore e stringendola a me più che potevo – sempre ...
Ci ritrovammo in camera da letto e lei mi fece sedere sul bordo, poi andò a recuperare i preservativi nel primo cassetto del comodino e torno sventolandone uno con un sorriso soddisfatto. Strappò la confezione con i denti e in un lampo si posizionò fa le mie gambe.
- Posso pensarci io – mormorai mentre tentavo di prenderle la bustina dalle mani.
Lei me lo impedì continuando a sorridere e scoprendo la mia erezione vistosamente pronta, mi bastava vederla, toccarla, sentire il suo profumo per risvegliare in me un'eccitazione tremenda, un bisogno impellente di avere di più. Sentii la sua bocca scendere sul mio sesso e leccarlo abilmente, bagnando con cura ogni centimetro, poi fu la volta del preservativo e quello che fece mi spiazzo leggermente. Usò la bocca per metterlo.
- Questa è nuova? – chiesi mentre la fissavo sfilarsi il maglione.
Lei scosse le spalle sorridendo misteriosa – potrei aver visto qualche video interessante
La attirai a me, facendola crollare sul mio petto e stringendo il suo corpo il più possibile al mio – sono il tuo palcoscenico di prova? – risi mentre la intrappolavo nell'ennesimo bacio rovente.
- Sei il mio contatto con questo mondo – mormorò in un sussurro mentre tornava a stuzzicare la mia erezione.
In quel momento le parole di Callum mi risuonarono in testa tanto che non riuscii a metterle a tacere: lei non ti ama quanto tu ami lei, tu servi solo per tenerla aggrappata a questa vita.
Questa non vita ci consumerà entrambi. Tu mi ami Celia? Almeno mi ami?
- Lo senti Alencar? – chiese riportandomi a quel momento- ti piace come ti tocco?
La trascinai sul letto con me, aiutandola a liberarsi del resto dei suoi indumenti, mi ritrovai a fissare il suo corpo nudo, così esile, magro e pallido, sembrava quasi la lama di un coltello. Soffiai sulla sua erezione e questo la fece sobbalzare, ci fu paura e stupore per quel gesto. Prima che potesse dire qualsiasi cosa le divaricai le gambe, piazzandomi esattamente in mezzo. Poi mi abbassai posando le sue cosce sulle mie spalle, la sua apertura era lì esposta al mio sguardo a pochi centimetri di distanza e lei boccheggiò quando mi sentì iniziare a leccarla. La mia lingua e le mie labbra restarono lì per lungo tempo a lubrificare e stimolare quell'ingresso stretto. Quando la ritenni pronta mi scostai e lasciai spazio alle mie dita, prima le allungai verso di lei e non furono necessarie parole. Ne prese due in bocca e cominciò a succhiarle e bagnarle avidamente senza smettere di fissarmi, poi le spostai fra le sue natiche e la penetrai.
Celia trattenne il respiro per qualche istante mentre le muovevo dentro di lei, poi venne il turno della mia erezione, la strusciai appena e poi fui dentro di lei con un unico colpo secco.
- Ah! – il suo gemito fu così forte che non riuscì a trattenerlo.
Continuai a baciarla mentre iniziavo a muovermi dentro di lei, con affondi sempre più precisi e profondi, la sentii serrare le ginocchia intorno ai miei fianchi, segno che stavo colpendo un punto parecchio piacevole.
- Vorrei che durasse per sempre... - mormorò fra un gemito e l'altro – vorrei restare così con te, in questa stanza ...
Niente dura per sempre, va tutto in pezzi, è la legge della vita. Sempre.
- Anche io vorrei restare qui, sei l'unica cosa decente di questa vita che va a puttane – mormorai al suo orecchio mentre tornavo con la bocca sulla sua pelle.
Sentivo i suoi denti sulla mia spalla, succhiava e mordeva con tutta la forza che aveva e lo stesso io facevo con lei. Speravamo di divoraci a vicenda forse, per portare dentro di noi qualcosa dell'altro, qualcosa che ci rendesse più sopportabile quell'esistenza, quella realtà.
Ci furono ancora diverse spinte e poi compresi di essere al limite, sentivo la sua erezione cozzare contro il mio addome, era così umida che non doveva mancare molto prima che riversasse il suo seme su entrambi. Mi sollevai leggermene, volevo godermi quel momento, volevo una visione del suo corpo il più completa possibile poco prima che raggiungesse l'orgasmo. Mi piace guardare i suoi capelli lunghi e sparsi, la sua fronte imperlata di sudore e quell'espressione di estasi riflessa nei suoi occhi grigi. Aveva le labbra e il petto arrossati a causa dei baci e dei morsi aggressivi, mi sorrise mentre sentiva che stavo accelerando sempre di più.
- Sei così bello – mormorò – il mio ragazzo devoto ...
E tu? Tu mi sei devota?
Il numero di quelle domande tremende aumentava ma il piacere di quel momento e i suoi occhi magnetici erano l'anestetico perfetto per alleggerire la mia mente da quell'ennesimo fardello. Con un ultimo affondo venimmo entrambi, io rimasi ancora qualche istante dentro di lei prima di crollare stremato sul materasso al suo fianco. Lei mi prese la mano e la strinse forte nella sua, non ci guardammo, restammo in silenzio per un tempo infinito a fissare il soffitto bianco. Non volevo guardarla subito, quasi avessi paura che leggesse quegli interrogativi nei miei occhi, non potevo deludere anche lei, Celia era l'unica che mi era rimasta per cui potevo fare la differenza.
- Devi andare via? – mi chiese quando vide che stavo cercando degli altri vestiti.
- Devo assolutamente passare al Soul, sarà già iniziata la serata. Devo fare il punto con i ragazzi – dissi mentre indossavo la maglietta scura.
- Posso venire con te? - domandò con tono desideroso.
- Quel posto è una fogna, non mi piace come ti guardano quei tossici, meglio di no. – risposi allacciandomi le scarpe – posso darti uno strappo a casa
- A casa? – nel suo tono c'era un certo risentimento – io voglio passare la notte con te!
- Sarà complicato ... sai la mattina, per lui – gli feci notare – è parecchio distante, non siamo più vicini di camera
- Ti stai di nuovo preoccupando per Callum? – brontolò – che si fotta, ho voglia di restare con il mio ragazzo, soprattutto visto che se ne sta andando adesso, sul più bello! Voglio essere qui quando tornerai ...
Sorrisi, non sarebbe stato possibile convincerla diversamente – bene, allora resta. Puoi fare una doccia se vuoi e c'è qualcosa in frigo se hai fame. Starò via per un'ora o due al massimo
- E quando tornerai riprenderemo proprio da qui – mormorò colpendo leggermente il materasso.
Le poggiai un altro bacio rapido sulle labbra e poi mi diressi a passo svelto verso l'uscita, mi chiusi la porta alle spalle e inspirai profondamente. Tian mi aveva detto che quel posto mi avrebbe reso libero ma in quel momento mi sembrava solo che la mia vita si fosse complicata ancora di più, come se fosse scoppiato un incendio e stessi provando a spegnerlo con la benzina.
ANDREW
Mancava solo una settimana alla mia partenza ed io non avevo ancora trovato il coraggio di parlarne con Aiden. Mi diressi verso casa con il proposito che entro quella sera avrei risolto anche quel problema con lui, si sarebbe dispiaciuto e forse avrebbe fatto qualche storia, ma alla fine avrebbe capito. Aiden aveva imparato a sacrificarsi.
Avevo trascorso il pomeriggio a sbrigare i preparativi per la partenza, poi avevo fatto un salto veloce a vedere i ragazzi e, con mio grande stupore, avevo appreso che anche Alec sarebbe partito con me. Adesso stavo raggiungendo Aiden in uno dei locali in centro; avevo provato ad anticipargli qualcosa per telefono, non troppo, perché volevo comunque fargli trascorrere una serata decente in qualche ristorante carino. Ma a quanto pare aveva troppo da fare per quella sera.
Mi sentivo già stanco, non vedevo l'ora di prendere quel dannato aereo e di tornare sul mio caccia, l'unico luogo in cui mi sarei sentito un po' meno miserabile di quanto fossi realmente.
Aiden sedeva davanti la vetrina del 245, era circondato dal suo solito gruppetto di amici; ragazzini che non avevo mai avuto interesse di conoscere, ma quella sera mi toccava salutarli. Entrai nel locale in fretta e mi diressi verso il loro tavolo, producendo occhiate incuriosite in giro
- Ehi, salve a tutti
- Ehi Andrew ... - disse qualcuno, altri si limitarono a dei brevi cenni con il capo
- Ti siedi con noi per una pinta?
- No, sono un po' di fretta – mi giustificai, poi puntai il mio sguardo su Aiden. Sembrava parecchio concentrato sulla sigaretta che stava rollando – ehi, puoi venire un attimo fuori?
Non sollevò neanche gli occhi, annuì appena. Sembrava stanco almeno quanto me, forse aveva bevuto più del normale e questo non mi piaceva per niente. Lo guidai fuori, appoggiando i polpastrelli delle mie dita sulla sua schiena.
- Sembri uno zombie. Quanto hai bevuto?
Aiden si lasciò andare ad una risatina bassa e canzonatoria – Sei venuto qui per farmi la paternale?
Scontroso come sempre, si portò la sigaretta alle labbra e l'accese
- Non mi piace quando fumi questa merda, lo sai che ti fa male
Portò gli occhi al cielo, ma fu più rapido di me nello scostarsi quando provai ad afferrare la sigaretta dalle sue dita. Rise piano, divertito per quel gesto.
- E l'alcol che ti scoli ogni sera con i tuoi amici? Quello non fa male, scommetto – disse con un tono di sfida. Avevo davanti il tipico Aiden litigioso
- Alla tua età non fumavo, né bevevo
- L'hai detto tu che la nostra è una generazione degenerata! – lo vidi fare spallucce, incurante – quindi? C'è una pinta di birra che mi aspetta dentro, oltre al fatto che non è carino mollare i miei amici per venire a parlare con te
- Volevo portarti a cena fuori. Scegli tu dove. Potremmo fare come domenica ... puoi rimanere a dormire da me se ti va - stavolta cercai di metterci tutta la dolcezza possibile nelle mie parole. Allungai una mano verso il suo viso magro e spigoloso, passandogli il palmo sulla pelle morbida. Quanti guai avevo rischiato di attirarmi addosso a causa di quel ragazzino? Dieci anni di differenza non erano pochi, ma quanto meno adesso era maggiorenne. E nonostante tutto lo desideravo ancora, non ne capivo la ragione, però continuavo a desiderare Aiden.
- Mi dispiace, ho altri piani per stasera. Come vedi sono con i ragazzi e appena me ne andrò da qui dovrò mettermi a studiare
- Andiamo ... i tuoi amici puoi vederli quando ti pare
- Te l'ho detto, ho un mucchio di roba da recuperare a casa. Possiamo fare per domani, se puoi. Prima mi è sembrato che dovessi dirmi qualcosa per telefono – Gli occhi di Aiden si fecero più attenti mentre si posavano nei miei – spero niente di grave
Eccoci lì, non potevo neanche più sperare in una cena o nel nostro fantastico sesso. Dovevo andare subito al punto. Ero costernato, lo ero davvero. Forse per i motivi sbagliati, ma quella dannata amarezza era reale
- No, non è niente di grave. Avrei preferito parlartene con calma e altrove, ma alla fine il succo non cambia – presi un attimo di respiro – devo ripartire, Aiden. Ieri ho ricevuto una convocazione inaspettata ... hanno bisogno di me. Non ho potuto sottrarmi in alcun modo
- Ah
La sua espressione non mutò, sembrava calmo, fin troppo in sé, immaginai che forse doveva aver pensato che si trattasse di qualcosa del genere. In fin dei conti di che altro avrei potuto parlargli con quell'urgenza?
- Mi dispiace, so che sono tornato da appena dieci giorni. Se potessi non partirei ...
- Non preoccuparti. Si tratta del tuo lavoro, no? – Aiden mi dedicò il suo migliore sorriso serafico, poi mi assestò una piccola pacca sul braccio.
- Non ce l'hai con me? – ero confuso
- E perché dovrei? Non dipende da te, no? Hai detto che non hai potuto fare nulla per evitarlo. E' soltanto il tuo lavoro ... cosa possiamo farci? Ormai ho fatto l'abitudine a non averti intorno quanto vorrei.
Forse i sensi di colpa sarebbero arrivati dopo, ma al momento mi sentivo soltanto terribilmente sollevato dal modo in cui Aiden aveva preso la cosa. Andai ad abbracciarlo, stritolandolo un po'. Ero una persona pessima, lui poteva anche essere difficile, ma non meritava un trattamento simile. Non meritava quelle menzogne.
- Ti porterò il regalo più sfarzoso del mondo, ok? Qualche richiesta speciale?
Lo guardai dritto nei suoi occhi azzurri, troppo limpidi e belli per appartenere ad un ragazzo dal carattere così spigoloso e difficile, ma a volte potevo vederci dentro uno sprazzo di cielo luminoso e brillante. E io adoravo il cielo.
- Non è necessario
- Certo che lo è. Mi piace viziarti – A quel punto gli pizzicai la guancia con le dita, avevo voglia di vederlo sorridere un po', ma non potevo pretendere così tanto, non dopo quello che gli avevo detto.
- Allora rimandiamo a domani? Cenetta e poi casa? Ti alletta come cosa? Fammi sapere dove vuoi andare
Aiden annuii, mi ritrovai a tentennare, noi non ci baciavamo in pubblico. Le voci circolavano in fretta perfino a Brooklyn ed io ero pur sempre abbastanza in vista a causa del mio lavoro. Aiden rientrò un secondo dopo, sembrava stare bene tutto sommato o forse voleva soltanto farmelo credere.
KAI
Un attimo di caos prima che i miei occhi si abituassero di nuovo alla luce. Dove diavolo ero? La mia confusione durò poco, giusto il tempo di lasciare vagare il mio sguardo lungo la stanza elegante della nostra suite. Stavamo spendendo il denaro della rapina al meglio! Donne, cibo e luoghi costosi in cui dormire e farci ... chi era così idiota da desiderare altro dalla vita?
- M-m buongiorno
C'erano due ragazze nel mio letto, una biondina e un'altra di colore, dedicai loro un bel sorriso sornione, poi mi ripresi il braccio, bloccato sotto la testa della seconda e adesso dolorante. Mi stiracchiai appena, tutto sembrava immerso nel silenzio, eccetto un lieve ticchettare non troppo lontano. Gray era già al computer, probabilmente stava lavorando per quel sito di truffe online che gli piaceva tanto.
- Colazione? – propose senza sollevare gli occhi dallo schermo
Servizio in camera e tutta quella roba da ricconi. Andavo pazzo per quel genere di cose, peccato che non avessi molto tempo per prendermela comoda quanto mi sarebbe piaciuto. Afferrai un croissant e un bicchiere di champagne, poi mi stravaccai un attimo sulla poltrona
- Notizie da parte di tuo fratello? – chiese Gray, ancora con lo sguardo puntato sullo schermo
- Nah, è incazzato a morte, lo conosco bene. Devo lasciarlo sbollire un po' – dissi, tra un morso e l'altro. Dio, com'era buono il cibo dei ricchi – quanta grana c'è rimasta? Gli altri sono andati a piazzare le pasticche?
- Gli altri sono svenuti da qualche parte in bagno. Troppo champagne
- Bene, meritiamo tutti di goderci la vita una volta tanto.
- Amen – commentò Gray, poi finalmente sollevò lo sguardo dal computer e lo puntò su di me – che intenzioni hai con la porzione di Levin? Giusto per sapere. Nessuno ha ancora toccato quei soldi, ma i ragazzi non vedono l'ora di farlo
- Gli spettano, amico. Ho provato a chiamarlo, ma neanche a dirlo. Forse non li vorrà neanche, ad ogni modo pensavo di passare da lui oggi. A proposito, che ore si sono fatte?
Mi sollevai da lì come se avessi avuto una molla sotto il culo, poi corsi in bagno, rischiando di rompermi il collo sui corpi riversi degli altri ragazzi. Dovetti tirare fuori una ragazza dalla doccia per farmi posto dentro. Non se ne accorse neanche, continuò a dormire beata. Il getto fresco mi rigenerò all'istante, ero un tipo così attivo da far paura a chiunque, le maestre lo dicevano sempre a mia madre. Sperai di arrivare in tempo e beccare Levin all'uscita da scuola, perché non volevo farmi vedere a casa per nessuna ragione al mondo. Tutti odiavano Kai con lo stesso entusiasmo con cui io avrei preso d'assalto una Wells Fargo piena zeppa di capitali. Cosa potevo farci? Ormai l'opinione che i miei genitori avevano di me non mi sfiorava neanche.
Mi vesti alla bell'è meglio e nel giro di quindici minuti ero già fuori, nel traffico cittadino di Brooklyn, a bere caffè da una tazza termica come qualsiasi altro ragazzino affaccendato. Ero di ottimo umore e stranamente i soldi della rapina c'entravano poco in quel caso. Quella notte avrei rivisto June. La mia bella e pazza studentessa di moda con una passione smodata per i teppisti come me ed il pericolo. Dio, aveva trovato pane per i suoi denti.
Ero arrivato giusto in tempo per godermi i primi studenti che lasciavano quello schifo di Tech. Quanto tempo perso lì dentro ... una mente come quella di Levin meritava altro. E poi lo notai, avanzava tra la folla di gente con il suo solito passo fermo e lo sguardo lontano, lui non apparteneva a quel luogo, né a quell'ammasso di studenti che non aveva idea di cosa significasse vivere davvero. Non gli ci volle molto per notarmi oltre il cancello della scuola. Non eravamo in molti ad ossigenarci i capelli lì in giro. Ovviamente non si fermò, così fui costretto ad aumentare il passo per stargli dietro
- Levin! Basta scappare, cazzo! Ti ho portato i tuoi soldi – stavo parlando a voce bassa
- Non voglio quei dannati soldi – si voltò verso di me in uno scatto – togliti dalle palle, Kai.
- Ma sono tuoi ... te li sei meritati – sbottai, stavo cominciando ad innervosirmi – andiamo big bro! Se non fosse stato per te le cose non sarebbero filate così lisce, lo sappiamo tutti. Era quello che volevi sentirmi dire? Ecco fatto!
Lo avevo ammesso, forse era quello che voleva, sentirsi dire che lui aveva ragione ed io torto. Avevo molti difetti, tra questi una buona dose di cupidigia, arroganza ed intemperanza, ma non ero mai stato orgoglioso.
- Ah, ci sei arrivato anche tu. – Levin era alterato – non puoi continuare in questo modo, Kai. Stai giocando col fuoco ... un solo errore, un dannato errore e finirai in carcere. Vuoi capirlo? Siamo stati tanto così dal farci beccare
- Ma non è successo, Levin! Siamo qui e ho i tuoi dannati soldi in tasca, quindi prendili e facci quello che diavolo vuoi
Levin non mi stava neanche ad ascoltare, aveva eretto un muro invalicabile. Conoscevo bene mio fratello, era ancora troppo presto per tentare un approccio pacifico con lui.
- Te l'ho detto, non li voglio. Fanne quello che diavolo vuoi ... in fin dei conti rovinare la gente e sperperare denaro sono le uniche cose che ti riescono davvero, no? Non avrai problemi ad investirli in puttane e droghe
- Bene! Allora vorrà dire che ci porterò a cena la mia ragazza con i tuoi fottutissimi soldi! Sei contento adesso? Cristo, tutto questo perché Levin è troppo pulito ed integerrimo per prendere i suoi dannati soldi e andarsene a fanculo! Ok, abbiamo avuto quel cazzo di intoppo al negozio. Sì, stava andando tutto a puttane, ma non è successo! Siamo qui, abbiamo avuto i nostri soldi e adesso ce li stiamo godendo. Siamo ancora qui, Levin! Perché non puoi semplicemente prenderne atto e fottertene come tutti noi?
Per un attimo pensai che mi sarei beccato un altro pugno sul naso, mi ritrovai ad indietreggiare in automatico, sotto le occhiate spaventose e furenti di Levin.
- Tu non capisci, vero Kai? Giochi tanto al grande gangster senza paura, ti circondi di persone uguali a te ... teppistelli incapaci e con manie di grandezza. Nessuno di voi sa discernere un cazzo! E finirete male, vedrai che succederà. E non varranno un cazzo i miei fottuti sforzi di tenerti fuori dal giro ... quando commetterai un altro passo falso, io non potrò farci niente. Guardami, anche adesso non riesco a fare un cazzo per aiutarti! Anzi, sei tu a trascinarmi nel tuo inferno personale. Non intendo tornare dentro a causa tua.
Sospirai, mio fratello era l'unica persona al mondo capace di farmi stare tanto di merda.
- S-so che ti devo tutto, Levin
- Lo sai, ma non intendi fare nulla per salvare la situazione. Quando sono uscito stavi provando a rigare dritto, Kai! Ero sorpreso, credevo che avessi imparato la lezione. Il mio sacrifico cominciava anche ad avere senso, ma poi le cose sono cambiate. Che cosa diavolo è successo in questi ultimi mesi? Perché siamo di nuovo punto e a capo?
Compagnie sbagliate? Non lo sapevo. Forse ero soltanto io. Mi sentivo attratto da tutto ciò che poteva farmi male ... c'era qualcosa che non andava in me. Non riuscivo a parlare, Levin mi guardava, in attesa che dicessi qualcosa.
- Non è morto ... - dissi alla fine
- Di cosa parli?
- Il figlio del proprietario ... quel figlio di puttana con il fucile che hai steso. Non è morto, se la caverà.
- E tu come lo sai? – Levin era guardingo
Fui costretto a tirare fuori il foglio di giornale dal fondo delle tasche dei miei jeans strappati – Tieni! Leggilo. Sta bene, ok? Qualche contusione, qualche osso rotto. Bla bla bla. Si riprenderà! Non hai ucciso nessuno
Levin stava leggendo febbrilmente l'articolo – Avrei potuto ...
- Ma non è successo! – gli ricordai – senti Levin, spero che ti passi, ok? Se vuoi i tuoi soldi sai dove trovarmi ... non so più in che modo scusarmi con te.
Silenzio - Potresti semplicemente pensare al fatto che stiamo tutti bene e che non è successo niente di grave?
No, non poteva. Rimuginare sullo schifo nel mondo faceva parte di mio fratello anche più di quel ciuffo ossigenato ed il piercing al sopracciglio. Quando capii che non avrei mai ricevuto risposta da lui, decisi di lasciarlo lì con il suo foglio di giornale e l'aria assente.
ANGOLO AUTRICI: Buona domenica e buon capitolo! Oggi c'è tanta carne al fuoco e ben 4 pov! La situazione si fa più intricata! C'è aria di tempesta un pò ovunque e noi siamo curiose di sapere la vostra opinione come sempre. Avete già in mente cosa potrebbe succedere? Siamo già all'ottavo capitolo, avete avuto modo di farvi un idea più precisa dei nostri eccentrici protagonisti? Un bacio e speriamo di sentirvi numerose mentre vi rinnoviamo il nostro appuntamento alla prossima domenica.
BLACKSTEEL
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro