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44. War of Worlds

Nunc aut nunquam
(Ora o mai più)


ANDREW



La lite tra Aiden e sua madre andava avanti da giorni, la situazione si fece ancora più tesa con l'apparizione di Alan nel primo pomeriggio. A quel punto mi sentii di troppo. Anche la mia vita stava andando lentamente a rotoli, a furia di rimanere imbrigliato nei drammi dei Berg avevo finito per mettere in secondo piano i miei problemi che forse non erano così gravi, ma sicuramente urgenti. Levin aveva smesso di rispondere alle mie telefonate da giorni ed il mio senso di nausea cresceva ora dopo ora ormai. Non potevo più reggere quel silenzio, la preoccupazione mi teneva sveglio la notte e fu con quel disagio dentro che mi misi in piedi e mi infilai il cappotto.
Aiden fu il primo a notarlo, allungò un braccio per toccarmi – Dove vai?
- Sono di troppo qui. Vado a farmi un giro ... queste sono questioni che dovete risolvere tra voi. Cercate di ragionare, dannazione
Aiden stava diventando ingestibile, la sua breve accondiscendenza e passività aveva lasciato posto ad una rabbia che non vedevo da tempo, ma tipica del suo carattere. La fisioterapia lo distruggeva e quei piccoli passi avanti non gli sembravano abbastanza. Il suo malessere mi faceva soffrire, se ne avessi avuto il potere lo avrei messo io stesso in piedi e costretto a camminare, a combattere per riprendersi la sua vita, ma la realtà era deludente: nessuno di noi poteva far nulla per Aiden, a meno che non fosse stato lui stesso a risvegliarsi da quello stato di depressione e rabbia. Non voleva essere aiutato, perfino fare il bagno stava diventando una lotta all'ultimo sangue. Avrei dovuto usare il pugno duro forse, fare come Keno e costringerlo anche con le cattive a reagire, ma non ce la facevo ... c'era ancora una grossa parte di me che voleva proteggere Aiden dal dramma che gli aveva rovinato la vita.
Mi ero messo in auto con troppi pensieri per la testa e nessuna soluzione, erano le quindici del pomeriggio e sapevo che a quell'ora Keno usciva da scuola. Non ero lì per lui, il mio sguardo vagava sugli studenti che camminavano in fretta verso le loro auto o la metro, stavo aspettando di vedere Levin, perché quello era l'unico modo che avevo per costringerlo ad affrontarmi e interrompere quel dannato silenzio.
Avevo cercato di resistere per giorni, non volevo essere pressante con lui o dargli l'impressione che anch'io fossi preoccupato come i suoi genitori, ma in effetti lo ero e non potevo più vivere con quel groppo in gola. Aspettai per quindici minuti, nel frattempo anche Keno era venuto fuori, lo vidi lanciarmi un'occhiata fulminante, sapeva bene perché ero lì e allo stesso tempo non me ne poteva importare meno.
Balzai su soltanto quando Levin apparve nel mio campo visivo. Era da solo, con il cappuccio della sua felpa tirato su e l'aria assente. Vederlo in quello stato non mi tranquillizzò, anzi mi fece sentire perfino peggio. Non mi aveva notato, così fu sorpreso quando gli andai incontro, bloccandogli il passo. Sorpreso e anche intimorito, constatai ad una seconda occhiata.
- Dove diavolo sei finito?
Niente preamboli, niente stronzate. Lo guardai dritto in quegli occhi sfuggenti e troppo vacui. Non mi piacevano.
Non si fermò, mi fissò soltanto per un istante prima di distogliere lo sguardo dal mio viso e abbozzare un sorriso che non coinvolse per niente gli occhi
- Ehi Andrew ... che ci fai qui? – il tono distaccato con cui mi parlò mi fece male.
- Che ci faccio qui? – ero esterrefatto – sei scomparso! Ecco che ci faccio qui. Ce l'hai ancora un telefono? Perché la voce non l'hai persa a quanto pare.
- Non fare il drammatico – ancora quei modi distaccati
- Quindi tu scompari di punto in bianco, non rispondi alle mie telefonate e non passi più a casa e io starei facendo il drammatico. Perfetto
Quella situazione era talmente assurda da farmi ridere.
- Ero occupato, ok?
- Occupato? In cosa?
La sua voce era fredda, non lasciava trasparire nient'altro che pura indifferenza. Mi parai davanti a lui per spingerlo a fermarsi. Non mi guardava
- Hai ricominciato a farti – non era una domanda, bastava guardarlo in quei dannati occhi assenti per capirlo.
Le mie parole lo avevano spinto a muoversi, stava cercando di oltrepassarmi
- Lasciami perdere, ok? Fa finta che non sia successo niente.
Ero sconvolto, tutto quello non aveva senso.
- Levin, cosa stai dicendo? Che cazzo sta succedendo? Mi dici di andare avanti! Cinque giorni di silenzio assoluto e quando vengo a chiarire con te ti ritrovo in queste condizioni. Fatto, apatico e stronzo come non ti ho mai visto – continuava a non guardarmi, a quel punto lo bloccai mettendogli le mani addosso – cazzo, puoi almeno guardarmi mentre ti parlo?
Finalmente lo fece. I suoi occhi sostennero il mio sguardo come gli avevo chiesto, ma non c'era niente da vedere lì dentro. Un brivido mi percorse la schiena.
- Cos'è successo? Puoi almeno dirmelo? Ok, forse ho affrettato troppo le cose. Credevo che tra noi due ci fosse qualcosa di concreto. Forse mi sbagliavo, forse ancora una volta ho fallito a non mostrarti i miei sentimenti, non sarebbe la prima volta e sto brancolando nel buio. Non so che fare. Parlami, Levin ... aiutami a capire – la mia voce si spezzò.
Stava iniziando a piovere e il cortile della scuola era deserto ormai, eravamo da soli o forse c'ero soltanto io. Lo presi per il braccio fino a tirargli fuori le mani dalle tasche, erano fredde quando le strinsi nelle mie.
- E' per via di Aiden? E' perché sta da me? – ero disperato, stavo tentando ogni via.
- No
- E allora perché non sei più passato?
Levin scosse la testa – Lui non mi vuole più vedere, ma non è un problema. Lo capisco.
Continuavo a guardarlo nella disperata speranza di trovare qualcosa in lui che avrebbe potuto ricordarmi il vecchio Levin, quel ragazzo che iniziavo a volere nella mia vita più di qualsiasi altra cosa al mondo. Era una ricerca vana però, le parole che pronunciò dopo me ne diedero la conferma finale.
- E' che ... non so, ho fatto il passo più lungo della gamba – aveva anche abbozzato un sorriso imbarazzato, da colpevole
- Che vuoi dire? – chiesi senza fiato
- Che non volevo niente di tutto questo, Andrew. Non sono pronto a impegnarmi in una storia. Con Aiden non facevamo sul serio e con te è stato uguale. Non sono fatto per quel genere di cose, quindi lasciami da solo. Non è un buon periodo per mettermi a giocare alla coppietta felice.
Un'altra risata strafottente che però non mi fece più effetto. Mi stava sottovalutando, credeva che fossi così insicuro o idiota da non capire che quelle erano soltanto delle comode menzogne dietro cui nascondersi. Ma perché lo stava facendo?
- Giocare alla coppietta felice? Io non stavo giocando e neanche tu. A Capodanno eravamo pronti a partire ... eri tranquillo, stavi bene, non sono pazzo! Eri a tuo agio con me, stavi riprendendo a suonare e mi sembrava di capire che avessi parlato di me a tuo padre ...
- Già, ho commesso un errore. Ho sottovalutato tutto.
Ero sconvolto, stavo vedendo le mie poche certezze sbriciolarsi davanti a me e non sapevo come porre rimedio a quel danno. Rimasi impalato lì, incapace di credere che quel Levin fosse lo stesso ragazzo con cui avevo passato gli ultimi mesi.
- Non voglio parlare con te mentre sei in questo stato.
- Beh, mi dispiace.
Non era lì con la testa, qualsiasi cosa gli stesse succedendo lo stava facendo a pezzi e chiaramente non voleva parlarmene. Com'eravamo finiti in quello stato? Non aveva senso insistere con un Levin in quelle condizioni.
- Sabato sera, ti aspetto a Coney Island
- Allora non hai capito niente di quello che ho detto
Non lo lasciai continuare – Ho capito perfettamente, ma voglio che tu lo dica mentre sei in te. Vieni e ripetimi tutto quello che mi hai detto oggi. Se lo farai giuro che accetterò le tue stronzate e non ti cercherò più. Nel frattempo smettila con quella roba ... non vedi come ti riduce?
Le mie parole sembrarono risvegliarlo da quello stato di apatia. Scattò in avanti e alzò la voce
- Sei mio padre adesso? Pensi che puoi venire qui a farmi le scenate e a dirmi cosa posso e non posso fare soltanto perché abbiamo scopato un paio di volte?
- Un paio di scopate? Stai riducendo tutto ad un paio di scopate? Ma ti senti? Credi che sia così idiota da non aver capito che non si trattava di scopare? Credi che non ti conosca neanche un po' e che tu possa venire qui a farmi dubitare di tutto facendo lo stronzo con me e insultando la nostra storia?
Ero senza parole, sapevo che non sarebbe stato facile parlare con lui, ma non avrei mai potuto immaginare quello che mi sarebbe toccato sentire. Lo guardai dritto negli occhi e dovetti constatare che era tutto inutile. Lui non era lì.
- Devo andarmene, mi vuoi mollare?
- Sabato a Coney Island. Ti aspetto - dissi a denti stretti, con l'ultimo briciolo di orgoglio che possedevo.
Poi andai via, senza lasciargli la possibilità di opporsi o ribattere. Quando entrai in auto lui era ancora immobile nel bel mezzo dello spiazzale, mi aveva seguito con lo sguardo e resistere all'impulso di scendere di nuovo dall'auto fu più complicato del previsto.
Invece ripartii subito dopo, con un nuovo senso di disperazione che mi attanagliava il petto.
Il suo comportamento mi stava distruggendo, non potevo continuare a tirarlo su senza ricevere neanche una spiegazione in cambio. Ne andava della mia sanità mentale.
Vagai per la città per ore intere, badavo a stento il percorso che stavo seguendo, in compenso continuavo a tormentarmi per quello che era successo; non riuscivo a trovare un senso al comportamento di Levin, né a quelle parole che aveva pronunciato con l'intento di ferirmi e spingermi a prendere le distanze. Alla fine quando tornai in centro era già sera.
Le luci del soggiorno erano spente, soltanto l'abat-jour nella stanza di Aiden rischiarava un po' l'ambiente. Mi diressi piano verso la porta, poi l'aprì quel tanto che bastava per sbirciare dentro
- Ehi, pensavo stessi dormendo ...
Aiden era sveglio, la tv era accesa ma il volume era molto basso. Sembrava sollevato di vedermi
- Non ancora, a volte fatico a prendere sonno da quando mi sono risvegliato ... - ammise
- Mi dispiace. Vuoi che ti porti qualcosa? Del latto caldo?
Lui scosse la testa – No, sto bene così. Però possiamo parlare un po'?
- Certo
A quel punto avanzai verso il letto, mi tolsi le scarpe e andai a sedermi accanto a lui, nel mio vecchio matrimoniale che avevo ceduto ad Aiden. Mi stiracchiai appena e gli lanciai un'occhiata
- Allora? Sei andato a fisioterapia alla fine?
- No, ma Keno mi ha costretto a fare gli esercizi lo stesso. Non è che cambi molto comunque ... - poi scosse la testa, il suo sguardo si era fatto più penetrante mentre si fissava su di me – perché dobbiamo parlare sempre e solo dei miei problemi? Ci penso già ventiquattro ore su ventiquattro. E adesso i medici vogliono che venga assistito da uno psicoterapeuta, sai? Mi aiuterà durante la guarigione, a detta loro.
Aiden rise, sprezzante. Nonostante le parole rabbiose non sembrava agguerrito come nei giorni precedenti. Gli passai una mano tra i capelli e glieli scompigliai un po'
- Falli contenti e basta, se è quello che vogliono. Lo sai che si preoccupano per te ... ti vedono soffrire e ci stanno male.
Lui non rispose, sembrava meditabondo e stanco, poi abbassò lo sguardo su una pila di cd ai piedi del letto. Levin era l'unica persona che conoscevo a comprare ancora dei cd, dovevano essere senza dubbio suoi.
- Ho dimenticato di restituirli a Levin quelli ... non credo che tornerà molto presto. Dovrei dire a Keno di portarglieli a scuola uno di questi giorni.
L'occasione era lì, mi era stata servita su un piatto d'argento, quindi non mi sentii troppo meschino quando parlai
- Cos'è successo? Perché dici che non tornerà?
Aiden mi guardò dritto negli occhi – Sono stato io a chiedergli di non farlo. Non sarebbe stato giusto per te ... per me. Insomma, dopo quello che ho fatto non ho bisogno di un promemoria che mi ricordi di quei momenti che vorrei solo dimenticare.
Tutto si faceva più chiaro per certi versi, ero talmente perso nei miei pensieri da non fare caso alla mano di Aiden, adesso immobile sul mio braccio. Era più vicino, non ero così stupido da non sapere cosa stava cercando di fare.
- Gli ho detto che volevo ricostruire un rapporto tra noi due ... o almeno provarci.
Era stato un sussurro, ma così comprensibile da non lasciare dubbi. Non chiesi che genere di rapporto, quella situazione si stava complicando ulteriormente e non potevo permetterlo. Volevo bene a quel ragazzo, avrei fatto di tutto per farlo stare meglio e allo stesso tempo non potevo tornare sui miei passi.
- M-ma forse è troppo presto per parlarne – Aiden abbozzò un sorriso imbarazzato, il mio silenzio lo aveva reso nervoso.
Mi sentii in colpa, volevo trovare un modo per mitigare quella sofferenza. Come potevo stargli vicino senza fargli del male?
- Dovresti provare a dormire ... posso rimanere un po' con te se vuoi
Lo avevo sorpreso, Aiden aveva annuito piano, poi mi girai su un fianco e ci coprì. Passai il mio braccio intorno alle sue spalle e chiusi gli occhi
- Grazie, Andrew ... grazie per non odiarmi.
Quelle parole mi fecero male, soltanto la brutale sincerità avrebbe potuto mitigare i suoi sensi di colpa.
- Non ti ho mai odiato e non ti odierò mai. Ti voglio bene, Aiden ...


KENO


- Keno, vuoi fermarti? – mi richiamò mia madre per l'ennesima volta – hai sentito cosa ho detto? I tuoi zii e i cugini verranno qui nel pomeriggio. Sarebbe il caso che tu non sparisca
Io sbuffai mentre mi mettevo il giubbotto – sto andando da Aiden, non so quando torno
Quella frase ormai la sentiva così spesso da detestarla, potevo leggerlo nei suoi occhi quanto fosse delusa dal mio comportamento ma a me non importava.
- Ti proibisco di andarci – disse con rabbia – sta diventando un'ossessione! Mi sembra di avere un fantasma in casa, ora basta. C'è la sua famiglia con lui, tu non esci di qui!
Io risi di scherno – davvero? Mi piacerebbe vedere come intenderesti impedirmelo.
Fu un gesto rapido, mentre lei sporgeva un braccio nel tentativo di afferrarmi, la mia mano fu sulla maniglia, aprii la porta e mi gettai fuori dall'appartamento prima che la sua presa mi raggiungesse. Scesi le scale di corsa mentre sentivo i passi di mia madre e le sue urla che riecheggiavano nel palazzo.
- Keno! Torna subito qui!

Avevo altro da fare, troppo per mettermi a tenere a bada gli isterismi di mia madre, lei non conosceva la verità, non capiva quanto fosse importante che io andassi lì. Forse, anche se lo avesse saputo, non le sarebbe importato e non potevo biasimarla, anche io ero come lei. Non mi importava di nulla, avevo sempre pensato a me stesso ma Aiden era diverso, non avrei mai potuto voltargli le spalle.
Puoi lasciare indietro chiunque in questa guerra che chiamano vita, tutti tranne lui.
Ero totalmente sovrappensiero mentre camminavo lungo il marciapiede per raggiungere la metro, non mi resi nemmeno conto di quello che stava accadendo intorno a me. Sentii solo qualcosa afferrarmi con violenza, mi ritrovai a sgranare gli occhi mentre venivo trascinato in un vicolo buio e sbattuto al muro con forza.
La resa dei conti.
Forse avremmo potuto chiamarla così, fissai il volto del ragazzo davanti a me e non mi stupii di vederlo, né di quello che stava evidentemente per succedere. Alencar mi fissava con sguardo fiammeggiante, lo stesso con cui mi aveva fronteggiato davanti alla scuola giorni prima, lo stesso odio.
Il primo pungo arrivò così, all'improvviso, come se non potesse più riuscire a trattenerlo, il secondo lo seguì con altrettanta violenza. Mi ritrovai immerso nel dolore, boccheggiante mentre Alencar continuava a pestarmi come se non ne avesse abbastanza, come se potesse continuare per sempre o fino alla mia morte.
Caddi, il mio corpo colpì l'asfalto duro mentre non avevo nemmeno la forza di urlare, a quel punto lo vidi fermarsi e gettarmi un'occhiata dall'alto in basso. Dai suoi occhi non traspariva pietà, non che ne desiderassi o meritassi ma comunque non ce ne sarebbe stata.
- Pensi di uccidermi o sei soddisfatto? – chiesi mentre faticavo a mettermi seduto.
Il volto era una maschera di dolore, per non parlare dello stomaco e del fianco destro, cercai di sostenere quello sguardo vuoto ma mi resi conto che non ero tanto coraggioso. Lui continuava a stare lì e fissarmi tanto da rendermi ancora più nervoso.
- Pestarmi non cancellerà quello che ha fatto! – gli feci notare – e non cancellerà chi sei tu, lo hai messo in trappola. Cazzo, dici qualcosa invece di stare lì!
Fu in quel momento che lo vidi muoversi, fece un passo davanti a me ed io mi ritrovai ad indietreggiare d'istinto, piegò le ginocchia e portò i nostri sguardi alla stessa altezza.
- Quelli come te non mi piacciono – disse in un sussurro basso – quelli che pur di portare a casa un risultato feriscono indiscriminatamente anche quelli a cui dicono di tenere
- Mi fai la predica? Tu? – risposi tentando di regolarizzare i battuti del mio cuore, non volevo mostrami debole.
- Callum si è preso cura di te – continuò – so che lo ha fatto. Ci tiene a te e tu lo hai ferito, con quella confessione da quattro soldi. Volevi umiliarlo e farlo sentire colpevole anche se lui è stato gentile con te
Avevo sempre vissuto la mia vita come se fossi stato in un campo di battaglia, come se dovessi portare a casa un risultato ad ogni costo. Alencar aveva ragione, mi ero sentito ferito dal comportamento di Callum, avevo visto i miei consigli ignorati, lo avevo guardato mentre voltava le spalle alla scelta che mi sembrava più giusta. Sentivo che avevo perso in qualche modo e che anche Callum doveva perdere qualcosa.
Imparerai mai a chiedere perdono per le tue mancanze?
- E' la mia punizione questa? – chiesi stentando mentre il dolore al fianco si intensificava sempre di più.
- E' un avvertimento – chiarì con tono freddo – se lo umilierai ancora una volta, se gli farai del male in qualsiasi modo, se lo ferirai ... io ti ucciderò
Oh, guardalo. Sai che lo farà.
Non avevo mai percepito la verità venire fuori così chiaramente dalle parole di qualcuno come in quel momento, mentre Alencar si rimetteva in piedi lentamente. C'era qualcosa di tremendamente pericoloso in quel ragazzo e mi toccò aver paura non solo per la mia vita ma anche per Callum. Con che genere di uomo aveva deciso di invischiarsi? Gli avrebbe fatto del male per aver pensato di denunciarlo?
Alencar sparì pochi istanti dopo, lasciandomi lì ancora a terra, stordito dal dolore e da quelle parole. Sapevo di non poter restare lì per sempre e il cellulare che aveva preso a vibrare nella mia tasca mi ricordò del mio appuntamento. Era Aiden che mi stava chiamando, strinsi il telefono per un momento nella mano ma non riuscii a rispondere. Adesso persino la mascella aveva iniziato a farmi male, mi misi semplicemente in piedi, pulii i miei vestiti e la mia faccia sommariamente con la manica della felpa.
Non puoi permetterti di crollare.
Inspirai e ripresi il mio cammino, uscii dal vicolo e mi diressi verso la metro, poi proseguii in direzione dell'appartamento di Andrew.
Infilai la chiave nella toppa ed entrai sperando che quel pomeriggio fosse solo leggermente migliore degli altri, ma non doveva essere così. Sentivo Aiden sbraitare, non riuscivo a capire esattamente quello che stesse dicendo ma ormai non aveva importanza.
- Keno?! – urlò ad un tratto prima che io potessi entrare nella cucina – sei in ritardo! Perché non rispondi quanto ti chiamo?
A quel punto entrai e lo vidi al tavolo con Andrew, lui stava lì a fare il buon maggiordomo mentre Aiden si lasciava reggere persino il bicchiere. Quella visione mi fece incazzare ancora più di tutto il resto di quella giornata di merda.
- Sei diventato paraplegico adesso? O Andrew sta facendo un corso per diventare la tua mammina? – sbottai facendo sobbalzare entrambi.
Era evidente che il mio aspetto li aveva lasciati impietriti, dovevo essere una visione raccapricciante ma i miei occhi severi non si spostarono, rimasero fissi su Aiden. Quello parve turbato, vedeva il mio aspetto ma aveva anche sentito le mie parole e decise di dargli peso.
Lo vidi sollevare il bicchiere con le sue mani, ancora pieno d'acqua, come per mostrarmi che poteva farlo e poi scaraventarlo a terra. Andrew sobbalzò e si sollevò dalla sedia, pronto a pulire tutto mentre io scuotevo la testa e passavo oltre, diretto in bagno.
Hai un aspetto di merda.
Il mio riflesso allo specchio me lo fece presente piuttosto chiaramente, anche dopo essermi sciacquato il viso e ripulito dal sangue secco, la mia faccia faceva abbastanza schifo. Avevo il labbro spaccato, lo zigomo livido e un'escoriazione sotto il mento, fortunatamente il naso non sembrava essere rotto anche se era abbastanza arrossato e gonfio.
Appena uscii dal bagno mi ritrovai Andrew davanti che mi fissava con quella che doveva essere della preoccupazione.
- Non diventerai anche la mia infermiera mi auguro – dissi prima che potesse aprire bocca.
Quello scosse la testa – sei incredibile, fai lo stronzo anche adesso? Cosa ti è successo?
- Essere uno stronzo è un lavoro a tempo pieno – risposi passando oltre la sua figura – e piantala di farti trattare come un deficiente
- Sto facendo quello che posso, Keno – protestò con tono sfinito – è un casino, lui è ... -
- Un problema mio – sentenziai prima che potesse aggiungere altro – fatti un giro, ci penso io
- Sei sicuro? – parve indeciso – non vuoi che ti porti in ospedale, per ...
Io scossi la testa e me ne andai senza rispondere, avevo ben altro a cui pensare, come Aiden che ero certo non fosse andato a fisioterapia nemmeno quel giorno e che aveva deciso di non mangiare a giudicare dal piatto ancora pieno.
- Sembri un moccioso che fa i capricci – dissi piazzandomi davanti a lui ed incrociando le braccia.
- E tu un sacco da boxe – commentò, non c'era più la solita rabbia che ormai era perenne nel suo tono, sentii della preoccupazione – che cosa ti è successo?
Non risposi subito, sentii qualcuno entrare in cucina e vidi apparire Andrew con indosso la giacca.
- Io esco un po' – disse mentre ci salutava e posava ad Aiden un bacio sulla testa.
Dio, che odio.
Scacciai quel pensiero mentre vedevo che il mio amico diventava improvvisamente più triste, attesi che la porta dell'ingresso venisse chiusa prima di dare voce a quella domanda pensante.
- Che ti prende? Con lui ... – non avevo la forza nemmeno di continuare ma Aiden sapeva quello che stavo chiedendo.
Scosse la testa – non è successo niente, io ... - fece una breve pausa – ho provato a fargli capire qualcosa, però ... lui non sembra
Lui non ti vuole, sta qui per pulirsi la coscienza, lui ha quel Levin.
- E' tutta colpa di questa dannata cosa! – protestò colpendo la sedia – come posso essere desiderabile in queste condizioni? Chi mi vorrebbe?
- A me non importa della sedia – dissi di getto – per me sei tu e basta
Sorrise, solo leggermente, prima che la sua mente fosse annegata nuovamente da chissà quali pensieri.
- Aiden ... - lo chiamai e lo vidi tornare a guardarmi.
- Sono un amico di merda – mormorò – tu sei qui con quella faccia orrenda e io mi sono rimesso a frignare per Andrew
- Va tutto bene, sai che puoi parlarmi di tutto – mi costò dire quella frase ma preferivo sapere cosa stava accadendo anziché immaginarlo.
- Anche tu! Quindi smettila di cambiare discorso e dimmi che hai fatto alla faccia – insistette.
Io sospirai – ho fatto incazzare un tipo, sai com'è la mia lingua lunga
- Chi? – sembrava stranito.
- Ti ricordi Callum? Ci siamo frequentati per un po', mi ha aiutato con la scuola mentre tu eri in coma – gli raccontai – ho fatto lo stronzo anche con lui alla fine ma ha una specie di ragazzo fuori di testa
- Ti ha picchiato questo tipo? – Aiden era sgomento – cosa diavolo vuole da te?
- Voleva solo darmi una lezione, ma va tutto bene Aiden. – lo rassicurai.
- Non metterti nei guai – disse all'improvviso e tese la mano verso di me – dico sul serio, non farmi preoccupare. Ci manca solo che finisci in ospedale anche tu
Io gli afferrai la mano – non sarebbe male, potrei venire qui poi a lamentarmi con te e faremmo uscire Andrew di testa
Ancora un flebile sorriso, era sempre più raro che ridesse ma quando lo faceva era bello, era come un'oasi nel deserto.
- Vuoi mangiare qualcosa? – chiesi indicando il piatto – o magari ci facciamo un giro, pranziamo fuori
Aiden tornò teso – non mi va di uscire
Io annuì mentre quel denso baratro inghiottiva anche me, mi ritrovai a poggiare la mia fronte contro la sua mentre le nostre mani erano ancora strette.
- Dimmi cosa vuoi allora – mormorai – qualsiasi cosa
- Voglio tornare ad essere me stesso, voglio svegliarmi e sapere chi sono – confessò – perché sento che sto vivendo solo un riflesso della mia vecchia vita.
Tacqui, non avevo un potere del genere, non potevo chiarire tutte le domande che c'erano nella sua mente senza fare a pezzi anche quel poco che si era ricostruito. Aiden aveva ragione, stava vivendo la sua vita in un conflitto enorme fra ciò che era stato e ciò che stava accadendo in quel momento. Fra quello che credeva dovesse fare e ciò che era giusto che facesse. Aiden era ancora lì in bilico e disperato fra il ragazzo prima dell'incidente e quello che si era svegliato, ed io ero in mezzo con lui, il collegamento fra quei mondi.
Costretto al silenzio.

CALLUM


Non mi ero dato per vinto, stavo insistendo, stavo lottando proprio come avevo detto a Tian, ma ovviamente con scadenti risultati. Avevo cercato di rintracciare Alencar ma non c'ero ancora riuscito, continuavo a passare da casa sua e lasciargli messaggi sul telefono ma lui non sembrava intenzionato a rispondere.
Persino quel giorno, dopo che terminai le mie lezioni, era lui il mio punto fisso, l'unico a cui pensavo e l'unica persona che avrei voluto vedere. Mentre mi dirigevo verso l'uscita speravo quasi di vederlo, scorgere la sua auto mentre mi aspettava appostato fuori dal cancello.
Ma quello era prima. Prima che lo tradissi.
Era doloroso fare i conti con quella realtà, rendermi conto di quanto tutti i gesti che lui aveva sempre fatto per me e per i quali lo avevo disprezzato, ora mi mancassero. Sentirlo vicino, i suoi occhi che mi scrutavano anche quando non riuscivo a vederlo, la sua silenziosa protezione, mi resi conto di quanto mi facesse sentire solo la sua assenza.
Mi strinsi nelle spalle e decisi di seguire il mio solito schema, passare al suo appartamento, poi in qualche pub della zona, vagare nei vicoli bui di Coney Island sperando di incrociarlo.
Si era già rivelato un pessimo piano ma era il migliore che avessi, così quando mi ritrovai davanti al vecchio palazzo mi andai a sedere sulle scale familiari dell'ingresso, pronto alla mia lunga attesa.
- Ehi amico, hai qualche spicciolo?
Sollevai lo sguardo e mi ritrovai davanti ad un uomo sulla trentina, i suoi vestiti erano logori e sporchi e il suo aspetto piuttosto mal messo. Si grattava insistentemente un braccio mentre mi fissava con un paio di occhi scuri e vitrei.
Mi agitai leggermente – no, mi dispiace non ho niente
Quello non si allontanò, anzi si avvicinò di un passo – Niente? Non direi. Andiamo amico, sii gentile ... - insistette.
- Senti io non ho nulla con me, forse ho una mela, non è molto ma se hai fame... - cercai di abbassarmi verso lo zaino ma restai impietrito.
L'uomo aveva tirato fuori un coltello e mi fissava con sguardo rabbioso – una mela? Cosa cazzo me ne faccio di una mela? Tira fuori il portafoglio stronzo e dammi il telefono!
Io cercai di indietreggiare sugli scalini ma lui mi sovrastato puntando la lama verso di me, inspirai e misi la mano nello zaino nel panico in cerca del portafoglio senza distogliere lo sguardo da quell'uomo.
- Cosa cazzo stai facendo?
Quella voce.
Persino lo sconosciuto si voltò sobbalzando mentre si allontanava di qualche passo da me ed entrambi guadavamo la figura che si era avvicinata.
Alencar...
- Allontanati da lui – continuò con voce bassa e rabbiosa.
L'altro, nonostante fosse armato, fece come gli era stato detto, sembra spaventato adesso e posò il coltello in tasca alzando le mani in segno di resa.
- Al-encar – disse a stento – io, non ho fatto niente. Giuro, non l'ho toccato ... non sapevo
- Se ti vedo di nuovo a girare da queste parti ti taglio qualcosa – continuò l'altro senza un briciolo di sentimento nella voce, il suo tono era totalmente piatto.
Mi si accapponò la pelle e anche lo sconosciuto ne fu raggelato, annuì rapidamente e poi corse via, sparì lungo la strada senza voltarsi mentre io restavo lì su quelle scale.
Per un momento sperai che fosse lui a dire qualcosa ma non lo fece, era pronto a salire ed entrare nel palazzo così mi sollevai di scatto e gli afferrai un braccio.
- Grazie – sussurrai mentre lo vedevo voltarsi.
Non volevo lasciare la mia presa anche se il suo sguardo sembrava dirmi proprio quello, il suo volto era cereo e rigido come quello di una statua.
- Lasciami – disse alla fine rompendo il silenzio.
Non lo feci, sapevo che in qualche modo stavo rischiando disubbidendo a quell'ordine ma non volevo lasciarlo, non ora che ero riuscito a trovarlo, non prima di avergli parlato.
- Ho bisogno di parlarti Alencar – mormorai cercando di non balbettare -ti prego, dammi la possibilità di spiegarmi
- Non c'è niente da spiegare – mi fermò – tu devi andare a casa e io ho degli affari da sbrigare
Oh, te ne pentirai ...
- Gli affari di Kurt? – chiesi con tono fermo, mettendo da parte la paura che provavo nel parlare tanto direttamente.
- Cosa? – fu un sibilo più che una domanda.
Mi afferrò per il braccio e mi trascinò dentro il palazzo, mi spinse in ascensore e salimmo fino al suo appartamento in un silenzio carico di tensione. Riprese a parlare solo quando chiuse la porta di casa sua e ci ritrovammo soli, lontano dalla strada.
- Che cosa cazzo credi di sapere Callum? Perché sei qui? – mi chiese sprezzante.
- Non so niente, per questo sono qui – risposi tenendogli testa – sono qui perché non voglio abbandonarti, voglio sapere cosa succede, voglio stare al tuo fianco
- Non dire stronzate – mi interruppe – dove hai sentito quel nome?
- Qui ... - mormorai riportando alla mente quel giorno – l'ho sentito pronunciare a te e al tuo amico, quello che è morto, non stavo dormendo io
- Ci stavi spiando – concluse – stavi raccogliendo delle informazioni da dare agli sbirri, giusto?
Perdonami.
Abbassai la testa – non lo avrei mai fatto, te lo giuro. Credevo di volerlo ma ...
- Ma cosa? È quello che mi sono meritato del resto – il suo tono era calmo ora, pragmatico – ti ho distrutto la vita e nessuno dei due può negarlo, mi sembra assolutamente umano volersi sbarazzare del proprio aguzzino
Io mi strinsi nelle spalle e scossi la testa – no ... non è come credi
- Ah no? Apri gli occhi Callum, io sono un mostro – disse come se fosse la cosa più scontata da ammettere – ho fatto cose orribili e continuerò a farne, mi metterò nei casini e forse morirò quindi smettila di sprecare il tuo tempo a giustificarti con me e vivi la tua vita
- Ma io ti voglio nella mia vita! – ribattei – ero solo arrabbiato, perché tu continuavi a scegliere lei – le lacrime cominciarono a scorrere sul mio viso mentre riportavo alla mente quei ricordi – credevo di valere qualcosa per te e poi mi sono ritrovato nel letto e ... avevo capito che tu avevi ricominciato a fare sesso con lei! E volevo punirti ... e ho pensato ... - mi presi la testa tra le mani.
Sentii la mano di Alencar sfiorarmi una spalla e io mi gettai contro il suo petto, stringendolo il più possibile.
- Ero geloso ... - ammisi a denti stretti – ero arrabbiato e mi dispiace di aver solo pensato di poterti fare una cosa del genere ma ti giuro che non sarei mai andato fino in fondo, non ti farei mai del male, non vorrei mai che ti portassero via
Sentii le sue braccia avvolgermi e stringermi, era come tornare a respirare.
Non lasciarmi.
- Forse avresti dovuto – commentò con voce amara – apparteniamo a due mondi diversi Callum. Continuare a voler avere a che fare con me ti farà solo finire male, io non posso cambiare, la mia vita non me lo permette mentre tu hai una scelta.
- E ho scelto te! – insistetti staccandomi leggermente per poter incrociare i suoi occhi – parlami di Kurt, parlami di tutto quello che succede
- Lui è il mio capo – cominciò con mia grande sorpresa – il capo dell'intera città, è un uomo pericoloso e tu non dovresti nemmeno sapere che esiste. Ha ucciso Jonas e centinaia di altre persone, chiunque si ribella muore
- E il fratello di Levin ... - mormorai – fa parte del tuo giro?
- Lui è fra quelli che Kurt vuole vedere morto ma io ho deciso di aiutarlo, lo sto proteggendo e insieme abbiamo intenzione di uccidere Kurt se lui non ci fa fuori prima – spiegò.
Mi girava la testa, quelle informazioni mi avevano sconvolto, toccare con mano quanto quella situazione fosse rischiosa mi fece venire una fitta allo stomaco.
- E tu non volevi dirmi questo? – dissi totalmente spaesato – volevi combattere questa guerra contro un uomo così spietato tagliandomi fuori così?
- Non è la tua guerra Callum – replicò scostandosi da me – tu non ci devi entrare in questa storia
- Ma se ti dovesse succedere qualcosa ...
- Sarà a me che succederà e mi sta bene – mi interruppe – ho già messo in conto questo, conosco il modo in cui ho vissuto la mia vita e anche la fine che mi merito. Se non accadrà tanto meglio ma la morte è sempre stata lì per me, non può essere altrimenti
Non puoi, non puoi lasciarmi, non puoi andartene adesso che ti ho raggiunto.
Il mio corpo fremeva, ero rigido mentre sentivo quelle parole terrificanti, non resistetti. Mi avvicinai nuovamente ad Alencar e lo colpii, uno schiaffo dritto in faccia che lo fece trasalire.
- Parli come se la tua vita non valesse niente! -sbottai – come se avessi fatto solo cose perfide, come se tu non meritassi niente e non ci fosse nessuno a cui tu mancheresti. Cazzo, Alencar, ma vuoi guardarmi una buona volta! Vuoi accorgerti di me e di quanto io abbia bisogno di te, di quanto tu sia importante
Il suo sguardo si proiettò verso il basso, era la prima volta che si rifiutava di guardarmi negli occhi.
- Parlo come un uomo che ha commesso troppi errori Callum e ora si trova davanti alla scelta definitiva, devo decidere che genere di essere umano voglio diventare una volta per tutte – mi spiegò – questa guerra la devo a me stesso e ai morti che non possono combatterla. Non mi tirerò indietro
- E allora pensa che la vincerai! – insistetti – pensa che ne uscirai e che potrai decidere come vivere il resto della tua vita
- E tu vorresti che io sopravvivessi? Che tornassi da te? Vuoi che continui ad incasinare la tua vita? – chiese tornando finalmente a guardarmi, sembrava che cercasse di scrutare dentro di me qualunque debolezza.
Ma non ce n'erano, ormai ero fin troppo brutalmente onesto.
- Sì, voglio solo te – dissi in tono sicuro – quindi fai la tua guerra e vincila! Perché io ti amo e ho bisogno che torni da me
Lo avevo detto, mentre le mie mani si aggrappavano al suo viso e le mie labbra ci univano in un bacio disperato, come se stessi suggellando un incantesimo che nemmeno la morte avrebbe spezzato, qualcosa che lo tenesse in vita.
Sentii le sue braccia avvolgermi, la sua bocca divorare la mia e capii che non ero il solo a provare quelle sensazioni, non ero il solo ad aver bisogno di quella vicinanza.
- Verresti via con me? – mormorò fra un bacio e l'altro mentre le nostre menti si stavano abbandonando a quel momento.
- Sì, farei qualsiasi cosa per stare con te – risposi di getto, prima che la mia bocca fosse nuovamente presa d'assalto.
Vivi.
Resta.
Ti amo.


ANGOLO AUTRICI:

Nuovo aggiornamento! Parecchio movimentato ahah, come sempre speriamo che la storia vi stia piacendo e che vogliate condividere con noi le vostre riflessioni.  Andrew e Aiden fanno proprio tenerezza XD però qualcuno deve dire a Andrew di rinfoderare il grembiule da infermiera ahah mentre Alencar ha fatto quello che il 90% dei lettori avrebbero voluto fare a Keno da quando è iniziata questa storia XD Un bel pestaggio con i fiocchi ci voleva! E il pov di Callum <3 finalmente si è davvero battuto per riavere Alencar e ha dichiarato e realizzato qualcosa di molto importante e profondo, speriamo sia ricambiato XD Vi aspettiamo la prossima settimana, un bacio


BLACKSTEEL

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