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41. Too much to loose


"Si vis pacem para bellum" Vegezio
Se vuoi la pace prepara la guerra

LEVIN


Il clima a casa si era fatto soffocante dopo l'incidente alla mano. Non mi era chiaro se mio padre e mia madre si fossero bevuti la mia storia, c'era sempre qualcuno di loro pronto ad attendermi in salotto per farmi il terzo grado su dove stessi andando. Anche quel pomeriggio non fu diverso. Arrivai davanti alla porta d'ingresso per ritrovarmi mio padre alle spalle un attimo dopo, rimasi immobile nel sentirlo chiamarmi.
- Ehi, dove te ne vai? Finito i compiti?
Portai gli occhi al cielo e mi voltai indietro – Solo un giro in centro, perché?
- Esci con qualcuno in particolare?
Sapevo dove volesse andare a parare, quel suo modo di sondare il terreno era indicativo di ciò che lui e mia madre stavano iniziando ad immaginare e temere. Ero spiacente, ma nessuno dei due possedeva un'immaginazione tanto florida da poter avvicinarsi anche soltanto di striscio alla verità fortunatamente.
- Papà, passo al negozio di dischi e poi in un pub a bere e leggere qualcosa ... - dissi con il mio migliore tono paziente.
- Vedi di tornare a casa dopo.
Mi venne da ridere – Che cosa vorrebbe dire?
Mio padre sembrò in imbarazzo – Che vivi sotto questo tetto e non puoi uscire e rientrare quando ti pare. Insomma, quella mano ... io e tua madre vorremmo crederti, ma
- Ma cosa? – lo interruppi, stavolta intenzionato a parlare – che cosa volete adesso? Sbaglio o credevate che fossi fatto quando io ed Aiden siamo stati messi sotto da un'auto? E vi siete sbagliati. Intendete mettere in dubbio qualsiasi cosa esca dalla mia bocca? Non mi credete più? Che senso ha allora spiegarvi come sono andate le cose se a quanto pare non vi basta?
Avevo parlato tutto d'un fiato, mescolando verità con menzogne.
- Levin, non ho detto che non ti credo, ma conosco anche il gruppetto che tu e Kai frequentavate e che lui frequenta ancora
- E quindi? Credi che vada a dormire da lui quando non torno qui?
Mio padre sospirò, si stava massaggiando le tempie – Dove vai allora?
- Vuoi mettermi un braccialetto elettronico per controllarmi? Perché non provi a farla passare come legge?
- Levin ... perché non puoi rendermi le cose più semplici? Se hai una ragazza basta dirlo.
Lo guardai dritto negli occhi, non c'era neanche un motivo per cui avrei dovuto mentirgli anche su quella parte della mia vita, su questo punto aveva ragione lui.
- Ok, come vuoi. In effetti sì, ho un ragazzo. Dormo da lui quando non rientro. Casa sua è anche più vicina a scuola.
L'avevo detto senza battere ciglio e mio padre aveva incassato con altrettanta nonchalance, almeno apparentemente. Aveva perso le parole però, lo vidi sbattere le palpebre un paio di volte e fu quello il momento in cui colsi la palla al balzo e lasciai casa mia. Stavo ancora ridendo quando raggiunsi la metro, pensai che fossi stato crudele a lanciare quella palla avvelenata contro mio padre, in fin dei conti era altamente probabile che a causa di Kai sarei morto nel giro di qualche mese; non c'era alcun bisogno di rincarare la dose sui problemi degli Eickam con quel nuovo peso.
Immaginai come avrebbero passato il resto della serata, a parlare di me e della mia rivelazione inaspettata. Alla fine se ne sarebbero fatti una ragione, ne ero sicuro. Con quei pensieri in testa stavo quasi mancando la fermata per Coney Island, mi ritrovai a scendere tra gli ultimi, affrettando il passo per sfuggire al freddo gelido di Brooklyn.
Come era prevedibile non vedevo Andrew da un po' di tempo, forse era meglio così, mi dicevo, Aiden aveva bisogno di lui e meritava le sue attenzioni molto più di me. E poi non ero stato onesto, non ero riuscito a parlargli di Kai e di quello che stavamo rischiando. Ma quel momento doveva arrivare prima o poi, perfino camminare per strada era diventata una tortura, stavo iniziando a scegliere posti molto affollati, dove sarebbe stato più difficile crepare per una coltellata. Non potevo vivere in quel modo però, era solo questione di tempo prima di perdere del tutto la testa.
- Levin! Ehi!
La voce di Andrew mi riportò alla realtà, capii in fretta che anche lui stava rientrando a Coney Island in quel preciso istante. Lo vidi smontare dalla sua auto con qualche busta e dirigersi verso di me. Era stanco, il viso tirato, ma stava sorridendo nonostante tutto. Vederlo mi faceva sempre una strana sensazione, un vuoto allo stomaco preoccupante, quasi un bisogno fisico di toccarlo per sentire che era davvero lì. Non lo feci però, non volevo mostrargli niente di tutto quello, non era il momento e non era giusto. Invece mi incamminai verso casa, accanto a lui.
- Ho fatto tardi, mi aspettavi da tanto? – aveva parlato con un tono allegro quanto esausto, poi mi passò un braccio intorno alle spalle
- Sono appena arrivato. Tu? Eri in centro?
Andrew annuì – Già, sono andato a prendere Aiden in ospedale. Sta facendo fisioterapia e sua madre era di turno pomeriggio, mentre Keno aveva lezione, credevo di poter rientrare un po' prima, ma poi ho dovuto fargli il bagno e quindi ...
Decisi di passare oltre, di non soffermarmi su tutto quello che Andrew stava facendo per Aiden. Potevo immaginare quello che stava succedendo, il modo in cui quei due vivevano a stretto contatto per la maggior parte del tempo. Ed io che potevo fare? Che diritti avevo? Ero solo un fantasma, forse perfino un errore.
- Come sta? – dissi invece, come se non avessi fatto un solo pensiero negativo
Lui fece spallucce – Pensa ad un diciottenne che non può più fare quello che faceva prima. E' frustrato, sta iniziando a perdere la pazienza e credo che la fisioterapia lo snervi tantissimo, però è comunque vivo, no? Anche mentalmente sta recuperando molto bene.
- E i ricordi? Sappiamo di certo che ricorda quello che è successo con me – dissi senza riuscire a nascondere una smorfia.
Ma ad Andrew non faceva più alcun effetto sentirmi parlare di quello che era accaduto tra Aiden e me, glielo leggevo sul viso. Sembrava sfinito e preoccupato, ma la rabbia era passata da molto tempo, sia nei miei confronti che in quelli di Aiden
- Dice che ha dei flash su noi due, ricorda qualcosa, ma non tutto. Comunque mi ha anche detto che vorrebbe parlarti e che si scusa per il suo comportamento ... dovevo dirtelo un paio di giorni fa, ma mi è passato di mente. Sono così stanco ...
Eravamo in casa adesso, Andrew lasciò le buste sul bancone della cucina e venne direttamente da me. Mi immobilizzai un attimo, bloccando il suo viso con la mano per impedirgli di avvicinarsi al mio.
- Perché vuole vedermi?
- Perché dobbiamo parlare di lui anche adesso? – chiese Andrew, irritato.
Lo guardai, stizzito – Perché vorrei capire come stanno le cose.
- Non stanno in nessun modo. Sono alla stregua di un badante e comunque non so cosa vuole dirti. Io e te non ci vediamo da troppo tempo ... posso almeno godermi il mio ragazzo adesso?
Il modo in cui mi guardava lasciava ben poco all'immaginazione, non riuscii più a trovare un buon motivo per trattenerlo. Volevo baciarlo e fare tutto quello che potevo nel poco tempo che avevamo a disposizione. Così lo spinsi sul divano e mi misi a cavalcioni, bloccandolo sotto il peso del mio corpo. Andrew si protese, i suoi occhi erano più scuri adesso, intrisi di voglia e desiderio, ma io non gli permisi di muoversi. Passai le mani sul suo maglioncino stretto e morbido, per sentire sotto la rigidezza dei suoi muscoli. Così belli che avrei voluto percorrerli con la lingua centimetro dopo centimetro, invece mi limitai a sospirare mentre la mia erezione cresceva nei pantaloni.
- Perché stai facendo lo stronzo? Cosa devo fare per avere un bacio? – Andrew si lasciò andare ad una risatina nervosa, continuava a guardarmi come se avesse voluto divorarmi.
- Devi essere mio – dissi con un tono che non mi apparteneva.
- Lo sono. Totalmente tuo ... alla tua mercé, fa di me ciò che vuoi, ma baciami.
Le sue parole mi eccitarono e fecero ridere allo stesso tempo – Come a capodanno intendi?
La mia voce si era fatta roca, il solo ricordo di quella notte mandava in tilt il mio cervello, anche Andrew sembrava in difficoltà, lo vidi deglutire
- Vuoi stare sopra?
- Solo se ti è piaciuto stare sotto ... - dissi con un filo di voce.
Mi calai appena su di lui, fino ad appoggiare i gomiti ai lati del suo volto. Gli sfiorai il viso, passando i polpastrelli sulla barba di un paio di giorni che cresceva sulla sua mandibola. Andrew fremette appena, adesso le sue braccia erano libere di stringermi e toccarmi. Le aveva portate intorno al mio viso e mi aveva attirato a lui.
Il suo sguardo era di fuoco e quando parlò lo fece a pochi centimetri dalla mia bocca
- Mi è piaciuto da impazzire.
Non gli permisi di dire altro, lo baciai con foga, afferrandolo per i capelli fino a spingerlo indietro per poter esplorare la sua bocca con la mia. Mi sentivo sul punto di esplodere e non c'era nessuna necessità di procedere lentamente quella volta, soltanto la mia mano fasciata era un impedimento. Andrew mi stava spogliando in fretta, mentre con la mano buona sbottonavo i suoi jeans e li tiravo giù quel tanto che bastava per poter accedere ai suoi slip. La sua mano si era stretta intorno alla mia erezione, mi ritrovai senza fiato, ma abbastanza in me da potergli dedicare le stesse attenzioni che lui stava dedicando a me.
Il resto fu confuso, Andrew riusciva a mandarmi in tilt come nessun altro prima. Quelle sensazioni mi atterrivano e, allo stesso tempo, mi spingevano a volere sempre di più, a non fermarmi mai anche di fronte al buonsenso. Lo guardai inarcarsi per il piacere, ero dentro di lui e mi muovevo piano, senza mai smettere di osservare il suo viso del tutto perso. Lo stavo mettendo in pericolo? Cosa sarebbe successo se quel boss fosse arrivato per me mentre ero con lui? Mi stavano già pedinando?
- N-non smettere ...
Non lo feci, lo strinsi ancora di più, portando le sue gambe ai lati delle mie spalle per rendere la penetrazione ancora più profonda. Andrew gemette forte, quello era un paradiso a cui non volevo rinunciare. Non mi serviva nessun'altra prova per capire che mi ero innamorato di lui ed era troppo tardi per tornare indietro.
Mi ero addormentato senza rendermene conto, il tepore della vasca ricolma fino al bordo aveva mandato via tutte le preoccupazioni. Era stato il ritorno di Andrew e un leggero spiffero freddo provenire da fuori a farmi svegliare.
- Dimmi se non sono il ragazzo migliore del mondo ...
Era nudo e terribilmente bello, tre le mani reggeva un vassoio con due bicchieri colmi di qualcosa che lasciò sul bordo del box.
Mi ritrovai a ridere mentre mi spostavo in avanti per permettergli di distendersi dietro di me, dove allargò le gambe per farmi appoggiare al suo petto. Si stava fin troppo bene con lui.
- Tè freddo per rifornirti di liquidi. Hai sudato parecchio – mi fece notare, porgendomi uno dei due bicchieri
- Ti stai preparando per il terzo round? Divano, poi bancone della cucina ... quale altra superficie dobbiamo ancora inaugurare?
Andrew rise piano, mi ritrovai le sue braccia intorno al petto, poi mi posò un bacio sulla spalla
- Ho una poltrona nuova nel mio studio ... pare sia reclinabile
- Tu hai uno studio? E a che ti serverebbe? – lo presi in giro
- A studiare nuove posizioni del kamasutra ovviamente
- Che domande stupide che faccio
Poi ruotai appena il collo all'indietro per accogliere la sua bocca che cercava la mia. Le sue labbra erano fredde adesso e sapevano di tè, mi ritrovai a baciarlo con foga.
- E' preoccupante sentirti di nuovo duro ... - commentai ad un centimetro dalle sue labbra
- Visto lo scenario che ho davanti sarebbe preoccupante se non lo fossi, Levin – ribatté lui con aria provocante – ma ti sei mai visto? Riusciresti a farlo alzare perfino ad un cadavere.
- Questa è poesia – dissi, ridendo
- Lo so, sono un tipo romantico, che vuoi farci. Infatti me ne sto abbracciato in una vasca col mio ragazzo fighissimo
- Il tuo ragazzo ... è la seconda volta che lo dici oggi- dissi, incontrando il suo sguardo divertito
- Il mio ragazzo – confermò lui, serio – o forse non ti piace questa definizione?
- Mi piace tutto quello che viene fuori dalla tua bocca – confermai, memore di tutto quello che Andrew e le sue labbra erano capaci di fare e dire, soprattutto in certi momenti.
- Meglio così. Non aspettarti anelli e proposte di matrimonio però
Improvvisamente mi tornò in mente la piccola conversazione avuta con mio padre poco prima di lasciare casa; un attimo dopo mi ritrovai a ridere
- Che ti prende adesso?
- Mio padre mi ha fatto delle storie oggi. Dopo l'incidente della mano sono entrambi sull'attenti ... ha cominciato a chiedermi dove vado quando esco, chi frequento, quando intendo tornare a casa.
Andrew si fece più attento, lo vidi protrarsi verso di me – Ti fanno problemi?
- Ovviamente. Però forse ho parlato troppo stavolta ... gli ho detto che frequento un ragazzo
- Un ragazzo. Wow! Facciamo passi avanti, Eickam. Non è che devo già stampare le partecipazioni per il matrimonio? – mi prese in giro con un tono ironico.
Lo mandai al diavolo e in automatico mi strinse ancora più forte in un abbraccio che non lasciava dubbi su quanto fosse soddisfatto della cosa.
- Bene, non hai nulla da nascondere. Hai fatto la cosa giusta e così forse smetteranno di preoccuparsi troppo
- Qualcosa da nascondere ce l'abbiamo invece, almeno con qualcuno di nostra conoscenza ... - gli feci notare subito dopo.
Andrew scosse la testa – Lo diremo anche a lui a tempo debito.
Quando, mi chiesi? Per quanto tempo ancora avrei dovuto sentirmi un fantasma che prendeva vita soltanto durante quelle poche ore in cui Andrew era disponibile per me?
Non dissi nulla, non serviva a niente dargli quel nuovo peso.


CALLUM


Mi stiracchiai lentamente e mi rigirai nel letto mentre con la mano cercavo lungo il materasso, poggiai le dita su una parte di lenzuolo ancora tiepido e aprii gli occhi. Alencar era in piedi, non si era alzato da molto ma era quasi del tutto vestito, mi soffermai sulla sua schiena ancora nuda e su quella pelle chiara e cosparsa di lentiggini. Non mi stava guardando, mi dava le spalle mentre trafficava nel cassetto alla ricerca di qualche indumento.
- Se cerchi la canotta nera è sulla sedia, sotto tutte quelle felpe – gli dissi.
A quel punto si voltò e accennò un breve sorriso mentre si dirigeva nel punto che gli avevo indicato e recuperava la canotta sotto le macerie di abiti ammassati. La indossò e poi venne verso di me, si sedette sul letto ed io mi accoccolai vicino a lui.
- Dormito bene? – mi chiese con un leggero sorriso compiaciuto – ieri notte abbiamo fatto tardi ma ti ho sentito mugolare nel sonno, hai fatto gli straordinari in privato?
Quell'ultima affermazione mi fece avvampare, non potevo nemmeno negare, lo avevo fatto ancora, avevo sognato di noi, di quei momenti che non avevo vissuto ma mi sembravano tanto reali e nitidi.
- Io ...- tentai di dire nascondendo l'imbarazzo – continuo a sognarti ... - esitai – sembra una cosa molto patetica, lo ammetto
Lui scosse la testa e mi passò una mano fra i capelli – era un bel sogno almeno?
Io annuii, ancora chiaramente rosso in volto – ultimamente lo faccio spesso. C'è questa camera enorme, sembra la suite di un albergo lussuoso, con una vista mozza fiato. E noi siamo lì, immersi nella vasca da bagno o a fissare le luci della città dall'alto e siamo ... - nudi, quella parola non la dissi, mi limitai a distogliere lo sguardo dal suo, che si faceva sempre più intenso.
Questi occhi mi divoreranno.
Ultimamente non lo nascondeva nemmeno, tutto il desiderio che aveva di me, mi permetteva di restare persino nel suo appartamento come se nulla fosse.
- Sai cosa penso? – riprese dopo qualche momento di silenzio – non credo che questi siano solo sogni.
Quell'affermazione mi turbò – che vuoi dire?
- Tutti quelli di cui mi hai parlato, quelle immagini che vedi durante i tuoi sogni, persino le sensazioni che mi hai descritto. Io le ricordo – chiarì – sono cose già successe in passato: quando sono stato male per l'astinenza, quando abbiamo iniziato ad uscire insieme e siamo rimasti a fare l'amore in spiaggia, la notte trascorsa al William Vale Hotel ...
- Ma non ero io ... era ... - tentennai.
- Lei – disse lui per me – stai ricordando parti di vita che Celia ti ha preso. Forse in qualche modo adesso ti senti pronto a viverle
Sorrisi anche se non sapevo il perché, ero felice, forse quella era l'ennesima prova del fatto che stavo riconquistando il mio corpo e la mia mente, significava che il nostro legame ci stava davvero salvando.
- Mi sono perso dei bei momenti – ammisi quasi con tristezza.
- E' stato per il tuo diciottesimo compleanno che siamo stati al William Vale, beh, forse dovrei dire il suo diciottesimo compleanno, era per lei che facevo tutto – disse quasi biasimando quel vecchio se stesso – un mio ex compagno di scuola fa il Night Manager lì e quella volta aveva una camera libera così ci ha fatti entrare di nascosto a patto che la liberassimo prima dell'alba.
Sorrisi – ci tenevi molto a lei, era qualcosa che da una parte mi rasserenava in mezzo alla disperazione. Sapere che tu l'avresti protetta, che la amavi veramente e che non avresti lasciato che accadesse nulla di male – confessai – mi dava un briciolo di pace. Nell'infinita autodistruttività di Celia c'eri ancora tu, ammetto di averla invidiata un po'
Il suo sguardo si fece intenso e passò le sue mani calde sulle mie guance, stringendomi il viso delicatamente – non avrei mai permesso che portasse a compimento il suo piano, forse l'ho capito troppo tardi, forse mi sono lasciato usare troppo a lungo ma alla fine ho visto. Ho capito e ora spero che sia tu a rendertene conto: lei era solo un eco Callum, l'eco di un passato che puoi perdonarti
Quella frase mi spiazzò.
Solo un eco.
Quasi mi risultava impossibile da crederlo, come poteva quella presenza dentro di me essere solo un ricordo, un punto di biasimo della mia storia, come poteva sparire per sempre? Eppure lo stavo facendo, ogni giorno che aprivo gli occhi e pensavo a qualcosa che non mi riportasse a quella calda spiaggia, la stavo battendo. Ogni giorno che vivevo pensando a me, al mio presente, ad Alencar, ogni giorno in cui ero Callum mi rendevo conto di distanziarmi da lei e allo stesso tempo mi sentivo quasi un criminale.
Posso davvero vivere senza quel peso? Ne ho il diritto?
- Sono scappato da lei per anni, mi è sembrato di correre senza andare da nessuna parte, giorno dopo giorno – dissi mentre ripensavo a tutto il dolore che avevo sopportato – mi sentivo sempre così stanco, sempre senza fiato ma non era davvero lei, non era lei che mi urlava addosso. Ero io.
Quando formulai quel pensiero mi sentii il più grande idiota del mondo, mi sembrò quasi che quella risposta fosse scontata, davanti ai miei occhi da tutta la vita ma non l'avevo vista per dieci anni. Dal giorno in cui gli occhi di mia sorella si erano spenti in quella spiaggia, io li avevo riaccesi su di me ma non era giusto.
È troppo perché sia tutto mio, questo dolore è troppo.
- Callum? – la voce di Alencar mi fece riemergere dai miei pensieri, il suo sguardo si posò su di me indagatore ed io mi avvicinai a lui di scatto.
Lo baciai, lo strinsi a me il più possibile e lui non si scostò, anzi, si lasciò attirare ancora più stretto e crollò su di me in quel letto. Sentivo le sue labbra, il suo sapore, il suo odore, percepivo le sue mani scendere lungo le mie braccia e sposarsi sui miei fianchi mentre le mie si agganciavano alla sua schiena. Il bacio durò finchè avemmo la forza di trattenere il respiro e quando ci separammo fu brusco.
Ci fissammo ancora ansimanti.
- Sei tutto quello che ho di importante – dissi all'improvviso fissando quegli occhi verdi – tutto quello che mi resta
Qualcosa si mosse dentro di lui, fu come vedere un'ombra passare davanti ai suoi occhi per qualche secondo prima che le sue labbra si distendessero in un sorriso che avrebbe dovuto rassicurarmi.
- E sono qui
Ancora qualche istante di silenzio e poi lo vidi sollevarsi, forse aveva bisogno di spazio, forse fra i suoi mille silenzi c'era qualche verità difficile da tenere nascosta.
Forse quella verità la conosci.
Lo osservai continuare a prepararsi, prendere un maglione e una giacca da quell'armadio che una volta avevo aperto mentre non guardava. Quell'armadio che nascondeva segreti di cui ero stato pronto a servirmi per distruggerlo. Era durato poco tempo quel pensiero, ma avevo cercato di tradirlo e spesso mi chiedevo se tutto ciò che si imponeva di non rivelare appartenesse a quel mondo.
- Vai via? – chiesi sapendo già che non avrebbe risposto chiaramente alle domande che mi ronzavano in testa.
- Sì, ho delle commissioni da sbrigare – disse vago – penso che starò in giro parecchio. Magari passo a prenderti dopo scuola?
Commissioni, in giro...
- Sono cose che fai per qualcuno? – continuai attirando il suo sguardo su di me, un'occhiata fredda e severa.
- Callum, mi sembra di averti già detto di starne fuori – rispose lapidario – e intendo anche niente domande. Sai già abbastanza
- Non so nulla
- Ed è già troppo – sentenziò – allora, vuoi che ti passi a prendere dopo la scuola? O preferisci che ci vediamo domani?
- No – mi precipitai a rispondere – voglio vederti dopo, forse mi aiuterà a non stare in ansia per tutto il giorno
Lui scosse la testa – non è per me che dovresti preoccuparti, io sto bene
- E per chi allora? Guardaci Alencar, siamo tutto ciò che resta

Inevitabilmente, contrariamente ad ogni logica, mi ritrovai a dover affrontare la mia giornata come sempre. Mi toccò mettermi in piedi e lasciare quell'appartamento, prendere la metro e affrontare un altro qualsiasi giorno di scuola.
Le lezioni, i compagni che vivevano le loro vita placidamente, la routine di un normale ragazzo di diciannove anni mi passavano accanto e allo stesso tempo dall'altra parte c'erano le domande. Le sensazioni, le preoccupazioni, i timori di una realtà feroce. Era tutto lì in due binari che scorrevano l'uno accanto all'altro ed io non riuscivo a capire su quale treno salire, su quale realtà puntare. Dovevo fare come Alencar mi diceva? Fingere di non vedere e vivere tranquillamente in quella bolla di momenti che creava per noi. Oppure dovevo cercare la verità dietro a quelle omissioni rassicuranti?
Pillola rossa o pillola blu, Callum?
Accendendo la mia sigaretta, protesi l'accendino anche verso quella del mio compagno di chiacchierate, Levin si materializzò poco tempo dopo che le mie spalle toccarono il muro del nostro piccolo angolo di quiete.
- Hai un'aria contrita – commentò mentre faceva uscire il fumo dalle labbra – non che sia insolito, ma ultimamente sembravi più sereno
- Mi sento solo davanti ad un bivio – mormorai perso fra le domande nella mia mente – non so quanto voglio davvero sapere di lui, quanto ho il diritto di sapere di quello che sta davvero succedendo nella sua vita o se sia davvero il caso di dargli ascolto
Levin sorrise amaramente – se io potessi davvero liberarmi di quel mondo lo farei, è come un buco nero che trova sempre il modo di risucchiarti, anche se ci metti chilometri di distanza
- Penso che finchè sono coinvolte persone a cui teniamo non possiamo fuggire da certe realtà – dissi – sono i legami che ci impediscono di allontanarci davvero – tornai con la mente a quei vecchi pensieri, al brivido che avevo provato quando avevo realizzato di poterlo distruggere e ricordai anche la vergogna che ne seguì – i nostri sentimenti ci rendono ciechi e allo stesso tempo incredibilmente capaci di non distogliere lo sguardo
- Allora forse hai già la tua risposta, Callum – mi fece notare – ma sappi che hai tutto da perdere e ben poco da guadagnare, per me è stato così.

E la routine ci inghiottì nuovamente, mentre sentivo i due binari di quei mondi paralleli farsi sempre più distanti, il mio corpo continuò a muoversi lungo i corridoi della scuola, incrociare quelle facce che vedevo ogni giorno e di cui conoscevo bene poco.
Vidi persino Keno, di lui mi importava ma riuscire ad avvicinarlo era diventato complicato, era ancora decisamente arrabbiato per quello che era successo ma la sua vita continuava ad essere dannatamente complicata. Anche lui era solo un ragazzo e stava gestendo chissà quale peso dietro quegli occhi freddi, immerso nella sua totale solitudine. Avevo notato che continuava ad essere distante dal vecchio gruppo di ragazzi con cui l'avevo sempre visto, nonostante Aiden si fosse svegliato Keno era ancora bloccato, chiuso in sé stesso.
Fu quel pensiero penoso a spingermi a sfidare l'ira sopita di Keno, gli andai incontro nonostante lui mi avesse evitato deliberatamente fino all'uscita.
- Keno! – chiamai cercando di raggiungerlo nel marciapiede – ehi
Ovviamente provò a ignorarmi ma lo raggiunsi afferrandolo per un braccio, costringendolo a fermarsi e voltarsi.
- Guarda chi si vede – buttò lì scocciato.
- Ah mi vedi? Pensavo di essere invisibile – ammisi incrociando le braccia – credevo fossimo amici
- E io credevo che avessi un briciolo di cervello – sbottò – ma evidentemente abbiamo toppato entrambi
Io scossi la testa – solo perché non approvi tutte le mie scelte non significa dobbiamo smettere di parlare, di supportarci. A me interessa sapere come stai, come sta Aiden, cosa succede nella tua vita
Lui scosse la testa – beh, dovreste stringervi la mano voi due. – aveva parlato con stizza.
- Che vuoi dire? – chiesi e lui parve irrigidirsi ancora di più.
Fremeva, sembrava cercare di svicolare in tutti i modi – senti ho da fare, ok? Vado a casa a pendere i compiti per domani così mia madre non ricomincerà a rompermi le palle. Poi vado da Aiden e resto lì con lui a parlare della sua situazione con quell'uomo straordinario di Andrew. – scattò – perché indovina un po'? Vorrebbe tanto che tutto tornasse come prima
- E' solo confuso – chiarii – sono certo che farà ordine, i motivi che li hanno portati a chiudere
- Chi può dirlo? – continuò, sempre più irritato – magari lo rivorrà comunque, poco importa se quel coglione si scopa il tuo amico Eickam, ormai non prova nemmeno a nasconderlo con me. Mentre Aiden sta lì a farsi venire i sensi di colpa e io devo tenere chiusa la mia cazzo di bocca! E tu? Giochi a fare il cieco con quello psicopatico? Ti avevo fatto aprire gli occhi su chi era perché potessi salvarti, perché potessi vivere meglio di come stavi vivendo la tua vita e invece guardati. Perché diavolo vi piace tanto soffrire? E io dovrei tenere la bocca chiusa?
- Callum?
Il suono di quella voce mi fece raggelare per un momento, sia io che Keno ci voltammo e la figura di Alencar era a pochi passi da noi, ci fissava con uno sguardo intenso, come se stesse valutando la situazione.
- Guarda chi c'è – esclamò Keno con un sorriso teso in volto – parli del diavolo
Quel lieve disagio che provavo inizialmente si mutò presto in una tempesta dolorosa nel mio stomaco – arrivo subito, io ...
- Ti avevo detto di lasciarlo in pace – Alencar non mi stava più nemmeno guardando, la sua attenzione ora era interamente su Keno e lo fissava con astio.
- E io ti avevo detto che il mio rapporto con Callum non era affare tuo mi sembra – ribatté l'altro per nulla turbato da quegli occhi – dovresti chiedere a lui se ha voglia di chiudere il nostro rapporto
C'era una sadica nota tendenziosa in quell'ultima frase e gli occhi verdi di Alencar si abbatterono come una tempesta su di me, fissandomi.
- Siamo solo amici – chiarii immediatamente, cercando di dissipare i dubbi che l'altro voleva instillare – non abbiamo più ... avuto quel genere di incontri, è stato prima che noi due ...
- Oh certo – mi interruppe Keno tornando a monopolizzare l'attenzione – è stato prima, quando avevi il cervello e intendevi fare la cosa giusta
Ebbi un fremito di terrore.
Non farlo.
Gli occhi di Alencar erano ancora puntati su di lui e Keno non esitò, nonostante fosse consapevole di ciò che stava per fare.
- Eri anche riuscito a raccogliere quelle prove, per sbattere questo stronzo al fresco dove dovrebbe stare. Fra i suoi simili – poi scosse le spalle con noncuranza, esattamente come aveva spazzato via tutta la gioia che avevo provato in quelle settimane – ma forse nel suo letto si sta più comodi del previsto
No ...
Il mio cuore batteva sempre più forte mentre vedevo la consapevolezza imprimersi nel volto cereo di Alencar, mentre vedevo i suoi occhi mutare e fissarmi come se fossi l'orrore più grande che avessero mai visto.
- Hai abbandonato i tuoi propositi di fargliela pagare? Il nostro piccolo piano per la tua libertà
Smettila ...
- Non volevi liberarti di lui per sempre?
SBAM.
Avevo compiuto due passi con una velocità tanto fulminea da non accorgermene, mi ritrovai davanti a lui con la mano che mi faceva male e la sua guancia arrossata a poca distanza. Lo avevo colpito, con uno schiaffo diretto ma che non serviva compensare il dolore che quelle parole avevano procurato. La sua pelle di porcellana si era accapponata ed arrossata dopo l'urto ma i suoi occhi non sembravano minimamente sofferenti o spiacenti.
Mi voltai, a fissare Alencar alle mie spalle, lui invece era stato colpito, ferito mortalmente da quella verità, da quello che avevo fatto.
Traditore.
Non ero altro che questo, cercai di avvicinarmi a lui e lo vidi indietreggiare, non sapevo cosa dire e forse scelsi le parole peggiori.
- Mi dispiace ... - ansimai mentre sentivo il petto farmi male – mi dispiace così tanto ...
Tutto quello che provava Alencar lo tenne prigioniero dentro di sé, riuscii solo a vedere i suoi occhi caricarsi di odio ma non un muscolo del suo corpo o del suo volto mostrò quello che la sua mente stava elaborando. Si voltò e andò via, mentre io crollavo sulle ginocchia senza essere capace di trattenere le lacrime e attirando su di me gli sguardi di chiunque passasse di lì, non riuscivo a controllarmi.
Avere qualcosa e poi perderlo, è persino più doloroso di non aver mai posseduto.
Quasi rimpiansi la mia vecchia solitudine, quella bolla di distanza e dolore che mi aveva permesso di concentrarmi unicamente sul mio egoismo.
- Dovrei proprio tenere chiusa la mia cazzo di bocca, eh? – disse Keno che era ancora lì, spettatore del mio sfacelo – a certa gente non piace proprio la realtà. Messaggio ricevuto.
Lo vidi andare via mentre un enorme impeto di rabbia si impossessava di me, fu quella che mi spinse a muovermi. Mi sollevai e corsi via, dritto verso casa, quasi non mi resi conto del tragitto, della metro, dei passanti, continuavo a pensare unicamente al fatto che dovevo rientrare al più presto.
Varcai la soglia ansimando, corsi in cucina e recuperai un martello dalla cassetta degli attrezzi sotto il lavandino e salii in camera. Tirai fuori quella pendrive, quel piccolo agglomerato di peccato e colpa che racchiudeva il mio tradimento. La gettai a terra e la colpii violentemente.
Una volta, due volte, tre volte.
La fissai, ridotta in pezzi davanti a me, e compresi che quel gesto non sarebbe mai stato sufficiente, sapevo che il mio pentimento non era sufficiente. Le lacrime tornarono a scorrere sulle guance, il dolore a bruciare sul mio petto mentre mi ripiegavo su me stesso raccogliendo quei pezzi di plastica fra le dita. Una sola domanda mi risuonava disperatamene nel cervello:
Tutto quello che perdiamo, lo perdiamo per sempre?

KAI


Venni preso di peso e sbattuto fuori dal covo prima ancora che avessi potuto realizzarlo. Andai a sbattere sul marciapiedi fradicio, la botta mi fece mozzare il respiro per il dolore. Mi trascinai su piano, stringendo il gomito al petto, così malandato che perfino camminare sembrava un'impresa. Pioveva a dirotto e le uniche persone che avrebbero potuto aiutarmi mi avevano sbattuto la porta in faccia. A causa mia erano costretti a lasciare la città pur di sfuggire a Kurt ed evitare lo stesso destino che era toccato a Gray.
Mi portai una mano sulla faccia tumefatta, chiedendomi se non fosse meglio farla finita e basta. Da solo non ero niente, non potevo proteggere me e non potevo proteggere Levin. Presto Alencar mi avrebbe chiesto di vederci per mettere a punto un piano e cosa gli avrei portato in cambio? Non era rimasto più nessuno con me. Quell'esercito che avevo millantato di avere non esisteva. Kurt si era preso Gray e presto sarebbe arrivato anche per gli altri.
Mi fermai sotto un balcone e ingoiai un paio di pasticche per il dolore, ormai camminavo armato e uscivo soltanto quando ero costretto a farlo. I miei tentativi di rintracciare Levin erano stati inutili, non potevo avvicinarmi a casa senza temere di essere pedinato e mandare al diavolo la copertura di Alencar. Kurt era convinto che avessi tagliato ogni legame con la mia famiglia e quello era l'unico motivo per cui era stato Gray a morire e non Levin.
Mi avvicinai ai quartieri frequentati da mio fratello. Il suo pub preferito si trovava sulla mia destra, guardai oltre il vetro, ma di Levin non c'era traccia. Non mi pedinava più nessuno a detta di Alencar, il boss mi aveva dato per spacciato, tanto da non prendersi la briga di sorvegliarmi. Quello era l'unico motivo per cui osavo ancora avvicinarmi a mio fratello.
Avevo bisogno di parlargli, anche se le mie scuse non servivano a niente e non ci avrebbero fatto stare meglio. Erano parole vuote, continuavo a ripeterle dentro di me, giorno e notte, scuse inutili che dispensavo a tutti coloro che avevo ferito. Gray era in cima alla lista.
Rimasi in strada per molto tempo, gli antidolorifici avevano mandato via il dolore fisico, ma non c'era niente da fare per quello mentale. Passò un'altra ora, forse perfino di più, alla fine mi incamminai verso la metro e fu all'imboccatura che vidi finalmente mio fratello.
Ci immobilizzammo entrambi, io in cima alla rampa, lui in basso. Mi costrinsi a non urlare, a non supplicarlo di riprendermi di nuovo nella sua vita. Volevo che fosse lui a decidere cosa fare di me. Non meritavo il perdono, non quella volta, ma se soltanto avesse smesso di odiarmi, pensai, forse avrei potuto sperare di riaverlo ancora accanto.
La folla si diradò, soltanto Levin e qualche ritardatario rimasero sulle rampe. Feci qualche passo, guardarlo negli occhi mi faceva sentire una nullità. Lui salì con calma fino a quando non mi affiancò, poi si accese una sigaretta e soltanto a quel punto mi lanciò una prima vera occhiata.
- Sono stati i ragazzi a conciarti in questo modo?
La mia voce venne fuori a stento – Già, oggi ho vuotato il sacco ... tutto quanto.
- E fammi indovinare, non l'hanno presa bene – poi mi lanciò un'altra occhiata sommaria – beh, sei ancora sulle tue gambe però, ritieniti fortunato. Ovviamente scommetto che non ti aiuteranno.
- Non li biasimo – chiarii in fretta – è tutta colpa mia, ma Kurt ha deciso che prima devono pagare loro. Forse sperava che sarebbero stati i miei amici a farmi fuori e ci sono andati vicino. Adesso stanno lasciando la città, saranno già lontani da qui ...
- Torneranno quando sarai morto – disse Levin con fare candido, poi si corresse – anzi quando saremo morti entrambi probabilmente. A volte tendo a dimenticare la nostra parentela
- Levin ...
- Lascia perdere, Kai. Alla fine ci siamo sempre dentro insieme, no?
Lo vidi prendere una profonda boccata di fumo prima di gettare la sigaretta a terra e pestarla con i suoi anfibi. Quelle parole erano state come una ventata di brezza estiva in un gelido inverno. Guardai quel viso pensieroso e allo stesso tempo serio, i suoi occhi carichi di preoccupazione e saggezza; capii che anche quella volta non sarei stato totalmente solo.
- M-mi dispiace, Levin ... so che sono solo parole inutili, ma te lo giuro ... non potevo prevedere niente di tutto questo. Non potevo immaginare che se la sarebbe scontata con chi mi sta attorno. S-sta facendo tutto questo perché non ho voluto lasciare sua figlia, capisci? Ha provato a pagarmi per farmi lasciare la città e quando ha realizzato che non lo avrei fatto ha iniziato a redigere questa lista di persone che mi sono vicine. E non c'è un cazzo che possa fare ormai, anche se lasciassi la città lui continuerebbe.
Parlai in fretta, senza rendermene conto stavo stringendo la manica del suo giaccone tra le mani. Ero ancora il piccolo Kai di cinque anni che andava a rifugiarsi nel letto del fratellone durante le notti di tempesta.
- Quel che è fatto è fatto, non si torna indietro, no? Dimmi tutto quello che è successo e che sai sul suo conto. E' arrivato il momento di affrontare un po'di problemi.
Lo feci, stavolta parlai senza censure, le parole vennero fuori come un fiume che straripava dai suoi margini. Mai come in quel momento avevo bisogno di qualcuno che fosse lì per ascoltarmi, qualcuno di cui mi fidavo ciecamente. Così parlai anche di Alencar e del piano che stavamo progettando per liberarci di Kurt.
Levin aveva preso posti sui gradini che davano sulla metro, il suo viso era una maschera di imperscrutabile
- Puoi fidarti di questa persona? Che vantaggio avrebbe nel ribellarsi al suo boss?
- Da quello che ho capito anche lui ha perso qualcuno a causa di Kurt ... non so cosa sia successo, ma ti assicuro che lo odia. Farebbe di tutto per vederlo morto, non dubito di Alencar. E' letteralmente la nostra unica garanzia per salvarci il culo in questa storia.
- Alencar ... lo conosco.
Ero sorpreso – Cosa?
- Lascia perdere, non è importante adesso. Voglio parlarci di persona anch'io. Non siamo un esercito, ma siamo particolarmente motivati.
- Già, a sopravvivere – aggiunsi.
Stavo riprendendo a respirare, perfino il mio stomaco sembrò distendersi. Non avevo mangiato niente per giorni, improvvisamente il profumo di hot dog caldi proveniente degli stand sopra di noi mi fece gorgogliare lo stomaco.
- Vuoi qualcosa da mangiare? – chiese Levin con un ghigno sul viso
- E' meglio non farci vedere insieme ... non dovremmo essere pedinati, ma cerchiamo di fare le cose per bene. Ci sarà una riunione presto e dovrai procurarti un cellulare usa e getta. Riceverai lì le informazioni su dove ci vedremo ... sarà Alencar a trovare un posto.
Levin annuì, sembrava comprensibilmente meditabondo.
- Conosco suo fratello e questo è l'unico motivo per cui mi fido di questo tipo. Spero di non pentirmene, beh suppongo che saremmo troppo morti per preoccuparci di spie e tradimenti se le cose non dovessero andare bene
- Non succederà – dissi con una rinnovata speranza che mi scaldava il cuore.
Ci guardammo per un po', i miei occhi caddero sulla mano fasciata
- Quella come va? Avresti dovuto colpire me, non quell'albero.
Levin abbozzò un sorriso tutt'altro che allegro – Magari anche lui mi ha fatto incazzare, cosa ne sai?
- Sei in vena di scherzi?
- Ho soltanto avuto del tempo per metabolizzare la cosa ... - Levin scosse la testa – come la stai mettendo con June?
- Non sa niente – dissi semplicemente – sto cercando di tenerla fuori per quanto è possibile. Dovrò inventarmi qualcosa per questa faccia del cazzo
- Buona fortuna.
- Loro come stanno? – chiesi dopo qualche secondo di silenzio carico di pensieri
- Tutto nella norma. Mi stanno addosso per via della mano adesso, sono convinti che in qualche modo continuo a farmi ...
- E hanno ragione? – chiesi cautamente.
- Da fattone a fattone non riesci a capirlo da solo? – Levin mi diede una pacca sulla spalla, poi passò oltre – vado a prendermi qualcosa al pub, cerco di sedare certi bisogni in quel modo. A volte funziona. Vedi di moderarti anche tu ... dobbiamo essere vigili, Kai. Soprattutto se collaboriamo con questo Alencar e gli altri, cerchiamo di non fare stronzate
Era un modo fin troppo gentile per dirmi di non presentarmi fatto alle riunioni.
- Mi dispiace, per quanto vale ... è l'ultima volta che succede. Se sopravviviamo a tutto questo giuro che ho chiuso
- Mai fare promesse che non puoi mantenere
Poi lo vidi immergersi nella pioggia e senza aggiungere altro andò via. Mi sentivo abbattuto, il gelo di gennaio mi era entrato dentro le ossa e volevo soltanto andarmene a letto il prima possibile. Dovevo recuperare le forze per quello che sarebbe arrivato, forse Levin non credeva alle mie parole, lo avevo deluso troppe volte per suonare credibile, ma ero serio. La morte di Gray mi aveva svegliato in modo definitivo.
Presi la metro ormai tremante per il freddo, non mi fermai davanti agli spacciatori nonostante ne fossi stato tentato, ero stato bravo. Stavo solo tirando dritto verso l'appartamento di June e non mi sarei concesso nient'altro che del cibo prima di mettermi a letto. Pensai ancora a Levin, al suo viso stanco che mostrava tutti i segni della rassegnazione. Gli avevo rovinato la vita più di una volta e non c'era perdono per chi faceva del male alle persone che gli volevano bene. Non avevo scuse o giustificazioni, soltanto pile di errori impossibili da rimuovere.
Ero con la testa altrove e quando mi resi conto di un'ombra accanto alla mia fu troppo tardi. Successe tutto troppo in fretta, l'uomo mi balzò addosso, portando la sua mano a tappare la mia bocca. Venni spinto in un vicolo, con la lama del suo coltello che premeva contro la mia gola per impedirmi di muovermi. Il mio cuore batteva all'impazzata, ero terrorizzato e non c'era modo di sfuggire a quella presa senza evitare di finire sgozzato.
Era finita. Kurt era arrivato per me.
L'uomo rise dietro le mie spalle mentre la sua presa si faceva meno violenta. Poi successe qualcosa di totalmente inaspettato, sentii la sua mano scivolare lungo il mio fondoschiena e rimanere lì
- Ma che cazzo?!
- Mi era mancato il culo made in Eickam. Anche se nessuno batte quello di tuo fratello
- Figlio di puttana!
Spinsi Yael indietro fino a sfuggire alla sua presa. Ero ancora sconvolto, ma stavo riprendendo a respirare, piegato con le mani sulle ginocchia come un maratoneta dopo una corsa. Sentivo le sue risate farsi sempre più sguaiate nel vicolo buio in cui mi aveva trascinato.
- S-sei un coglione! Mi stavi facendo prendere un cazzo di infarto, bastardo!
- Non farla tanto lunga. Era solo una palpata in amicizia. E non dirmi che non sei felice di vedermi!
Poi venne fuori dall'oscurità e si avvicinò all'unico lampione fatiscente del vicolo. Yael aveva aperto le braccia in attesa di un abbraccio che non avrebbe ricevuto. Se la stava godendo troppo per meritarlo.
- Ho una pistola, potevo spararti!
- Non saresti stato il primo – commentò lui, ancora con quel sorriso ebete stampato sul volto – allora? Abbiamo i nervi tesi, eh? Chi pensavi che fossi esattamente? Uno spacciatore a cui devi una montagna di soldi come sempre? O il tipo di qualcuna che ti sei portato a letto? Ah no, aspetta. Dimenticavo che da un po' di tempo ti sei messo contro i pesci grossi.
Scossi la testa, ero confuso e sollevato allo stesso tempo. Trovarmi Yael davanti era stato uno shock.
- Che cazzo ci fai qui? Credevo che avessi ancora dei mesi da scontare lì dentro.
- Non mi volevano più – Yael si finse dispiaciuto.
- Non credo che funzioni così in carcere.
- E invece sì. Hanno detto che sono troppo figo per stare lì dentro, che il mio futuro è qui fuori, in un bel locale di lap dance dove posso mettere in mostra le mie vere doti. Sappiamo entrambi che tenere il mio culo nascosto sotto quella tuta arancione equivaleva ad un crimine per l'umanità.
Cercai di non scoppiare a ridere – Yael ... seriamente
- Cazzo Kai, ho dovuto fare dei nomi per uscire, ok? Adesso ho mezza Brooklyn che vuole vedermi crepare e l'altra mezza che vuole dei cazzo di soldi arretrati! Va bene così?
Il silenzio calò su entrambi, avevo dimenticato quanto fosse altalenante l'umore di Yael. Le risate erano finite in fretta, ciò che era rimasto era il suo viso duro, dai tratti affilati e fin troppo simile a quello di molti altri criminali della zona.
- Non avresti dovuto farlo ... non valeva la pena mettersi nei casini per soli sei mesi.
- Ho saputo di Gray – disse a denti stretti – non me ne sto col culo al caldo mentre il mio vecchio gruppo viene decimato da un fottuto psicopatico che tu hai fatto incazzare.
Mandai giù quel boccone amaro – Risolverò le cose. Ci sto lavorando
- Non ne dubito, ma adesso ci sono anch'io. Voglio essere dentro.
Sapevo perché voleva esserci, mi sarebbe piaciuto credere nella sua fedeltà nei confronti del nostro gruppo, forse in parte era anche così, ma entrambi sapevamo che c'era soltanto un motivo per cui uno come Yael era disposto a rischiare la vita e a denunciare decine di pezzi grossi pur di tornare in libertà. Quel motivo era mio fratello.
- Yael, se finisci anche tu in questa storia non posso assicurarti che ne uscirai bene ...
- E' la vita, non puoi uscirne vivo. – lo vidi fare spallucce, incurante delle mie parole. Quello era Yael. Così incosciente da rasentare la follia. Ma fedele ... lui lo era sempre stato.
- E poi hai bisogno di me. Conoscendo gli altri a quest'ora saranno già arrivati più o meno alla frontiera messicana, con tanto di documenti falsi appena stampati. Non puoi fidarti di quei tipi, l'unico decente è morto e col cazzo che non lo vendicheremo. Questi ultimi due anni di galera mi hanno fiaccato un sacco ... Dio solo sa quanto ho bisogno di vivere un po' di vita vera, quindi basta così. Sono dei vostri e fattelo stare bene.
Ero dannatamente sollevato, mi ritrovai a stringergli la mano prima di accoglierlo in un abbraccio. Eravamo come fratelli e il sangue non era mai contato niente.
- Ora devo togliermi dalle palle. Ho un incontro con un tipo per un posto dove stare. Non posso permettermi di fermarmi, qualche figlio di puttana che mi vuole morto potrebbe trovarmi. E ti assicuro che sono parecchi. Qui c'è il mio numero, aggiornami per qualsiasi cosa.
Lo vidi guardarsi intorno con fare guardingo, poi tirò su il cappuccio della felpa
- Yael?
Quello tornò a guardarmi per un attimo – Sì?
- Levin ha qualcuno. Credo sia una cosa seria ...
- E io e lui non lo siamo?
Sospirai, non se l'era presa, continuava a ridere, incurante delle mie parole.
- Quello che sto cercando di dire è che le cose sono cambiate. Lui non si fa più come prima, ora è diverso. Non è come ...
- Come quando stava con me? – concluse la frase al mio posto, poi proseguì – se le cose stanno così sono felice per lui. Ma se vuoi provare a chiedermi di stargli lontano hai sbagliato in partenza.
- Ha già abbastanza problemi, Yael.
- E io sarò la cura.
Un sorriso affilato. Poi si coprì alla bell'e meglio con il suo giubbotto di pelle e scomparve nella pioggia scrosciante della notte.


ANGOLO AUTRICI:

Capitolo ricchissimo di situazioni spinose, tanti nodi che vengono al pettine: dal tradimento di Callum alla magica apparizione di Yael. Possiamo dire che la pace sta lasciando questi luoghi XD Come sempre speriamo che la storia vi stia piacendo, aspettiamo i vostri commenti per parlare con voi dell'evolversi delle vicende e vi diamo appuntamento alla prossima settimana!

BLACKSTEEL

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