38. Deal
Impossibilium nulla obligatio est
(Nessuno è obbligato a fare l'impossibile, Celso)
ALENCAR
- Alencar ... -
- Continua a camminare
Io e Miles avevamo appena finito di consegnare le dosi agli spacciatori per la vendita, avevamo lasciato l'ultimo parco e sapevamo di essere seguiti.
- Di chi si tratta? – chiese il mio amico – ci viene dietro da un po'
- E' una faccenda di cui dovremo occuparci – risposi prima di entrare in un pub poco affollato.
Mi sedetti nel tavolo vicino la finestra insieme a Miles e ordinai tre birre, non fu una lunga attesa, vidi il ragazzino varcare l'ingresso qualche minuto dopo e, quando la cameriera posò le nostre ordinazioni, lui prese posto davanti a me.
Kai Eickam, che genere di uomo sei?
- Da quanto hai capito che ti seguivo? – chiese con tono irritato.
- Mi aspettavo un tuo pedinamento dal giorno in cui ho ucciso il tuo amico. Direi che sei in ritardo – risposi tranquillamente.
Accanto a me, Miles si irrigidì, quelle parole dovevano averlo sconvolto mentre Kai aveva un'espressione sempre più cupa in volto, quasi non sembrava lo stesso ragazzino che avevo incontrato settimane prima. Questo non poteva essere che un bene.
- Non lo neghi quindi – riprese a denti stretti – hai ucciso il mio migliore amico, lo hai lasciato a terra ... a dissanguarsi
- O lui o tuo fratello ... - gli ricordai – Kurt aveva chiesto Levin ma io sono riuscito a dissuaderlo, ho fatto male?
Kai prese con rabbia il boccale di birra, bevendo due lunghe sorsate – dovrei ringraziarti, quindi?
- Dovresti solo essere tanto furbo da capire che non sono io il nemico – risposi calmo – ma forse questo lo hai capito
Lo sguardo di Kai era intenso, era quello di un ragazzo che aveva finalmente compreso quanto il mondo fosse brutale. Aveva vissuto una vita dignitosa fino a quel momento, era stato uno dei fortunati che, nonostante la merda in cui sguazzava, l'aveva sempre scampata alla fine. Niente di irrimediabile, niente casini troppo grossi da non poterseli lasciare alle spalle.
Niente morte, fino ad ora.
- Se il tuo boss pensa di potermi piegare ... - continuò con voce carica di disprezzo – allora non ha ancora capito con chi ha deciso di mettersi contro.
- E perché vieni a dirlo proprio a me? -domandai – dovrei riferirgli le tue minacce?
- Perché ora capisco finalmente che genere di sguardo è quello nei tuoi occhi – rispose sostenendo il contatto visivo – riesco a vedere quanto siamo simili, hai perso qualcuno anche tu
- Io perdo qualcosa ogni giorno – precisai.
- Allora facciamolo! – esclamò – abbiamo entrambi bisogno di una via di uscita. Non ci sarà pace fino a quando quel bastardo sarà vivo.
A quel punto Miles non riuscì più restare in silenzio – ma cosa cazzo state dicendo? Alencar, vuoi spiegarmi che succede? Non starete parlando di Kurt, vero? Non puoi nemmeno pensare a una cosa del genere, non dopo quello che è successo a Jonas.
- E' proprio per quello che è successo a Jonas, Miles – dissi dedicandogli una breve occhiata – te l'ho detto che non lascerò correre ...
- E credi che questo moccioso sia l'alleato che ti serve? – insistette.
- Questo moccioso lo farà con voi o senza di voi – aggiunse Kai, perentorio.
- Tu e quale esercito? – chiese Miles con tono ancora più astioso – Kurt possiede la città, ha occhi e orecchie ovunque, centinaia di uomini e guardie che lavorano per lui come tante api operaie instancabili. È la cazzo di regina madre assoluta del crimine organizzato di Brooklyn, me lo spieghi come intendi colpirlo? Moccioso presuntuoso!
Io sorrisi – questa è una buona domanda. Se vuoi il mio aiuto non sarà per una missione kamikaze, ho ancora qualche motivo per non voler morire
Kai tacque, sembrava meditabondo e leggermene in difficoltà – i ragazzi della mia banda sono con me, vogliamo vendicare Gray
- Ammirevole – dissi con tono sarcastico – e avete qualcosa in più dalla vostra parte oltre essere quattro ragazzini affamati di vendetta da cortile?
- Che cazzo vuoi dire? – sbottò.
- Questa non è una faida fra spacciatori, Kai – chiarii – non si tratta di una scaramuccia fra tossici, non è niente di quello a cui sei stato abituato fin ora. Fra il meditare vendetta e farla davvero c'è uno spazio parecchio grande e buio, ma sei mediti di fare vendetta a Kurt ... la realizzazione di questa impresa ti farà annegare nell'abisso.
- Tu parli di una guerra – continuò Miles al mio posto, anche lui fin troppo consapevole – una guerra contro un impero, verrà versato sangue, parecchio sangue. Verrà chiesto a te di uccidere, nessuno risolverà questo casino all'infuori delle persone sedute a questo tavolo
- Devi essere dannatamente motivato Kai – chiarii – lo sei?
Lui mi fissò negli occhi, adesso vedevo del timore e ne fui grato, non era tanto sciocco da restare spavaldo anche di fronte alla realtà – Sì, lo sono.
- Per cosa combatti? – chiesi.
- Per vendetta e per June. Per una cazzo di vita libera dalla sua minaccia. Ti sembra poco? – rispose senza esitare.
- Bene, allora parla chiaramente ai tuoi amici e sbarazzati di coloro che non possono farcela. Se saremo in pochi, è bene avere una motivazione dannatamene forte e a fuoco.
- Lo farò ...- convenne.
- Ricordati che se anche uno solo dei tuoi amici si piscia addosso e fa la spia, in qualsiasi momento, verranno ad ucciderci nel sonno
- E voi? – chiese ad un tratto indagatore – c'è qualcun altro disposto a rischiare tanto?
Io restai in silenzio per qualche secondo, avendo ben in mente cosa avrei dovuto fare di lì a poco – uno solo, sarà sufficiente.
- Un solo uomo? – replicò dubbioso.
- Un solo uomo può fare la differenza
- Su questo concordo in pieno – poi si sollevò e mi porse la mano – allora siamo intesi? Abbiamo un accordo?
Io la strinsi – lo abbiamo, portami il tuo esercito allora
Lui mi dedicò un sorriso impavido, sembrava aver recuperato dell'ottimismo, poi girò i tacchi e lasciò il pub. Sentivo lo sguardo di Miles tornare a concentrarsi su di me e mi voltai per dedicargli la mia piena attenzione.
- Spero che tu abbia scelto un buon alleato – mi disse ancora scettico.
- E' l'unico abbastanza pazzo da volerlo fare sul serio, temo non avremo alleati migliori – risposi e lui sorrise.
- E ora che si fa? Di che genere di asso nella manica parlavi? – continuò curioso.
- Tu torna a casa, io penserò a lui ...
- Lui? – ripetè – non ...
- Tian
- Alencar – mi prese un braccio e lo strinse leggermente – che diavolo hai in testa? Ci ha già traditi, ha tradito Jonas ...
- Non metterei a rischio questo piano, fidati di me
- Come sempre
Ci separammo alla fine e io presi l'auto per dirigermi verso quella vecchia casa che non visitavo da mesi. Era lì che abitava Tian, nella vecchia casa della nonna in periferia, accostai l'auto vicino al vialetto e il mio passo non esitò mentre percorreva il piccolo giardino prima della porta d'ingresso.
Provavo rabbia? Sì, forse più di quanto fosse umanamente concepibile o sopportabile. Allo stesso modo in cui la terra si muoveva tanto velocemente da sembrare immobile ai suoi abitanti, la mia rabbia si agitava dentro di me tanto forte da farmi sembrare assolutamente calmo. Ero andato oltre le urla, le lacrime, i pugni e il disprezzo, ero andato oltre qualsiasi sensazione fisica o mentale. Ero il prodotto di anni di sopportazione, miseria, fallimento e obbedienza, ero stato debole una volta di troppo e ora era arrivato il momento di liberarmi.
Bussai alla porta senza esitare, non fu una lunga attesa, sentii la serratura scattare e la figura di un ragazzo giovane fare capolino fra l'anta e lo stipite. Aveva i capelli scuri e mossi poco sotto il mento, degli occhi grandi e azzurri leggermente infossati, il suo colorito sembrava aver visto tempi migliori.
- Sto cercando Tian – dissi in attesa di capire chi fosse.
- Sei Alencar, vero? – chiese sussurrando.
-Sì
A quel punto si spostò e mi fece entrare, io mi diressi verso il soggiorno ma era evidente che in casa non ci fosse nessun altro.
- Sei qui per fargli del male? – chiese nuovamente e io mi voltai a guardarlo.
La sua espressione era totalmente neutra, non c'era modo di capire cosa stesse pensando.
- Mi ha raccontato cosa ha dovuto fare per liberarmi – continuò – mi ha detto di avervi traditi e che probabilmente avrebbe pagato per questo ... che tu avevi ogni ragione per pretendere la sua testa
- E dove si trova adesso? – domandai guardandomi intorno.
- A fare la spesa – rispose ancora una volta poi mi inchiodò con quegli occhi tremendamente profondi – io non ho la forza di battermi con te e vincere. Se esistesse anche una minima speranza di prevalere su di te e ucciderti per salvarlo, lo farei, ti salterei alla gola in questo istante. Ma non c'è – sospirò – non posso proteggerlo allo stesso modo in cui lui proteggerebbe me. Ma voglio chiederti di risparmiarlo e prendere me al suo posto
- Prendere te?
- Uccidimi, per quello che Tian ha fatto al vostro amico, uccidimi
Sarebbe fin troppo semplice, pensai, semplice e inutile. Quello che ero venuto a chiedere a Tian era qualcosa di molto più pericoloso, qualcosa che lo avrebbe costretto ad espiare davvero o a morire provandoci.
Mi accomodai sul divano e lo fissai dritto negli occhi.
- Lo aspetteremo qui, siediti
Solo una manciata di minuti e sentimmo la porta di ingresso cigolare e poi chiudersi, passi lenti nel piccolo ingresso e la figura di Tian che appariva nel soggiorno, il solo incrociare il mio sguardo lo fece sbiancare.
- Alencar ... - sibilò – cosa ...
- Noi due dobbiamo parlare Tian, dobbiamo affrontare una discussione molto importante – misi in chiaro.
Lu annuì, si diresse verso l'altro ragazzo e gli lasciò le buste della spesa – vai a sistemare la roba in cucina
- Preparo il tè
E ci ritrovammo soli, io e Tian ancora una volta, come non succedeva da quel giorno, da quando mi aveva poggiato una mano sul braccio e mi aveva detto di stare a guardare il mio migliore amico morire.
- Così è per quello lì che ci hai venduti – iniziai – tre vite in cambio di una, diavolo, fai schifo in matematica
Lui tese leggermente un angolo della bocca – quella volta non si è trattato di numeri, avrei voluto poterti spiegare questo. Ovviamente non è una giustificazione per quello che ho fatto a tutti voi
- Hai la possibilità di parlare adesso
- Sei diverso Alencar -disse continuando a scrutarmi negli occhi- cosa ti è successo?
- Ti consiglio di cominciare a parlare o smetterò di avere pietà. Il motivo per cui non mi alzo e taglio la gola al moccioso in cucina, dipende esclusivamente da quello che mi dirai Tian e da come lo dirai - risposi secco – perché sono abbastanza stanco dei convenevoli adesso
Lui abbassò lo sguardo e cominciò a parlare – Arek era uno schiavo di Kurt, uno dei tanti presi da casa e trascinati qui per lavorare per lui. Venduto come merce ad un'età indecente, l'ho conosciuto diversi anni fa e ... - inspirò – me ne sono innamorato, so di parlare con un uomo che non è tanto superbo da non credere che l'amore sia una debolezza. So che puoi capire fin dove l'amore può spingere le persone
- E' questa la tua scusa? L'amore me lo ha fatto fare?
- No, l'amore mi ha spinto a fare ben altro. – gli sfuggì un sospiro – sono stato così folle da andare da Kurt per cercare di liberarlo, gli ho mostrato la parte più disperata di me e lui l'ha utilizzata per tenermi al guinzaglio. – si prese il viso fra le mani – per tenerlo al sicuro sono diventato la sua spia, pagavo ogni mese cifre esorbitanti per tenerlo al sicuro, per non farlo lavorare nei locali. Kurt lo teneva rinchiuso in un cazzo di tugurio e io dovevo ringraziarlo persino – tornò a guardarmi – non è stato l'amore a spingermi ad accettare la proposta di Kurt, è stata la stanchezza. Non ce la facevo più a vederlo vivere in quel modo, si stava ammalando e Kurt sospettava già che qualcosa stesse accadendo sotto il suo naso e voleva il mio aiuto, ha iniziato a farmi pressioni e poi ha buttato quell'accordo sotto il mio naso.
- Consegnargli i traditori e portarti a casa il tuo premio – dissi e lui annuì.
- Era convinto ci fossi di mezzo anche tu ma sono riuscito a salvarti, non avrei mai voluto tradirvi ma quel coglione di Jonas si è fatto notare e non avrei mai rischiato Arek per uno così – disse a denti stretti – se fossero scappati davvero, Kurt lo avrebbe ucciso per farmela pagare, avrebbe ucciso tutti noi ...
- E ora sei soddisfatto?
- Lo sai che non lo sono – disse rabbioso – guardami, pensi che questa sia la vita che avevo progettato? E la tua? Vogliamo parlare di come ci sei finito tu in questa merda? È stato capace di sfruttare le debolezze di due ragazzini e incatenarci per il resto delle nostre vite.
Era vero, quando ero entrato nel giro avevo perso mia madre, mi sembrava di annegare e cercavo solo un modo per raggiungerla in fretta. Prima spendendo tutto ciò che potevo in eroina, poi indebitandomi tanto da dover lavorare come spacciatore. Ma ero sopravvissuto, mi ero ripulito, peccato che nessuno esce dal giro una volta dentro.
- E come farai ad andartene? Il tuo famoso contatto canadese verrà all'appuntamento stavolta?
Quella frase lo fece ammutolire per qualche secondo, mi fissava leggermente spaventato, come se temesse che lo ricambiassi con la sua stessa moneta e facessi ammazzare anche lui.
- Cosa ti dice che sto progettando una fuga? – chiese nervoso.
- Il grande capo non ha più il suo vantaggio, no? Ti ha dato quello che volevi, quindi ormai niente ti tiene qui - risposi.
- Puoi venire con noi – propose – ti lasceresti lui e questa città alle spalle, spariresti sul serio
- Io ho ancora un conto in sospeso con questa città – replicai e lo incatenai al mio sguardo – e nessuno qui se ne andrà finchè non sarà finita
- Che cosa?
- La guerra a Kurt
Silenzio.
Adesso c'era paura nel suo sguardo, un'emozione che non avevo mai visto tanto chiaramente in lui, sapeva cosa stavo per chiedergli.
- Non puoi pensare di farlo davvero e sopravvivere – mormorò.
- Non ho intenzione di farlo da solo e con il tuo aiuto le possibilità aumentano da zero a una, non è per niente male – commentai.
- Una su un milione di cose che possono andare a puttane, non mi sembra una gran percentuale – sbottò.
- Non si tratta di numeri questa volta – lo citai e lui tacque ancora.
- Ho altra scelta?
- C'è sempre una scelta, ma questa mi impedirà di ammazzare te e il tuo fidanzatino – precisai – o sei con me o contro di me, questa volta Tian dovrai schiararti davvero. Io non sono Jonas, non mi lascerò seppellire
- E hai pensato a Callum? – mi chiese – faresti rischiare questo anche a lui? Lo sai che con Kurt ci vanno di mezzo tutti quanti.
- Lo proteggerò e, quando tutta questa merda sarà finita, verrà via con me – risposi con un tono che non ammetteva repliche.
Un leggero rumore ci annunciò che Arek stava rientrando nel salotto e portava un vassoio con due tazze di tè fumanti, lo poggiò davanti a noi. Raccogliemmo le tazze e ci fissammo di nuovo negli occhi.
- Siamo intensi Tian? Farai questa cosa per me? Mi serve tutto quello di cui sei venuto a conoscenza in questi anni, tutte le informazioni, tutti i contatti, qualsiasi cosa. Mi sta bene minacciarti ma mi piacerebbe che accettassi di tua iniziativa
Lui lanciò una breve occhiata al ragazzo che gli si era seduto vicino e poi annuì, la vendetta era un comune denominatore della razza umana dopotutto.
Fece tintinnare la tazza contro la mia – spero che il tuo piano funzioni
- Cosa succede? – chiese Arek fissando entrambi.
- Ci vendicheremo di Kurt – rispose Tian – faremo in modo che paghi per tutto quello che ha fatto a tutti noi, tireremo giù il suo culo dal trono
Il ragazzo sorrise – vi aiuterò anche io come posso – poi spostò lo sguardo verso di me e posò una mano sulla tazza che reggevo – allora non berlo questo, te ne porto un altro
Ci fissammo per un attimo perplessi, Tian parve in imbarazzo.
- Arek ... cosa hai fatto? – chiese nervoso.
- Pensavo che fosse qui per farti del male – rispose scuotendo le spalle e prendendo la tazza dalla mia mano – vado a prendere dell'altro tè
- Non serve – replicai sollevandomi – avrai altre notizie presto.
Così lasciai quella casa e mi ritrovai ad essere insolitamente di buon umore.
Viva la rivoluzione.
CALLUM
- Hai un aspetto spaventoso – dissi mentre mi affiancavo a Levin – e detto da me la cosa assume una gravità rilevante
Quello mi gettò una breve occhiata cupa, non sembrava capace di esprimere a parole ciò che stava provando in quel preciso istante, così si limitò a scuotere la testa.
Automaticamente gli passai una mano sulla spalla – Che succede? Ancora Andrew? Siete riusciti a parlare?
Levin si lasciò andare ad un sorrisino malconcio – Magari fosse solo quello. Cerca di farla funzionare lui, non so se è davvero convinto di ciò che dice, sembra voglia continuare questa storia nonostante tutto ... ma sono io che mi sento instabile.
- Cosa c'è che non va? – insistetti – lo sai che puoi dirmi tutto, io l'ho fatto e mi fido di te
- E' mio fratello questa volta – rispose in un sussurro - sento che c'è qualcosa che non va, ormai lo percepisco e basta, anche se lui non intende parlarmene chiaramente.
- Pensi sia in pericolo?
Il mio tono tradiva un'ansia che fece voltare Levin e spingerlo a osservarmi meglio, sapevo cosa stava passando.
- Si è messo nei guai, ne sono certo. E' venuto da me, il modo in cui mi ha cercato e poi anche come si affannava a rintracciare i suoi amici – scosse la testa – lui non è mai stato in grado di stare al suo posto.
- Potrei parlare con Alencar – buttai lì per cercare di consolarlo ma allo stesso tempo comprendevo che niente lo avrebbe fatto uscire da quello stato di angoscia – forse lui lo può aiutare, non so che guai ha tuo fratello ma magri si può rimediare
- Pensi che lo aiuterebbe? – chiese perplesso – solo per capire che succede, visto che con Kai scoprire la verità non è un'impresa semplice
Io annuii – proverò a chiedere, non preoccuparti
- Stai attento però, non voglio che tu ti faccia coinvolgere più del necessario – mi raccomandò – vorrei provare a starne fuori anch'io, ad essere sincero.
- Non rischio niente, non preoccuparti – lo rassicurai.
Il suo sguardo non divenne meno cupo, ultimamente non era un periodo facile per nessuno di noi e fui felice di avere trovato Levin, perché forse non eravamo più soli ad affrontare il mondo.
Così gli sorrisi e gli porsi una mano – facciamo un patto. Promettiamo di uscire entrambi interni da questo periodo schifoso e che se succede qualcosa potremo sempre contare l'uno sull'altro. Ok?
Levin fissò la mia mano per una manciata di secondi e poi la strinse – tu sei davvero suonato
- Me lo dicono spesso – risi.
Ci separammo entrando a scuola e fui assorbito dalle attività di quel giorno, compiti e verifiche, tutto come sempre finchè non incrociai Keno in corridoio. Se ne stava accanto al suo armadietto con un'aria parecchio irritata, forse anche più del solito.
- Ehi – mormorai.
Si voltò come se volesse fulminarmi con lo sguardo ma poi mi riconobbe e i suoi divennero leggermente meno cupi.
- Callum... - salutò – scusa, ero sovrappensiero
- Come stai? Con il nuovo orario va meglio? – chiesi mentre lo osservavo rimettere in ordine alcuni appunti.
- Sì, almeno riesco a preparare i compiti – rise – anche se ti chiederò altre ripetizioni
- Quando vuoi, tu chiami e io arrivo - commentai facendolo ridere.
- Scusami, ultimamente non ci sono stato con la testa. Non siamo nemmeno usciti – sbuffò.
- Anche io sono stato incasinato – mentii – Aiden come sta?
Vigliacco.
Lo ero, avevo chiesto di Aiden semplicemente perché non volevo che Keno mi chiedesse altro, che magari scoprisse cosa stava accadendo sotto il suo naso. Dopo quello che gli avevo detto e quello che ero pronto a fare con Alencar, adesso mi sentivo dannatamente ipocrita nei confronti di Keno. Cosa avrebbe pensato di me? Prima avevo detto di odiarlo e avevo chiesto il suo aiuto per liberarmi di lui e poi ero finito nel suo letto. Pregando di restarci.
- Ormai sta meglio, riesce ad esprimersi normalmente, sta recuperando bene da quel punto di vista, ma per quanto riguarda il resto ... beh, ha ancora delle grosse difficoltà a muoversi – mi spiegò facendomi tornare con la mente al presente – lo dimetteranno per il momento anche se dovrà tornare in ospedale tutti i giorni per la fisioterapia
- E' molto dura ... - mormorai – non solo per lui, anche per i suoi e per te .... Scommetto che non ti stai risparmiando affatto
Lui sorrise – è il minimo, farei di tutto per aiutarlo. Ha bisogno di me, per ora è ancora molto confuso. Oggi pomeriggio dovrebbero portarlo a casa di Andrew – quell'ultima frase fu pronunciata con grande amarezza.
- Si sta davvero impegnando – gli feci notare e questo non gli piacque.
- E' un inutile pagliaccio, che ipocrita. Non vorrebbe minimamente fare tutto questo per Aiden, lo fa solo perché deve - ringhiò – gli fa comodo, gioca a fare il fidanzato premuroso ...
Non aggiunsi altro, capii che non era il momento, vidi Keno chiudere lo sportello dell'armadietto con un gesto rabbioso. Non si voltò a salutarmi, lo vidi andare via lungo il corridoio e non provai a seguirlo. Intuii che probabilmente stavamo tutti combattendo le nostre battaglie in quel momento, avrei provato a parlargli più tardi.
Alla fine delle mie ore scolastiche mi ritrovai davanti alla porta dell'appartamento di Alencar, suonai sperando di trovarlo in casa e propenso ad ascoltarmi.
Quando la porta si aprì presi un profondo respiro – ciao, ti disturbo?
Alencar era lì con la sua solita aria guardinga, mi osservò e poi controllò il corridoio alle mie spalle.
- Che ci fai qui? – chiese.
- Volevo vederti e parlare ... - risposi leggermente nervoso.
Lo vidi spostarsi di lato per permettermi di entrare e lo feci senza indugio, mentre lo osservavo richiudere la porta notai che teneva una pistola in mano. Mi si accapponò la pelle mentre lo osservavo inserire la sicura all'arma e riporla dietro lo schienale del divano, come se nulla fosse.
- Sei in pericolo? – chiesi temendo la risposta.
- Sei qui per chiedermi questo? – replicò andandosi a sedere.
- Anche ... - mormorai – insomma, vorrei sapere dei tuoi affari ... se va tutto bene ...
- Tu non saprai niente dei miei affari, Callum – disse molto seriamente – è fuori discussione
Che cosa ti è successo?
Era diverso, non si trattava solo del suo tono, del suo corpo, aveva una strana luce negli occhi, qualcosa di tremendo e sinistro, qualcosa che non aveva nemmeno nei momenti peggiori che potessi ricordare.
- Mi spaventi – dissi chiaramente.
Lo vidi sollevare un braccio e farmi cenno con la mano di avvicinarmi, lo feci, mi sedetti sul divano accanto a lui e affondai una mano fra i suoi capelli.
- Sta succedendo qualcosa di pericoloso, vero? – chiesi senza smettere di fissarlo – Levin teme che il fratello si possa essere cacciato nei guai, anche tu sei in pericolo?
- Fa bene a temere per lui. E' morto un amico di Kai – mi disse ed io persi un battito.
- Li conosci? Il fratello di Levin... i suoi amici ... sai cosa succede? Chi vuole fargli del male? – sentii la sua mano prima sfiorarmi la spalla e poi posarsi sulla mia mascella.
- Ho ucciso io quel ragazzo
Paura. Sarei stato un ipocrita o un pazzo a non provarne mentre Alencar soffiava quella confessione a pochi centimetri dal mio viso. Sapevo che era un criminale, ma non avrei mai creduto che potesse uccidere qualcuno. E cosa avrei potuto fare io? Stava dando la caccia anche a Kai?
- Perché? – riuscii ad articolare con voce flebile – perché lo hai ucciso?
- Era un ordine. O lui o Levin
Panico. Anche quell'emozione si impossessò di me dopo l'ennesima confessione, mi sarei voluto alzare di lì e scappare, ma il mio corpo era pietrificato.
- Levin ... - riuscii a ripetere solo quel nome.
- Kai ha fatto incazzare il mio capo ma so che Levin è tuo amico, così ho fatto in modo che l'altro ragazzo morisse – mi spiegò con una lucidità disarmante – qualcuno doveva morire Callum, è questo il genere di mondo in cui io e Kai viviamo
- L- Levin è preoccupato per lui, speravo che ... potessi aiutarlo, ma siete nemici? Lo ucciderai? – chiesi ancora mentre sentivo le budella torcersi.
- No ... - mormorò mentre riprendeva a percorrere il mio corpo con una mano – non gli farò del male, andrà bene
- Che cosa?
- Tutto quanto – disse sfiorandomi le labbra con il pollice – ti faccio ancora paura?
- Qualche volta, quando non capisco cosa pensi – risposi stringendomi a lui – hai ucciso un uomo ...
- Lo so – sentii il suo fiato accanto all'orecchio e parlò come se mi stesse comunicando qualcosa di intimo – e ne moriranno altri, molti altri. Lo sopporterai? Starai dalla mia parte nonostante tutti quei morti?
Il mio cuore batteva forte e sapevo di non poter mentire – non voglio che tu faccia del male ad altre persone, che diventi un assassino. Non sei così ...
- Finirà tutto – disse schiudendo le labbra in un sorriso – e ci lasceremo questi giorni alle spalle.
Non opposi resistenza, lo sentii spingere il mio corpo verso il suo e mi lasciai baciare per tutto il tempo che desiderava. Non potevo oppormi, non quando avevo la chiara percezione di quanto Alencar dipendesse da quella vicinanza, quanto il mio corpo stretto al suo lo aiutava a sopravvivere.
Cosa siamo diventati?
Non ebbi il coraggio di chiedere, mi limitai a stringermi a lui e mettermi a cavalcioni sulle sue gambe mentre quei baci si facevano sempre più intensi. Aveva bisogno di me, potevo sentirlo attraverso ogni tocco e, quando mi spinsi ancora più vicino a lui, sentii la sua erezione svegliarsi sotto di me.
- Alencar ... - mormorai prendendo respiro tra un bacio e l'altro.
- Che c'è? – sorrise con lo sguardo traboccante di desiderio – spero che tu non sia sorpreso, sono un uomo dopotutto
Non ebbi il tempo di restare a fissarlo imbarazzato ancora a lungo, riprese a baciarmi, intrappolandomi nella sua presa e passando le mani ovunque sul corpo. Mi ritrovai steso sul divano mentre lo sentivo trafficare con l'apertura dei miei jeans, fissavo il tetto e la mia mente stava già iniziando a galleggiare.
Era tremendamente piacevole, qualcosa che a stento riuscivo a concepire, ogni tocco, ogni sospiro, era tutto esattamente come doveva essere. Sentivo il tessuto dei pantaloni lasciare le mie gambe, sentivo i suoi polpastrelli sfiorarmi le cosce e poi le sue mani che mi divaricavano le gambe. Le sue labbra sulle mie ginocchia e poi giù, con una serie di baci lenti, si spingevano sempre più vicine al mio sesso. Avrei potuto farlo ogni momento della giornata, per tutto il giorno, e sarebbe stato sempre bellissimo, non me ne sarei mai stancato.
- Alencar ... - il suo nome veniva fuori dalla mia bocca insieme ai gemiti.
- Cosa c'è? – mi stuzzicò leccandomi il lobo dell'orecchio mentre le sue mani erano impegnate a stringere le nostre erezioni con forza l'una contro l'altra – dimmi cosa vuoi ...
- Voglio te – mi ritrovai a dire con tono supplichevole – voglio sentirti dentro ...
Poi ci fu il suono familiare della bustina del preservativo, quel lieve strappo che precedeva il piacere assoluto. Alencar si fece strada dentro di me, lentamente, facendomi sentire ogni centimetro della sua eccitazione, facendomi gemere fino all'ultimo secondo prima di tapparmi la bocca con un altro bacio.
Se solo questo potesse durare.
Era una flebile speranza, non eravamo i personaggi di un film d'amore, dove il lieto fine era lì pronto ad attenderci dopo una notte di passione. Eravamo i figli soli di una terra maligna, di un destino atroce, di un'esistenza miserabile, eravamo andati avanti soffrendo e quel dolore non ci avrebbe mai abbandonati. Anche se ci eravamo trovati, anche se avevamo smesso di odiarci, le conseguenze delle nostre vite non ci avrebbero mai lasciato in pace.
- Alencar – lo chiamai ancora mentre sentivo quelle spinte farsi sempre più veloci e ingestibili, mentre sentivo che mi sarei potuto sciogliere e fondere nel suo corpo – non lasciarmi
- Ti porterò con me – disse al mio orecchio poco prima che l'orgasmo travolgesse entrambi e ci facesse dimenticare nuovamente tutto il resto.
Adesso non c'era più niente che contessa abbastanza, c'eravamo solo noi due in quel salottino, ancora nudi e senza fiato, con i corpi stretti e accaldati. C'ero io e il mio bisogno insaziabile di legarmi a qualcuno che ormai si era liberato in tutta la sua spaventosa potenza. Avrei potuto perdonare ad Alencar qualsiasi cosa, qualsiasi crimine, purchè restasse con me. Avrei fatto qualsiasi cosa mi avesse chiesto se fosse servito a non fargli lasciare la mia mano.
Sii tutto mio e io sarò tutto tuo.
Un pensiero pericoloso, un pensiero egoista, un pensiero mostruoso, un pensiero mio.
ANDREW
Avevo fatto in modo che tutto fosse pronto per l'arrivo di Aiden . Il mio appartamento in centro era abbastanza grande da poter contenere tutto ciò di cui lui aveva bisogno, compreso un grosso letto da cui poteva sollevarsi usando un telecomando e che lo avrebbe aiutato con quei movimenti semplici. La signora Berg si guardava intorno con aria commossa, mi aveva ringraziato talmente tante volte che non sapevo più come rispondere.
Aiden era a letto, un po' smunto e pallido per via delle ultime fatiche. Era stato trasportato qui in ambulanza, un viaggio breve, ma che avrebbe dovuto ripetere ogni giorno per via della riabilitazione. Ero stato talmente occupato tal suo arrivo da non aver avuto tempo per altro, avevo sistemato la casa, fatto fare dei lavori per agevolare Aiden e i suoi bagni, poi avevo discusso con i dottori e la signora Berg riguardato gli esercizi che avremmo dovuto fare a casa.
La riabilitazione sarebbe stata lenta e dolorosa, era chiaro a tutti ormai che la strada di Aiden era ancora in salita e probabilmente lo sarebbe stata ancora per molto. Andai da lui con il solito sorriso incoraggiante sulle labbra al quale rispose con altrettanto trasporto.
- Allora? Che te ne pare come sistemazione? Può andare?
Lui si limitò ad annuire – Può andare. Grazie
Parlava con cautela, mettendoci più del previsto per fare ordine nella sua mente. Stava facendo grandi passi avanti, diceva il dottore, la sua mente reagiva molto meglio del suo corpo, da questo punto di vista.
- Ho già dato a Keno questo indirizzo – dissi con una finta allegria nella voce – così può venire a trovarti quando gli pare. Adesso tua madre sta per farti da mangiare. Hai fame?
Domande semplici e uno sfoggiare continuo di sorrisi e parole dolci. Il dottore era stato imperativo su quel punto. Non bisognava mettere sotto stress Aiden in alcun modo, la sua era una condizione molto fragile e, anche se l'apparenza poteva mostrarci un ragazzo mite e remissivo, in realtà nessuno di noi era in grado di stabilire cosa accadesse sotto quella superficie piatta.
Che mi faceva male vederlo in quelle condizioni era indubbio, stentavo a riconoscerlo, mi sembrava di ritrovarmi davanti una copia pallida di quello che era stato Aiden per tutto quello tempo. Anche il suo modo di rapportarsi a me era sbagliato, una sorta di nota stonata in una melodia ben nota che, però, ha il potere di modificare il senso stesso del messaggio, fino a renderlo confuso e fuorviante. Non ricordava niente di quello che era successo tra noi? Mi specchiavo in quegli occhi senza riconoscere quel pizzico di colpa che mi aveva sempre attribuito e che ormai era diventata una caratteristica inscindibile del modo che aveva di guardarmi. Adesso non c'era più, la mia colpa sembrava essere scomparsa insieme ai ricordi.
- Keno mi ha detto di noi
Aveva parlato all'improvviso, mi ero mosso un attimo sul materasso del suo letto, in un gesto imbarazzato.
- Cosa ti ha detto?
Aiden mi guardò dritto negli occhi – Quello che tu hai fatto per me – disse soltanto, quasi a fatica. Sembrava emozionato, ma represse l'emozione e i tremori, riusciva a gestirsi a fatica.
- C-che noi due stavamo insieme prima dell'incidente. Un po' ricordo ... non bene, ho solo questi flash – continuò stentando, quasi alla ricerca di una conferma da parte mia.
Quindi era quella la via avrei dovuto seguire? Menzogne per sedare la mente fin troppo provata e in continuo subbuglio di Aiden? Mi sembrò disonesto e sbagliato. Credeva ancora che stessimo insieme? Keno non aveva potuto dirgli niente, capii, le parole del medico avevano messo in allarme anche lui, così aveva preferito lasciare che Aiden credesse in ciò che desiderava o nelle poche cose che ricordava di noi.
- Sì, siamo stati insieme ... - non sapevo fino a che punto spingermi, provai ad abbozzare un sorriso – però non preoccuparti, non sforzarti troppo. I ricordi torneranno da sé prima o poi
E probabilmente non sarebbe stato un bene. Il dolore lo avrebbe colpito di nuovo, forse con ancora più violenza di prima. Che destino crudele, pensai.
- Grazie per tutto. Per la casa, per i soldi ... per tutto
Scossi la testa – Era il minimo che potevo fare. Non devi neanche pensarci, pensa soltanto a recuperare, ok?
Presi la sua mano debole tra le mie, la massaggiai appena, cercai di infondergli quel coraggio che anch'io avrei perso piano piano se fossi stato nei suoi panni. Mi sollevai da lì soltanto quando arrivò la signora Berg con il pranzo. Quello era il suo ultimo giorno di permesso da lavoro, dopo di che sarebbe dovuta tornare in ospedale oppure avrebbe definitivamente perso il posto. L'avevo rassicurata che saremmo stati io e Keno ad occuparci del figlio durante i suoi turni in ospedale, ecco a che genere compromessi ero stato costretto a scendere pur di non intaccare la serenità di Aiden.
E così era stato, quando sentii suonare pensai che fosse Keno, sempre fin troppo puntuale. Non era così, rimasi sorpreso nel sentire la voce di Levin dal citofono. Il mio cuore sembrò aprirsi in pochissimo tempo, nonostante non fossi stato consapevole dello stato di tensione in cui mi trovavo, almeno fino a quel momento. Lo attesi davanti alla porta, come si farebbe con un invitato speciale che si vuole assistere dal primo attimo fino all'ultimo di quella visita inaspettata. Sentii le mie stesse labbra aprirsi in un sorriso spontaneo quando lo vidi apparire dalla rampa di scale che dava sul mio corridoio.
- Ti sei deciso ...
Non era felice, era chiaro, ma stava sopportando. Gli impedì di entrare, parandomi davanti e chiudendo quasi del tutto la porta.
- Non mi saluti prima? – chiesi con un tono che non ammetteva errori. Aveva capito anche lui il modo in cui volevo essere salutato.
Invece stirò appena il collo con l'intento di vedere all'interno della stanza dietro le mie spalle – Chi c'è?
- Che importa? – dissi con un tono fin troppo disperato, quasi patetico. Bastava guardarlo anche un solo istante per capire quanto stesse di merda in quella situazione. Occhi cupi, sguardo basso e distante e poi quella postura rigida, di chi sta andando in un posto nel quale non vorrebbe mai stare.
- Non fingere che non sia cambiato un cazzo, perché non è così. Lo saluto e me ne vado
Passò oltre senza degnarmi di una seconda occhiata, a quel punto il mio senso di sconforto crebbe un po' di più. Lo seguii senza dire una sola parola, con le mani nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo ancora puntato sulla sua figura, adesso di spalle, immobile di fronte al letto in cui si trovava Aiden. Quest'ultimo gli lanciò un'occhiata lievemente incuriosita, vidi il suo viso mutare piano ma in modo inarrestabile. Aveva ricordato qualcosa, i suoi occhi zigzagavano tra Levin e me, poi doveva essere arrivata l'illuminazione.
- Levin
Sentire il suo nome lo spinse ad avvicinarsi al letto. I sorrisi erano finiti per Aiden, sembrava troppo perso nei suoi pensieri per fingere serenità. Si corrucciò
- Scusami se ci ho messo tanto ... sono stato male. Sono felici di rivederti, ti aspettavamo tutti.
Levin parlò piano, stava per sedersi accanto all'altro, quando Aiden ebbe un lieve tremore. Mi avvicinai anch'io a quel punto, Levin non si era più mosso, aveva pensato bene di rimanere in piedi, frenato dalla strana reazione dell'altro.
- Tutto bene? Ricordi Levin?
Aiden annuì, quella volta provò ad abbozzare un sorriso – Ricordo tutto
L'imbarazzo ammantò Levin, anche Aiden sembrava a disagio, forse in procinto perfino di piangere. Io mi finsi estraneo a tutto, non immaginavo che quel genere di ricordi sarebbe venuto fuori così in fretta, per un attimo mi chiesi che diavolo ci facevo lì. Dovevo lasciarli da soli? Ma ancora prima di poter fare un passo, la voce di Aiden mi bloccò al suolo
- E' tutta colpa mia. T-tu mi sei stato accanto, tu hai pagato tutto questo mentre io ti ho ... ti ho fatto del male
Stava tremando, le sue parole si spezzarono a metà. Era una situazione che andava evitata quella, Aiden si stava agitando e fui io ad avanzare verso di lui e a bloccare il suo corpo contro il letto
- Va tutto bene. Non è successo niente ... è una storia vecchia, ok? Non mi importa. Non importa a nessuno.
I miei occhi impietriti incontrarono quelli di Levin. Sembrava una statua di sale, impossibile leggergli in volto il dolore che quelle parole gli stavano dando. Vederlo aveva riportato a galla certi ricordi che Aiden non sapeva come affrontare, continuava a tremare sotto le mie mani, le rassicurazioni non sembravano calmare quel delirio di parole confuse e insulti rivolti a sé stesso
- T-tutta colpa mia. T-tutti e due ... p-perché mi parlate ancora? Perché n-non mi odi?
- Non potrei mai odiarti. Aiden, ti prego ... stammi a sentire. Noi siamo a posto, ok?
La signora Berg era arrivata subito dopo, probabilmente attirata dalle urla concitate di suo figlio. Era andata ad abbracciarlo, mi ero ritrovato accanto ad un Levin spiazzato ed immobile, silenzioso come se non fosse neanche in quella stanza.
- E' meglio che vada. – disse poi in fretta
- Mi dispiace caro, il dottore lo aveva messo in conto. Non è colpa tua, Aiden per adesso è molto fragile. Torna pure a trovarlo tra qualche giorno – rispose la signora Berg, ignara di tutto come solo una madre poteva essere. Lanciò un'occhiata tenera a Levin, poi tornò di nuovo ad occuparsi del figlio che aveva smesso di tremare, ma non di piangere e singhiozzare.
Mi risvegliai e seguii Levin fuori in fretta. Era già arrivato alle scale e per fermarlo non mi bastò chiamarlo in continuazione. Gli corsi dietro, parandomi davanti non appena fece per svoltare a destra.
- Che cosa diavolo pensi di fare? Perché stai scappando?
- Perché soltanto vedermi gli ha provocato una fottuta crisi di merda! – aveva urlato, il suo braccio indicava un punto imprecisato nel muro dove doveva esserci il mio appartamento – lo sapevo che non dovevo venire! Lo sapevo e basta!
- Si abituerà! Non credevo che avrebbe ricordato quello che è successo, di me non ricorda un cazzo!
- Meglio così, scommetto – Levin parlò con un tono spaventoso, il suo sguardo si fece ancora più duro – e a te conviene, vero? Passare per quello che non sei!
- Cosa? Mi conviene? Sto facendo soltanto quello che mi ha detto il dottore, Levin! Sto cercando di non fargli perdere la testa, di aiutarlo a recuperare con calma. Cosa dovrei fare? Buttargli addosso la merda che eravamo? Dirgli che non l'ho mai amato? Che stare insieme era inutile se non dannoso?
Non parlò, in quel momento pensai di odiarlo – Mi vieni addosso anche tu adesso? Non basta Keno, non basta non avere più spazi personali e non vederti quanto vorrei ... ma adesso mi tratti anche così? Cosa posso fare per sistemare le cose? Dimmi cosa fare e lo farò
Levin scosse la testa – Non possiamo fare niente. Dipendiamo da lui, lo sai meglio di me.
- Non dire stronzate ... è soltanto un periodo, presto starà bene.
Ancora una volta si chiuse nel silenzio, eravamo davanti alla porta ormai. Mi sentivo un peso addosso che non riuscivo a mandare via, rimasi a guardare la perfezione del suo viso freddo e distante, la solita abile scena per camuffare quanto in realtà stesse soffrendo. Fu lui ad avvicinarsi per primo e quel gesto mi sorprese, schiusi le mie labbra non appena sentii le sue addosso. Il malessere andò via in fretta, smisi di pensare e di preoccuparmi a mano a mano che quel bacio cresceva di intensità. Lo avrei preso lì, sbattuto contro il muro e spogliato.
- Dobbiamo vederci – gli dissi con il respiro spezzato e la sua mano che vagava giù, sulla mia cerniera, ma non osava andare oltre
- Quando? Dove?
- Domani pomeriggio, a casa mia a Coney Island. Ti lascio le chiavi, così ti raggiungo non appena mi libero ...
Un piano perfetto, quello era l'unico modo per continuare a vedere Levin, pur non venendo meno ai miei obblighi nei confronti dei Berg. Un compromesso giusto, che forse avrebbe dato ad entrambi la parvenza che non ci stavamo perdendo come temevamo che accadesse. Eravamo stretti l'uno all'altro, avevo infilato le mani nelle tasche posteriori dei suoi pantaloni neri e lo avevo spinto un altro po' contro il mio corpo, fin troppo felice di averlo tra le braccia. Un luccichio divertito brillò nei suoi occhi
- Ti sono mancato?
- Domani ti farò vedere quanto – gli promisi, ad un centimetro da quelle labbra che non riuscivo a smettere di tormentare. Lo baciai ancora e ancora, sempre premuti contro il muro, come due adolescenti all'uscita da scuola.
- Mi fa incazzare ...
- Cosa? – chiesi, confusamente
- Non riuscire ad uscire da tutto questo, nonostante io sappia che prima o poi dovrò uscirne. Che non avrò altra scelta.
- Non dire stronzate – dissi con un filo di voce – si risolverà tutto
Levin mi guardò ed il suo sguardo tornò distaccato, come a volermi dire "E tu ci credi davvero?"
Non ebbi modo di rispondere o di attirarlo di nuovo a me, proprio in quel momento la porta davanti a noi si aprì e rivelò Keno.
Ci lanciò una sola occhiata lunga quanto sprezzante, poi ci oltrepassò in fretta, con la sua solita luce spaventosa negli occhi. La stessa luce che perdeva non appena andava a conversare amorevolmente con il suo migliore amico. Lo stomaco mi si torse, il solo pensiero di dover passare un'infinita di pomeriggi in quel modo mi faceva stare male.
- Non gli ha detto niente di noi ...
- Non può, non pensare che lo abbia fatto per bontà, semplicemente non può parlargli apertamente di qualcosa che lo turberebbe. Il dottore è stato chiaro con tutti noi – dissi in fretta, con furia – mi detesta perché sono ancora qui, perché ho offerto un posto per Aiden e lui adesso è costretto a venire a casa mia per frequentare il suo amico.
- Vi darete il cambio con lui? Puoi vedermi davvero?
La voce di Levin era smorta, gli passai una mano sul viso in una carezza che finì con un piccolo schiaffo giocoso
- Certo che posso. Non rinuncerei a te per niente al mondo, Levin. Non essere idiota ... sei tipo l'unica cosa che mi impedisce di impazzire
Ed ero stato talmente sincero da stupirmi. Mi portai una mano sul viso in un gesto di imbarazzo – E sono sempre io quello che si espone tra noi due – dissi in una cantilena.
Levin scosse la testa – Essere qui nonostante tutto non è forse indicativo di quanto sia caduto in basso anche io?
- Ma non parli, non esce una sola parola da quella boccuccia che in certi altri settori è tanto allenata ... - lo provocai, ma la conversazione aveva già preso toni più scherzosi. Non volevo lasciarlo andare via, la sola idea di tornare su mi gettava in una rete fitta di demotivazione. Volevo stare con lui, seguirlo a Coney Island e perdere la testa, senza preoccuparmi di quello che mi stavo lasciando indietro. Pensai alle sue mani sul mio corpo, alla ferocia che metteva in tutto, a quegli occhi intrisi di passione e solo a quel punto capii che non mi bastava più quello. Volevo invertire i ruoli per una volta, volevo essere io a ricevere quello che Levin poteva darmi.
La mia voce suonò roca quando parlai – Domani faremo come vuoi tu
Chiaramente Levin non stava seguendo il flusso dei miei pensieri, si mostrò confuso, ma non gli diedi altre spiegazioni. Doveva andare via e io dovevo tornare da Aiden e gli altri, a ricoprire il mio nuovo posto di benefattore gentile. Lo baciai di nuovo, stavolta in fretta per paura di non riuscire più a staccarmi.
ANGOLO AUTRICI:
Come ogni giovedì ecco la vostra dose di emozioni forti XD C'è tanto da dire su questo capitolo quindi non siate timide e sbizzarritevi con i commenti e le teorie su cosa accadrà ai nostri poveri ragazzi XD Povero Aiden, questo risveglio lo ha messo a dura prova. E che Dio salvi Levin, sempre! un bacio e alla prossima <3
BLACKSTEEL
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